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    3. Evangelizzare con parresia


    Giovanni Fedrigotti, NUOVA EVANGELIZZAZIONE CON LO STILE DI DON BOSCO, Inedito 1999



    «Il prete, per far molto bene, bisogna che unisca alla carità grande franchezza»

    (Don Bosco, Memorie Biografiche, vol. III, 49).


    Un dono dello Spirito

    “Parresìa” è parola greca dalla nobile genealogia. Socrate, secondo Platone, era "uomo degno di bei discorsi e di ampia parresia". E' una parola tipica della democrazia greca, che fonde insieme il diritto civile a dire il proprio pensiero, la interiore lealtà nei confronti della verità da riconoscere, il coraggio di esprimersi pubblicamente superando le eventuali difficoltà, provenienti dal proprio uditorio o dai propri interlocutori. Essa caratterizza anche la relazione fra amici, che hanno il coraggio di rimproverarsi gli errori.
    Passando nel mondo biblico attraverso la traduzione greca della Bibbia (cosiddetta dei LXX), essa si oppone alla condizione di schiavo, si inserisce nei rapporti con Dio chiamato audacemente “Padre”, esprime la tranquilla sicurezza del giusto e del martire davanti ai loro persecutori
    Nella teologia di Giovanni, la parresia definisce lo stile di Cristo nel rivelarsi (Gv 18,20: “io ho parlato con parresia al mondo"). E’ frutto della presenza dello Spirito in noi, che rende libera e fiduciosa la nostra preghiera (1 Gv 3,22.24; 5,14), e presuppone una "buona coscienza" (1 Gv 3,21), che permetterà di avere la parresia anche nell'ora del giudizio: "La parresia non è altro che il riflesso del compimento dell'amore divino per noi, il riflesso di quell'amore perfetto in cui dimoriamo”(Kittel).
    Per Luca è parola pentecostale. Non appare mai nel suo Vangelo, ma solo negli Atti e solo dopo la Pentecoste. Il nome parresia segna il discorso pentecostale di Pietro (2,29), l’annuncio coraggioso di Pietro e Giovanni (4,13), l’atteggiamento testimoniale richiesto dalla preghiera del popolo cristiano, cui risponde una nuova effusione dello Spirito (4,29), che permette di parlare con parresia (4,31). La parresia chiude il libro degli Atti (28,31), costruiti tutti, per così dire, attorno alla grande franchezza e libertà della Parola.
    Essa sottolinea anche la "potenza della parola" in uomini “semplici e senza studi” (At 4,13), che è sempre dono di Dio e frutto di preghiera: "Concedi ai tuoi servi di annunciare la tua parola con tutta franchezza" (At, 4,29). Anche in Luca la parresia è dono dello Spirito Santo (cf At 4,31). Così era stato per Pietro (Pt 4,8). "La parresia dell'apostolo che proclama Cristo con franchezza e potenza davanti al mondo ostile è un carisma" (Kittel).
    Il verbo corrispondente indica l’atteggiamento di Paolo appena convertito (9,27; 9,28), la fierezza di Paolo e Barnaba davanti ai Giudei di Antiochia di Pisidia, davanti ai pagani della Licaonia (At 14,3), lo stile coraggioso di Apollo ad Efeso (At 18,26) e di Paolo nella sinagoga della stessa città (At 19,8) e davanti a Festo e Agrippa (At 26,26).
    Nelle lettere di Paolo, "la parresia rappresenta una dimensione preminente dell'esistenza cristiana in generale e della vita apostolica in particolare e si manifesta nella predicazione dell'Evangelo" (Kittel).
    Essa è franchezza verso Dio, che si radica in Cristo, e fonda la franchezza verso gli uomini (cf specialmente 2 Cor 3,12).
    Speciale rilevanza ha la parresia nella lettera agli Ebrei: 3,6; 10,19; 4,14; 4,16; 10,19; 10,34 ecc.. dato il contesto di persecuzione e di testimonianza dei credenti, cui essa si rivolge.
    Anche nell’antica letteratura cristiana la parresia continua a restare in grande evidenza, specie negli Atti dei martiri. Il martire dimostra parresia nei confronti dei persecutori, e parresia, cioè fiducia totale, nei confronti di Dio. Anche il martire vivente, cioè il confessore, gode già di questa parresia, in cui è radicata la possibilità di intercedere per gli altri.
    La parresia si manifesta specialmente nella preghiera. Per Origene è solo la parresia neotestamentaria che permette di dire a Dio "Padre”. Per questo nella Liturgia di S. Giacomo "anche il Pater viene preceduto dalla richiesta di una tale parresia".

    Parresia nella tradizione salesiana

    La strategia di San Francesco di Sales nel Chiablese
    Mentre gira la voce che si ha il diritto (se non addirittura il dovere!) di ucciderlo, San Francesco di Sales scrive: "Noi siamo assolutamente decisi di lavorare senza sosta a quest'opera, di non lasciare nulla di intentato, di supplicare e di richiamare con tutta la scienza e la pazienza, che Dio ci vorrà donare".
    Al processo di beatificazione, San Vincenzo De Paoli rende questa testimonianza: "Il suo fervore splendeva tanto nei suoi discorsi pubblici, che nei colloqui familiari. Rimeditando le sue parole fra me e me, ne provavo una tale ammirazione, che mi sentivo portato a vedere in lui l'uomo che ha meglio riprodotto il Figlio di Dio vivente in terra".

    La parresia di don Bosco
    Mi domando se, quando alla sua prima messa Don Bosco chiese il dono della Parola, egli non abbia ricevuto il carisma della Parresia "E' pia credenza - scrive il Santo nelle sue Memorie - che il Signore conceda infallibilmente quella grazia, che il nuovo sacerdote gli domanda celebrando la prima messa: io chiesi ardentemente l'efficacia della parola, per poter fare del bene alle anime. Mi pare che il Signore abbia ascoltato la mia umile preghiera”.
    Il santo di Valdocco viveva la parresia quando a chi lo incontrava enunciava subito il suo motto "Da mihi animas". E quando, al primo approccio, parlava ai ragazzi delle cose dell'anima, lasciandoli così sbalorditi che, per uscire, qualcuno imboccava la porta dell'armadio.
    Egli soleva affermare che "il prete, per far molto bene, bisogna che unisca alla carità grande franchezza (MB III, 49). "Ogni parola del prete deve essere sale di vita eterna e ciò in ogni luogo e con qualsivoglia persona" (MB VI, 381). Fino alla celebre battuta detta a Bettino Ricasoli, il barone di ferro: "Sappia che don Bosco è prete all'altare... prete in mezzo ai suoi giovani... prete nella casa del povero... prete nel palazzo del Re e dei ministri" (MB VIII, 534). Che cosa era la sua se non incandescente Parresia?

    La parresia come meta educativa
    Essa è frutto della capacità educativa di togliere ai giovani ogni complesso di inferiorità, dando ad essi, piuttosto, la fierezza dell'essere cristiani: "Siate uomini e non frasche (...). Fronte alta, passo franco nel servizio di Dio, in famiglia e fuori, in chiesa e in piazza" (MB VIII, 166)
    Quanto più alta è la sua collocazione, tanto più efficace risulta la forza della testimonianza, segnata dalla Parresia. “Un villanello che abbia fede - dice don Bosco ai suoi ragazzi - che bacia e ribacia nella sua capanna un crocifisso, mi innamora; ma un professore un capitano un magistrato, uno studente, che, al tocco della campana, recita con la famiglia l'Angelus, il De Profundis per i suoi morti, questi dico m'impone e mi entusiasma" (MB VIII, 166).


    Chiamati dalla Chiesa alla parresia

    Nella missione evangelizzatrice
    "L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo e fervore nel missionario (...). Gli Atti definiscono tale atteggiamento con la parola parresia, che significa parlare con franchezza e coraggio (...). Nell'annunciare Cristo ai non cristiani il missionario è convinto che esiste già, nei singoli e nei popoli, per l'azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte.
    L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui..." (RM, 45).
    E il Papa procede collegando paremia e martirio, come atteggiamento da vivere nella Chiesa, nelle comunità, nella società.

    La Parresia dentro il cuore
    La Parresia appare come un frutto tipico di una "vita spirituale" matura, come una "cascata apostolica", che ha, a monte, alcune insopprimibili sorgenti. Fra esse, ne ricordo alcune.
    * La coerenza della vita, derivante da uno sforzo quotidiano di fedeltà, che genera la "serenità di coscienza" e quel "minimo esperienziale" di cui abbiamo bisogno per parlare "a partire dalla vita", senza mentire a noi stessi;
    * Il senso gaudioso della figliolanza divina, che "esprime nell'intimo il suo modo personale di essere figlio di Dio"; esso si attinge alla luce della Parola, che fa convergere in Cristo-Capo il disegno amoroso del Padre;
    * L'intima convinzione - avvalorata dalla propria esperienza di Cristo e della sua inarrivabile fedeltà - di aver una "buona notizia", da portare ai giovani e al popolo di Dio: "Poiché annuncia la buona novella, è sempre lieto. Diffonde questa gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana". Tale notizia sboccia dal mistero cristiano, progressivamente esplorato e sempre più compreso.
    * L'abitudine a varcare ogni mattina "la soglia della speranza" (la parresia è compagna e frutto della speranza, afferma Zorell), fondata non sulle sabbie mobili della nostra inaffidabilità, ma sulla Roccia di Dio;
    * Lo slancio interiore, innervato dal "Da mihi animas", che porta a ricercare gli altri (specialmente i giovani più poveri), a confrontarsi con loro, instaurando una "relazione evangelizzatrice".
    La felicità interiore di avere una "buona notizia" da dare è pari al desiderio apostolico di condividerla, trovando ascoltatori della parola pronti ad accoglierla.
    Si tratta di vera testimonianza pubblica, che realizza la natura stessa della Parola, il cui compito è di costruire comunicazione, per aprire la strada al messaggio.
    * Il "carisma" dello Spirito Santo, che si nutre di Parola di Dio, di sacramenti, di carità. Per Luca, la parresia è un dono che appare solo dopo la Pentecoste, e ha uno specialissimo legame con lo Spirito di Dio. In Giovanni la parresia è solo riferita a Cristo. Solo dopo la Pentecoste essa sarà anche riferita ai discepoli (cf 1 Gv).
    Nessun dubbio che essa sia una sfida anche per l’oggi, nel nostro compito di evangelizzazione “nuova”.

    Preghiera

    Si dice negli Atti,
    che quei tuoi amici, Signore,
    freschi di Pentecoste,
    mettessero a soqquadro il mondo.

    Caduti i catenacci e spalancati
    i robusti portoni
    del cenacolo,
    pareva dissolta
    anche la paura del cuore.

    Entrati da fuggiaschi,
    uscivan giubilanti,
    come per un’improvvisa,
    inattesa vittoria.

    E ora, non più muti,
    riempivano la piazza
    del tuo nome santo,
    o risorto crocifisso.

    E continuarono attraverso
    naufragi, flagellazioni e martìri
    fino ai confini del mondo.
    E continueranno
    fino alla fine dei tempi.

    Se tu mi aiuti,
    vorrei essere fra loro:
    per dire con coraggio
    la parola, che tu hai pagato
    col sangue,
    e dare con fiducia
    la verità, segretamente
    attesa da ogni cuore.

    Sapendo che il servo
    non può essere più grande
    del padrone.
    né il messaggero
    più lietamente accolto
    del Signore.

    Ma fa’, o mio Dio,
    che, quale amico dello Sposo,
    un poco anch’io mi possa
    rallegrare dell’incontro
    e al dolce risonare
    delle voci.


    T e r z a
    p a g i n A


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