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    Gesù di Nazaret, un uomo appassionato per una causa (cap. 2 di: Gesù di Nazaret)


    Luis A. Gallo, GESÙ DI NAZARET. La sua storia e la sua grande causa per la vita dell'uomo. Elledici 1991


    1. Riscoprire Gesù di Nazaret

    Chi percorre i venti secoli della storia del cristianesimo vissuto può constatare, con relativa facilità, che le diverse generazioni di credenti sono andate depositando come degli strati sulla figura di Gesù di Nazaret tramandata loro inizialmente dai vangeli. Strati di diversa indole.
    Gli strati cultuali ebbero origine molto presto. I primi cristiani infatti erano profondamente convinti, per via della loro esperienza, della singolare e strettissima unità di Gesù con Dio. Tant'è vero che gli attribuirono il titolo di "Signore", che l'Antico Testamento aveva riservato esclusivamente a Jahvé. E, come è stato già accennato, vollero esprimere tale convinzione anche nella loro vita liturgica.
    Così molto presto, dopo la sua dipartita, i suoi cominciarono a renderli culto.
    In uno dei più antichi documenti non cristiani che parlano di lui -la Lettera di Plinio il Giovane- si dice che quel gruppo di gente, sulla cui vita e condotta l'autore sta informando l'imperatore romano, "cantano inni a Cristo, come a un dio".
    Tale culto andò acquistando poi forme diverse, secondo le differenti sensibilità che si susseguirono nel tempo. Le preghiere e i riti si sono moltiplicati, in risposta alle svariate situazioni in cui la fede venne a trovarsi.
    Così col correre del tempo nacque, per esempio, il culto eucaristico reso alla sua presenza nel pane consacrato, fatto di adorazione, incenso, processioni, ecc.
    Ci sono poi gli strati dottrinali. Molto presto si è sentita anche nelle comunità credenti in Gesù Cristo la necessità di approfondire il suo messaggio esplicitandone i contenuti, o di difendere lui e la sua proposta da tendenze ereticali.
    Nel tentativo di calare la loro fede nelle sensibilità culturali con cui entravano in contatto, alcuni cristiani misero in serio pericolo la genuinità di tale fede. La oscurarono con delle affermazioni che non erano coerenti con essa. Ne abbiamo fatto qualche cenno all'inizio del capitolo precedente.
    Per assicurare l'autenticità della persona di Gesù e del suo messaggio, la chiesa dovette allora prendere posizione, elaborando delle affermazioni dottrinali che facevano come da tessera di ortodossia. Il più delle volte in un contesto accentuatamente polemico, condannando gli errori che le si opponevano.
    In determinati momenti si arrivò perfino alla proclamazione di dogmi. Si tratta di formule molto precise e solenni, mediante le quali si volle esprimere in forma tassativa e definitiva la verità di fede.
    La chiesa definì dogmaticamente che Gesù era Figlio di Dio, che era vero Dio e vero uomo, che in lui la natura umana era completa e che essa era unita "ipostaticamente" con la natura divina in una sola Persona, quella del Verbo eterno consostanziale con il Padre, ecc.
    Oltre ai dogmi, e spesso attorno ad essi, crebbe una fitta rete di altre affermazioni dottrinali, ritenute più o meno importanti, che gli specialisti in materia andarono elaborando con cura e attenzione.
    Così Gesù passò ad essere oggetto di elucubrazioni sempre più complesse che, con maggiore o minore fedeltà, vennero assimilate anche a livello popolare. I catechismi si incaricarono di fare la necessaria mediazione tra affermazioni di alto livello teologico e verità di fede cristologiche da inculcare alla gente semplice.
    Ci sono, inoltre, gli strati morali. La proposta di vita fatta da Gesù andò soggetta, come era naturale, a delle attualizzazioni costanti.
    La sua era una proposta che richiedeva di venir calata nella concretezza delle condizioni storiche in cui i suoi seguaci si sarebbero trovati a vivere.
    Perciò nella chiesa si sono andati moltiplicando lungo i secoli dei precetti che regolano il comportamento etico dei suoi membri. Ne è venuto fuori un notevole volume di norme e di disposizioni. Esse sono nate, in ultima istanza, dal desiderio di contribuire a fare sí che i discepoli di Gesù conducano una vita in coerenza con la fede che professano.
    Non mancano, infine, gli strati giuridici. La comunità dei discepoli di Gesù si organizzò presto in forma sociale. Sentì perciò il bisogno di darsi delle disposizioni che ordinassero il loro modo di convivere al suo interno e nel rapporto con gli altri che non appartenevano ad essa. L'influsso del genio romano, di accentuata tendenza giuridica, si fece sentire fortemente in questo ambito.
    Ne nacque un corpo di leggi e di norme che finirono per costituire, abbastanza recentemente, perfino un codice di diritto canonico.
    Ora, tutto questo insieme di cose -riti, dogmi, norme morali, ordinamenti giuridici- fu creato il più delle volte da un autentico desiderio di fedeltà a Gesù e alla sua proposta originale. Esso però finì, spesso e malgrado tutto, per fare come da schermo che non permette di cogliere con chiarezza la genuina figura storica di Gesù stesso.
    Il rischio grosso è che egli e la sua proposta iniziale restino come sepolti sotto gli strati accumulatisi sopra lungo i secoli.
    Risulta perciò indispensabile, a chi vuole fare l'operazione di ricuperare questa figura storica di Gesù e la sua proposta originaria, ritornare alle fonti attraverso le quali esse ci sono state tramandate.
    E non perché si pensi che quanto è stato fatto dopo, lungo i secoli della storia della chiesa, non abbia senso o sia sbagliato. La ragione è che si vuole come rimuovere gli strati suaccennati per arrivare al punto di partenza che renda chiara anche la validità degli stessi strati accumulati posteriormente.

    2. Un'operazione non facile

    Ora, probabilmente nessuno ignora che determinare quale sia stata la genuina figura storica di Gesù di Nazaret nei testi del Nuovo Testamento, è cosa non priva di difficoltà.
    A prima vista, tale difficoltà non sembrerebbe esistere. Infatti, i testi che forniscono dei dati al riguardo sono molto numerosi ed evidenti.
    Le difficoltà sorgono, tuttavia, non appena si tiene conto del carattere peculiare degli scritti neotestamentari, per via del modo in cui sono nati e in cui sono stati scritti.
    Come è ormai risaputo, essi ebbero origine dall'esperienza che un gruppo di uomini e di donne fece vivendo attorno a Gesù stesso. Esperienza del suo modo di comportarsi con Dio e con gli uomini, del suo modo di parlare, del suo modo di agire e reagire.
    Tale esperienza fu messa per iscritto solo dopo la sua morte e la sua risurrezione, e alla luce di ciò che questo straordinario avvenimento significò per essi nei confronti della sua persona e della sua attività.
    Tutto quindi, negli scritti da essi prodotti, è ormai come filtrato attraverso il prisma della fede pasquale, sorta con la sua risurrezione. Essi tramandano non tanto la storia oggettiva di Gesù e della sua vicenda, quanto piuttosto ciò che vi arrivarono a scoprire in profondità dopo la Pasqua sul senso della sua persona e della sua azione .
    Ciò vale soprattutto dei vangeli, gli scritti che più ampiamente narrano la vicenda di Gesù.
    Ci si può per questo chiedere, di conseguenza, fino a che punto ciò che viene in essi presentato come discorso o azione di Gesù di Nazaret sia realmente suo, e non una proiezione verso il passato della fede delle comunità sorte dopo la sua risurrezione.
    Si sa che gli studiosi della Bibbia sono in genere molto severi nel decidere su queste questioni, e ne discutono con serietà. Essi stentano ad ammettere l'autenticità storica, nel senso moderno della parola, di molti discorsi e di molte azioni attribuiti a Gesù, per i motivi sopra accennati.
    Il che non vuol dire che non ritengano degni di fede tali scritti. Essi sanno, perché sono dei credenti, che gli scrittori dei vangeli conoscevano molto bene e avevano assimilato anche molto bene lo spirito di Gesù, e che quindi anche quando riportano dei discorsi da lui pronunciati o quando gli attribuiscono dei fatti difficilmente controllabili nella loro autenticità storica, non fanno altro che tramandare la verità più profonda delle cose.
    Certo, per una mentalità moderna, abituata alla storicità oggettiva degli avvenimenti, ciò risulta un po' difficile da capire. Bisogna situarsi nel momento storico in cui questi scritti sono stati elaborati e nella mentalità dei loro scrittori per coglierne la portata.

    3. Un dato decisivo

    Pur tenendo conto delle difficoltà e delle discussioni suaccennate, non risulta tuttavia impossibile arrivare a cogliere con una certa sicurezza i tratti fondamentali della figura storica di Gesù di Nazaret. E questo è sufficiente ai nostri scopi.
    Occorrerà magari, per riuscirvi, leggere tra le righe degli scritti neotestamentari, e avvalersi dei mezzi che le scienze attuali ci forniscono a questo scopo.
    Un dato che salta alla vista di chi legge con una certa attenzione i vangeli è il seguente: Gesù di Nazaret vi appare come un uomo profondamente unificato.
    Egli non lascia l'impressione di una persona "dispersa", "frammentata", come spesso succede con tante altre persone, che vivono sballottate di qua e di là da mille preoccupazioni diverse, senza un punto di riferimento centrale che faccia come da asse attorno al quale si raccoglie tutto ciò che fanno e che sono.
    Gesù dà l'impressione, invece, di un uomo intensamente "concentrato". In lui tutte le energie -corporali, ma anche quelle psichiche e quelle intellettuali, volitive, ecc.- appaiono come fortemente attratte verso un centro di convergenza. È come se dentro di lui ci fosse una calamita che attira irresistibilmente tutto a sé.
    Ci sono delle parole, riportate sue come dagli evangelisti, che permettono di intravedere questa sua situazione esistenziale. Per esempio, quelle del vangelo di Luca dove egli dice, con una certa solennità: "Fuoco sono venuto a portare sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!" (Lc 12,49). Pur non essendo sicuri che queste parole siano uscite tali e quali dalla sua bocca, esse ci lasciano capire quale fosse l'impressione che causava in chi lo ascoltava.
    Oppure quelle altre della piccola parabola dell'uomo che trova un tesoro nel campo, e "pieno di gioia, vende tutto ciò che ha per comprare quel campo" (Mt 13,44).
    Gesù di Nazaret produce l'impressione, in chi segue nei vangeli il suo modo di comportarsi, di essere uno che veramente "ha venduto tutto" per comprare "un campo". Quel campo che nasconde il suo "tesoro". "Dove è il tuo tesoro, ivi sarà anche il tuo cuore", disse anche in un'occasione (Mt 6,21).
    Egli dà chiari segni di aver posto il suo cuore in ciò che oggi potremmo esprimere con il termine "causa". Una causa alla quale ha dato con ardore e costanza, senza ripensamenti, tutto il suo essere.

    4. La causa del regno di Dio

    La sua causa abbracciata da Gesù è espressa, soprattutto nei vangeli sinottici, mediante una formula piena di senso per gli uomini e le donne del suo popolo: il "regno di Dio".

    4.1. L'attesa del regno in Israele

    Questa formula ha una lunga storia, come si è già intravisto dal capitolo precedente. Non è nuova, perciò, nell'ambiente in cui Gesù agisce. Non l'ha inventata lui.
    Ai suoi giorni, infatti, essa era come una di quelle parole elettrizzanti che s'impadroniscono degli animi collettivi scatenando dei processi emozionali molto intensi.
    Secondo le informazioni che si hanno, la maggioranza dei membri del suo popolo aspettava la realizzazione delle profezie dell'Antico Testamento che annunciavano, sempre con maggior intensità e chiarezza, il futuro e definitivo avvento del regno di Dio e la sua instaurazione in Israele e nel mondo intero.
    Lo aspettava il gruppo dei farisei, eredi di gloriose battaglie di altri tempi in favore della fedeltà all'alleanza del popolo con Jahvé. Speravano di farlo arrivare mediante la loro fedelissima e addirittura scrupolosa osservanza della legge di Mosé. Una legge che si era andata appesantendo a poco a poco lungo i secoli, fino a costituire un bosco ingrovigliato di precetti di ogni genere. Erano difficili da conoscere quanto, e ancora di più, da osservare.
    Il "popolino" li ignorava; i farisei invece li osservavano con orgoglio santo: si sentivano perciò i veri e unici eredi del regno di Dio, ed erano perciò ammirati dalla gente.
    La parabola della preghiera del fariseo e del pubblicano nel Tempio lascia trapelare con sufficiente chiarezza la situazione: "Io non sono -dice il fariseo- come gli altri uomini [...], io digiuno due volte alla settimana e offro al tempio la decima parte di quello che guadagno" (Lc 18,11-12).
    Come denuncia Gesù nella parabola, c'erano dei farisei -probabilmente non tutti- che si ritenevano "giusti" e disprezzavano gli altri. Li ritenevano esclusi dal regno futuro. Erano per loro dei "maledetti" da Dio (Gv 7,49).
    Le scoperte fatte qualche decennio fa nelle grotte di Qumram, nei pressi del Mar Morto, ci hanno fatto sapere che c'era un altro gruppo di giudei che aspettava con ansia l'irruzione del regno di Dio. Erano gli esseni. Erano ancora più ferventi dei farisei.
    Essi si ritiravano dagli "impuri", ossia da tutto il resto del popolo d'Israele, per dedicarsi pienamente alla purificazione in vista del grande evento aspettato e desiderato. Erano una specie di monaci che, nel celibato e nell'austerità della vita, volevano predisporsi alla venuta del regno messianico di Dio.
    C'è chi pensa, appoggiandosi in ragionevoli motivi, che Giovanni il Battista e Gesù stesso abbiano avuto dei contatti con essi.
    C'erano poi gli zeloti. Era gente che non poteva sopportare il fatto che su Israele, il popolo eletto di Jahvé, regnasse un altro re all'infuori del suo Dio. Essi fremevano dal desiderio che Dio, il Dio dei loro padri, venisse a scacciare l'intruso per istaurare definitivamente il proprio regno.
    La Palestina, infatti, era da alcuni anni sotto il potere dell'imperatore romano. Egli l'aveva convertita in una provincia del suo vasto dominio. Gli imperatori rispettavano in buona parte l'originalità soprattutto religiosa del popolo giudaico.
    Tuttavia c'era in esso non poca gente che scalpitava di rabbia per il fatto di dover vivere nella sottomissione a un potere pagano.
    E alla emotività fortemente esaltata, questi ferventi giudei aggiungevano l'azione: spesso esplodevano delle sommosse, causate da essi, che finivano ordinariamente in bagni di sangue. Molti zeloti morirono sulla croce anche poco prima dell'irruzione di Gesù nella vita pubblica.
    Sembra che alcuni di quelli che poi furono suoi discepoli e fecero parte del cerchio dei più stretti suoi seguaci, abbiano prima militato tra gli zeloti. Almeno di uno tra essi si può essere abbastanza sicuri, se si deve giudicare dal soprannome di "Zelota" aggiunto al suo nome Simone.
    I sadducei, invece, si sentivano a loro agio sotto la dominazione romana. Tra essi si annoveravano le famiglie dei sommi sacerdoti del Tempio, di antica tradizione nel popolo.
    La dominazione romana offriva loro la possibilità di assicurare i loro lauti introiti, e allo stesso tempo di godere di una certa tranquillità. Per essi, si può dire, il regno di Dio s'identificava con quello dell'imperatore.
    La loro mentalità è bene espressa in ciò che, nella narrazione di Giovanni, avrebbe detto uno di loro poco prima dell'epilogo della vicenda di Gesù: "È meglio la morte di un solo uomo piuttosto che la rovina di tutta la nazione" (Gv 11,50). Quel "solo uomo" era Gesù, del quale Giovanni dice che poco prima aveva strappato il suo amico Lazzaro dal sepolcro. L'evangelista aggiunge che i capi dei sacerdoti, che erano sadducei, avevano paura che, se lo lasciavano fare, tutti avrebbero creduto in lui, e allora sarebbero venuti i Romani e avrebbero distrutto il Tempio e la nazione.
    Poco prima dell'apparizione di Gesù in pubblico, attirò fortemente l'attenzione la figura di Giovanni Battista. Della sua attività come profeta ci informano i vangeli. Anche per la sua figura storica vale quanto abbiamo detto precedentemente nei confronti di Gesù: sappiamo ciò che la fede già matura dei cristiani ci trasmise su di lui. In un dato coincidono tutti e quattro i vangeli: lo presentano come precursore di Gesù, come colui che, adempiendo antiche profezie, gli ha preparato la strada.
    Anche da informazioni esterne ai vangeli (Flavio Giuseppe) sappiamo che Giovanni diede origine, alle rive del Giordano, ad un movimento di conversione al quale si iscrissero molti giudei, secondo quanto si dice nei vangeli. Anzi, stando agli evangelisti lo stesso Gesù entrò in un primo momento a farne parte. La narrazione del suo battesimo da parte di Giovanni (Mt 3,13-17 e par.) lo sta a testimoniare.
    Matteo afferma esplicitamente che questo movimento di conversione si rifaceva anche alla venuta imminente del regno di Dio (Mt 3,1-2). Un Dio, tuttavia, dai tratti di giudice adirato. Egli sarebbe venuto a regnare annientando gli ingiusti e dando la dovuta ricompensa a coloro che si fossero pentiti dei loro peccati.
    Si sa che Govanni finì male perché volle ottenere la conversione del re Erode, e a tale scopo denunciò il suo adulterio. Fu messo in carcere e dopo decapitato.

    4.2. Centralità del regno nella vicenda di Gesù

    Farisei, esseni, zeloti, sadducei, Giovanni Battista: ognuno a modo suo aveva organizzato la propria vita attorno a quest'attesa del regno di Dio.
    Anche il popolo della gente comune aspettava, a modo suo, questo avvento. Erano uomini e donne che vivevano in grande povertà e angoscia, schiacciati dalle penurie materiali, dal peso dei precetti dalla legge maneggiata da scribi e farisei e dal senso di colpa che seguiva alla sua non osservanza. Gridavano a Dio, come gli ebrei in Egitto, e speravano un suo intervento che venisse a cambiare radicalmente le cose. Ardevano nel desiderio che Egli stesso venisse a regnare. È probabilmente questa la ragione per cui ogni tanto aderivano a sommosse provocate dagli zeloti, e per cui accorsero a farsi battezzare da Giovanni Battista.
    In mezzo a questa grande e quasi febbrile attesa, sorge una figura nuova: Gesù, nato nella nella famiglia di Giuseppe e di Maria, cresciuto a Nazaret, piccolo e allora quasi sconosciuto e disprezzato villaggio della pure disprezzata Galilea. Tanto disprezzato che, secondo la narrazione dell'evangelista Giovanni, quando a uno di quelli che poi saranno discepoli di Gesù viene detto che questi proviene da detto paese, reagisce dicendo: "Da Nazaret può uscire qualcosa di buono?" (Gv 1,46).
    L'evangelista Marco espresse in modo molto condensato ciò che muove questo Gesù dall'interno come un fuoco. Secondo lui, egli inizia le sue attività nella Galilea dopo l'esecuzione di Giovanni ad opera di Erode proclamando: "Il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete a questa buona notizia" (Mc 1,14-15).
    Oggi si è comunemente d'accordo tra gli studiosi sul fatto che questo annuncio esprime realmente il centro unificante di tutta la sua esistenza. Egli dà indubbi segni di vivere per questo, e di morire anche per questo.
    Come si vede, quindi, se si vuole riscoprire la figura di Gesù di Nazaret nella sua genuinità, occorre trovare il senso che ha avuto per lui questo regno di Dio che egli pose nel cuore della sua esistenza come la causa alla quale dedicò con passione tutta la sua vita. In questo modo possono acquistare lucidità tutte le sue parole e tutte le sue azioni, e perfino la sua morte.


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