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    Qualità della vita e vita cristiana (cap. 4 di: Itinerari per l'educazione dei giovani alla fede)


    PARTE SECONDA: ITINERARI: VERSO

    Nella prima parte del libro ho suggerito il quadro di riferimento a cui si ispira la mia ricerca. Nella seconda parte, finalmente, procedo verso la proposta di itinerari per l'educazione dei giovani alla fede.
    Questa parte si compone di sei capitoli.
    Il capitolo quarto funziona da collegamento ideale tra la prima e la seconda parte. Affronta il tema degli itinerari da una prospettiva sintetica. Nasce da un interrogativo pregiudiziale: quale rapporto corre tra maturità umana e vita nella fede? Per rispondere, mi misuro con alcuni concreti itinerari, presenti nel panorama attuale della comunità ecclesiale italiana. Su questo prezioso materiale ritaglio poi le logiche della mia proposta. Il capitolo va letto con attenzione critica, perché dà la chiave di lettura del resto del discorso.
    Gli altri capitoli contengono la proposta, articolata su cinque aree.
    Il capitolo quinto propone il cammino educativo verso la ricostruzione dell'identità personale. In un tempo di frammentazione e di soggettivizzazione, la cerco con la preoccupazione di immaginare una meta vivibile dai giovani di oggi e già intensamente segnata dai germi di una reale esperienza religiosa.
    Il capitolo sesto sviluppa il tema dell'incontro personale con Gesù Cristo, fondamento di ogni esistenza cristiana, e ne propone un cammino di progressivo consolidamento.
    Il capitolo settimo affronta il tema dell'educazione all'appartenenza ecclesiale: suggerisce i sentieri da privilegiare nella riscoperta della Chiesa e le tappe su cui sviluppare la sua esperienza.
    Il capitolo ottavo è dedicato alla vita nuova del credente. Traccia un suo ritratto dalla prospettiva della «vocazione» e indica l'itinerario educativo, capace di consolidarlo nella struttura di personalità del giovane credente.
    Il capitolo nono pone al centro della vita cristiana l'esigenza di «interiorità», per vivere da uomini maturi e da cristiani che «vedono l'invisibile», nella trama intricata della vita quotidiana.
    In ogni capitolo la mia ricerca è concentrata soprattutto sulla definizione delle mete: ho l'impressione che questo sia il compito più impegnativo, in un tempo di pluralismo e di complessità. Assicurato l'accordo sulla meta, diventa facile l'invenzione delle metodologie adeguate.
    La preoccupazione teleologica si esprime in due distinti livelli. Descrivo prima di tutto il significato antropologico e teologico della meta e propongo una iniziale criteriologia di valutazione. Passo poi a delineare i movimenti progressivi per consolidare la meta generale, sporgendo, ogni tanto, sul versante metodologico. Anche in questo momento il livello di concretezza è sempre «relativo». Qui lavoriamo sulla carta, per aiutare coloro che operano nella vita: la fatica di «edificare» è l'avventura gioiosa di chi è sul campo.
    L'articolazione della proposta secondo un modello ricorsivo mi ha costretto a riprendere qualche volta gli stessi temi, secondo prospettive differenti (come meta globale, come tappe progressive, come suggerimenti metodologici).
    Le cinque aree vanno considerate come dimensioni di un unico grande itinerario. Le studio in distinti capitoli per evidenti ragioni metodologiche e per sottolineare meglio le rispettive procedure logiche.
    Funzionano come le mappe che i turisti sfogliano curiosi, quando raggiungono per la prima volta una grande città, ricca d'arte e di monumenti preziosi, da tanto tempo sognata. Vorrebbero visitare tutto e immediatamente. Ma sanno che la fretta nasconde spesso le cose più belle. Per questo le guide suggeriscono gli «itinerari»: tracciati congruenti che assicurano il raggiungimento di mete parziali. Non basta selezionarne qualcuno: se si desidera una visione d'insieme, globale e articolata, è indispensabile percorrerli tutti, uno dopo l'altro.
    Ogni capitolo propone un momento dinamico dell'unico grande itinerario di maturazione della fede.


    4. Qualità della vita e vita cristiana

    Il quarto capitolo si compone di due parti ben distinte.
    La prima parte offre un panorama documentato dei diversi modi di costruire itinerari per l'educazione dei giovani alla fede, presenti nel contesto attuale della Chiesa italiana.
    La seconda parte anticipa in sintesi le logiche di fondo che saranno utilizzate nel progetto proposto dal libro per la costruzione di nuovi itinerari.
    Il capitolo è quindi orientato a sollecitare e a costruire nel lettore una profonda e generale capacità critica: per leggere l'esistente al di là delle emozioni, positive e negative, suscitate dai fenomeni di prima costatazione; e per rileggere nelle sue logiche fondamentali la proposta stessa di questo libro.


    Apro questa seconda parte, destinata alla proposta di concreti itinerari per l'educazione dei giovani alla fede, con un problema di quelli che lasciano con il fiato sospeso. Hanno scritto tanti libri sull'argomento che suona persino presuntuoso immaginare di sbrigarsela con le rapide battute di un capitolo.
    Non lo posso però evadere; né tanto meno dare per scontato. Percorre e influenza tutti gli itinerari, come inquieta in modo più o meno consapevole tutti gli operatori di pastorale giovanile.
    Questo è il problema: che rapporto corre tra qualità della vita umana e vita nella fede?
    Una serie di interrogativi serve a formularlo meglio.
    Gli impegni e la fatica spesi sul versante educativo, per portare a maturazione la personalità dei giovani, non sono certo indifferenti in ordine alla loro crescita nella fede. Concretamente, però, come l'influenzano? Vanno considerati utili e preziosi, ma in fondo poco necessari? O, al contrario, possiamo considerare conclusa la fatica pastorale quando costatiamo i buoni risultati educativi raggiunti?
    In ogni caso, esiste uno scambio di esigenze tra i contenuti con cui definiamo la maturità umana e quella nella fede? Ed eventualmente in che direzione? O invece i due ambiti sono tanto autonomi da interagire davvero poco?
    Se lo scambio tra maturità umana, personale e collettiva, e vita nella fede è ampio, un itinerario alla fede come può tener conto delle esigenze educative?
    È facile rendersi conto che le alternative, anche se qui le ho formulate in termini un po' dialettici, sono vere e dense di conseguenze molto pesanti.
    Lo testimonia la prassi quotidiana.
    Nel capitolo incomincio proprio con la recensione di questa prassi pastorale. Documenta l'urgenza del problema e suggerisce a chi la sa leggere come «luogo teologico» proposte e stimoli preziosi per progettare nuove prassi.
    Prendo poi posizione, nel pluralismo dei modelli, con una prospettiva teologico-pastorale.
    A conclusione del capitolo mostro come da questa soluzione cresce davvero un modo tutto speciale di progettare itinerari.

    1. UNO SGUARDO AL VISSUTO ECCLESIALE: I MODELLI

    Chi si interroga sul rapporto tra qualità della vita umana e vita nella fede si trova facilmente trascinato più a monte, con una domanda più complessa e più impegnativa: «chi è l'uomo» e «chi è il cristiano»?
    In questi anni ci siamo messi a cercare una definizione corretta di maturità umana e cristiana. Ne abbiamo trovato tante, nelle parole sapienti dei ricercatori e lungo le strade sofferte del vissuto educativo ed ecclesiale.
    Non mi spaventa il pluralismo. Lo riconosco, entro certi limiti, un gran bene. Ci porta a costatare, alla prova dei fatti, che l'evento è più grande delle nostre povere parole. Quelle che tentano di esprimerlo si trovano sempre lontane dalla realtà: si approssimano ad essa, ma nessuna può arrogarsi il diritto di possederla in esclusiva. Dio e l'uomo sono un «mistero santo». Solo chi lo riconosce, può tentare di accedervi nella verità.
    Se però non vogliamo restare prigionieri nella contraddizione di chi cerca soluzioni e ne trova troppe per potersene servire in termini operativi, è necessario elaborare il pluralismo: tentare una rassegna critica dell'esistente, comprendere le ragioni più immediate del pluralismo attuale, quelle che vanno oltre il limite invalicabile appena ricordato, e ritrovare il coraggio di alcune scelte precise.
    Il luogo in cui rinvenire criteri e orientamenti per questa opera di discernimento è il vissuto delle nostre comunità ecclesiali. Lo riconosciamo per la nostra fede nella presenza dello Spirito di Gesù nella sua Chiesa.
    Per questo, mi sono guardato d'attorno. Giocando tra la costatazione di fatti oggettivi e una loro interpretazione soggettiva, ho puntato l'indice su alcuni tipi concreti di prassi pastorale. Sono realizzazioni, come molte altre. Sono un vissuto di quotidiana costatazione; e non una semplice astrazione. Li ho selezionati però perché ho avuto l'impressione che altri operatori di pastorale giovanile guardino a queste realizzazioni con una certa attenzione e con un po' di dipendenza. Anche se non si riconoscono totalmente nei gesti e nelle sigle, questo modo di fare li affascina e li ispira.
    In questo senso diventano «modelli»: progetti concreti che funzionano come «ispiratori» di altri progetti. Operando così, mi sembra di poter restare meglio sul terreno della analisi fenomenologica (importante, per prendere sul serio la funzione di «luogo teologico», riconosciuta al vissuto ecclesiale) e di individuare, nello stesso tempo, delle linee di tendenza, affermate e diffuse.
    Ho identificato cinque modelli. Li descrivo citando, spesso alla lettera, documenti di prima mano.
    Lo faccio a rapide battute. Sono certo troppo svelte per dare un'idea del modello a chi lo conosce solo per sentito dire. Le spero sufficienti però per precisare maggiormente il problema e per anticipare qualche concreta ipotesi di itinerario alla fede.
    Considero solo tre indicatori:
    - gli orientamenti generali in cui si esprime la definizione operativa di «uomo»;
    - gli orientamenti teologici in cui viene compresa la dimensione specifica del cristiano;
    - la proposta metodologica: quella particolare selezione e organizzazione delle risorse disponibili che esprime le modalità attraverso cui si intende raggiungere l'obiettivo.

    1.1. Il modello delle forti proposte

    Il primo modello lo riprendo dagli scritti di Don L. Giussani, il fondatore di «Comunione e Liberazione». Lo chiamo il modello delle «forti proposte», perché si caratterizza proprio sulla esigenza di testimoniare l'esperienza cristiana in tutta la sua provocante radicalità.
    L. Giussani ha scritto molto. Non è certo facile condensare in poche righe un pensiero ricco e complesso. Ho raccolto solo qualche indicazione, spesso in citazione diretta.

    1.1.1. Quale uomo
    L'uomo è un essere fondamentalmente incapace di superare la contraddizione tra il suo desiderio profondo di liberazione (intesa come rapporto nuovo con se stesso, gli altri e le cose) e i limiti delle sue concrete realizzazioni.
    Egli trova la sua profonda identità nell'essere amato tenacemente e fedelmente da Dio in Gesù Cristo. Da questa consapevolezza, nonostante i propri limiti, l'uomo ritrova la capacità di accettarsi e di perdonarsi, e riscopre la volontà di annunciare, senza complessi, il significato, la positività e il valore della vita (Ronza R., Comunione e Liberazione. Intervista a Luigi Giussani, Milano 1976, 103).
    Questo orientamento costitutivo, dimensione del bisogno globale dell'uomo, che si nasconde dentro tutti i bisogni particolari, è il «senso religioso». Spesso è assopito: ha bisogno di essere risvegliato attraverso continui richiami (Giussani L., Il senso religioso, Milano 1977, 23).

    1.1.2. Chi è il cristiano
    La visione dell'uomo è molto realistica e per questo risulta affascinante. È facile dire: è vero, è proprio così. L'uomo vive sprofondato nella contraddizione tra i suoi progetti e le sue realizzazioni. Solo nella salvezza di Dio che è Gesù Cristo, egli riesce a sanare questa radicale contraddizione. Per vivere riconciliato con se stesso, deve immergersi in Gesù Cristo.
    Dio irrompe nella storia in Cristo per salvare l'uomo e la realtà tutta, portandolo alla conoscenza della «natura più segreta dell'Essere» (Giussani L., Il senso religioso, 77).
    La fede è adesione all'evento di Gesù Cristo, colui che pone una salvezza dal respiro escatologico, ma che si realizza già nell'oggi storico. Pertanto vivere nella fede in Gesù Cristo comporta l'accettazione di un criterio supremo di giudizio di tutto il proprio agire, nella vita concreta della Chiesa, luogo della presenza di Cristo e manifestazione nell'oggi della sua salvezza (Giussani L., Moralità: memoria e desiderio, Milano 1986, 12).
    La presenza salvifica di Cristo sta dentro l'unità dei credenti: nella Chiesa. «La realtà che salva l'uomo e il mondo sono Cristo e la Chiesa, di cui l'unità dei credenti (tra loro e con l'autorità) è espressione suprema e segno nella storia» (Ronza R., Comunione e Liberazione, 79).
    L'annuncio cristiano, per raggiungere il suo obiettivo, deve avere tre dimensioni: culturale (ha un contenuto di verità da proporre e da riconoscere), caritativa (si esprime attraverso gesti di amore e di servizio) e missionaria (tende a coinvolgere progressivamente tutti gli uomini)
    L'esito del processo di evangelizzazione è l'adulto nella fede: consapevole dell'amore di Dio in cui vive e impegnato nella sua testimonianza.

    1.1.3. Itinerario metodologico
    L'educazione è un processo finalizzato a far cogliere il significato della realtà totale.
    Soggetti della relazione educativa sono gli adulti, dotati di autorità (genitori, insegnanti, sacerdoti). Essi hanno la funzione di testimoniare la «tradizione», per aiutare i giovani a scoprire come la tradizione è capace di dare risposte ai loro problemi.
    Tra i diversi educatori si richiede la capacità di continuità e di complementarietà. Tra educando e educatore il rapporto è di «obbedienza», come espressione «senza contestazioni e ribellioni» di un confronto autorevole. Lo spazio dove si realizza questa relazione è la comunità.
    Perciò alla comunità viene affidato un compito centrale: solo nella Chiesa è possibile incontrare e sperimentare quella presenza di salvezza che ricostruisce la positività e il valore della propria vita.
    L'esigenza comunitaria è fortemente motivata in termini teologici, nel rapporto tra verità dell'uomo, salvezza in Gesù Cristo, Chiesa. Della Chiesa viene però assicurata la dimensione esperienziale: l'accento cade sul gruppo e sul movimento, come luogo dove la Chiesa si rende più visibile, si intensifica il riferimento (rispettoso anche se, per forza di cose, selettivo) verso coloro che sono dotati di «autorità» ecclesiale, è intenso il controllo verso l'esterno.
    La dimensione esperienziale e culturale, riconosciuta al progetto, tende a creare un confronto serrato con la cultura dominante, attraverso processi che assicurano l'integrazione e la capacità di «prendere le distanze». Da questo rapporto trae origine l'attualità e la significatività del progetto e la sua carica alternativa e critica.
    L'esito, ricercato e assicurato nei testimoni più autorevoli, è un cristiano sicuro e battagliero, forte della sua identità e capace di prendere le distanze, anche in termini operosi, da tutto quello che si coglie come diverso rispetto alle proprie scelte, dentro e fuori la stessa esperienza ecclesiale.

    1.2. Il modello dell'oggettività

    Non esistono progetti concreti e documentabili da citare per descrivere un modo di fare pastorale giovanile, che mi piace chiamare dell'«oggettività» perché mette in primo piano le esigenze del dover-essere, senza troppi aggiustamenti. Eppure si tratta di una linea di tendenza diffusa, affermata e, spesso, raccomandata.
    Avrei dimenticato una espressione significativa della prassi ecclesiale italiana se non avessi dedicato un po' di spazio allo studio di un modello del genere.
    Ho deciso perciò di rifarmi ad un documento assai interessante, anche per la riconosciuta significatività dei suoi autori. Si tratta del testo Condizione giovanile e annuncio della fede, firmato dalla Facoltà Teologia dell'Italia Settentrionale. Il libro è uscito nel 1979; esprime però preoccupazioni e prospettive ancora molto attuali.
    Non pochi operatori di pastorale giovanile, delusi dalle esperienze fatte negli anni del dopoconcilio, stanno ora ritornando sulle posizioni tradizionali.
    Il progetto che studio ha il pregio, indiscusso, della chiarezza e della coerenza. Propone una posizione motivata e attenta. Non può essere certamente tacciato di ingenua ricostruzione delle prassi di un passato ormai superato.
    Ho utilizzato il qualificativo «dell'oggettività» perché lo trovo capace di esprimere bene le logiche dominanti

    1.2.1. Quale uomo
    L'uomo è un dato oggettivo. Può essere compreso e definito in modo preciso e pertinente solo nel progetto di Dio. Solo nella fede possiamo perciò sapere pienamente chi egli è, nella sua verità.
    Le scienze dell'uomo conoscono molte cose sull'uomo, ma non conoscono «l'uomo».
    Ogni uomo è chiamato a collocarsi in questo progetto. Deve conoscerlo e deve adeguarvisi. La sua maturazione e la sua progressiva umanizzazione sta nell'accettazione e nella collocazione personale in questo dato oggettivo, così come viene manifestato per rivelazione.
    È importante il servizio educativo; ma non va confuso con la testimonianza della fede. La distinzione garantirà la gratuità del servizio educativo e la libertà della fede.

    1.2.2. Chi è il cristiano
    La Rivelazione va compresa come un riferimento ad «un già accaduto, un già costituito, un già comunicato in termini di verità assoluta e totale, cioè Gesù Cristo» (Condizione giovanile e annuncio della fede, Brescia 1979, 112). La decisione di fede si esprime come atto personale di adesione sempre più matura alla verità, in Gesù Cristo e nella Chiesa, nel ritmo dell'esistenza quotidiana.
    Alcune distorsioni deviano da una giusta comprensione della funzione della fede:
    - l'utilizzazione della fede come legittimazione sospetta della marginalità e dell'incertezza dei giovani. È un rischio e una tentazione facile: si utilizzano dimensioni della fede per giustificare alcune situazioni psicologiche dell'età giovanile (l'incertezza, la provvisorietà, lo stato di ricerca);
    - il tentativo di richiedere alla fede una risposta escatologica a ciò che invece esige solo una sobria risposta antropologica;
    - riduzione della fede a semplice interpretazione dell'esperienza. In questo modo la fede viene svuotata della sua funzione normativa e veritativa.
    Positivamente invece bisogna affermare:
    - in Gesù Cristo il nucleo fondamentale della fede e della verità sull'uomo: Gesù Cristo è la rivelazione definitiva del progetto di Dio sull'uomo;
    - nella comunità ecclesiale la responsabilità globale e irrinunciabile nei confronti della fede dei giovani: per questo la pastorale giovanile non può essere delegata ad altri, ma resta compito centrale e unico della comunità ecclesiale;
    - negli operatori di pastorale la responsabilità di restituire ai giovani un'immagine di cristianesimo consistente e determinato;
    - nei processi di iniziazione il compito di facilitare ai giovani l'accesso alla verità.

    1.2.3. Itinerario metodologico
    L'uomo maturo è l'adulto. I giovani sono in una fase di questo processo. Non è corretto assumere la loro situazione di fragilità e di marginalità come «valore».
    Educazione è il processo antropologico mediante il quale la generazione adulta offre la sua opera per la crescita umana delle nuove generazioni, e cioè fino alla capacità di agire consapevolmente e liberamente nell'attuale contesto sociale e culturale.
    Nell'ambito della maturazione della fede, questo compito spetta unicamente e globalmente alla comunità ecclesiale. Essa deve caricarsi di questa funzione. Le nostre comunità non sono spesso all'altezza del compito. Non si può però accettare l'alibi di una delega ad altri di una responsabilità che le attraversa costitutivamente. Al contrario proprio nella riaffermazione della responsabilità, la comunità trova un principio di conversione. Di conseguenza, ha senso una pastorale giovanile solo come espressione del servizio preciso e impegnativo dell'unica comunità ecclesiale. Va invece categoricamente rifiutata ogni forma «giovanilistica».
    Due sono i riferimenti obbligati di ogni processo pastorale.
    In primo luogo, questo modello si caratterizza, come ho già ricordato, per l'insistita sottolineatura della dimensione veritativa dell'esperienza cristiana, contro il troppo esperienzialismo che ha segnato la prassi pastorale recente e la diffusa soggettivizzazione dell'attuale situazione giovanile.
    Questo recupero è caratterizzato dalla rilevanza data al «contenuto» della fede, inteso quasi nella sua forma di espressioni dottrinali, elaborate e sistematizzate. Viene attivato un continuo confronto critico tra la sapienza dell'uomo e le esigenze della fede, quasi per restaurare quelle esigenze a carattere «apologetico», troppo frettolosamente accantonate nel recente passato. I giovani sono sollecitati ad apprendere, con pazienza e fermezza, i contenuti oggettivi della fede nella loro precisa codificazione linguistica. Si parte dall'ipotesi che l'educazione ad accogliere e a com prendere il linguaggio oggettivo della fede aiuta e sostiene la vita di fede, sotto il profilo della consapevolezza riflessa e del confronto con le varie istanze del sapere umano.
    Un secondo elemento è determinato dal rifiuto nell'educazione alla fede di ogni cammino, troppo all'insegna della gradualità e della progressività. La scelta è motivata nella distinzione tra «mediazioni» educative e interventi pastorali. Non si nega la continuità tra i due approcci. Si contesta invece la scelta di governare il secondo con la logica del primo. Sembra che un modo di procedere più rassegnato possa svuotare il riconoscimento di una efficacia immediata e diretta della salvezza di Dio e dei suoi «mezzi». Il modello preferisce affermare questa «potenza» anche nell'ambito dell'educativo, invece di aggiustarla con le pretese delle mediazioni antropologiche.

    1.3. Il modello della pastorale di «liberazione»

    Tutti conoscono le vicende della «Teologia della Liberazione». Al di là delle recenti polemiche, questo nuovo modello teologico ha orientato uno stile di azione pastorale che dall'America Latina ha ormai preso dimora anche nella comunità ecclesiale italiana.
    Per molti operatori di pastorale giovanile esso rappresenta un punto di riferimento e di confronto, significativo e emblematico.
    Mi è sembrato importante analizzarlo con l'attenzione necessaria. Lo considero infatti un modello, secondo l'accezione ricordata sopra.
    Ho utilizzato come materiale di studio quello che il CELAM ha prodotto sulla pastorale giovanile: diverse pubblicazioni sono confluite in una proposta organica e strutturata Elementos para un directorio de Pastoral juvenil orgànica (Bogotà 1982).
    Una logica percorre tutta la proposta: si rifa all'ottimismo teologico di Puebla e alla necessità di responsabilizzare ogni uomo verso un impegno preciso di liberazione, nel nome e sull'esperienza suscitata dalla sua fede in Gesù Cristo.

    1.3.1. Quale uomo
    L'uomo è la fondamentale «immagine di Dio». Per questo possiede una dignità e una libertà inalienabili.
    Purtroppo sono spesso calpestate e devastate, da ragioni culturali e strutturali.
    L'educazione ha il compito di restituire la coscienza della dignità e l'esercizio della propria libertà e responsabilità. Per questo essa è sempre liberatrice e trasformatrice.
    È impegnata di conseguenza a umanizzare e personalizzare l'uomo, fino a trasformarlo in un nuovo «agente di cambio». L'uomo infatti raggiunge la pienezza della sua maturazione quando si sente responsabile degli altri e si impegna per la loro liberazione progressiva.
    Lo stile con cui viene realizzato questo compito non può che essere quello della creatività e della solidarietà: ricerca e confronto vissuti «assieme», verso progetti collocati oltre l'esistente.

    1.3.2. Chi e il cristiano
    Ogni uomo è impegnato nella storia alla costruzione di una nuova civiltà, nella logica dell'amore e della promozione.
    Questo è segno e inizio del Regno di Dio.
    La fede è illuminazione progressiva di questo processo, sollecitazione verso la sua realizzazione, assicurazione sul suo esito nella speranza.

    1.3.3. Itinerario metodologico
    Soggetto sono adulti e giovani assieme, nella sensibilità e responsabilità che li caratterizza e li distingue.
    L'accento è sulla progettualità personale e sulla prassi storica come luogo concreto in cui l'uomo realizza se stesso mentre costruisce un mondo nuovo.
    La fede viene vissuta come l'interpretazione e la radicalizzazione di questo impegno promozionale.
    Lo spazio di azione pastorale è quello della esistenza concreta e quotidiana. Lì si misura. La dimensione esplicitamente religiosa e cristiana non viene né rifiutata né vanificata. Essa chiama con espressioni religiose i fatti della vita quotidiana e i processi di trasformazione, rivela il loro significato più profondo e decisivo, assicura sull'esito dell'impegno di liberazione.
    È davvero importante la preoccupazione di chiamare eventi e situazioni con il loro vero nome. Non è una questione di etichette, ma di realtà. Tutti sanno che le cose si portano dentro un mistero più grande. Lo chiamiamo con i nomi rivelati della nostra esperienza credente: presenza di Dio, peccato, salvezza, fede. Questa dimensione profonda è immersa però in dati e fatti sperimentabili e manipolabili, in cui sono in gioco responsabilità precise e concrete. A questo livello, è indispensabile individuare processi e interventi: bisogna chiamare le cose con il loro vero nome, senza mistificazioni.
    Se ci si guarda d'attorno con atteggiamento disponibile, è facile costatare le molte situazioni ingiuste e alienanti. Peccato è prima di tutto oppressione del fratello. Salvezza è restituzione ad ogni persona della sua libertà. Presenza di Dio è impegno per la costruzione qui e ora del suo Regno. Non è possibile riconoscere nella verità la dimensione profonda e rivelata degli eventi, se non impegnandosi a costatare e a trasformare quello che c'è al livello di immediata percezione.
    L'esigenza è di verità. Ha però anche un carattere metodologico: troppi credenti sono costretti a mettere in crisi la loro fede, se non la vedono coinvolta, al titolo che le compete, in quei processi di trasformazione che ormai sentono come irrinunciabili per la coerenza con le loro scelte; o, se non hanno ancora raggiunto questo indispensabile livello di maturazione personale, potrebbe risultare cattivo servizio pastorale, addormentarli in una distrazione che risulta, per forza di cose, connivenza con l'oppressione.
    Sul piano dell'azione pastorale tutti si rendono conto che la comunità ecclesiale può svolgere la sua missione, in fedeltà al suo Signore, solo se essa diventa luogo dove è possibile sperimentare, almeno nel piccolo, questo impegno di trasformazione e di liberazione. Così, la scoperta che la dimensione politica attraversa anche l'azione pastorale, coinvolge il soggetto stesso della pastorale: lo sguardo critico e costruttivo si muove continuamente dall'esterno all'interno della comunità ecclesiale; la risonanza politica attraversa anche i gesti ritenuti abitualmente più «sacri» (eucaristia, Parola di Dio, preghiera...).
    Realizzata così la pastorale giovanile possiede una intensa carica di coinvolgimento. Diventa aggressiva e inquietante. Crea una gerarchia di preoccupazioni e di esigenze, diversa da quella tradizionale. Molti problemi religiosi passano in secondo piano, per far spazio ad altri, vissuti come più urgenti.
    Affiora la consapevolezza che fare educazione è già, in ultima analisi, fare educazione alla fede.

    1.4. I modelli a prevalenza educativa

    Nell'area ecclesiale italiana, in questi ultimi anni, si stanno diffondendo esperienze pastorali, impegnate ad assumere seriamente l'impegno educativo. Si parte dell'ipotesi che il servizio all'uomo, indispensabile per la costruzione del Regno di Dio e il consolidamento della sua salvezza, passa oggi attraverso una intensa attività di promozione educativa.
    Sono molti i modelli concreti, disponibili all'attenzione di chi intende studiare questa linea di tendenza. Ne ho privilegiato uno, selezionandolo per la sua diffusione e per l'abbondante letteratura prodotta.
    Ho analizzato il Progetto unitario di catechesi dell'Agesci (Milano 1983).

    1.4.1. Quale uomo
    Esiste certamente un progetto normativo sull'uomo: su di esso va misurata ogni personale progettazione.
    Questo progetto è però astratto e generale: serve solo come orientamento e grande direzione di verifica.
    Ogni uomo possiede qualità e capacità particolari, che hanno bisogno di essere sviluppate e curate per dare i frutti propri.
    Questo è il progetto personale: da giocare nella irrinunciabile libertà. L'aiuto educativo, le norme e la legge non rappresentano l'ideale strutturato in tutti i suoi elementi e irrigidito in un complesso di formule. Rappresentano invece la proposta di esperienze concrete per crescere in autonomia e responsabilità, nella e verso la libertà.
    L'impegno educativo e pastorale è giocato al servizio della vita. Per questo sollecita ad amarla, a rallegrarsi di essa, ad apprezzarne le espressioni di bellezza, ad impegnarsi per costruirla, sostenerla. Le difficoltà non mancano; e neppure possono essere ignorate. Non possono però spaventare: sono tutte superabili; vanno considerate «il sale della vita» (Progetto unitario di catechesi, Milano 1983, 67).

    1.4.2. Chi e il cristiano
    Non ci si chiede chi è l'uomo né ci si interroga sul significato della sua vita in astratto. La domanda é invece posta e risolta dentro la certezza di essere già immersi nell'amore di Dio, espresso nella creazione e nel dono della salvezza. Per questo l'orizzonte antropologico è già all'interno della cultura e tradizione cristiana. L'educazione alla fede si compie nello svelamento progressivo del significato che la vita già possiede e nell'invito esplicito a «giocare nella squadra di Dio» (Progetto, 88-94).

    1.4.3. Itinerario metodologico
    La condizione indispensabile per assicurare la maturazione umana e cristiana dei giovani è data dal rapporto educativo tra «educatore» e giovane, come strumento fondamentale del più vasto processo educativo.
    La relazione non è costituita da trasmissione di messaggi o di verità astratte. È invece fondata sull'esempio vivo e sofferto: il ragazzo ha bisogno, proprio per imparare a formarsi una sua personalità, di guardare ad un uomo che ha realizzato alla sua maniera quegli ideali verso i quali anche lui tende e che accetta di vivere con lui la stessa avventura.
    Al centro dell'itinerario sta una scommessa teologica sulla «vita», compresa come luogo in cui il Dio di Gesù si manifesta e in cui i giovani esprimono la propria decisione per lui. Come la vita, questa manifestazione cresce e si sviluppa, con progressività e gradualità. Si richiede una presenza, adulta e testimoniante, capace di sostenere e orientare questa crescita: l'educazione e il servizio educativo.
    Lo stile pastorale è molto realistico. Evita i discorsi e le proposte troppo elevate, giocate sulle idealità astratte del solo dover-essere. Preferisce fare proposte, rispettando il primato dell'esperienza. Si cercano occasioni per far toccare con mano ai giovani che sono accolti e considerati per quello che sono.
    Tutto il processo si svolge dentro una esperienza di fede: è un po' come l'aria che tutti ci avvolge e di cui viviamo tutti. Vivere da credenti significa riconoscere questa presenza, tematizzarla e accoglierla come la ragione decisiva di ogni personale esperienza.

    1.5. Modelli a prevalenza kerigmatica

    Gli ultimi modelli che intendo studiare, li ho definiti con una formula generica «a prevalenza kerigmatica». Raccolgo sotto questa voce quei differenti modelli che accentuano notevolmente la dimensione spirituale del l'esistenza cristiana e insistono sulla sua radicale alterità rispetto ai ritmi e ai processi della nostra quotidiana esistenza.
    Tutti sanno che realizzazioni di questo tipo sono presenti e diffuse nell'area ecclesiale italiana. Rappresentano un dato di notevole consistenza e offrono un punto di riferimento significativo per tanti operatori di pastorale.

    1.5.1. Quale uomo
    Dio è Dio; egli è il totalmente altro, colui che è nascosto e avvolto nel mistero. All'assoluta e somma superiorità di Dio va contrapposta l'estrema e infinita inferiorità dell'uomo.
    Tra Dio e l'uomo c'è un «crepaccio», una «regione polare», una «zona desertica»: non esiste nessuna possibilità di passaggio (Zahrnt H., Alle prese con Dio. La teologia protestante nel XX secolo, Brescia 1969, 16).
    In Gesù Dio si è fatto vicino all'uomo; l'evento è però unico e irripetibile. Nulla ha modificato della struttura costitutiva.
    Emerge una visione pessimistica nei confronti della cultura e di ogni produzione umana: «c'è sempre qualcosa di imperfetto, là dove l'uomo ha costruito i suoi castelli» (Ivi 27).

    1.5.2. Chi è il cristiano
    La salvezza è tutta dall'alto al basso, da Dio verso l'uomo. Essa si compie in forza degli atti posti da Cristo, atti oggettivi e non soggettivi, atti gratuiti e non dovuti.

    1.5.3. Itinerario metodologico
    Una caratteristica salta immediatamente agli occhi: l'accentuazione sugli aspetti comunitari dell'esperienza cristiana. La comunità costituisce lo spazio di vita cristiana, fino a diventare quasi la «patria dell'identità», in un tempo di crisi e di anonimato, dove si fa esperienza di una nuova qualità di vita, segnata intensamente dalla fede, professata e vissuta.
    Nel sostegno di questa forte esperienza comunitaria, viene superata ogni ipotesi rinunciataria e riduttiva, come può sembrare quella che affida il primato all'esperienza personale o che accetta tempi e ritmi lunghi e lenti, a costo di svuotare le esigenze della radicalità evangelica.
    Nella comunità, si intende reagire al clima di pluralismo e di relativismo culturale, che minaccia alla radice l'esistenza credente; e si riafferma una forte esigenza propositiva.
    Dio viene confessato come il totalmente altro, radicalmente lontano dal cammino quotidiano dell'uomo, anche se tutto proteso alla sua salvezza. L'uomo ritrova la verità di sé, smarrita nei labirinti della presunzione e dell'autosufficienza, quando alza le mani in segno di invocazione, dal profondo del suo peccato.
    L'uomo è «il peccatore che invoca salvezza». Dio è il dono, insperato e sconvolgente, di questa salvezza.
    L'unico «dialogo» tra Dio e l'uomo è quello che porta ad invocare e ad accogliere.
    Bisogna affermare una netta distinzione tra il momento educativo e quello pastorale. Viene rifiutata ogni possibilità di intervenire educativamente nell'ambito della maturazione e celebrazione della fede.
    È assente ogni esplicita attenzione e preoccupazione educativa. L'accesso al mistero di Dio è infatti dono che irrompe nella storia. Basta invocarlo dall'abisso della propria esperienza di peccatori. Non esistono altre disposizioni educative capaci di facilitarlo.
    Le cose da fare sono poche e semplici: moltiplicare i contatti tra il dono irruente di Dio e la vita dell'uomo. Tutto viene assolto e risolto nel clima, accogliente e pervasivo, della comunità e nel rapporto con l'esperienza religiosa che al suo interno viene instaurato. Nei momenti celebrativi prevalgono alcune espressioni tipiche: la forte sottolineatura del proprio peccato, quasi a riportare l'uomo alla sua verità contro ogni ubriacatura di presunzione, l'esperienza di un dono di salvezza che scende dall'alto e percorre strade non programmabili, la festa entusiasta di chi ritrova le ragioni di vita e di speranza, oltre il proprio peccato confessato, nel dono accolto e celebrato.

    2. UNA PROPOSTA

    Presentando i modelli, ho cercato di produrre documenti e ho resistito (abbastanza) alla facile tentazione di giudicarli.
    Il lettore attento si è accorto che ogni modello propone suggerimenti di notevole interesse. In ciascuno però gli aspetti positivi si frammischiano con indicazioni che mi lasciano un po' perplesso.
    Non me la sento di assumerne uno in modo esclusivo. Preferisco cercare prospettive nuove.

    2.1. Un modo per comprendere la maturità: integrazione fede-vita

    Per dire chi è l'uomo e chi è il cristiano ripropongo la formula, densa e pregnante, ispirata da Il rinnovamento della catechesi: l'integrazione tra fede e vita.
    Integrazione fede-vita significa riorganizzazione della personalità attorno a Gesù Cristo e al suo messaggio, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale, riorganizzazione realizzata in modo da considerare Gesù Cristo il «determinante» sul piano valutativo e operativo.
    Al centro sta Gesù Cristo, incontrato ed accolto come «il salvatore», proposto come un evento globale: la sua persona, il suo messaggio, la sua causa, testimoniata nel popolo che lo confessa come il Signore.
    L'esito è una personalità finalmente riorganizzata in unità esistenziale: caricata delle sue responsabilità, centrata sulla ricerca di significati di vita, liberata dai condizionamenti, ricollocata all'interno di un popolo di credenti, capace di vivere intensamente la sua fede e di celebrare questa stessa fede nella sua vita quotidiana.
    Viene così suggerita una immagine di uomo maturo e si definisce quale funzione esercita la fede nel processo.

    2.2. Maturità umana come stabilizzazione dell'identità personale

    Si può parlare di integrazione fede-vita solo quando è assicurata, almeno sostanzialmente, una riorganizzazione esistenziale della personalità.
    Per dire questa esigenza in modo concreto, una categoria preziosa è quella dell'«identità». La formula «integrazione fede-vita» la richiama, almeno implicitamente.
    Facendo un po' di ordine tra l'abbondante letteratura sul tema e semplificando qualche posizione, possiamo immaginare l'identità come un elaboratore molto complesso di informazioni. L'ambiente esterno, gli altri, la società, le norme, le differenti culture (orientamenti, stili di vita, valori) provocano e stimolano le persone. Ciascuno codifica e organizza questi diversi stimoli in un sistema operazionale interno. Gli serve per cogliere in modo caldo la realtà, per valutarla meglio e decidere dove e come intervenire.
    Attraverso l'identità ogni persona si lega così al suo mondo, in modo responsabile e critico. Tutta dalla parte del soggetto, lo delimita rispetto agli altri e lo qualifica, permettendogli di autoriconoscersi e di essere riconosciuto.
    Il processo non avviene in modo meccanico. Avviene attraverso la personale capacità di confrontare gli stimoli provenienti dall'esterno con i valori che la persona ha già fatto propri. Questi valori sono come il «filtro» verso l'esterno: funzionano come normativi delle percezioni, valutazioni e operazioni.
    I valori non li recuperiamo da un deposito, terso e protetto, e neppure li ereditiamo con la nascita, come il colore dei capelli e i geni del nostro carattere. Essi sono diffusi nel nostro mondo quotidiano, con tutte le tensioni e le difficoltà di cui esso è segnato. Li assumiamo per confronto e per educazione.
    L'identità è quindi il frutto, in continua tensione dinamica, dello scambio tra la storia personale di ogni individuo e i contributi culturali forniti dall'esterno, attraverso cui questa storia viene scritta e vissuta.
    La maturità è misurata sul livello di stabilizzazione dell'identità personale e sulla qualità dei valori riconosciuti come significativi e assunti come normativi.
    Quali siano questi valori e quale debba essere il livello minimo di stabilità, non è facile affermarlo in modo perentorio. Qui entra in gioco il riferimento a Gesù Cristo e al suo messaggio, come criterio determinante.

    2.3. La fede come proposta di fondamento e di senso

    Al centro del processo che costituisce l'identità personale si colloca la decisione di vivere nella sequela del Signore Gesù, dentro la comunità dei suoi discepoli. La fede si integra così con la vita quotidiana.
    Il modo con cui viene assicurata l'integrazione è però originale. L'esito è diverso da quello proposto da altri modelli studiati.
    Il processo attraverso cui una persona definisce la propria identità, è relativamente autonomo e tende ad un modello di strutturazione e di coerenza interna, tipico della sensibilità personale e della cultura in cui viviamo.
    L'incontro con Gesù Cristo non modifica le logiche del processo né avanza pretese, come se potesse stare di casa solo all'interno di un modello di identità. Propone invece un fondamento, oltre quelli che la persona stabilisce nella sua autonomia, che serve quasi da loro sostegno e da loro verifica.
    La fede infatti, nella ricerca dei valori e dei significati su cui si costruisce l'identità, si colloca dalla parte del senso ultimo e decisivo, di quelle domande che attingono le ragioni costitutive dell'esistenza. Non pretende di offrire risposte alla quotidiana ricerca; ma tutte le riconsegna ad una risposta globale e coinvolgente: quella in cui la persona si trova sola, a misurarsi con un progetto di senso in cui lo stesso produttore è stato prodotto.
    Certamente la fede propone un suo progetto precisò e concreto. Serve però da criterio delle personali valorizzazioni e non da contenuto, alternativo o concorrente. I valori attraverso cui il cristiano definisce la funzione elaboratrice della sua identità, non sono soltanto soggettivi, quasi che ogni persona se li potesse definire a piacimento. Essi devono rispettare, in qualche modo, i valori oggettivi dell'esistenza cristiana (il messaggio di Gesù Cristo, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale). Solo così Gesù Cristo è il «determinante» del personale sistema di significati: non è un valore vissuto come alternativo rispetto agli altri, ma una esperienza centrale, dotata di una sua struttura veritativa, che riorganizza i processi cognitivi, interpretativi e operativi. La maturazione cristiana è assicurata perciò non quando la persona sostituisce alla sua «identità» una nuova identità «cristiana», se questo significa rinuncia alla ricerca di valori e significati per la propria vita, solo per accettare i modo rassegnato quelli che altri cercano di consegnare.
    La maturità cristiana sta invece nella capacità di «risignificare» i valori che una persona ha fatto propri, nel confronto con il senso, fondante e donato, che Gesù Cristo propone, nella sua persona e nel suo messaggio, come sono testimoniati oggi nella comunità ecclesiale. Risignificare vuole dire comprendere e definire una realtà da una prospettiva diversa da quella in cui di solito viene interpretata. La lettura nuova non elimina le precedenti; e neppure si mette in conflitto con esse. Pretende invece di poter dire qualcosa di più intenso: una percezione inedita, possibile solo a chi si colloca in questa nuova frontiera.

    3. COSTRUIRE ITINERARI DA QUESTA PROSPETTIVA

    Ho delineato una proposta concreta di maturità umana e cristiana, in reciproca profonda integrazione.
    Essa è la meta a cui tende globalmente il cammino di educazione alla fede che questo libro propone.
    Per fare un buon progetto di pastorale giovanile e soprattutto per muoversi nell'ottica di un vero «itinerario», non basta certo la chiarezza sulla meta. L'obiettivo finale va smontato in obiettivi intermedi e vanno previsti gli interventi adeguati.
    Questo capitolo, a carattere un po' sintetico, sottolinea le grandi dimensioni della mia proposta. Scaturiscono come conseguenza logica del modo con cui ho compreso la meta e percorrono, come in filigrana, i tracciati metodologici che seguiranno

    3.1. Attenzione alla dimensione educativa

    Ho affermato uno stretto rapporto tra maturità umana e vita nella fede e ho riconosciuto nella qualità della vita quotidiana il luogo dove è possibile vivere una qualità matura di esistenza credente.
    È una scelta densa di conseguenze importanti. Ci spendo qualche riflessione, con la preoccupazione esplicita di motivare meglio la prospettiva e di mostrarne la risonanza pratica nella ricerca di itinerari.

    3.1.1. Gli atteggiamenti fondamentali della vita cristiana
    L'esistenza cristiana autentica si compie nella sincerità radicale dell'opzione di lasciarsi salvare da Gesù Cristo, come risposta alla iniziativa di Dio. Questa risposta è un atto totalizzante, che investe e unifica tutta la vita.
    Come ogni espressione esistenziale, può essere compresa e manifestata attraverso dimensioni particolari e tematiche. La fede, la speranza e la carità sono le tematizzazioni privilegiate dell'esistenza cristiana: formano la sua ossatura.
    L'esistenza si fa confessione di Gesù il Cristo, quando l'uomo accetta l'atto rivelatore di Dio nel sì totale della fede: il sì della fiducia e della sottomissione nell'amore. In questo senso, l'esistenza cristiana è esistenza di fede.
    L'esistenza è fiduciosa attesa della manifestazione futura di Gesù. È sperare in lui nel Dio che si promette ad ogni uomo. Così l'esistenza cristiana è esistenza di speranza.
    L'esistenza è anche donazione personale a Gesù Cristo, compiuta nell'amore effettivo per il prossimo. L'amore a Gesù Cristo e, in lui, al Padre che per primo ci ha amati, si concretizza nell'atteggiamento di fronte al prossimo: è vero cristiano solo colui che adempie le esigenze dell'amore al prossimo. In questo senso, l'esistenza cristiana è esistenza di carità.
    La fede, la speranza e la carità sono gli atteggiamenti fondamentali dell'esistenza cristiana. Formano, in modo unitario e armonico, la risposta personale dell'uomo a Dio, la scelta radicale di Gesù Cristo come «il salvatore».

    3.1.2. Educare ad atteggiamenti «corrispondenti»
    Fede-speranza-carità sono «dono di Dio», perché solo in Gesù Cristo è possibile credere, sperare e amare. Sono però un dono che sollecita la risposta dell'uomo e rende l'uomo capace di rispondere. Per questo richiedono disposizioni umane che traducano sul ritmo della esistenza quotidiana il significato di vita che rappresentano.
    Appellano ad un sostegno alla libertà dell'uomo che dia al movimento dialogico, di dono di Dio e di risposta dell'uomo sulla forza di questo dono, una dimensione veramente umana. In ultima analisi, investono la qualità della vita quotidiana e gli interventi educativi che ne servono la maturazione.
    Pensiamo ad un un esempio, classico nella riflessione teologica tradizionale.
    1 Gv 4 ricorda che non è possibile amare veramente Dio se non si ama il prossimo. La motivazione è legata al fatto che Dio non lo si vede, mentre il prossimo lo si vede. C'è quindi un ambito di intervento concreto, sperimentale (l'amore al prossimo), in cui si manifesta, si realizza, quasi si misura, il proprio rapporto con Dio.
    Ci si può educare ad atteggiamenti di servizio, di promozione dell'altro, di rispetto. O si possono apprendere atteggiamenti di sopraffazione, di manipolazione, di sfruttamento. Questi atteggiamenti sono decisamente umani, nel senso che investono la dimensione di autoprogettualità umana di ogni persona. Nello stesso tempo, essi hanno un peso determinante nell'atteggiamento fondamentale cristiano della «carità» teologale. Senza l'abitudine a questi atteggiamenti corrispondenti, non è possibile vivere di carità: affermare di amare Dio significa proclamare il falso, perché non si ama il prossimo. Per fare della propria vita una risposta al dono di Dio nella carità, si richiede una costante disposizione a vivere in atteggiamento di servizio verso il prossimo.
    Il dono teologale della carità diventa atto concreto di carità soltanto in colui che è stato educato a mettersi in atteggiamento di servizio nel confronti dei fratelli.
    La «carità» è atteggiamento fondamentale dell'esistenza cristiana. La disponibilità al servizio è atteggiamento corrispondente, acquisito. Lo chiamo acquisito perché si sviluppa per via di educazione; corrispondente, perché nel suo formarsi si ispira al dono della carità e abilita a risposte di carità nelle concrete situazioni di vita.
    Le riflessioni fatte sul rapporto carità-servizio vanno generalizzate per tutte le dimensioni dell'esistenza cristiana.
    L'esistenza quotidiana è nella verità esistenza cristiana solo quando la maturazione di personalità è orientata verso atteggiamenti umani, sulla linea e nello stile della fede-speranza-carità. In caso contrario, il significato espresso in forme tematizzate (e cioè l'orientamento cristiano esplicito e formale) resta un fatto vuoto, perché non trova la corrispondenza di una vita che dia consistenza a quanto viene espresso.
    Si può dire, in conclusione, che gli atteggiamenti fondamentali della fede-speranza-carità richiedono una disposizione abituale, collocata nell'ambito della autoprogettazione e, di conseguenza, frutto di educazione, che traduca nel ritmo dei gesti concreti e quotidiani il significato di vita che essi rappresentano.
    Gli atteggiamenti fondamentali della vita cristiana portano a compimento e a radicalità la vita quotidiana di ogni uomo, nella misura in cui questa si esprime verso la sua autenticità umana. L'uomo, costruito capace di attuare la propria salvezza nell'autocomunicazione di Dio, quando cresce in umanità nella direzione degli atteggiamenti corrispondenti, esprime la sua decisione, almeno implicita per Gesù Cristo.

    3.1.3. Gli itinerari per la maturazione cristiana
    A partire da questa consapevolezza a carattere teologico, la mia ricerca di itinerari per l'educazione dei giovani alla fede assume quel movimento, un po' ascendente e un po' circolare, di cui ho parlato nel primo capitolo.
    Non voglio entrare troppo nei particolari, per non anticipare il lungo cammino che segue. Ma una battuta di precisazione la debbo ai lettori.
    Nel tracciato globale di cammino verso la fede (quello che va dalla ricostruzione dell'identità personale nell'invocazione alla vita come vocazione) e nei singoli itinerari parziali, parto sempre dalla ricostruzione di atteggiamenti antropologici, corrispondenti a quelli fondamentali della fede-speranza-carità.
    Questa ricostruzione di personalità, a carattere educativo, rappresenta, nella mia ipotesi, un momento irrinunciabile nell'esperienza di fede: già vita nella fede-speranza-carità, anche se da portare a progressivo compimento e radicalità.
    Per definire quali possono essere i movimenti più urgenti, in un tempo di pluralismo come è il nostro, mi faccio ispirare dall'evento normativo di Gesù (la sua persona e il suo messaggio, testimoniati nella comunità ecclesiale). Cerco di comprenderlo con un approccio disponibile e critico, perché riconosco che nella testimonianza ecclesiale, esso è profondamente segnato dalla cultura, per essere parola per ogni uomo. Ricompreso nella fede, diventa orientamento e giudizio per decifrare la verità dell'uomo e il suo cammino verso la maturità.
    Tutta la mia ricerca è, così, attenta ai processi educativi «in uno sguardo di fede»; e, in questo, prende le distanze dai modelli a carattere deduttivo, da quelli troppo forti e sicuri, e da quelli solamente induttivi.
    Metto la vita quotidiana al centro: animata dallo Spirito di Gesù, la riconosco affidata alla responsabilità personale, come espressione ed esperienza di crescita in maturità umana e cristiana.

    3.2. Gradualità e dinamicità nella logica del seme

    Proprio il riferimento alla vita, mi permette di riprendere un problema che la definizione di itinerario aveva certamente suscitato al lettore pensoso.
    L'itinerario si caratterizza per la ricerca di obiettivi intermedi, capaci di assicurare attraverso movimenti progressivi il raggiungimento dell'obiettivo globale. Quale rapporto li collega? E, di conseguenza, in quale logica vanno selezionati? Il rapporto tra obiettivi intermedi e obiettivo finale è sullo stile dell'assemblaggio di elementi, verso una totalità presente solo nell'insieme? Oppure gli obiettivi intermedi esprimono quello finale già pienamente, anche se solo germinalmente?
    La vita umana e l'esperienza di fede sono come un seme: si portano dentro tutta la pianta in quel minuscolo frammento di vita in cui si esprimono.
    Per una forza intrinseca e in presenza di condizioni favorevoli, progressivamente l'albero della vita e quello della vita nuova del credente esplodono in qualcosa di continuamente nuovo.
    Le foglie, il tronco e i rami non si aggiungono dall'esterno. Non sono materiali da assemblare, come i componenti di una macchina o gli optionals di una vettura di lusso. Sono già presenti in germe: il seme è già la pianta, anche se lo diventa giorno dopo giorno.
    L'itinerario si distingue dal progetto proprio perché assume pienamente la logica del seme.
    L'itinerario è quindi un progetto che si fa progressivamente e che in ogni fase di realizzazione possiamo considerare come già attuato, anche se non ancora pienamente. I diversi movimenti rappresentano nel mio modello espressioni parziali e provvisorie di un tutto, già pieno e completo ad ogni tappa, anche se in modo ancora germinale e sempre proteso ad uno sviluppo successivo.

    3.3. Gli atteggiamenti in primo piano

    Nella definizione di obiettivo suggerita al capitolo secondo, avevo organizzato le competenze attorno a tre dimensioni: conoscenze, atteggiamenti, comportamenti.
    Nei miei itinerari, invece, lungo le tappe che progressivamente conducono verso la pienezza di vita cristiana, parlo quasi esclusivamente di atteggiamenti.
    Sembra facile costatare che qualcosa non funziona a puntino. Devo, per forza, precisare un po' la mia posizione. Di certo, contrasta visibilmente con alcune delle preoccupazioni più evidenti nei modelli studiati. Se però è ben compresa la prospettiva in cui mi colloco, spero che la contraddizione risulti solo apparente e soprattutto equilibrata e corretta la soluzione di questo delicato problema.

    3.3.1. 1 comportamenti
    Ricordo la distinzione tra atteggiamento e comportamento, per motivare meglio la mia prospettiva.
    Comportamento è la reazione soggettiva con cui la persona esprime la sua presenza nel contesto sociale di cui è parte. Queste reazioni sono osservabili e quantificabili. Nella persona adulta, esse sono normalmente coerenti e stabili; incanalano quindi la sua spontanea reattività verso l'esistente, secondo modalità che vanno consolidandosi. La ripetizione di comportamenti assicura quindi una specie di «pacchetto» stabilizzato di credenze, sentimenti, risposte particolari, sempre presente, pronto ad essere usato quando l'individuo si trova a dover affrontare l'oggetto appropriato. Questo sistema è l'atteggiamento: una strutturazione del proprio dinamismo psichico, che orienta i comportamenti a riguardo di un oggetto proposto.
    La reale personalità di un individuo, le sue tendenze valutative e operative, i quadri di orientamento del vissuto sono espressi dagli atteggiamenti acquisiti.
    Molte variabili influenzano i comportamenti, in tutte le direzioni. Gli atteggiamenti invece orientano la persona verso un progetto d'insieme in cui si esprime una decisione più carica di responsabilità e di libertà delle diverse decisioni parziali e dei comportamenti concreti che a questo progetto danno esecuzione.
    Attraverso il tessuto degli atteggiamenti e dei differenti progetti d'insieme che li fondano, la persona manifesta la presenza di un disegno unitario che sorregge, comanda e rende comprensibile la scelta di fondo della vita.
    Tutto questo pesa, in modo particolarissimo nella vita cristiana.
    Il credente vive nell'integrazione fede-vita quando è educato al pensiero di Cristo, vede la storia come Lui, giudica la vita come Lui, sceglie ed ama come Lui, spera come insegna Lui, vive in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo (cf RdC 38). In questo «progetto di vita» dice la sua decisione radicale nei confronti di Dio.
    Sul piano delle prassi quotidiane, si riconosce invece sempre un peccatore in trepida attesa di salvezza. I suoi comportamenti manifestano più il grido verso la salvezza di Dio che la novità di vita in cui già siamo costituiti.
    Per questa consapevolezza, antropologica e teologica, nella mia proposta di itinerari di educazione alla fede non mi preoccupo troppo dei comportamenti.
    Non li relego certo tra le cose che non contano. Sul piano educativo, infatti, i comportamenti rappresentano la via obbligata per la costruzione e la stabilizzazione degli atteggiamenti. Ne manifestano la qualità e ne consolidano l'esistenza nella personalità in crescita. Ma non pretendo di misurare l'avvenuta integrazione tra fede e vita sulla loro falsariga. Non sono il fine, ma, in qualche modo, solo il «mezzo», parziale e ambivalente.

    3.3.2. Atteggiamenti e conoscenze
    Diverso è il tono rispetto alle conoscenze.
    L'abilitazione a vivere nell'integrazione tra fede e vita rappresenta un insieme organico di competenze in cui si coniugano atteggiamenti e conoscenze: un insieme di atteggiamenti, normati e oggettivati linguisticamente da conoscenze precise e irrinunciabili.
    Fede, speranza, carità hanno una loro consistenza contenutistica, raccolta attorno alla confessione di Gesù il Signore e alla accoglienza del suo messaggio. Solo quando si è fedeli a queste «conoscenze», così come sono documentate nell'autocoscienza ecclesiale, si può vivere di fede, speranza, carità.
    Nelle pagine precedenti, per sottolineare questa loro funzione orientatrice rispetto alle scelte della vita quotidiana, ho utilizzato la categoria di «atteggiamenti fondamentali». L'ho fatto, sulla base di alcune riflessioni teologiche, per introdurre riferimenti più concreti e verificabili nel dinamismo misterioso della vita cristiana.
    Fede-speranza-carità diventano stile di vita, mentalità ed espressione di raggiunta maturità, mediante un processo di crescita educativa che ho chiamato «abilitazione».
    Come si nota, la dimensione veritativa dell'esperienza cristiana (quella attenzione alla formulazione corretta della fede e all'assimilazione personale delle conoscenze in cui si esprime) viene sottolineata come davvero importante. Lo è sempre; lo diventa in modo speciale in questo tempo di soggettivizzazione sfrenata.
    Le conoscenze però non sono fine a se stesse; né rappresentano il terreno su cui verificare il livello di integrazione fede-vita. Non si tratta infatti di «sapere» e di dimostrare di «sapere», ma di investire tutta l'esistenza di questo «sapere». Integrare fede e vita significa fondamentalmente operare una ristrutturazione di personalità, tale da restituire all'evento di Gesù la funzione di «determinante» nelle scelte e nelle decisioni di vita. Non ricerchiamo quindi conoscenze di tipo nozionistico, ma conoscenze che permettano di valutare e di intervenire nelle concrete situazioni di vita, con costanza e con coerenza.
    L'accento posto sulla «abilitazione» indica inoltre che il processo può essere anche lento e graduale e che l'interiorizzazione di queste conoscenze può risultare anche parziale e progressiva. Questo modo di comprendere le «conoscenze» sposta l'accento dalle conoscenze stesse verso l'«atteggiamento»: una capacità operativa che armonizzi le doti personali in una disponibilità, agile e pronta, ad intervenire quando è il momento, sapendosi richiamare a motivazioni di riferimento. Gli atteggiamenti sono quindi il centro delle preoccupazioni pastorali.
    Gli atteggiamenti rimandano continuamente alle conoscenze. Di esse esprimono la dimensione operativa e da esse, soprattutto, riprendono la qualità cristiana. Come ho già sottolineato, non qualsiasi atteggiamento fa il cristiano: egli deve misurarsi su Gesù Cristo, il suo messaggio e la testimonianza attuale della Chiesa. C'è quindi una linea di demarcazione netta tra atteggiamenti «determinati» in Gesù Cristo e atteggiamenti lontani dal suo progetto di vita. Le conoscenze sono la verifica oggettiva degli atteggiamenti, la loro riappropriazione nella direzione della verità dell'evento di Gesù.
    Da queste precisazioni è possibile anche verificare l'apparente mia disattenzione rispetto allo spinoso problema dei «contenuti». Non ne parlo esplicitamente negli itinerari, per la scelta di privilegiare gli atteggiamenti.
    Il lettore attento si accorge facilmente però come tutte le proposte siano intessute ampiamente di contenuti teologici precisi: per verificare la qualità della meta globale e delle tappe progressive e per misurarne il successivo consolidamento nella struttura di personalità dei giovani.

    3.3.3. Un modello originale di verificabilità
    Se c'è una dimensione di personalità difficile da verificare, questa è proprio l'atteggiamento. All'esterno rimbalzano gli esiti nei comportamenti. Ma non è davvero facile valutare fino a che punto i comportamenti esprimono atteggiamenti interiorizzati o sono solo reazioni emotive o condizionate alle stimolazioni del contesto. È possibile verificare fino a che punto sono state assimilate determinate conoscenze, ma non è immaginabile valutare se esse funzionano da determinanti rispetto agli atteggiamenti personali.
    Nei miei itinerari ho messo gli atteggiamenti al centro delle preoccupazioni, nei limiti e nelle prospettive appena ricordate. Questo significa di conseguenza un certo ridimensionamento delle esigenze della verifica. Non la escludo, di certo. La colloco prioritariamente nell'ambito dei mezzi e della selezione e organizzazione delle risorse (interventi da prevedere, esperienze da programmare, strutturazione di tempi, agenti, ambiti...).
    Questo orientamento mi riporta in un orizzonte importante per ogni intervento educativo e pastorale. Nel suo servizio la comunità attinge il mistero di Dio e quell'uomo. Si riconosce «soltanto serva» (Lc 17,10): confessa la centralità dell'azione dello Spirito di Gesù e rispetta un gioco di libertà, che si incontrano in una trama d'amore le cui logiche sfuggono ad ogni pretesa troppo sapiente.

    3.4. Gruppo e persona

    Il cammino di crescita nella fede, come ogni atto importante della vita, è un evento strettamente personale. Nella decisione, progressiva e coinvolgente di riconoscere che solo il Dio di Gesù è il signore della propria esistenza, il fondamento della propria speranza e la passione che riempie e inquieta la vita, ogni persona è sola, riconsegnata al mistero di sé e di Dio.
    Per questa consapevolezza l'itinerario di educazione alla fede ha sempre una risonanza strettamente personale.
    Questa irrinunciabile qualità può essere svolta però in processi individualistici e un po' autistici, quasi che libertà e responsabilità fossero assicurate meglio quando la persona si ritaglia spazi di austero e puntiglioso isolamento. O, al contrario, possono essere sostenute e servite nel gruppo e attraverso le sue dinamiche.
    La lunga riflessione, sviluppata nel capitolo terzo sul tema della comunità, non vuole ricordare solo che la comunità, educativa ed ecclesiale, è il soggetto impegnato a elaborare l'itinerario. Qualcosa di più impegnativo e qualificante va sottolineato.
    In situazione giovanile e nella cultura in cui stiamo vivendo, la comunità prende il volto concreto del gruppo: il gruppo è il soggetto soprattutto nel senso che diventa il «grembo materno» in cui le persone percorrono l'itinerario, in libertà e responsabilità. Nel gruppo e attraverso il gruppo vengono interiorizzati più facilmente gli atteggiamenti in cui si concretizzano i diversi movimenti, anche sulla forza di quella spinta alla identificazione che costituisce ogni gruppo primario. Nella mia proposta, parlo di gruppo, in modo esplicito, solo nell'area dell'educazione all'appartenenza ecclesiale. In quell'area è fuori discussione: il gruppo giovanile è mediazione privilegiata di esperienza ecclesiale. In ogni area, però, l'itinerario, sempre processo personale, viene vissuto nel gruppo. Nell'articolazione della proposta sottolineo soprattutto la risonanza personale. Chi è responsabile della sua realizzazione è chiamato però a creare e consolidare una intensa e matura esperienza di gruppo.

    3.5. Logiche diverse per un unico itinerario

    Se leggiamo con attenzione i modelli proposti in questo capitolo, ci accorgiamo subito della presenza di diverse logiche procedurali. Ogni modello cerca di raggiungere la meta che si propone, privilegiando un sistema metodologico speciale.
    Qualche modello sottolinea, per esempio, la forza propositiva della comunità; qualche altro invece cerca di assicurare il coinvolgimento personale attraverso una relazione educativa liberatrice. Per alcuni modelli è decisivo il valore della verità, difesa contro ogni indebito ridimensionamento; altri riconoscono soprattutto la potenza imprevedibile di Dio che irrompe nella storia.
    Ci sono modelli pervasi di sfiducia verso le scienze dell'uomo; e ce ne sono altri carichi di disponibile attenzione.
    Questi differenti orientamenti dettano poi il modo concreto di selezionare e organizzare le risorse, sul piano operativo.

    3.5.1. La proposta dei modelli
    Per progettare il mio itinerario mi sono misurato con queste proposte. Avevo l'impressione di trovarmi di fronte ad indicazioni preziose e stimolanti. Non me la sentivo di selezionare una ipotesi, rigettando frettolosamente le altre. Non mi pareva però possibile assumerle tutte tranquillamente. A pensarci bene, mi era facile costatare alcuni limiti.
    Un limite reale era rappresentato dal fatto di considerare un orientamento come se fosse l'unico corretto e potesse da solo risultare autosufficiente.
    Un altro limite proveniva dalla tentazione di investire tutti gli approcci delle logiche tipiche di uno di essi. Capita così, per esempio, quando l'educazione decide di ricopiare le procedure di quella relazione tra Dio e la libertà dell'uomo, che resta sempre indecifrabile; o quando ci viene voglia di catturare questo misterioso processo dentro gli schemi delle nostre programmazioni sequenziali.
    La via praticabile mi è sembrata un'altra: immaginare procedure specifiche per ogni obiettivo.
    Nel mio itinerario recupero quindi molte delle logiche dei modelli studiati. Lo faccio però non in modo eclettico, ma rispettandone la differenziazione in rapporto all'obiettivo.
    Per questo l'unico itinerario è costituito da cinque aree, percorse da logiche differenti. Esso procede così con un ritmo progressivo e modulare, ma non certamente né responsoriale né totalmente armonico. I salti bruschi, le impennate e le riprese ricordano il ritmo di maturazione della vita.

    3.5.2. La logica di ogni area
    La prima area, orientata alla ricostruzione di un'identità, matura e vivibile per giovani di questo tempo, utilizza prevalentemente contributi di scienza e sapienza. In questo ambito, per decifrare problemi ed elaborare prospettive l'educatore della fede è chiamato a porsi disponibilmente alla scuola delle scienze dell'educazione. Opera però con quella sapienza educativa che lo «sguardo di fede» gli suggerisce. Per questo si orienta nell'intricato panorama dei modelli antropologici diffusi, sceglie e organizza, tenendo davanti quell'immagine d'uomo di cui scorge il riflesso, contemplando il mistero di Dio in Gesù di Nazaret.
    La seconda area, orientata all'incontro con Gesù Cristo, è tutta centrata sulla testimonianza dei cristiani. Essi dicono, con i fatti della loro speranza e con le parole evocative della loro fede, l'Evento capace di riconsegnare ad un Fondamento donato la nostra sofferta ricerca di fondamento. Per sollecitare e sostenere l'incontro con Gesù Cristo non basta più scienza e sapienza. Ci vuole il vissuto di una comunità credente e l'interpretazione di questo vissuto attraverso la parola della fede.
    Il riferimento corre perciò al Vangelo, il documento privilegiato dell'esperienza, vissuta e interpretata, di coloro che hanno «incontrato» Gesù, facendo strada con lui. Del vangelo rileggiamo i testi che raccontano la storia di Gesù e quelli che svelano la progressiva comprensione dei suoi discepoli e penetrano nella novità di vita suscitata.
    La terza area (l'educazione all'appartenenza ecclesiale) è tutta incentrata nella logica del «fare esperienza». La comunione ecclesiale, come esito e fondazione di ogni nostra quotidiana costruzione di comunione, è sbilanciata infatti dalla parte dell'esperienza: l'appartenenza è assicurata, in modo corretto e convincente, quando si respira un clima di comunità e quando lo si allarga e lo si invera in una espressione più grande e impegnativa, verso quel mistero di profonda comunione che tutti ci avvolge.
    Il documento da considerare è la vita reale della Chiesa: dall'esperienza apostolica degli «Atti» e di alcune pagine delle «Lettere», a quella dei Padri, dei secoli felici e di quelli un po' tristi, fino ai nostri giorni. Da questi «testi» sono messi in risalto i frutti della presenza operosa dello Spirito di Gesù tra i suoi discepoli. E sono sottolineate le fatiche che richiede la fedeltà a questi doni.
    La quarta area ci riporta allo stile di vita nuova, caratteristico di colui che ha incontrato il Signore della sua vita. Il cristiano arriva persino a gridare, con la audacia generata dalla compagnia, che si può essere nella vita solo quando la si perde per amore. In questa area, davvero il buon senso non basta più. L'autorevolezza di dire certe cose e di sollecitare verso direzioni nuove di esistenza ci viene solo dal coraggio di prendere sul serio l'evangelo: quello scritto e quello vissuto da tanti credenti, che hanno riempito il loro tempo della fede nel Crocifisso risorto.
    La quinta area, quella dell'interiorità, si propone come la filigrana delle precedenti. Non rappresenta quindi un punto conclusivo dell'itinerario; ma la qualità che tutto lo pervade.
    Ci riporta, con un pizzico di nostalgia, al tempo felice del «deserto», quando Dio diceva parole d'amore al suo popolo. Rilancia la pretesa di vivere in questo mondo, come gente di un altro mondo. Restituito al ritmo della sua vita quotidiana, il cristiano è sollecitato ad una conversione, coraggiosa e continua, alle esigenze del Vangelo.

    Per approfondire l'argomento:

    BUCCIARELLI C., Realtà giovanile e catechesi, Elle Di Ci, Leumann 1973-1976.
    FACOLTÀ TEOLOGICA DELL'ITALIA SETTENTRIONALE, Condizione giovanile e annuncio della fede, La Scuola, Brescia 1979.
    GATTI G., Temi di morale fondamentale, Elle Di Ci, Leumann 1988.
    GROPPO G., Il posto dell'educativo nella prassi pastorale, in «Note di pastorale giovanile» 1987, n. 10, 3-24.
    RIZZI A., Messianismo nella vita quotidiana, Marietti, Torino 1981.
    TONELLI R., Pastorale giovanile. Dire la fede in Gesù Cristo nella vita quotidiana, LAS, Roma 1987 (contiene bibliografia specializzata per le diverse aree linguistiche).
    TRENTI Z., Giovani e proposta cristiana. Saggio di metodologia catechetica per l'adolescenza e la giovinezza, Elle Di Ci, Leumann 1985.


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