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    12. Evangelizzare da laici il cuore del mondo


    Giovanni Fedrigotti, NUOVA EVANGELIZZAZIONE CON LO STILE DI DON BOSCO, Inedito 1999

     
     

    "È necessario che noi abbiamo nel secolo (...)
    gente che praticando tutto lo spirito dei salesiani
    vivano in seno alle proprie famiglie" (Don Bosco).


    Nicodemo: un laico alla scoperta di sé (Gv 3,1-8)

    Il capitolo terzo del vangelo di Giovanni ci presenta Nicodemo che, in cerca di verità e di vita, si incontra con Gesù. Egli viene di notte (Gv 3,2) ed è chiamato a confrontarsi con la "sfida della luce" (Gv 3,19-21). La sua è una "fede parziale", ancor troppo legata ai segni e bisognosa di purificarsi a contatto con la Parola e col soffio dello Spirito.
    L’evangelista aveva notato poco sopra (v..25) che Gesù conosceva che cosa c'è nell'uomo. L'episodio di Nicodemo viene a confermarlo. Non si tratta di un uomo qualunque. Egli ha un gruppo-partito di riferimento politico religioso (i Farisei), ha una posizione politica (membro del sinedrio) e sembra rappresentare un gruppo autorevole di giudei, che faticosamente venne a credere in Cristo (cf anche 7,50; 19,39). Il suo gruppo di appartenenza lo vincola strettamente alla legge, che era - come Gesù e Paolo dimostrano - forza e vincolo ad un tempo.
    Viene di notte. La notte rappresenta il regno dell'ignoranza e del male. Nicodemo esce dalla notte e si confronta con la Luce. Era, il suo, timore dei Giudei? O l’abitudine, tipicamente rabbinica, di impegnare parte della notte per studiare la legge, confrontandosi con "un maestro venuto da Dio"?
    L'incontro è stato preparato, perché Nicodemo. è uomo che osserva, si interroga e sa tirare le sue conclusioni: “Rabbi, noi sappiamo che sei un Maestro uscito da Dio: nessuno può compiere i segni che tu fai se Dio non è con lui”.
    “Maestro”, per i Farisei, era colui che, partendo dalla legge, mostrava la strada di Dio. Certo, Nicodemo è uomo che ha una sua vita interiore, la coltiva, anela ad ulteriore spiritualità. E ha l'umiltà, l'atteggiamento discente, che lo muove a ricercare e consultare maestri, pur partendo da un orizzonte ristretto alla legge e da un gruppo fin troppo fiero di sé.
    Gesù non si ferma a scambiare complimenti con lui, ma, di brutto, gli dice che bisogna nascere di nuovo, nascere dall'alto (v.3: la parola greca vuol dire dall'alto, ma anche di nuovo: nello stile giovanneo il fraintendimento diventa base di un ulteriore approfondimento). Come il figlio dell'uomo è legato all'esistenza di un padre terrestre, così il figlio di Dio è legato alla presenza operosa e feconda del Padre celeste. È l'irruzione del progetto di "figliolanza divina", che fonda la dignità dell’uomo e del cristiano. Per Giovanni, il seme da cui nasce l'uomo nuovo è lo Spirito (v.5).
    Occorre ri-nascere dall’alto e di nuovo (v.3, v.7), occorre nascere da acqua e da Spirito (v.5), perché quel che è nato dallo Spirito è Spirito (v.6). Dietro il dialogo giovanneo è facile leggere, in filigrana, sia la controversia paolina fra la legge e lo spirito, sia la tensione, vissuta nel cristianesimo primitivo, fra sinagoga e comunità cristiana.
    “Come può un uomo nascere se è già vecchio”?- domanda Nicodemo. Egli appare come l’uomo di buon senso che fa fare a Gesù la figura dell’utopista. “Ognuno è figlio del proprio passato, di una tradizione e di un’esperienza; su di essa può costruire e svilupparsi, ma è illusorio pretendere di cominciare di nuovo. Chiudendosi nel suo passato, Nicodemo professa un determinismo che nega a Dio la possibilità di intervenire nella storia con un nuovo gesto creatore; esclude così la possibilità del cambiamento radicale. Gesù, al contrario, afferma la libertà.” (Barreto).
    “Dalla carne nasce carne, dallo Spirito nasce Spirito” (v.6). Per Nicodemo. sembra prevalere lo sforzo dell’uomo, per Gesù determinante è il dono di Dio. Nel primo caso prevale la carne e il suo orizzonte statico, nel secondo caso lo spirito e il suo orizzonte dinamico. La carne vincola alla madre, alla razza, a Israele. Lo Spirito all’imprevedibile e all’universalità
    Nicodemo è “uomo del sabato”, pensa che la creazione non continui, che Dio abbia terminato la sua opera. Gesù, “uomo della Domenica”, annuncia la Risurrezione continua e la continua effusione dello Spirito, speranza di ogni rinnovamento personale, ecclesiale, sociale..
    “Il vento soffia dove vuole, e ne odi il rumore, anche se non sai da dove viene nè dove va. Questo avviene per chiunque è nato dallo spirito” (v.8). Lo spirito è libero, imprevedibile, inclassificabile, in base a razza, legge, popolo, ecc. Lo spirito è senza frontiere e sceglie Lui stesso le proprie regole - come dimostrerà ampiamente il libro degli Atti - non le prende nè dal passato nè dal presente (ma, caso mai dal futuro, perché lo crea). Per Nicodemo. si impone una scelta: abbandonare l’illusione di “inquadrare” Gesù, per lasciarsi “inquadrare” (cioè “liberare”) da Lui.
    Dopo l’incontro con Gesù, l’uomo della notte è diventato “figlio del giorno” e si è fatto testimone. Nel seguito della storia (Gv 7,50-52), troviamo in Nicodemo un uomo ormai in grado di opporsi all’interpretazione tendenziosa del suo clan; il coraggio di non lasciarsi irretire da dogmi prefabbricati.
    Assieme a Giuseppe d'Arimatea, sarà Nicodemo a prendersi cura del cadavere di Gesù (Gv 19,39).Tocca a lui tributare al corpo Crocifisso l'omaggio che Maddalena aveva offerto al Cristo vivente. E lo fa, anch'egli, con grande generosità.
    È singolare la presenza di questi due laici - Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo - che, mentre tutti i discepoli se ne stanno rifugiati nel cenacolo (o ancor più lontano), "escono allo scoperto", mostrando la loro lealtà verso Gesù. L'ora della persecuzione è sempre, a speciale titolo, anche l'ora dei laici, che sono protagonisti dell’era dei martiri, o , meglio, di quel “martyrum candidatus exercitus”, che è la forza della chiesa, in ogni epoca storica. Chi è capace di martirio è capace di ogni altra cosa, quando si tratti di spendersi per la causa del Regno dei Cieli.

    Don Bosco: un santo “laico”

    Capo del laicato torinese
    "L'Italia laica deve molto a don Bosco", affermava Aldo Santini, scrivendo su "Oggi". E aggiungeva: "Tra tutti i santi della storia cristiana, don Bosco è quello che ha dimensioni più vicine a quelle di noi comuni peccatori. È un santo che lascia dietro di sé il profumo dell'amicizia, con il quale si può parlare, non soltanto pregare".
    Si è potuto parlare di una Christifideles laici scritta e vissuta da don Bosco", sottolineando così l'attualità della sua proposta al laicato cristiano, ed evocando alcune "parole" caratteristiche.
    Scrivendo a don Cagliero nel 1876, don Bosco buttava lì una battuta: "Tu sei musico, io sono poeta di professione":è' nota a tutti la "poesia" di "don Bosco con i giovani"; forse meno nota, ma non meno significativa, è la "poesia" di "don Bosco con i laici".
    Se don Giovanni Turchi poteva scrivere: "Don Bosco era diventato il capo dirigente del movimento cattolico nel laicato torinese", è segno che quella poesia - ancor lui vivente - aveva cominciato a trasformarsi in storia.
    I tempi della chiesa, che stiamo vivendo, ci invitano a ripassarla un poco questa poesia, riconoscendo in essa un tratto non secondario della spiritualità che don Bosco ha donato alla Chiesa

    Stile secolare
    In preparazione al primo capitolo generale (1877), don Bosco stese degli appunti, che ci sono rimasti. In uno di essi, scrive: "Ora è necessario che noi abbiamo nel secolo degli amici, dei benefattori, della gente che praticando tutto lo spirito dei salesiani vivano in seno alle proprie famiglie". L'anno precedente, nel Regolamento dei cooperatori, il Santo offriva ad essi una modalità di vocazione salesiana, che permetteva di "continuare in mezzo alle loro ordinarie occupazioni, in seno alle proprie famiglie, e vivere come se di fatto fossero in Congregazione".
    L'audace proiezione verso i giovani e il loro mondo, la decisione di togliere barriere per moltiplicare collaborazione, il bisogno che gli educatori siano accettati dai giovani come "modelli di vita", la determinazione di espugnare il cuore del "secolo" per operarvi salvezza sono stati fattori determinanti nella stessa fondazione della congregazione salesiana.
    Pio IX, che delle cose salesiane, per volere del Cielo, ebbe singolare intuizione, udendo i progetti innovatori di don Bosco, esclamava con entusiasmo: "La vostra congregazione è la prima nella chiesa di genere nuovo (...), ordine religioso e secolare, che partecipi del mondo e del chiostro, i cui membri siano religiosi e secolari (...)! Fu istituita perché si vegga e vi sia il modo di dare a Dio quello che è di Dio, a Cesare quel che è di Cesare!".
    Una tale laicità è componente integrante dello spirito salesiano. Nel famoso "sogno del manto o dei diamanti", don Bosco aveva visto tracciata la identità del salesiano in un personaggio, che portava sul petto i diamanti della fede, speranza carità; sulle spalle quelli del lavoro e della temperanza; e, dietro le spalle, quelli di povertà, castità, obbedienza, digiuno, premio. Riprendendo una intuizione di don Rinaldi, a commento di tale sogno, don Egidio Viganò scriveva: "A tergo, nella parte posteriore del manto, si delinea la struttura di spinta - quasi nascosta e meno visibile - che dà forza e assicura l'esito (...) con un aspetto da proclamare esplicitamente in pubblico e un altro da riservare all'esercizio personale e domestico di allenamento e di "performance" atletica".
    Gli stessi consacrati, dunque, secondo don Bosco avrebbero dovuto assumere un "disinvolto stile laicale", alla cui radice, tuttavia, doveva esserci una formidabile irrorazione evangelica.
    Il beato Filippo Rinaldi, che ha raccolto con singolare fedeltà ed efficacia le intuizioni di don Bosco, è stato particolarmente attento alla dimensione "secolare" dello spirito salesiano, che egli ha espresso sia nella istituzione delle VDB (l’Istituto secolare delle Volontarie di don Bosco) che nella speciale cura degli ex allievi. "Don Bosco - egli affermava - "parlava appunto di due classi distinte di persone, osservanti una stessa regola, una delle quali formasse comunità e l'altra vivesse nel mondo, per ivi promuovere lo spirito della Congregazione, nella esplicazione pratica dell'azione".

    Laicità missionaria
    Alla radice di tutto c'è sempre il "Da mihi animas", e l'ansia pastorale di don Bosco per la salvezza dei giovani. "Il nostro fondatore si preoccupò sempre - scriveva don Viganò - di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibile nel suo progetto operativo, da Mamma Margherita, ai datori di lavoro, alla gente buona del popolo, ai teologi, ai nobili e persino ai politici dell'epoca".
    Sia che si voglia sottolineare la spiritualità "secolare" dei religiosi salesiani, sia che si preferisca accentuare la "componente secolare" della Famiglia Salesiana, un fatto resta chiaro: don Bosco non poteva rassegnarsi a pensare che i "suoi" restassero "confinati" "dentro" le mura delle loro case, mentre "fuori" i ragazzi se ne stavano "come pecore senza pastore". Ma chi era "dentro" doveva essere pronto ad "uscire" e a misurarsi col mondo; e chi era "nel mondo" era chiamato ad "entrare" nella stessa logica evangelica e missionaria, che doveva animare la comunità salesiana.
    Don Bosco pensava così ad una grande Famiglia Salesiana - interna ed esterna, religiosa e secolare, maschile e femminile - unita dal Vangelo, dal Sistema Preventivo, dalla stessa passione missionaria e giovanile.
    Da una parte dominava in lui la ferma convinzione che occorre "provvedere ai fanciulli, che non sono perversi, ma solamente abbandonati". Dall'altra sentiva vivamente il bisogno di mobilitare tutte le forze valide per presidiare questa frontiera, dalla cui tenuta dipende il futuro della società e della chiesa.
    Per questo sogna una "catena di carità", capace di stringere tutto il mondo, per la salvezza dei giovani. "Qui si ha per fine principale - scrive il santo nel Regolamento dei Cooperatori - la vita attiva nell'esercizio della carità verso il prossimo e specialmente verso la gioventù pericolante". Nella sua "Storia Ecclesiastica" - nota Franco Molinari - emerge la stessa sensibilità, poiché don Bosco "privilegia i personaggi della carità e mette al primo posto i manager di Dio, che hanno costruito "strutture di amore".
    Nella vita e nella coscienza della chiesa si fa oggi strada ed emerge in primo piano il tema del "volontariato" - così significativo oggi, non solo in Italia - divenuto una delle "vie maestre", su cui può camminare un laicato, che voglia davvero esprimere la sua carità, come una energia per trasformare il mondo, specialmente giovanile, e innestarvi il mistero della salvezza.
    Ciascuno di noi, in questi decenni, ha avuto davanti agli occhi qualche straordinaria figura di volontario, che - assiduo, fedele, disinteressato, con lo sguardo levato verso Dio e don Bosco con indomabile entusiasmo - ha "fatto scuola", più con la vita che con le parole, di missionarietà educativa. Essi ci hanno convinto con la loro vita, che certe diffidenze verso i laici, certe eccessive prudenze, certe mentalità che continuano a vedere in loro dei cristiani di serie "B" non hanno fondamento.
    "All'interno della Chiesa don Bosco chiamò a nuova responsabilità il laicato. Nella stessa congregazione da lui fondata "il laico consacrato" convive col sacerdote, pur svolgendo differenti aspetti di un compito unitario; pure i "laici nel secolo" furono invitati ad agire, in forme diverse, ma sempre in linea con un consapevole attivismo, che li qualificava come componenti responsabili della società e della Chiesa" (Francesco Motto).

    Laici impegnati nella chiesa d’oggi

    Sfere d’impegno laicale
    Sempre più si allarga, nel mondo e nella chiesa, lo spazio d’azione dei laici, nel quale si possono ritagliare alcune "sfere privilegiate". Speciale attenzione meritano:
    * La vita familiare e i giovani: ragazzi e giovani son lì, e la famiglia è importante, perché è lo spazio in cui l’amore genera incontri pieni di gioia e una fecondità colma di speranza.
    * Il mondo del lavoro: non si tratta solo di "lavorare" in un certo modo, ma di dedicare una specifica attenzione al "mondo del lavoro". Qui rientrano i temi vasti della imprenditorialità e dell'impegno sindacale, dell'apprendistato e dei contratti di "formazione lavoro" per i giovani, della scuola professionale e dell'etica sociale, dell’ingresso nel terzo settore e dell’incoraggiamento al privato sociale ecc. Impegnarsi qui, con gli occhi aperti sui giovani, è vero e urgente apostolato.
    * I diritti umani: è un'area che sta promuovendo una lenta, ma sicura rivoluzione. Si tratta di "dare all'uomo ciò che è dell'uomo", secondo il progetto di Dio. Il laico cristiano vi si impegna con entusiasmo, per promuovere l'uomo-che-Dio-vuole. Laddove tutti i diritti umani sono difesi - specie quelli dei più “indifesi”: dei piccoli, della donna, dei nascituri, dei poveri, degli anziani, dei migranti… -, si allarga lo spazio in cui Dio regna.
    * La cultura, la scuola e la comunicazione sociale: esse sono state indicate come la prima tra le "vie preferenziali" per la Nuova Evangelizzazione". Nessuno che ami i giovani (e non solo loro) potrà disinteressarsi di ciò che "fa" cultura, nel senso ampio del termine. Poiché di "cultura" essi vivono, e di "cultura" possono morire.
    * La formazione politica: la nuova società politica italiana ha bisogno di chi si impegni, con cuore cristiano, ad approfondire i "valori portanti" della comunità politica. A perseguire, con l'impegno diretto, "il bene comune", non inquinato da privati interesssi. A ritirarsi, senza "occupare" il potere, quando nuove generazioni ben preparate siano pronte a subentrare.

    Elementi di uno stile laicale
    Non esiste uno stile laicale “per tutte le stagioni” della chiesa e della società. La nostra stagione richiede alcune attenzioni.
    * Convergenza all’unità.
    Nessun laico è un'isola: egli realizzerà meglio la sua vocazione colui che avrà maggiore capacità di camminare "insieme" ai suoi fratelli: come chiesa, gruppo, associazione, famiglia carismatica.
    Il convegno ecclesiale di Palermo ha indicato nel “discernimento comunitario” un prezioso strumento per costruire unità e docilità ai segni dei tempi.
    * Formazione che fa fiorire la "grazia laicale".
    La laicità cristiana è radicata nel battesimo. Ma si tratta di un "seme". Esso ha bisogno di coltivazione per esprimere tutta la propria ricchezza: questo si propongono di fare i cammini "formativi", che vengono offerti. Come senza continua formazione non si dà vera competenza, così senza formazione non sarà possibile un significativo impegno laicale.
    * Alle fonti della Spiritualità laicale.
    Non è certo un caso che di grandi laici a noi vicini si stia introducendo la "causa di beatificazione". La Pira, De Gasperi, Robert Schuman, Lazzati, Attilio Giordani, Enrico Medi, erano ammirabili per la qualità del loro servizio politico sociale e culturale, ma, forse, ancora più straordinari per la qualità della vita interiore e della loro intrepida testimonianza. Qui stava la sorgente di un flusso di attività, che ha segnato un'epoca e ha fatto storia. I testi, scritti da loro e su di loro, fanno parte del corredo di vita del laico cristiano, chiamato a proseguire sul sentiero, che essi hanno tracciato.
    Sempre di nuovo - e autorevolmente - viene indicato all’uomo moderno S.Francesco di Sales come "fonte privilegiata" di spiritualità laicale. Il suo umanesimo cristiano, lo zelo pastorale, la paternità educativa, la squisitezza relazionale, la piena fiducia nel laicato permeano oramai profondamente la spiritualità.
    * Verso una laicità più articolata e matura.
    Gli elementi indicati sono le condizioni essenziali per raggiungere altri, indispensabili traguardi laicali, quali: il volontariato nel vasto campo della carità solidale, la capacità di inculturazione, l'essere presenti al mondo senza perdersi in esso, il coraggio di proporre un umanesimo davvero "plenario", l'equilibrio "ecumenico" e la capacità di raccordo con gli uomini "di buona volontà", ecc.

    Preghiera

    Grazie, Signore, del Battesimo,
    che dovrei festeggiare
    più dell’onomastico
    e più del compleanno,
    perché lì è cominciata la vita piena
    e mi hai dato il nome cristiano,
    che mi fa tuo figlio,
    per sempre.

    Sotto il segno dell’acqua
    mi hai dato la Vita eterna,
    generato alla Chiesa,
    destinato al tuo Cielo.
    E mi hai mandato dicendo:

    “Corri con gioia
    in questo mondo, ch’è mio dono!
    Diventa uomo e cristiano
    e pianta il mio Segno
    sopra ogni frontiera.

    Ti ho chiamato per nome.
    Se cadrai nella corsa
    non resterai a terra
    perché io ti tengo per mano.

    E se, a volte, temessi
    d’aver perduto la strada,
    non dimenticare che
    tua strada e tua luce
    è il mio Vangelo,
    il mio Figlio Gesù.
    Lo troverai nella Chiesa.
    E sempre annunciato
    dalla vita dei santi
    e invocato dai desideri
    profondi del cuore.

    Non ti ho fatto
    per la solitudine
    ma perché tu viva
    nel mezzo di un popolo.
    E il giuoco,
    che io ti chiedo di fare
    è giuoco di squadra

    E il luogo,
    ove ti chiedo di andare,
    è dove si grida: “Son solo!
    E non c’è nessuno
    fuori di te
    che mi possa aiutare”.

     


    T e r z a
    p a g i n A


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