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    Presentazione e introduzione (di: Pane e perdono)



    Carmine Di Sante, PANE E PERDONO. L'Eucaristia celebrazione della solidarietà, Elledici 1992



    PRESENTAZIONE

    Le pratiche sociali o più ancora le pratiche religiose, come i riti, i simboli, i miti, le azioni sacrali, proprio perché sono venute lentamente strutturandosi e organizzandosi lungo il tempo di vita della comunità umana, corrono il rischio di perdere il loro legame con il vissuto della vita quotidiana e dell'esperienza di fede che l'accompagna, e divenire fonte di ambiguità e di alienazione per l'uomo, e più spesso, segno vuoto e simbolo muto per le nuove generazioni.
    Tra tutte le pratiche che hanno segnato e segnano la tradizione cristiana, la celebrazione dell'Eucaristia è quella che segna profondamente il tempo nel suo triplice arco: quotidiano (feriale), settimanale (domenica), annuale (pasqua).
    In essa si condensa, a livello simbolico e rituale, la totalità dell'esperienza di fede della Chiesa, al punto che Eucaristia e Chiesa si richiamano fino a identificarsi.
    Simbolo fondamentale della tradizione cristiana, la Messa condivide, con questa, la stessa complessità e ambiguità, attraverso un percorsa quasi bimillenario, ora lineare e ricco, ora oscuro e contorto.
    Per questo esige un impegno di rilettura del tutto particolare, capace di andare oltre i dotti trattati accumulati, verso il «dono di senso» originario che essa «inette in scena».
    La sua riscoperta può essere paragonata alla visita e alla presa di possesso di un «castello millenario», secondo la metafora di un grande studioso, e può essere compiuta attraverso molteplici percorsi. I linguaggi simbolici costituiscono infatti vere e proprie «foreste» entro cui è facile avventurarsi ma anche perdersi.
    Le pagine che seguono intendono offrire ai lettori «un percorso» in mezzo alla «selva simbolica» della Messa cristiana.
    Un sicuro sentiero attraverso il quale il lettore, desideroso di inoltrarsi, guadagni la «postazione» migliore per contemplarne la bellezza e coglierne il richiamo potente.
    E quello che cuce insieme il gioco dei simboli, dei riti, delle parole e dei gesti che compongono la Messa, si chiama «solidarietà».
    Parola di Dio e parola dell'uomo, appello di Colui che è «il solidale» e risposta alla solidarietà di colui che ad essa si riscopre chiamato, sacrificio e banchetto: questi i grandi simboli che vengono «scavati» alla luce della grande solidarietà tra Dio e l'uomo.

    INTRODUZIONE

    Il gatto del Guru

    «Quando il Guru si sedeva per le funzioni religiose la sera, arrivava il gatto del santuario e distraeva i fedeli. Così egli ordinò che durante le funzioni serali il gatto venisse legato. Molto tempo dopo la morte del Guru si continuava a legare il gatto durante le funzioni serali. E quando alla fine il gatto morì, portarono al santuario un altro gatto per legarlo debitamente durante le funzioni serali. Secoli dopo i discepoli del Guru scrissero dotti trattati sul ruolo essenziale di un gatto in ogni funzione correttamente condotta».[1]
    La verità che questo racconto contiene (il mito «svela», insegna la grecità) è quanto sia facile fraintendere il senso di una pratica sociale, esemplificata qui dal legamento del gatto, che, pur avendo nel suo sorgere una motivazione sensata, successivamente, con il tempo si aliena, trasformandosi da mezzo a fine. Mentre infatti all'inizio il gatto veniva legato per impedire che il suo movimento o il suo miagolio disturbasse - ciò che rendeva il suo legamento sensato - successivamente è legato per... essere legato; il legamento in quanto tale da mezzo diventa fine!
    La storia del gatto, però, non solo insegna che le pratiche sociali possono fraintendersi nel loro significato originario e trasformarsi da mezzo a fine, ma che tale fraintendimento non è facile da smascherare, dal momento che si presenta con il volto della razionalità giustificatrice che la legittima: «Secoli dopo i discepoli del Guru scrissero dotti trattati sul ruolo essenziale di un gatto in ogni funzione correttamente condotta».
    Questi «dotti trattati», piuttosto che di un'intelligenza libera ed esplicativa, sono il frutto di una visione di parte (ideologica, in termini marxiani) la quale, invece di chiarire il fenomeno studiato, lo occulta sovraccaricandolo di significati posticci, per di più con il ricorso ad argomentazioni sottili.

    Ambiguità delle pratiche religiose

    Se questa parabola del gatto vale per tutte le pratiche sociali, vale ancor più per le pratiche religiose - miti, riti, simboli, azioni sacre e sacramenti - che, una volta strutturate e istituzionalizzate, corrono il rischio di alienarsi più facilmente delle altre. Per questo, non senza significato, la storia del gatto viene costruita esplicitamente entro il contesto del «santuario» e delle «funzioni religiose» che vi si celebrano.
    Il motivo per cui le pratiche religiose più delle altre corrono il rischio di alienarsi, dando luogo a «dotti trattati», i quali più che il chiarimento ne promuovono l'occultamento, va ricercato nel fatto che esse si muovono nello spazio dell'assoluto e del sacro; e poiché la tentazione di impossessarsi del divino re- sta la suprema tentazione dello spirito umano malato di desiderio e di volontà di onnipotenza, quanti si trovano a gestirlo istituzionalmente, sono esposti a cadervi più degli altri.
    Una teoria elaborata da alcuni studiosi del fenomeno religioso vuole che alla radice della violenza ci sia il rapporto tra sacro e potere; che essa, cioè, emerge là dove una classe sociale, a differenza delle altre e di fronte ad esse, pretende di farsi rappresentante e garante del divino e delle sue istanze. Non è infatti vero, come ci insegna la storia, che chi crede di avere dalla propria parte Dio, la verità, l'assoluto o l'utopia - uno dei nomi che il divino ha assunto agli inizi del moderno e soprattutto nel marxismo - diviene spesso intollerante, sprezzante e spietato? E come non prendere sul serio la critica di quanti richiamano i credenti al fatto che quasi sempre le peggiori violenze sono state perpetrate nel nome del loro «Dio», dalla uccisione dei nemici alla caccia alle streghe, al rogo degli eretici, al «Dio con noi» degli efferati nazisti?
    Di fronte a fenomeni così aberranti non è sufficiente scandalizzarsi e strapparsi le vesti, forse consolandosi con l'idea che noi saremmo stati diversi, ma è necessario prendere coscienza della fondamentale ambiguità delle pratiche religiose dalle quali siamo «portati», e ricondurle all'unico principio capace di «dis-ambiguarle», e che la celebre pagina matteana, nota come «giudizio escatologico» (Mt 25,31-46), racchiude nel gesto silenzioso, anonimo e quotidiano, del servizio che si esprime nel dare da mangiare, nel dissetare, nel vestire, nell'ospitare, nel confortare e nel visitare.

    La celebrazione dell'Eucaristia

    Tra tutte le pratiche che hanno segnato e segnano la tradizione cristiana, la Messa è, in assoluto, la più importante, quella che segna profondamente il tempo nel suo triplice arco quotidiano («messe feriali»), settimanale («domenica») e annuale («pasqua») e nella quale si condensa, a livello simbolico e rituale, la totalità dell'esperienza di fede della Chiesa. «Andare a Messa» è divenuto ed è, sia dentro che fuori la comunità credente, sinonimo di cristiano («colui che va a Messa»!), e la sua osservanza, formalizzatasi come precetto festivo, si è fatta il segno più autentico della propria adesione al Vangelo. Lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II, che non senza significato ha iniziato la sua riforma partendo dalla liturgia con un documento passato alla storia, Sacrosanctum Concilium, ha ribadito questo criterio asserendo che la liturgia - e si tratta ovviamente soprattutto della liturgia della Messa - è la «fonte» e il «culmine» di tutta la Chiesa.
    Simbolo fondamentale della tradizione cristiana, la Messa condivide, con questa, la stessa complessità e ambiguità, attraverso un percorso quasi bimillenario ora lineare e ricco, ora oscuro e contorto, come quando, per esempio, soprattutto nel Medioevo, si trasformò in «prestazione a Dio»: per invocarne la protezione a vantaggio di un amico, un malato o un viandante, per garantire la liberazione dei defunti dalle fiamme del purgatorio con il loro relativo ingresso in paradiso (la famosa «Messa da morto»!), per sfuggire alle pene dell'inferno in caso di morte improvvisa o imminente, oppure - questa volta da parte del clero che ne era il soggetto principale - per guadagnare più denaro attraverso la sua ripetizione anche più volte durante la giornata.[2]
    È questa la ragione per la quale, tra tutte le celebrazioni, la Messa è quella che, più delle altre, esige un impegno reinterpretativo particolare capace di andare oltre «i dotti trattati» accumulati su di essa e ricuperarne il significato originario.
    Le pagine che seguono sono guidate da questa volontà di rilettura, perché la celebrazione della Messa, lungi dall'essere un rito formale da subire o sfuggire, torni ad essere la parola per eccellenza di senso che, con la sua luce, dà luce alle esistenze.

    Un castello millenario

    Un grande studioso ha scritto che la liturgia della Messa «si può paragonare ad un castello millenario che, con i suoi corridoi tortuosi e le sue strette scale, con le sue alte torri e le sue vaste sale, fa un'impressione strana a chi vi ponga piede la prima volta, e lo induce a pensare come sia più comodo abitare in una villa moderna. Tuttavia qualche cosa di nobile e di austero aleggia in quella antica rocca: il retaggio spirituale dei secoli irradia dalle sue mura massicce, e nei suoi motivi architettonici si riassumono i principi secolari della tecnica muraria di molte generazioni che devono essere, però, rilevati dalle gènerazioni successive. Così anche nella liturgia della Messa solo uno studio storico della genesi svoltasi nel corso di molti secoli potrà rendere possibile una più esatta comprensione».[3]
    Ma contemplando questo palazzo così ricco di ricordi millenari, lo studioso sopra citato ne sogna un altro dove sarebbe ancora più bello muoversi senza dover ricorrere necessariamente all'analisi storica: «E sarebbe veramente desiderabile, anzi ciò costituirebbe l'ideale verso il quale dovrebbero convergere gli sforzi di tutti, che una liturgia della Messa venisse plasmata in maniera tale da rappresentare il più fedelmente possibile il patrimonio dei primi tempi ed essere così comprensibile di per se stessa, tanto nel suo insieme quanto nei suoi particolari e nella sua essenza, senza la necessità di far ricorso all'indagine storica».[4]
    Jungmann, il celebre liturgista austriaco autore di queste righe, ha sognato questo palazzo nuovo ma senza la possibilità di vederlo realizzato, essendo morto alle soglie della riforma liturgica voluta dal Vaticano II, alla quale i suoi studi hanno contribuito come pochi altri.

    Per non perdersi nel castello

    Uno dei grandi meriti del Vaticano II è di aver semplificato il mondo della liturgia liberandola dal sovraccarico delle aggiunte storiche e riconducendola a una struttura teologica sobria ed essenziale.
    Per quanto riguarda la liturgia della Messa - o sacramento dell'Eucaristia - quattro sono i punti di riferimento principali che il Nuovo Rito della Messa uscito dal Vaticano II suggerisce come «mappa» rituale per evitare di perdersi nei suoi meandri.
    Il primo è di carattere introduttivo, ed è costituito da un insieme di riti chiamati «di introduzione» perché, come l'atrio di un edificio, hanno la funzione di far passare l'assemblea celebrante dal «di fuori» al «di dentro», dal mondo profano e ordinario a quello oltre e altro da esso.
    Il secondo è rappresentato dalla Parola di Dio e corrisponde alla prima delle due bellissime sale che, per restare nell'analogia dell'edificio, costituiscono la Messa, e che la riforma liturgica del Vaticano II ha chiamato liturgia della Parola. Questa parte, che è l'inizio vero e proprio della celebrazione eucaristica, si struttura intorno al tema della Parola di Dio proclamata di fronte all'assemblea celebrante e da questa accolta nella responsabilità obbediente. Proclamazione della Parola (nella quale Dio rivela la sua volontà) e ascolto della comunità (mediante il quale essa esprime la propria adesione alla proposta divina): questi i tratti costitutivi della liturgia della Parola in ogni celebrazione eucaristica.
    Il terzo è rappresentato dalla preghiera eucaristica «per il pane e per il vino», segni non più solo - come era ed è per il giudaismo - di tutti i beni della terra, ma del «corpo» e del «sangue» di Gesù e corrisponde, per restare sempre nell'analogia, alla seconda delle due bellissime sale dell'edificio liturgico che la riforma conciliare ha chiamato liturgia eucaristica.
    Questa parte, che è il centro della celebrazione eucaristica e di tutta la liturgia, il «Sancta sanctorum», cioè il cuore della fede e della pietà cristiana, si struttura intorno al pane e al vino, segni reali del «corpo» di Gesù morto e risorto, sui quali la comunità celebrante, per mezzo del sacerdote, rappresentante di Cristo, pronuncia la grande «preghiera eucaristica», preghiera di ringraziamento a Dio per le sue «meraviglie»; e ciò prima di nutrirsene, per farsi, come lui e in forza di lui, comunità comunionale. Si tratta della parte più intima, ricca e suggestiva della celebrazione eucaristica dove inesauribili e molteplici elementi testuali, gestuali, rituali, teologici e spirituali, non facilmente riconducibili a unità, disegnano uno spazio simbolico di rara bellezza e potenza e custodiscono il segreto e l'alimento delle generazioni cristiane.
    Segue infine il quarto e ultimo polo di riferimento, costituito dai riti di conclusione con cui la comunità cristiana dalla celebrazione torna al profano per rischiarare questo alla luce di quella.

    Il «filo d'Arianna»

    I linguaggi simbolici costituiscono vere «selve» o «foreste» dove, essendo i percorsi praticamente infiniti, può essere facile disorientarsi e perdersi.
    Le pagine che seguono vogliono tracciare un «percorso» in mezzo alla «selva simbolica» della Messa cristiana; un sottile ma sicuro «filo d'Arianna» attraverso il quale il lettore, sia esso credente o no ma desideroso di capire, eviti di disperdersi nel suo territorio immenso e guadagni la «postazione» migliore per contemplarne la bellezza e ascoltarne la voce potente.
    Questo filo, al di là dell'immagine, è il tema della solidarietà, intorno alla quale si ricostruirà il significato della Messa e del suo dispiegarsi simbolico e rituale.
    La Messa infatti, in termini simbolici e in termini rituali, esprime il rapporto o dialogo tra Dio e l'uomo, rivelando il primo come «il solidale» e l'altro come «il chiamato» alla solidarietà.
    Non solo. Mentre annuncia l'orizzonte della solidarietà come l'unico orizzonte di senso, la Messa mostra pure, sempre simbolicamente, la via attraverso la quale realizzarla - la via del dono e del sacrificio - e, una volta che questa è fallita, quella che la ricostituisce: la via del perdono offerto dal Messia crocifisso.
    Parola di Dio, risposta dell'uomo, sacrificio e banchetto: questi i grandi simboli che saranno ripresi e «scavati» alla luce della solidarietà tra Dio e l'uomo, l'anima nascosta e l'intenzionalità portante di tutta la celebrazione eucaristica.
    15.30 12/12/2018L'augurio sotteso a questo lavoro di scavo è che per il lettore l'Eucaristia torni ad essere parola di senso che istituisce la solidarietà come l'orizzonte ultimo e fondante dell'esistenza umana.


    NOTE

    [1] In A. DE MELLO, Il canto degli uccelli. Frammenti di saggezza nelle grandi religioni, Paoline, Milano 1986, p. 91.
    [2] Cf C. MARSILI, in Anamnesis 1. La liturgia, momento nella storia della salvezza, Marietti, Torino 1974, pp. 60-61.
    [3] J.A. JUNGMANN, Missarum solemnia. Origini, liturgia, storia e teologia della Messa romana, Marietti, Casale 1961, p. 2.
    [4] Ivi.


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