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    I Salmi: scuola di preghiera (cap. 9 di: Dio e l'uomo)


    Mario Cimosa, DIO E L'UOMO: LA STORIA DI UN INCONTRO, Elledici 1997



    Quando si parla della «preghiera» nella Bibbia è necessario fare una premessa: la Bibbia non è un prontuario di preghiere. Essa è il riflesso scritto della coscienza di un popolo che ha inteso la sua storia come l’ambito di un continuo intervento salvifico di Dio. Basta percorrere la Bibbia, AT e NT, per rendersi conto di questo: ogni avvenimento di ogni istante della vita del singolo e di tutto il popolo è un’occasione buona per la preghiera. Il libro dei Salmi poi è la testimonianza della scoperta quotidiana della presenza di Dio nella vita dell’uomo.
    Molti sanno anche che i Salmi costituiscono per loro un ricco patrimonio di preghiera ma soprattutto un forte grido a Dio nel dolore quando si trovano in situazioni di pericolo o di grande difficoltà. La libertà con cui si esprimono i salmisti mostra ai giovani la fede nel dialogo con Dio: una fede più grande del loro cuore e dei loro sentimenti in un Dio più grande dei loro mezzi di comunicazione, delle loro coscienze e capace di capire ciò che forse essi stessi a volte non capiscono.
    Certo questo atteggiamento e questa nuova prassi è degna di ogni elogio e sempre più le parrocchie, i gruppi di spiritualità e apostolici, i gruppi giovanili, le famiglie e singoli cristiani apprezzano la ricchezza della preghiera delle Ore, soprattutto quella delle Lodi e dei Vespri.
    Tuttavia penso che non sempre è facile comprendere alcuni salmi e perciò sintonizzarsi con essi. Sia per il loro significato biblico che nella loro applicazione al mistero di Cristo e per la trasformazione in preghiera e vita cristiana bisogna avere una certa istruzione e catechesi. Il primo obbligo che abbiamo come pastori e ministri è quello di aiutare la comunità ecclesiale e, soprattutto i giovani, ad avere una opportuna catechesi sui salmi dato il loro grande uso nella Messa e nella Liturgia delle Ore. Soprattutto dobbiamo «insegnare loro ad attingere da questa partecipazione un autentico spirito di preghiera, e perciò con una idonea formazione li guidino a comprendere i salmi in senso cristiano, in modo da condurli a poco a poco a gustare e a praticare sempre più la preghiera della Chiesa» (Principi e Norme per la Liturgia delle Ore 23).

    Che cosa sono i Salmi

    "Un microcosmo di tutto l'Antico Testamento" o anche "il riassunto di tutta l'esperienza spirituale di Israele": i grandi temi dell'AT sono ripresi sotto forma di preghiera, così pure le grandi tappe della storia della salvezza, dalla creazione all'esodo, alla terra promessa, all'esilio, al ritorno. Per cui ritengo che il miglior commento dei Salmi sia la Bibbia stessa, anche il NT che è il compimento dell'AT.
    I salmi non sono composizioni fatte a tavolino, ma hanno le loro radici nella vita di preghiera della comunità e dei singoli, prima della comunità e poi dei singoli. La liturgia del tempio è stato l'ambiente di nascita e di conservazione di un grandissimo numero di salmi, ma molti sono preghiere scaturite dalla vita stessa.
    Il libro dei salmi così come si presenta ora nella Bibbia si è formato verso la fine dell'epoca persiana. Esso però contiene raccolte di salmi che si sono formate lungo i secoli e molti salmi antichi sono stati riletti e ritoccati lungo la storia.
    È difficile ricostruire la storia della formazione di questo libro. Una cosa è certa: il libro dei salmi contiene il racconto della scoperta quotidiana della presenza di Dio nella vita degli Israeliti sia come popolo che come singoli fedeli.
    È un racconto sulle situazioni più diverse, riprese, adattate, completate. Il Salterio è un libro scaturito dall'esperienza della vita. Non c'è situazione di vita, intesa come ricerca di Dio o di incontro interiore con lui per lodarlo, ringraziarlo, chiedergli aiuto, lamentarsi con lui che non sia presente nei salmi. Per l'uomo che vive questa ricerca di Dio le preghiere dei salmi sono già in lui, chiedono solo di esprimersi. È quel dialogo tra Dio e l'uomo di cui M. Lutero parla nella introduzione alla sua traduzione del Salterio.
    I salmi appaiono perciò come la risposta umana piena di dubbi, di crisi, di rifiuti al dialogo con Dio. Sono lo specchio dei problemi, delle sofferenze e delle gioie di tutto un popolo. È una preghiera che non viene rivolta a Dio in un convento ma nelle città, nelle feste, nei lutti, nella politica, nella giustizia sociale.
    È la vita concreta la prima situazione vitale che aiuta a capire lo stesso "genere letterario" dei salmi. Ed è questa vita concreta che possiamo incontrare leggendo alcuni salmi per mostrare come in ciascun salmo preghiera e vita sono in intimo rapporto. Coglierò brevemente alcune situazioni paradigmatiche della vita e della preghiera dei salmi.

    La supplica

    Comincerò con i salmi di supplica. È risaputo che i salmi di "supplica" o di "lamentazione" sono il genere letterario più esteso del Salterio. Si pensa che oltre il 55% dell'intero salterio sarebbe costituito da suppliche.
    La supplica è il grido del povero, dell'emarginato, del perseguitato, dell'infelice, del disgraziato, di chi vive in uno stato di profonda umiliazione e si abbandona al Signore. Rifiutato da tutti, pone solo in Dio la sua fiducia perché Egli è l'unico che lo può salvare.
    Il sofferente grida a Dio, questi interviene con la sua bontà, cambia la situazione, e colui che prima soffriva, una volta riabilitato, innalza a Dio il suo canto di lode e di ringraziamento. Chi prega chiede a Dio che si rivolga a lui, intervenga e lo aiuti.
    La lamentazione è il modo normale di rivolgersi a Dio quando si è nella sofferenza e nel dolore, sia nell'AT che nel NT. A questo grido risponde la bontà e la misericordia di Dio Salvatore.
    La sofferenza di ogni giorno, presente nell'uomo, ha bisogno di sfogarsi con Dio. Il luogo più normale è quello della preghiera. L'uomo fa tutti i giorni l'esperienza del dolore in molti modi: per esempio nella malattia, nella morte di una persona cara, nel fallimento e nell'insuccesso, nella calunnia e nell'oppressione.
    Il linguaggio della sofferenza concretizzato in queste due domande: "perché?" e "fino a quando?" si è un po' perduto nella nostra preghiera cristiana. Sembrerebbe una bestemmia mentre è l'espressione della fiducia in Dio che ha creato l'uomo e quindi deve prendersi cura di lui.
    Se incontriamo una persona che soffre veramente, l'unica cosa da fare è lasciare che si sfoghi. E perché questo esprimersi e questo sfogarsi non può avvenire anche con Dio? Perché non riversare in lui il proprio cuore come dicono i Salmi?
    Un esempio di questa preghiera di supplica di chi è nel dolore è il Sal 6. È il "pianto di un malato".
    L'interrogativo angoscioso: "fino a quando, Signore, aspetterai?" (v. 4b) tipico dei salmi di lamentazione è il cuore del salmo. L'orante è cosciente che la sua malattia è forse conseguenza di qualche suo peccato come capita nella vicenda di Giobbe.
    Come nel Sal 38,2, l'orante chiede a Dio con fiducia di perdonarlo e di aiutarlo nella sua malattia.
    È un ammalato grave che non solo si sente allo stremo delle forze ma anche psicologicamente ha perso ogni capacità di reagire. Non gli resta altro da fare che "passare le notti nel pianto, trovarsi in un mare di lacrime".
    In questo stato di depressione assoluta si ricorda dell'"amore fedele" di Dio. È un peccatore e non merita la guarigione, ma l'amore fedele di Dio è superiore ad ogni attesa. E allora chiede al Signore: "vieni ancora a liberarmi" (Sal 6,5). Chiede a Dio di lasciarlo in vita perché possa continuare ad essere in comunione con lui.

    I salmi di fiducia e di ringraziamento

    In antitesi all'amarezza del lamento e dell'angoscia ci sono i salmi di fiducia e di ringraziamento. Questo motivo della fiducia permea quasi tutti i salmi ed è l'atmosfera normale nella quale avviene la preghiera. Una fiducia che si fonda sulla fede incrollabile in Dio, sicuro punto di riferimento di ogni uomo.
    L'uomo che a sera, prima di andare a dormire e dopo aver fatto l'esperienza dell'amore di Dio, esprime tutta la sua confidenza in lui dicendo:

    A me, Signore, hai dato una gioia
    che val più di tutto il loro grano e il loro vino.
    Tu solo, Signore, mi dai sicurezza:
    mi corico tranquillo e mi addormento (Sal 4,8-9).

    Il pio israelita tentato dal mondo che lo circonda, materialista e gaudente che non ha bisogno di Dio, sceglie lui solo: "Iahvè, la mia felicità sei tu!" (Sal 16,2).
    È una scelta radicale fonte di una felicità che i pagani non possono comprendere e che gli permette di descrivere la sua vita di intimità con Dio.
    Troviamo nel Sal 16 tutto il vocabolario della gioia: "mia felicità, mio bene, mia eredità, mio calice inebriante, mia sorte, mia parte meravigliosa, mia gioia, mia festa...".

    L'uso dei salmi nella liturgia cristiana della Parola

    Già nella liturgia d'Israele i salmi avevano un ruolo di grande rilievo. Non si sa molto su come si svolgevano le funzioni liturgiche ma certamente alcuni cantori avevano la responsabilità del coro nel santuario: si parla dei figli di Core e dei figli di Asaf. Sono singole raccolte più tardi inserite nel Salterio. I salmi non erano solo recitati ma cantati e accompagnati con numerosi strumenti. Alcune volte si danzava anche. L'assemblea si univa al coro con il canto di ritornelli come si può dedurre da alcuni salmi o con il dialogo tra diversi gruppi. Benché, come si deduce dall'uso dei salmi nel NT, si debba pensare che i primi cristiani avessero familiarità con queste raccolte, forse nei primi due secoli i cristiani durante le loro celebrazioni ai salmi preferivano preghiere e inni cristiani anche se intrisi di versetti tratti dai salmi, mentre queste preghiere erano usate per la meditazione. Più tardi per motivi dottrinali la Chiesa riprese i salmi e li inserì nella sua liturgia della Parola, non solo ma la gran parte dei salmi fu il fondamento della liturgia ebraica e cristiana. Dal III al VI secolo il salmo dopo la prima lettura veniva cantato da un salmista da un ambone e tutta l'assemblea si univa ripetendo come ritornello il versetto più significativo del salmo stesso (l'antifona!). In altre parole rispondeva alla Parola di Dio promulgata nella prima lettura (di qui chiamato salmo responsoriale!). Abbiamo ripreso oggi questa usanza di ripetere un salmo o parte di un salmo quasi come un'eco alla prima lettura ed è bene, quando è possibile, che questo sia cantato. In genere è stato scelto in funzione della prima lettura la quale, a sua volta, è stata scelta in funzione del Vangelo. Così il salmo responsoriale prepara ad accogliere il Vangelo. Il salmo responsoriale permette alla Parola di Dio ascoltata nella prima lettura di penetrare più profondamente in noi.
    Quando io recito i salmi mi metto in comunione con tutti coloro che prima di me, sia giudei che cristiani, si sono riconosciuti e si sono sentiti espressi in queste formule di lode e di adorazione, in questi lamenti, in queste suppliche e in questi appelli di speranza e di fiducia.
    È interessante scoprire come Gesù ha utilizzato i salmi, espressione prima della preghiera del suo popolo, e come i primi cristiani hanno riletto alla scuola di Gesù i salmi in funzione di lui.
    «Come ogni buon israelita. Gesù ha pregato con i salmi. Il Salterio è stato il suo manuale di vita liturgica e il suo libro di preghiera privata. Certo, il Vangelo resta muto su questo punto. Ma mostra Gesù troppo preoccupato di conformarsi agli usi dei suoi contemporanei e troppo familiarizzato con il contenuto dei salmi perché se ne possa dubitare» (L. Jacquet).
    La tradizione cristiana ha riletto i salmi alla luce dell'Incarnazione del Verbo, alla luce di Gesù. Il mistero dell'Incarnazione è perciò la chiave di lettura cristiana dei salmi.
    Quando l'assemblea liturgica canta o recita un salmo, lo fa in quanto comunità ecclesiale, in quanto corpo di Cristo, in quanto sua sposa prediletta. Essa manifesta se stessa al Signore, con tutta sincerità con i beni che riceve da lui, con le sue zone d'ombra e le macchie da cui egli la purifica. È perciò la preghiera della Chiesa che si esprime anche attraverso i salmi. Per essa la Chiesa penetra di più nel mistero della salvezza. Mistero da accogliere oggi continuamente come un tempo è avvenuto per il popolo di Israele di cui essa è erede.
    Ogni cristiano è chiamato ad amare e vivere i Salmi. Nella meditazione e nella riflessione costante si scopre l'arte della vera preghiera e il modo di far passare i sentimenti dei Salmi nella vita. Praticamente ruminare e assaporare i sentimenti del salmista cercando di farli propri, di riviverli e di assimilarli. Poi cercare di scoprire i pensieri che aveva il salmista per applicarli a se stessi in vista di un profitto personale. In altre parole trarre dai Salmi quelle idee universali inserite nel contesto concreto del mondo orientale antico per introdurle nell'esistenza reale di tutti i giorni. Trasportare nella società di oggi le idee religiose enunciate dal salmista arricchendole delle realtà e del compimento veterotestamentario.
    In poche parole occorre trattare il Salterio da vero amico a cui si confidano le proprie cose, in cui si cerca sollievo, conforto, luce, forza...
    Oppure, "considerare il Salterio come la fiducia della fidanzata in Colui che essa ama, il balbettio del bambino con la sua mamma, il libro di un popolo che vive alla presenza di Dio" (E. Charpentier). Non ci sono tanto delle idee, né dei sentimenti, quanto delle sensazioni: c'è la vita semplice e senza raggiri di un popolo che vive a cuore aperto davanti al suo Dio.
    Il salterio è il libro di un popolo talmente spontaneo e sincero davanti al suo Dio, che ciascuno di noi, nel corso dei secoli, vi si ritrova espresso con tutta la sua interiore esperienza.

    Quale Dio davanti all’orante

    Se i Salmi sono l'unica preghiera dialogica, essi contengono in sintesi le due battute del dialogo: l'iniziativa di Dio che mi parla e la mia risposta a Lui che mi parla. Il salterio è la celebrazione di una relazione...La teologia del salterio è una celebrazione della mistica e della spiritualità... Pascal facendo eco ad Agostino scriveva: «Solo Dio parla bene a Dio» e Agostino: «Dio, volendo essere lodato dagli uomini, si è lodato da se stesso; e poi ha messo nelle nostre mani questa lode perché la facciamo nostra».
    La ricca teologia su Dio che vien fuori dai salmi è nata dall'esperienza di fede e di preghiera del popolo di Dio. Scoprire la profondità dei rapporti reciproci significa scoprire quello che veniva creduto, sperato e amato e perciò pregato sia dal pio israelita che dalla comunità del popolo di Dio: è un Dio presente, il suo Nome esprime questa presenza, è un Dio vivente, un Dio santo e glorioso, un Dio forte e potente.

    Dio presente

    Questo è il primo aspetto che si può rilevare. Anche se le forme di «presenza» di Dio sono tante. Certamente non esiste nei salmi la concezione moderna e occidentale dell'ateismo teorico, e quando viene usato il termine nabal/«ateo, senza dio», parola chiave, per esempio, dei Sal 14 e 53, si indica la persona malvagia, stolta e immorale e la sua dichiarazione: «Dov'è il loro Dio?» ha un senso pratico concreto significa che Dio si disinteressa delle cose. È saggio invece «colui che cerca Dio» (Sal 14,2). Lo scetticismo che tante volte si riscontra nella Bibbia, ma anche nella nostra vita pratica, per cui sembra che Dio sia assente, che non intervenga a favore di chi lo invoca o di chi ha bisogno di Lui, è spesso attaccato dai sapienti della Bibbia anche per le conseguenze che esso comporta sul piano pratico e etico-sociale. E chi non vede Dio all'opera nella sua vita, anzi il contrario, ne rifiuta l'esistenza.

    Il Nome di Dio

    Il «Nome» di Dio indica la rivelazione della sua persona, la sua presenza. Ogni creatura, animata e inanimata, loda Dio, la grandezza del suo Nome (cf Sal 8). Il «Nome» è la persona stessa di Dio, presente nelle sue azioni di salvezza e nel suo santuario inespugnabile: «Come il tuo Nome, o Dio, così la tua lode si estende sino ai confini della terra; è piena di giustizia la tua destra» (Sal 48,11).

    Il Dio vivente

    Nei salmi Dio viene visto come il «vivente» per eccellenza, anzi come la «fonte della vita». E l'orante anela alle acque vive, alla fonte della vita che è Dio, il Dio della vita, il Dio vivente. Vivere per il salmista significa lodare, celebrare, rendere grazie a Dio per i continui benefici che egli concede agli uomini (cf Sal 42,3). «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (cf Sal 36,10): nel godimento spirituale della presenza di Dio il salmista trova la sorgente della vita a cui attingere. Dio è il padrone della vita perché non l'ha ricevuta da nessuno: «Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio» (Sal 90,2). Perciò Dio è «eterno da sempre» e «per sempre». Un Dio vivo, eterno e perciò anche immutabile: «In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani, tutti si logorano come veste, come un abito tu li muterai ed essi passeranno. Ma tu resti lo stesso e i tuoi anni non hanno fine» (Sal 102,26-28). Se Dio è vivo, eterno, immutabile, è anche onnipresente sia nel tempo che nello spazio: «Tutto ciò che vuole il Signore, egli lo compie in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi» (Sal 135,6). Egli sa tutto, la sua è una presenza onnisciente: «Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie (...). Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano (...). Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti» (Sal 139,1-3.5.7-8). Dio vede tutto e sa tutto. Nulla si può sottrarre a questo sguardo ma il suo non è lo sguardo di un giudice bensì quello di un padre che guarda con intelligenza e amore.

    Il Dio santo e glorioso

    «Santità» e «Gloria» sono due termini che esprimono due concetti frequenti nei salmi e ancora prima nel profeta Isaia. Il primo termine «santo» (qadosh), indica «separazione» da tutto ciò che è profano e perciò la trascendenza divina ma anche la pienezza di potere e di vita e perciò la divinità. In particolare il Sal 99 celebra Iahvè Re esaltando il suo nome che si è manifestato «grande e terribile» nella storia di Israele. E la fede del popolo è condensata nel ritornello: «Lodino il tuo nome grande e terribile, perché è santo» (Sal 99,3.5.9). Ma l'espressione il «Santo d'Israele» ricorre anche in Sal 71,22; 78,41...
    Il concetto di «gloria» (kabod) contiene l'idea di peso, densità. La gloria scaturisce dal peso della presenza e delle azioni di colui che la possiede. Nei salmi si parla di gloria che appartiene a Dio e nel Sal 8 è la gloria di Dio che passa all'uomo ed è unita a «splendore».
    Ma oltre ad essere «il Santo d'Israele», «il Dio glorioso» nei Salmi Iahvè è presentato anche come «il Potente di Giacobbe».
    All'idea di gloria, grandezza e potenza è collegata anche quella della forza. Dio è «forte».
    Il termine evoca l'immagine della guerra, infatti il «Forte» è l'«Eroe in battaglia». La Bibbia lo ha attribuito a Dio dandogli anche la connotazione teologica di onnipotenza sia nella creazione, e in questo senso evoca le battaglie cosmiche della letteratura mesopotamica, evocate anche dai racconti di creazione della Genesi, che nei suoi interventi nella storia di Israele. È il Sal 24 che lo usa riferito chiaramente a Iahvè e collegato a gloria e potenza:

    Chi è questo re della gloria?
    Il Signore forte e potente
    il Signore potente in battaglia (Sal 24,7-10).

    «Chi è questo re della gloria?» che arriva. È nientemeno che il Signore che ha dimostrato la sua eroica potenza in battaglia, contro i nemici del suo popolo e del suo regno (cf Sal 24,8).

    Cosa fa Dio per l’orante

    Esaminiamo ora alcuni elementi riguardanti gli atteggiamenti di Dio verso l'uomo: egli appare come creatore, provvidente e redentore/salvatore. I salmi indicano con termini caratteristici i comportamenti di Dio che vuole agire concretamente per la salvezza dell'uomo nella sua storia e sono la giustizia, la misericordia, l'amore e l'ira.

    Dio creatore

    Il Sal 104 può a ragione essere intitolato il «poema della creazione» Dopo i due racconti della Genesi questo salmo può essere considerato come il terzo racconto biblico della creazione. Ecco come vede questo salmo il mondo uscito dalle mani di Dio:

    Benedici il Signore, anima mia,
    Signore, mio Dio, quanto sei grande!
    Rivestito di maestà e di splendore,
    avvolto di luce come di un manto.
    Tu stendi il cielo come una tenda,
    costruisci sulle acque la tua dimora,
    fai delle nubi il tuo carro,
    cammini sulle ali del vento;
    fai dei venti i tuoi messaggeri,
    delle fiamme guizzanti i tuoi ministri (Sal 104,1-4).

    Questo salmo passa dal racconto della prima creazione a quello della provvidenza sempre attuale.
    Nel Sal 33 viene celebrata la creazione del cielo, la formazione del cuore di ogni uomo e l'elezione da parte di Dio di un popolo che diventa sua eredità (Sal 33,6-12). In questo salmo la creazione è vista come effettuata da Dio per mezzo della sua Parola e con il soffio del suo Spirito richiamando in modo evidente i primi versetti della Genesi (Sal 33,6.9).
    Un altro esempio di lode a Dio Creatore è il Sal 19:

    I cieli narrano la gloria di Dio,
    e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
    Il giorno al giorno ne affida il messaggio
    e la notte alla notte ne trasmette notizia.
    Non è linguaggio e non sono parole,
    di cui non si oda il suono.
    Per tutta la terra si diffonde la loro voce
    e ai confini del mondo la loro parola (Sal 19,2-5).

    I cieli, e la creazione, hanno un loro linguaggio chiaro e annunciano la maestà, la sapienza e la potenza di Dio. Questo «messaggio» è stato loro affidato da trasmettere all'uomo. Nella lode a Dio viene raccolta tutta la creazione. È un dono della bontà di Dio.

    Dio provvidente

    Dio «crea e provvede», nulla sfugge alla sua azione. Questa azione di protezione e di provvidenza è intimamente legata alla sua azione di creatore. Ecco perché si dice nel Sal 104 che Dio muove contemporaneamente le stelle e i cieli e fa sì che le montagne si alzino e le valli si abbassino, e tutto trova nel mondo il suo posto. La mano di Dio fa tutto e con un gesto di amore dà l'acqua alla terra assetata e il pane all'affamato:

    La tua giustizia è come i monti più alti,
    il tuo giudizio come il grande abisso:
    uomini e bestie tu salvi, Signore.
    Quanto è preziosa la tua grazia, o Dio!
    Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali (Sal 36,7-8).

    Perciò sono gli uomini e coloro che temono Iahvè che possono trovare in lui rifugio e protezione. Egli è «scudo» di protezione (Sal 91,1) ed è «fortezza» di difesa (Sal 18,2). È chiaro che la preferenza va ai miseri, agli afflitti, ai bisognosi, agli umili, ai poveri.

    Dio redentore e salvatore

    I due termini con cui si esprime l'intervento di Dio come «redentore, riscattatore, vendicatore» ricorrono spesso nei salmi in riferimento specie alla liberazione dalla schiavitù di Egitto ma anche alla liberazione dai nemici, dalle malattie e dallo sheol.
    «Redentore», è uno degli attributi più frequenti dati a Dio nei salmi. Questa azione redentiva di Dio può avvenire a livello individuale e a livello comunitario. Qualche esempio: nel Sal 103,4: Dio è «colui che redime dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia».
    «Salvatore», inoltre è uno dei titoli più comuni dati a Dio (Sal 7,11; 17,7...) sia nella forma concreta: «mio salvatore», Sal 27,9, che nella forma astratta «mia salvezza», Sal 18,3. Quando la salvezza è da una disgrazia nazionale, dalla guerra con il nemico allora possiamo tradurla anche con il nostro termine «vittoria». Nei salmi la salvezza ha uno spessore storico. Ma Dio interviene perché ama il suo popolo e il suo intervento è sempre concreto, storico, immediato, tempestivo. Nel Sal 95 l'orante ricorda gli avvenimenti dell'Esodo, in particolare gli episodi di ribellione, e fa di questi ultimi un esempio che il singolo individuo non deve seguire.
    Il Sal 78 è un bell'esempio di questa utilizzazione degli avvenimenti dell'Esodo e del deserto come lezione per tutte le generazioni future:

    Popolo mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento,
    ascolta le parole della mia bocca.
    Aprirò la mia bocca in parabole,
    rievocherò gli arcani dei tempi antichi.
    Ciò che abbiamo udito e conosciuto
    e i nostri padri ci hanno raccontato,
    non lo terremo nascosto ai loro figli;
    diremo alla generazione futura
    le lodi del Signore, la sua potenza
    e le meraviglie che egli ha compiuto (Sal 78, 1-4).

    Il progetto di salvezza entro cui è chiamato l’orante

    Ed ecco con quali comportamenti Dio agisce nell'opera della salvezza secondo i salmi:

    * Giustizia: in ebraico ha un senso più ampio che nel linguaggio umano di giustizia «distributiva» o «punitiva». Spesso è in parallelo con «salvezza» (cf Sal 3) e indica molte cose: l'assenza del male in Dio, la giustizia salvifica in cui emerge la bontà di Dio. Si tratta in genere dell'ordine che Dio ha posto nel mondo: ha quindi una dimensione cosmica. Altre volte la giustizia è intesa come opera di chi difende il diritto dell'oppresso: è una giustizia in cui si spera. Il dilemma «giustizia o bontà» non si pone né nella Bibbia né tanto meno nei salmi. La giustizia di Dio si coniuga con la sua misericordia: «Egli ama il diritto e la giustizia; la terra è piena del suo amore» (Sal 33, 5) oppure è interscambiabile: «Concedi la tua bontà a chi ti conosce, la tua giustizia ai retti di cuore» (Sal 36,11). Alcune volte è un attributo di Dio personificato assieme agli altri attributi:

    Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno.
    La verità germoglierà dalla terra
    e la giustizia si affaccerà dal cielo (...).
    Davanti a lui camminerà la giustizia
    e sulla via dei suoi passi la salvezza (Sal 85,11.12.14).

    * Misericordia: il termine per indicare la bontà-misericordia di Dio è il termine hesed, intraducibile nelle nostre lingue: indica la bontà, la graziosità, l'amore appassionato, la fedeltà, la misericordia che è relazionale e si manifesta in molti interventi salvifici. Un ritornello molto noto è questo: «perché il suo amore è eterno» (Sal 136). È la prima qualità del Dio dell'alleanza. Il Dio dei salmi è essenzialmente un Dio fedele su cui si può contare in tutti i momenti e in tutte le situazioni.
    * Amore: Dio nei salmi appare come «l’amante» per eccellenza. È l'amante di Israele nel passato, nel presente e nel futuro. Dio nei salmi è perciò l'amante della giustizia, di chi la possiede e di chi la fa.
    * Ira: è un modo umano per indicare la reazione di Dio alla non osservanza del patto da parte del popolo, alla malvagità degli empi e dei nemici di Israele. I salmisti pregano Dio perché la sua collera non li colpisca (Sal 6,2; 27,9) anche se sono convinti che: «la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita. Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia» (Sal 30,6).

    Quale orante davanti a Dio

    Ci sono uomini che rispondono a Dio in modo positivo.

    I poveri

    Perché il Signore ama il suo popolo,
    assicura ai poveri splendida vittoria (Sal 149,4).

    È il popolo degli oppressi che ha posto in Dio tutta la sua fiducia e che Dio ama più di qualsiasi altra cosa. Bisognerebbe rileggere tutto il salterio per accorgersi di come questi poveri che hanno posto la loro fede solo in Iahvè sono da lui amati. Qualche esempio.
    Una situazione particolare è alla base del Sal 34: un«povero» ('ani) ha ricevuto un favore dal Signore e vuole esprimergli tutta la sua gratitudine: «Se un povero grida, il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angustie» (Sal 34, 7). È la lezione che il salmista dà a tutto il popolo di cui fa parte e con cui si sente solidale invitandolo a ringraziare con lui il Signore perché la fede in Dio ripaga sempre abbondantemente. Appaiono qui quasi dei sinonimi che sviluppano il tema dell'essere «povero del Signore». Il «povero» è «l'uomo che teme il Signore»; è «l'uomo che in lui si rifugia»; «che cerca il Signore»; «il suo fedele»; «il giusto»; «chi ha il cuore affranto», e «chi ha perso ogni speranza»; e infine «il povero» è «il servo del Signore».
    Il Sal 37 dà una lezione di saggezza a un uomo impaziente che si lamenta della lentezza di Dio: «Spera nel Signore, non ti agitare...» (v.7). Forse la lezione è per un giovane a cui un anziano che conosce le abitudini di Dio nel governare il mondo raccomanda la pazienza perché «i poveri possederanno la terra e godranno benessere e pace» (v.11). L'ottimismo robusto della fede si rifugia nel domani sicuro; questi «poveri» trovano forse il loro destino pesante, la loro situazione violenta, la loro posizione non è di carattere sociologico ma ha un sapore religioso; si tratta di «coloro che sono sottomessi al Signore, a lui obbediscono». Anche qui ricorrono parallelismi. Gli 'anawim sono «coloro che sperano nel Signore...»; «i giusti»; «chi è benedetto dal Signore»; «i suoi fedeli»; «l'uomo buono» e «il giusto»; «quelli che in lui si sono rifugiati». È il vocabolario dell'alleanza, della giustizia e della povertà che qui confluisce per indicare questa folla vivace dei membri del popolo di Dio animati da un unico spirito.
    Il Sal 27, il salmo della fiducia. Esso inizia con una fiducia trionfante: «Il Signore è mia luce...mia salvezza...», prosegue con una fiducia fortificante perché non si tratta di ottimismo beato e ingenuo; egli è in lotta contro i nemici che si accaniscono contro di lui, ma fa leva non sulla propria forza bensì su un suo solo desiderio: l'unione con Dio. Essere ospite di Dio, vivere nella sua casa. Ed ecco quelle belle immagini concrete proprie della lingua ebraica: il baluardo, il tremare, la carne straziata, l'inciampare, lo schierarsi dell'esercito nemico, il divampare della battaglia, l'abitare nella casa di Dio, ecc. Ma la guerra continua ed egli ha ancora bisogno dell'aiuto di Dio finché, e il salmo si conclude con questa fiducia serena della speranza escatologica, egli afferma «Sono certo: godrò tra i viventi la bontà del Signore. Spera nel Signore, sii forte e coraggioso, spera nel Signore» (vv. 13-14).

    I giusti

    Il termine ricorre molte volte nei salmi. Ha tre significati principali: il «diritto delle persone» (oggettivo), il «rispetto del diritto» (giustizia sociale) e una relazione a Dio che cerca di rispettare il progetto di Dio sul mondo. Quindi il senso dell'aggettivo è: chi si conforma all'ordine voluto da Dio. È, nei salmi, uno degli attributi principali del credente. Accanto a questo termine ricorre anche «retto»: è l'innocente, l'uomo retto, colui che agisce con rettitudine.

    I pii e i santi

    Sono una categoria di persone che fanno della loro «pietà» al Signore quasi come un distintivo. Queste stesse persone vengono chiamate nel Sal 34 i «santi».

    I luoghi dell’incontro di Dio e l’orante

    «L'incontro dell'uomo con Dio, in via ordinaria, avviene, nei salmi, in quattro sfere dell'esperienza religiosa, che sono come "i segni di Dio": la natura che testimonia il dominio e l'onnipotenza di Dio e nelle teofanie accompagna la sua presenza: la storia che è, sotto il profilo religioso, la sua epifania, cioè la sua manifestazione all'uomo mediante gli eventi; il tempio, il luogo della sua presenza; Israele, l'oggetto e il veicolo, al tempo stesso, della divina salvezza» (M. Magrassi)

    Nella natura

    Il creato appare nei salmi al servizio dell'uomo. Tutto quello che circonda l'uomo appartiene a lui e il Signore l'ha fatto per lui perché interpretando l'armonia del creato lo lodi a nome di tutte le creature (Sal 8). Tutto il creato narra e canta la gloria di Dio (Sal 19). Attraverso la natura l'uomo comprende che la gloria di Dio riempie tutto.

    Nella storia

    Per i salmi l'uomo incontra Dio nella storia perché Dio cammina con il suo popolo (Sal 114). Nella storia le colpe dei padri si intrecciano con la bontà e la misericordia di Dio (Sal 106). E Dio appare come il grande educatore del suo popolo proprio nella storia (Sal 107).
    Il n. 15 della «Dei Verbum» che parla della pedagogia di Dio nell'AT accenna anche all'ammirabile tesoro di preghiera contenuto nell'AT, in particolare nei salmi. Essi presentano una specie di attualizzazione tipologica che consiste nell'applicare a un individuo gli avvenimenti del passato che sono stati vissuti da tutto il popolo.
    Conoscere Dio e convivere con Lui è il dono più prezioso che si possa desiderare: «Il tuo amore è più prezioso della vita...» (Sal 63,4). Il senso della vita è camminare verso Dio: «la mia felicità è camminare sempre verso il Signore...» (Sal 73,28).
    Camminare verso Dio significa scoprire che tutte le cose sono relative e trovare la vera pace, la pace di Dio:

    Signore, il mio cuore non ha pretese,
    non è superbo il mio sguardo,
    non desidero cose grandi
    superiori alle mie forze:
    io resto tranquillo e sereno.
    Come un bimbo in braccio a sua madre
    è quieto il mio cuore dentro di me... (Sal 131,1-2).

    Il Sal 136 poi è una «litania dell'amore eterno» e ricapitola tutta la storia d'Israele incentrandola sulla certezza della fedeltà di Dio.

    Nel tempio

    Gerusalemme è il nome che indica il santuario centrale della tribù di Israele. Al centro sta la casa di Iahvè: «negli atri della casa del Signore, in mezzo a te, Gerusalemme» (Sal 116,19). È la città dove dimora il Signore, di qui rifulge la sua teofania, di qui viene incontro agli oppressi, ed esce la sua benedizione. La comunione con Dio avviene nel tempio e perciò il levita esule ne sente tutta la nostalgia. «Cercare il volto di Iahvè» significa andare al suo tempio:

    Una cosa ho chiesto al Signore,
    questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore
    tutti i giorni della mia vita,
    per gustare la dolcezza del Signore
    ed ammirare il suo santuario (Sal 27,4).

    Nella situazione in cui si trova il salmista la cosa più desiderabile è andare ad abitare assieme al Signore, diventare inquilino di Dio. Questo solo egli chiede al Signore. Diventare inquilino di Dio significa godere dell'intimità stessa di Dio.

    In Israele

    È il popolo dinanzi al Signore nel culto, l'assemblea a cui è rivolta la parola e che ascolta: «Ascolta, popolo mio, voglio parlare, testimonierò contro di te, Israele!» (Sal 50,7). Ma Israele radunato nel culto è anche la comunità che risponde, è la comunità che loda e onora Dio nella gioia. L'assemblea aspetta e implora la benedizione di Iahvè. Il popolo radunato per il servizio liturgico è continuamente invitato a sperare in Iahvè. La comunità cultuale «è l'Israele della storia di Dio, che l'Antico Testamento in ogni sua parte annuncia e di cui racconta; è il popolo di Dio che, nel culto, si prepara a percorrere e completare il suo cammino nel mondo dei popoli, ma che è anche diretto da Iahvè (Sal 50,7) e preparato a non venir meno alla sua destinazione e al suo fine» (M. Magrassi)

    La meta dell’orante: verso l’incontro definitivo di Dio

    La teologia dei salmi non è facile da descrivere. Qui ho cercato di evidenziare la concezione di Dio nel suo rapporto con l'uomo. In altre parole si può conoscere il «Dio dei Salmi» vedendolo agire nei riguardi dell'uomo. Il Dio che appare nei salmi è il Dio in cui il popolo crede, in cui spera, che ama: lo ha visto intervenire nella sua esperienza personale e comunitaria. Quello che Dio è in se stesso e quello che ha fatto per il suo popolo è divenuto il contenuto della sua preghiera. La preghiera dei salmi è scaturita dalla vita del popolo che ha visto in tante forme e in tanti momenti di gioia, di dolore, di sconfitta, di delusione, di difficoltà il Signore accanto e lo ha potuto incontrare e conoscere così come il Dio della bontà, dell'amore e della misericordia.
    Lo ha conosciuto come un Dio sempre «presente» e «vivente» accanto a sé e che si è manifestato come un Dio glorioso e Onnipotente, un Dio creatore, provvidente, redentore e salvatore. Un Dio che ha avuto nei riguardi del suo popolo un comportamento di giustizia, di misericordia e di amore ma anche di ira contro i trasgressori del patto e i nemici del suo popolo.
    Un Dio in comunione con l'uomo attraverso queste sfere dell'esperienza religiosa, la natura, la storia, il tempio e Israele. Ma soprattutto un Dio che attende l'uomo per un incontro definitivo con lui.
    Nei salmi di maledizione si tratta quasi sempre di violazione della giustizia sociale e in essi viene espressa la situazione dei poveri che implorano giustizia da Dio.
    Il realismo e la testimonianza di vita che traspaiono dai salmi danno conferma che Dio è una realtà gratuita per il bene di ogni uomo. I salmi toccano il fondo della realtà umana e nell'incontro che essi provocano tra l'uomo e Dio fanno sbocciare nel cuore dell'uomo grandi virtù: il coraggio di vivere (Sal 26,1-3) e tranquillità da suscitare invidia (Sal 4,8-9).
    A completamento del quadro tratteggerò ora alcuni elementi sul tema della preghiera negli scritti del NT

    La preghiera nel NT

    Di solito Luca viene considerato come «l’evangelista della preghiera». E opportuno forse dare un rapido sguardo ai quattro vangeli per vedere come in realtà ognuno ha un suo modo di visualizzare e presentare la preghiera di Gesù.

    Marco

    L’evangelista Marco ricorda parecchie volte il fatto che Gesù prega (Mc 6,41;7,34;8,6-7;14,22-23.32.35.39;15,34). In tre casi dice espressamente che Gesù si ritira in un luogo deserto per pregare (Mc 1,35: dopo la «giornata di Cafarnao»; 6,46: dopo la moltiplicazione dei pani; 14,32-39: prima dell’arresto, prega nell’orto del Getsemani). Marco poi attribuisce l’insuccesso dei discepoli alla mancanza di preghiera: «...- Questa razza di spiriti non si può scacciare in nessun altro modo se non con la preghiera!» (Mc 9,29).
    Il secondo evangelista pur parlando della preghiera in genere e della preghiera di Gesù in particolare non sembra mostrare un interesse diretto per questo argomento. Non riporta infatti il modello di preghiera insegnata da Gesù, «il Padre Nostro», e quando parla della preghiera sembra mettere l’accento su altre cose, la fede, la disponibilità a perdonare, sul pericolo dell’ipocrisia quando si fanno lunghe preghiere.
    Il vangelo di Marco è invece considerato come il vangelo di «Gesù in azione». Vengono riportati più i fatti compiuti da Gesù che non i suoi insegnamenti, come appare invece in Matteo. Talvolta Marco constata che Gesù comincia ad insegnare e non ne riporta poi gli insegnamenti.

    Matteo

    Il primo evangelista ci offre invece un materiale più ricco a riguardo della preghiera di Gesù, anche se molte volte le sue sono notizie che ritroviamo anche nel vangelo di Luca.
    Per esempio, l’inno di giubilo (Mt 11,25-27; Lc 10,21-22), l’istruzione sull’efficacia della preghiera («chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto...», Mt 7,7-11; Lc 11,9-13), la parola di Gesù: « Allora disse ai discepoli: “La messe da raccogliere è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe” (Mt 9,37-38; Lc 10,2), il comando di amare i nemici e di pregare per i persecutori (Mt 5,44; Lc 6,27-28), la preghiera del «Padre Nostro», di cui parlerò più sotto.
    Ci sono però dei testi che sono esclusivi di Matteo, come quelli che riguardano la preghiera da fare nel segreto della propria camera o quando ammonisce di non dire molte parole nella preghiera come fanno i pagani. In questo caso però, Matteo non intende approfondire il significato della preghiera quanto piuttosto di stabilire delle norme della nuova religiosità del discepolo di Gesù. Anche quando parla della preghiera compiuta in due o tre riuniti insieme (Mt 18,19-20) intende parlare non della preghiera in sé, quanto piuttosto del senso della preghiera nella vita comunitaria. Ma il vangelo di Matteo non riporta le parabole sulla preghiera che caratterizzano il vangelo di Luca.

    Luca

    Ben otto volte invece l’evangelista Luca parla della preghiera di Gesù e in cinque casi non si trova alcun parallelo negli altri due sinottici. Soltanto Luca dice che Gesù dopo essere stato battezzato si mise a pregare, e in occasione della salita sul monte dove avvenne la Trasfigurazione Luca dice che «Gesù salì sul monte per pregare» (Lc 9,28).
    Luca è l’evangelista che più spesso parla di Gesù che prega e ne sottolinea il carattere abituale.
    Dopo aver detto che Gesù con il «Padre Nostro» insegnò ai discepoli a pregare, l’evangelista riporta la parabola dell’amico importuno (Lc 11,5-8) in cui Gesù invita i discepoli a pensare quale sarebbe la loro reazione se fossero svegliati nel cuore della notte da un disturbatore che chiede del pane. La lezione è che Dio non può non concedere quello che gli si domanda con insistenza. Ancora un altro esempio: nessun padre, per quanto cattivo, nega il cibo a suo figlio; a maggior ragione Dio non può rifiutare di accogliere la preghiera di un bisognoso (Lc 11,9-13). Ma il terzo Vangelo contiene altre due parabole, uniche, sulla preghiera: quella del giudice iniquo e della vedova importuna (Lc 18,1-8) e quella del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14).
    Luca si distingue dagli altri evangelisti nel sottolineare l’insegnamento di Gesù sulla necessità di una preghiera fiduciosa e perseverante, sostenuta dalla certezza che Dio l’ascolta sempre. Questo carattere della perseveranza ritorna anche nella presentazione della preghiera comunitaria di cui parla Luca a proposito della preghiera nella chiesa apostolica negli Atti degli Apostoli.

    Giovanni

    Il quarto vangelo ha come preoccupazione prioritaria la cristologia e se fa riferimento alla preghiera lo fa soltanto per mettere in luce l’intima e perenne unione di Gesù con il Padre. Si pensi alla cosiddetta «preghiera sacerdotale» di Gv 17.
    Ma anche per Giovanni la preghiera è strumento essenziale dell’unione del credente con Dio (Gv, 15,1-11). Quelli che dimorano in Cristo sono invitati a pregare nel suo nome, perché se chiederanno qualcosa nel suo nome, egli la farà (Gv 14,13-14).

    La preghiera del «Padre Nostro»

    Questo insegnamento di Gesù si trova sia in Luca che in Matteo. Nel c.11 del vangelo di Luca si dice che i discepoli chiedono a Gesù «insegnaci a pregare» (v.1) e Gesù propone come modello di preghiera il «Padre Nostro». È una preghiera di domanda che contiene solo cinque richieste, più corta di quella riportata da Matteo che ne ha sette (Mt 6,9-13), ma soprattutto ha una diversa accentuazione. Il contesto di Luca mette l’accento sulla domanda del pane quotidiano, mentre quello di Matteo subito dopo l’invito a perdonare agli altri per essere a nostra volta perdonati dal Padre.
    Un’osservazione interessante da fare è che nel contesto di Luca i discepoli chiedono a Gesù come pregare vedendolo mentre prega. La preghiera che Gesù insegna non è una preghiera che si impara, essa esce dalla preghiera di Gesù, ed è questa il fondamento e la radice della nostra preghiera. Gesù prega, perciò può insegnare anche a noi a pregare il Padre e a pregarlo così.
    Egli porta a compimento pieno con la sua persona, la sua voce e il suo insegnamento una preghiera, una delle più antiche, con cui gli ebrei concludevano e concludono la lettura, lo studio della Torah e alcune parti del culto sinagogale. Data la somiglianza, almeno con la prima parte del «Padre Nostro», la riporto qui in sinossi con la preghiera cristiana nella redazione di Matteo.

    Qaddish

    Che sia magnificato
    il suo Nome grande,
    nel mondo che Egli ha creato
    a Sua volontà:
    ch’Egli faccia regnare
    il suo Regno,
    nella vostra vita
    e nei vostri giorni,
    nei giorni di tutta la Casa d’Israele,
    adesso e nel tempo prossimo
    e che si dica: Amen!
    Che il suo grande Nome
    sia benedetto per sempre, nei secoli dei secoli.
    Benedetto, lodato, celebrato, esaltato, venerato, onorato, magnificato e lodato sia il Nome del Santo,
    sia benedetto lui, che è al di sopra di ogni benedizione, di ogni cantico, di ogni lode che può essere recitata in questo mondo. Dite: Amen!
    Una pace abbondante e la vita scenda dal cielo
    su di noi e su tutto Israele. Dite: Amen!
    Colui che ha fatto la pace sulle altezze
    diffonda la pace su di noi e su tutto Israele.
    Dite: Amen!
    Che il Suo Nome grande sia benedetto
    nei secoli dei secoli. Amen!»

    Padre Nostro (Mt 6,9-13)

    Dunque, pregate così:
    Padre nostro che sei in cielo,
    fa' che tutti ti riconoscano come Dio,
    che il tuo regno venga,
    che la tua volontà si compia
    in terra come in cielo.
    Dacci oggi il nostro pane necessario.
    Perdona le nostre offese
    come noi perdoniamo a chi ci ha offeso.
    Fa' che non cadiamo nella tentazione,
    ma liberaci dal maligno


    La preghiera di Paolo

    La conclusione del cosiddetto “testamento spirituale di Paolo”, il discorso di Mileto (At 20, 18-36), presenta Paolo nel gesto di inginocchiarsi e di pregare assieme a tutti i presbiteri di Efeso: «Dopo aver così parlato, si mise in ginocchio e pregò con tutti loro». Paolo e Luca sanno bene che il miglior insegnamento, in questa materia, è soprattutto l’esempio.
    Tutta la nostra vita deve essere informata dalla preghiera. Non c’è un tempo particolare destinato alla preghiera. Ecco che cosa dice Paolo:

    Il messaggio di Cristo, con tutta la sua ricchezza, sia sempre presente in mezzo a voi. Siate saggi e aiutatevi gli uni gli altri a diventarlo. Cantate a Dio salmi, inni e canti spirituali, volentieri e con riconoscenza. Tutto quello che fate, parole e azioni, tutto sia fatto nel nome di Gesù, nostro Signore; e per mezzo di lui ringraziate Dio, nostro Padre (Col 3,16-17).

    Bisogna pregare sempre (1 Ts 5,17). Le Lettere ci presentano Paolo come un uomo di grande preghiera. Egli inizia infatti tutte le sue Lettere con una preghiera di ringraziamento e di benedizione. Ma l’Apostolo conosce anche la supplica nei tempi di prova e di sofferenza. La sua preghiera presenta un carattere trinitario. Ha sempre come ultimo destinatario il Padre. Gesù Cristo appare come mediatore: «nel nome del Signore Gesù» bisogna rendere grazie al Padre (cf per esempio Ef 5,20). Ma anche lo Spirito Santo che «viene in aiuto alla nostra debolezza» suggerendoci che cosa sia conveniente domandare nella nostra preghiera. Egli ci svela che siamo figli di Dio e ci dà la possibilità, perché «figli nel Figlio» di invocare il Padre con il dolce nome di Abbà/Padre, come Gesù (Gal 4,6).

     


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