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    La convocazione dei discepoli (cap. 5 di: Gesù di Nazaret)


    Luis A. Gallo, GESÙ DI NAZARET. La sua storia e la sua grande causa per la vita dell'uomo. Elledici 1991

     

    1. I convocati

    Nella sua intensa e appassionata attività per il regno di Dio, Gesù di Nazaret non fu un solitario, non agì da solo. Sin dagli inizi egli raccolse attorno a sé degli uomini e delle donne, e comunicò loro il suo stesso entusiasmo.
    È così che nacque quel primo nucleo di discepoli destinati a prolungare la sua azione dopo la sua morte.
    Gli evangelisti raccontano in forme diverse la loro convocazione da parte di Gesù. Ognuno di essi ne mette in rilievo aspetti particolari, a seconda del progetto globale che segue nel suo vangelo. Ma ci sono in tutte le loro narrazioni degli elementi comuni, molto illuminanti, che permettono di affermare la sostanziale storicità del fatto.
    Risulta impressionante seguire, attraverso questi racconti, così differenti tra di loro, le diverse chiamate personali che Gesù andò facendo soprattutto all'inizio della sua attività.
    Si può cogliere in essi sia la varietà dei convocati sia la forza affascinante che devono aver esercitato sui chiamati la sua persona e la sua proposta.
    Stando ai vangeli sinottici, i primi invitati furono dei pescatori galilei: anzitutto Simone, più tardi da lui soprannominato Pietro (Mt 16,18), e suo fratello Andrea; dopo, Giacomo e Giovanni, i due figli di Zebedeo (Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-11), ai quali diede come soprannome "figli del tuono" (Mc 3,17).
    Da ciò che viene ivi detto si trattava di uomini impegnati nel duro lavoro della pesca, che richiedeva da loro non pochi sforzi. Secondo Luca, essi costituivano una piccola società (Lc 4,10) che operava, come tante altre in quel tempo, nelle acque del lago di Genesaret, attorno al quale Gesù svolse gran parte della sua attività.
    Se le cose stavano così, si deve ritenere che essi non erano tra i più poveri del popolo; anzi, appartenevano a quella ridotta fascia di ciò che oggi chiameremmo "classe medio-bassa", a cui abbiamo fatto cenno precedentemente, e alla quale apparteneva inizialmente anche lo stesso Gesù se, come attesta Marco, "era figlio di un falegname" (Mc 6,3).
    È da rilevare la prontezza con cui, secondo le narrazioni, questi chiamati rispondono all'invito ricevuto. "Essi lasciarono subitola barca e il padre e seguirono Gesù" (Mt 4,22). "E quelli [Simone e Andrea] abbandonarono le reti e lo seguirono subito ... Essi [Giacomo e Giovanni] lasciarono il padre nella barca con gli aiutanti e seguirono Gesù" (Mc 1,18.20). "Essi riportarono le barche verso la riva, abbandonarono tutto, e seguirono Gesù" (Lc 5,11).
    In tutte questi racconti c'è una serie di verbi che esprime molto bene l'atteggiamento di quegli uomini davanti all'invito ricevuto: essi lasciano, abbandonano, tagliano i ponti con le loro occupazioni di ogni giorno, con ciò che rende sicure e piene le loro vite, e si mettono a seguire quell'uomo di Nazaret che offre loro solo una proposta: la causa del regno di Dio.
    Indubbiamente c'è molto di costruzione letteraria in tutto ciò. Non possiamo sapere con certezza storica come siano di fatto andate le cose, quali tempi abbia richiesto una decisione del genere, che tipo di deliberazioni personali e tra di loro l'abbiano preceduta.
    Non è improbabile che sia passata un po' d'acqua sotto il ponte prima che si decidessero a lasciare tutto e a mettersi dietro a colui che li invitava.
    Ciò che evidenziano gli evangelisti con le loro laconiche narrazioni è, da una parte, la generosità con cui essi devono aver accolto la proposta fatta e, dall'altra, il fascino quasi irrestibile che deve aver esercitato Gesù sulle loro persone. Questi uomini restano come abbagliati da lui e da ciò che egli proclama, e perciò decidono di mettersi alla sua sequela. Abbandonano le loro sicurezze, anche economiche, per abbracciare un progetto di vita umanamente pieno di insicurezze.
    Matteo attribuisce a Pietro una frase, detta dopo un po' di tempo trascorso con Gesù, e che esprime bene il loro atteggiamento: "Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Mt 19,27).
    Dopo questi primi quattro, Gesù convoca un altro, e poi altri sette, e molti altri ancora.
    Il quinto chiamato è molto significativo: era un pubblicano. Come tale, apparteneva a quella categoria di gente che veniva considerata automaticamente peccatrice dai sedicenti giusti.
    Impressiona particolarmente la laconicità con cui viene fatta questa narrazione: "Passando per la via, Gesù vide un uomo, un certo Matteo, il quale era seduto dietro il banco dove si pagavano le tasse. Gesù disse: 'Vieni con me' e quello si alzò e cominciò a seguirlo" (Mt 9,9).
    Si trattava di un uomo che aveva un certo "status" in Israele. Almeno economicamente parlando. L'ufficio di esattore delle tasse gli offriva una grossa possibilità di agiatezza. Non sempre esente da truffe ed storsioni, specialmente nei confronti della gente povera. Era principalmente per questo che i pubblicani venivano annoverati tra i peccatori.
    Gesù passa e lo invita a seguirlo. Ed egli, affascinato come gli altri quattro, abbandonando il suo lavoro, sicurezza della sua vita, si alza e lo segue. E in più organizza un pranzo a casa sua per festeggiare la chiamata, invitando ad essa molti altri suoi colleghi (Mc 2,15). Ha accolto un invito che lo disinstalla totalmente, almeno umanamente parlando, e si mette a fare festa.
    Qualcosa di straordinario deve essere capitato perché questo esattore delle tasse si comporti in simile modo. La persona e la proposta di Gesù devono essere balenati davanti ai suoi occhi in modo affascinante. Solo così si può spiegare il suo comportamento paradossale: fare festa quando ti viene tolta la sicurezza!
    Il vangelo di Giovanni da parte sua, oltre a raccontare in forma un po' diversa la chiamata personale di Andrea, di Giovanni e di Pietro, narra anche quella di due dei sette restanti: Filippo (Gv 1,43) e Natanaele, attirato dal primo (Gv 1,44-45).
    Anche questi dimostrano di essere fortemente attratti dalla persona e dalla parola di Gesù, fino al punto di lasciare altre prospettive e di mettersi a seguirlo.
    Tra l'altro, alcuni di essi - in concreto Andrea e Giovanni - abbandonano il Battista per mettersi alla sequela di Gesù (Gv 1,35-37).
    Quasi come riassumendo la convocazione di tutti quelli che passarono a costituire il gruppo dei dodici più intimi e stretti seguaci di Gesù, i sinottici ci offrono poi la narrazione di una convocazione d'insieme, in cui ci tengono a ricordare uno per uno i chiamati con il loro rispettivo nome: "Simone, detto Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni, suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo, il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo (Mc 3,18 e Lc 6,15 lo chiamano "lo Zelota") e Giuda Iscariote" (Mt 10,2-4). Di quest'ultimo rilevano, certamente con un senso di tristezza, che fu "colui che poi lo tradì".
    L'evangelista Luca mette da parte sua in evidenza l'esistenza di un altra cerchia di seguaci di Gesù, più largo di quello costituito dai dodici. Sono settantadue (Lc 10,1).
    Secondo lui c'erano - cosa inconsueta in quell'epoca - anche delle donne, e non poche, che lo seguivano: "Con lui c'erano i dodici discepoli e alcune donne che aveva guarito da malattie e liberato da spiriti maligni".
    Anche qui vengono dati dei nomi molto concreti: "Maria di Magdala, dalla quale Gesù aveva scacciato sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre" (Lc 8,1-3).
    Questo dato viene ribadito, in altro modo, dalla narrazione riguardante Marta e Maria nello stesso vangelo di Luca (10,42). Di Maria viene detto che "scelse la parte migliore". Questa "parte migliore" è stata interpretato in molti modi attraverso i secoli. Oggi molti sostengono che essa non consistette nella scelta della vita contemplativa contrapposta alla vita attiva, come alle volte si è detto, ma nel scegliere di "stare seduta ai suoi piedi", e cioè nell'essere sua discepola. Stare "seduto ai piedi di un maestro" era, infatti, la frase che designava l'atteggiamento del discepolo.
    Oltre a tutti questi uomini e a queste donne che seguivano letteralmente Gesù camminando con lui per le strade della Palestina, i racconti evangelici accennano ad altra gente che avrebbe voluto seguirlo ma che, per diversi motivi, non poteva farlo.
    Ne ricordiamo due casi. Il primo è l'indemoniato di Gerasa. Una volta guarito, egli chiese a Gesù di poter restare con lui. Ma Gesù non glielo permise; lo rimandò a casa sua con l'incarico di annunciare ai suoi ciò che il Signore aveva fatto in suo favore. Cosa che egli realmente fece (Mc 5,18-20).
    Il secondo è Nicodemo, fariseo e capo dei giudei, ricordato nel vangelo di Giovanni. Egli visita Gesù di notte, per paura dei suoi correligionari, e mantiene un lungo dialogo con lui, in cui dimostra di avere una grande simpatia per colui che egli considera un vero inviato da Dio (Gv 3,1-21). Ma non consta che poi lo abbia apertamente seguito.
    Al di là dei dettagli e delle differenze ritrovare tra le diverse narrazioni evangeliche, un dato appare certo: Gesù diventò, a poco a poco, il centro vivo di una serie di cerchi concentrici che si allargarono sempre di più. Perché, al di là di quelle persone o gruppi che abbiamo menzionato, va ricordata anche tutta la povera gente che riponeva in lui fiducia e speranza.
    Sono "le folle", di cui parlano spesso i vangeli. Quelle folle che "lo seguivano" (Mt 12,15; Mc 3,7; Lc 6,17) e che suscitavano la sua compassione perché le vedeva abbandonate, stanche, oppresse, "come pecore senza pastore" (Mc 6,34). Quelle folle che spesso si rallegravano al vederlo venire incontro alle loro attese di gente semplice, senza conoscenze eccessive della legge, senza sicurezze di tipo economico, alle prese con le difficoltà della vita di ogni giorno (Mt 4,23-25; 9,19; Lc 6,19; ecc.).

    2. Convocati per la causa del regno

    Ma a che scopo radunava Gesù tutta questa gente attorno a sé? Cosa proponeva loro?
    La risposta ce la danno i vangeli nelle diverse narrazioni ricordate: i discepoli "lo seguivano".
    "Seguirlo" significava andare dietro a lui, camminare calcando le sue stesse orme.
    Ciò per alcuni di essi si applica alla lettera: lasciate le loro famiglie e le loro occupazioni, si danno a camminare con lui nei suoi giri per i villaggi e le città, in Galilea prima, poi anche nella Giudea, e nella non tanto amichevole Samaria, e perfino, in qualche momento fuori dei confini d'Israele (Mt 15,21).
    Per altri invece questo seguire Gesù ha un senso metaforico. Senza stare fisicamente accanto a lui, sono chiamati a seguire il suo progetto, le sue proposte di vita e di convivenza.
    Ma tutti quanti sono invitati fondamentalmente a una cosa: a condividere con lui ciò che occupa il centro delle sue preoccupazioni e dà senso alla sua vita, e cioè la causa del regno di Dio.
    Ne è una conferma il fatto che, soprattutto nei sinottici, la convocazione dei primi discepoli, come anche quella dei dodici, viene posta immediatamente dopo l'irruzione di Gesù nella vita pubblica all'insegna della sua proposta sull'imminenza del regno (cf Mt 4,17-22; Mc 1,16-20; Lc 4,42-44;5,1-11).
    Si intravede ancora una volta, tra le righe di queste narrazioni, l'intensità con cui egli doveva vivere questa sua passione per il regno di Dio. Una intensità che lo portava a voler attrarre tutti verso quello stesso scopo.
    Gli evangelisti gli attribuiscono delle frasi che esprimono bene questa suo suo interesse: "La messe da raccogliere è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe" (Mt 9,37-38), dice ai dodici che lo seguono quando la situazione delle folle stanche e smarrite riempie il suo cuore di compassione.
    "Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra e vorrei davvero che fosse già acceso!" (Lc 12,49), afferma in un'altra occasione, svelando in questo modo i più profondi sentimenti che porta nel cuore, e che vuole condividere con tutti. Come il fuoco, la sua dedizione incontenibile alla causa del regno di Dio divampa e si impadronisce di altri cuori.

    3. Una vita attorno a Gesù

    In Mc 3,13-15 troviamo una esposizione molto sintetica, quasi a modo di schema, degli obiettivi che Gesù si propose nel raccogliere attorno a sé il primo gruppetto di discepoli: "Poi Gesù salì su un monte, chiamò vicino a sé alcuni che aveva scelto, ed essi andarono da lui. Questi erano dodici. Li scelse per averli con sé, per mandarli a predicare, e perché avessero il potere di scacciare i demoni".
    Non è difficile cogliere in queste frasi il tipico movimento centripeto e centrifugo della maggioranza delle narrazioni bibliche di chiamate divine. Mosè (Es 3,1-10), Isaia (Is 6,1-9), Geremia (Ger 1,4-10), per ricordare solo alcuni dei più famosi dell'Antico Testamento, sono tutti uomini che fanno questa duplice esperienza: da una parte, un'irresistibile attrazione verso il Dio che li chiama e li santifica; dall'altra, una altrettanto irresistibile spinta ad andare verso gli uomini in cerca della loro salvezza.
    Qualcosa del genere succede in questo gruppo convocato da Gesù: li chiamò "per averli con sé" (spinta centripeta), ma anche "per mandarli" (spinta centrifuga).
    Sempre seguendo i dati forniti dai vangeli, possiamo permetterci di esplicitare questo "stare con lui" che è il risultato del movimento iniziale della chiamata.
    Si potrebbe dire, in poche parole, che stando attorno a Gesù i discepoli si vanno modellando nella loro convivenza secondo i valori del regno. Egli li sollecita a vivere tra di loro ciò che annunzia, a essere come un segno di ciò che è un'esistenza umana all'insegna del regno che viene.
    Così, ad esempio, li sollecita al giusto rapporto con il Dio del regno.
    In questo contesto insegna loro, tra l'altro, a pregare Dio come lui stesso lo prega. Infatti, in Lc 11,1-2 leggiamo che "un giorno Gesù andò in un luogo a pregare. Quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: 'Signore, insegnaci a pregare. Anche Giovanni lo ha insegnato ai suoi discepoli'. Allora Gesù disse: 'Quando pregate, dite: Padre...'".
    Doveva causare una forte impressione a quegli uomini il modo di pregare di Gesù perché gli chiedessero di insegnare loro a pregare come lui. Dovevano aver notato qualche differenza tra la preghiera di Giovanni e la sua perché lo mettessero in evidenza in quel modo.
    La ragione sta nel fatto che il Dio del regno con cui Gesù era a contatto nella preghiera, era il Dio al quale egli si rivolgeva chiamandolo "Abbà" (cf Mc 14,16; Rom 8,15; Gal 4,6).
    Alcuni studi ben fondati hanno accertato che questa era una espressione del dialetto che si doveva parlare a Nazaret. Ed era l'espressione che i figli utilizzavano per parlare con il loro padre nell'intimità familiare. "Abbà" significa non semplicemente "padre" ma "babbo", e connota di conseguenza una forte dose di familiarità e di tenerezza.
    Certamente nessun membro del popolo d'Israele avrebbe osato utilizzare un tale termine per rivolgersi a Dio, tanto forte era il senso della maestà e della grandezza di Dio che sentiva.
    Gesù sì lo fa. E lo fa, da quel che si può dedurre dai dati del Nuovo Testamento, non saltuariamente ma in maniera abituale.
    Per lui il Dio del regno è il suo "Abbà", un Dio che vuole regnare nel mondo degli uomini come tale. Egli vuole esserlo di tutti e di ognuno, senza eccezione, a cominciare da quelli che sono i suoi figli più piccoli, più deboli, meno considerati, quelli che sono più privi di vita e di felicità.
    Quest'immagine di Dio doveva incidere indubbiamente nel modo di pregare di Gesù. Si può legittimamente immaginare che le notti che lui passava in preghiera (Lc 6,12), dopo le sue intense giornate di attività, erano dei momenti di intensa intimità figliale con questo suo Dio.
    La sua non era la preghiera di un bambino poiché, stando almeno all'informazione di Luca, aveva attorno ai trent'anni quando iniziò la sua attività pubblica (Lc 3,23). Eppure, egli si rivolge al Dio del regno chiamandolo "Abbà".
    Il modo di pensare e di vivere Dio che si esplicitava nella sua preghiera presiedeva tutta la sua intensa attività. A contatto con essa, i discepoli andarono imparando a pensare e a vivere anche loro Dio in tale modo.
    Questa maniera di concepire il Dio del regno richiedeva, per logica coerenza, un determinato modo di rapportarsi con gli altri. E anche in questo Gesù andò educando il gruppo dei suoi discepoli. Ne raccogliamo solo alcuni esempi.
    Se si è tutti figli dello stesso Padre, è logico che tutti debbano venir riconosciuti come uguali e che nessuno venga considerato di meno degli altri. Al riguardo ci sono delle indicazioni molto nette di Gesù nei vangeli.
    In Mt 23,8 gli viene attribuita quest'affermazione tassativa: "Voi ... non fatevi chiamare 'maestro', perché voi siete tutti fratelli e uno solo è il vostro Maestro. E non chiamate 'padre' nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nel cielo. Non fatevi chiamare 'capo', perché uno solo è il vostro Capo, il Messia".
    Come si può facilmente percepire, la frase riflette situazioni della comunità a cui si rivolge Matteo scrivendo il suo vangelo. Tuttavia, essa riecheggia molto probabilmente il pensiero originale di Gesù: tutti fratelli, nessuno al di sopra di nessuno!
    La fraternità, oltre a richiedere il rispetto dell'uguaglianza fondamentale di tutti, esige anche l'eliminazione di ogni atteggiamento di dominio sugli altri.
    A questo riguardo gli orientamenti attribuiti a Gesù dai vangeli è categorica: "Come voi sapete, i capi dei popolo comandano come duri padroni; le persone potenti fanno sentire con la forza il peso della loro autorità. Ma tra voi non deve essere così. Anzi, se uno tra voi vuole essere grande, si faccia servitore degli altri. Se uno vuole essere il primo, si faccia servo degli altri" (Mt 20,25-27 par.).
    Sono, come si diceva, solo alcuni esempi di una lunga serie di interventi attraverso i quali Gesù andò come pulendo la convivenza di coloro che aveva convocati "affinché stessero con lui", perché essa si accomodasse alle richieste del regno di Dio.
    Solo una convivenza veramente fraterna può essere fonte di vita per tutti. Quando non lo è, essa si converte paradossalmente in una fonte di morte.

    4. Inviati con una missione

    Da quel che si può intravedere nei vangeli, Gesù non pretende di ritenere coloro che chiama presso di sé, quasi come la gallina tiene i pulcini sotto le sue ali. Benché, come si è visto sopra, li attiri inizialmente a sé, il suo scopo ultimo è quello di "mandarli a predicare, e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (Mc 3,12).
    Il suo interesse supremo resta sempre la causa del regno di Dio, e questo interesse non può essere assente nella convocazione del gruppo dei discepoli: essi vi devono partecipare.
    In Mt 10, il capitolo dedicato precisamente dall'evangelista alla narrazione della chiamata e alle istruzioni date ai dodici, Gesù dice loro: "Andate [...], lungo il cammino annunziate che il regno di Dio è vicino. Guarite i malati, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, scacciate i demoni" (vv. 6-8).
    Sono le stesse componenti fondamentali della missione di Gesù: proclamare la vicinanza del regno e porre dei segni in quella direzione, gli stessi segni che egli ha cominciato a porre.
    Essi sono chiamati, quindi, a fare ciò che egli fa. A condividere con lui la stessa passione per la vita della gente che lo divora.
    Tra tutti i segni elencati ce n'è uno che li compendia tutti: risucitare i morti.
    I discepoli sono chiamati da Gesù a collaborare in quest'opera che, in definitiva, è opera del Padre nel suo incontenibile desiderio di vita per gli uomini, e che dal Padre passa a Gesù: far trionfare la vita sulla morte negli uomini e tra gli uomini, strapparli dal suo dominio per farli passare al regno della vita.
    Lo dice, a modo suo, il vangelo di Giovanni: "Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così pure il Figlio fa vivere quelli che vuole" (Gv 5,21).
    È questo il fine ultimo della convocazione fatta da Gesù. Egli raccoglie gente attorno a sé, in cerchi concentrici sempre più larghi, mosso da questo grande desiderio. Vorrebbe che tutti, uomini e donne, ricchi e poveri, giusti e peccatori, fossero guadagnati da quello stesso zelo che arde in lui.


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