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    6. Un modello di comunità educativa


    Dalmazio Maggi, EDUCAZIONE E PASTORALE. Una scelta di Chiesa, Elledici

     

     

     

    PARTE SECONDA

    UNA CHIESA COMUNITÀ «EDUCATIVA»


    Capitolo 6
    Un modello di comunità educativa


    LA VITA DI COMUNIONE

    Il Papa nella “Novo Millennio Ineunte” invita a fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione. Cosa significa questo in concreto? Anche qui il discorso potrebbe farsi immediatamente operativo, ma sarebbe sbagliato assecondare simile impulso. Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità.
    Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto.
    Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del “corpo mistico”, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.
    Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto.
    Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.
    Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita (cf n.43).

    Un progetto di promozione integrale dell’uomo

    La missione di ogni gruppo e comunità cristiana partecipa a quella della Chiesa, che realizza il disegno salvifico di Dio, l'avvento del suo regno, portando agli uomini il messaggio del Vangelo intimamente unito allo sviluppo dell'ordine temporale. Si è impegnati ad educare ed evangelizzare secondo un progetto di promozione integrale dell'uomo, orientato a Cristo, uomo perfetto.
    È importante evidenziare che la missione di ogni comunità credente, anche la più piccola, è partecipazione alla missione della Chiesa, con una originalità propria, che è data dall’ambiente culturale, educativo e pastorale e dai contributi di tipo carismatico che possono essere presenti in essa.
    La missione della Chiesa si presenta chiaramente finalizzata alla salvezza dell'uomo, la quale comprende molteplici aspetti e azioni diverse. Tra le principali, che in certa maniera comprendono anche le altre, si devono enumerare: quella di suscitare la fede e di concorrere a far maturare in essa le singole persone, affinché “credendo in Gesù Cristo si salvino”; quella di formare la comunità dei credenti, la Chiesa, che deve essere segno e strumento del Regno di Dio, iniziato già in questo mondo; e quella di trasformare con la forza del Vangelo l'ordine temporale, poiché la salvezza ha un carattere storico e totale: comincia in questo mondo e comprende tutto l'uomo, la natura e la storia. “La Chiesa, che è insieme “società visibile e comunità spirituale”, cammina con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena ed è come il fermento e quasi l'anima della società umana destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio” (GS 40).
    A questa appassionante e complessa finalità si indirizza l’impegno ministeriale della Chiesa, che è partecipazione all’opera di redenzione del Cristo nelle tre dimensioni: l’ascolto e l'annuncio della Parola del Signore, la preghiera e la celebrazione della vita con il Signore, il servizio di animazione e sostegno dei fratelli nel Signore Gesù.
    A questa missione partecipano tutti i membri della Chiesa in modo differenziato, secondo i carismi con cui lo Spirito arricchisce costantemente la comunità nei singoli fedeli. Occorre rilevare che la partecipazione alla missione della Chiesa assume forme svariate secondo l'originalità dei doni che il Signore fa a ciascun battezzato. La Chiesa non è un insieme di cellule perfettamente uguali con funzioni identiche, ma una comunione organica con diversità di componenti e varietà di ministeri. I modi di agire in base alla novità di ciascuna componente nella comunità sono imprevedibili. Gesù Cristo, il Salvatore di tutti i tempi e di tutti gli uomini, ha possibilità illimitate di manifestazione e lo Spirito ha capacità infinite di iniziativa salvifica e creatività. La Chiesa ha bisogno di molteplici forme e canali per mettersi in dialogo con tutto l'uomo e con tutti gli uomini e per rivelare il disegno globale di salvezza.
    La missione della Chiesa, a cui tutti i battezzati partecipano, è presentata come un portare agli uomini il messaggio del Vangelo intimamente unito allo sviluppo dell'ordine temporale.
    Il Concilio ci ricorda che “L'opera della redenzione di Cristo, mentre per sua natura ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l'ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto quella di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico” (AA, 5).
    Gli ambiti “temporale e spirituale”, “sebbene siano distinti, tuttavia nell'unico disegno divino sono così legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creazione, in modo iniziale sulla terra, in modo perfetto alla fine dei tempi” (cfe GS, 40. 42).
    Si può descrivere il contributo della comunità, che educa ed evangelizza, alla missione della Chiesa, con alcune espressioni che stimolano: ci si impegna ad educare e ad evangelizzare, secondo un progetto integrale dell'uomo orientato a Cristo, e si mira a formare persone dal punto di vista umano e cristiano. Si tratta di un'unica finalità che ha due aspetti, costantemente ribaditi dalla tradizione educativa della Chiesa ed evidenziati continuamente, soprattutto dopo il Concilio: l'uno diretto alla promozione dell'uomo, l'altro esplicitamente all'educazione della fede. Questi appartengono a tutta la tradizione missionaria della Chiesa, tradotta in termini pedagogici.
    Fondamentale è rilevare la figura che domina tutto il progetto: Cristo, uomo perfetto. È il pensiero di fondo della “Gaudium et spes”: Cristo è la rivelazione di Dio ma anche la rivelazione dell'uomo, che scopre in Lui il senso vero della propria esistenza e della propria storia. Di tutti i testi conciliari vale la spesa riportare almeno uno: “Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa pure lui più uomo” (GS 41).
    È bene ricordare anche il passo della dichiarazione “Gravissimum educationis”, che così riassume il compito educativo: “L’educazione cristiana non comporta solo quella maturità proprio dell’umana persona, ma tende soprattutto a far sì che i battezzati… si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo nella giustizia e nella santità della verità e così raggiungano l'uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo” (GE 2).

    Una comunità educativa

    La comunità, giovani e adulti “insieme”, collabora, soprattutto con i più piccoli per sviluppare le loro capacità e attitudini fino alla piena maturità. Nelle varie circostanze condivide con essi momenti di vita. Sempre e in ogni caso li aiuta ad aprirsi alla verità e a costruirsi una libertà responsabile. Per questo si impegna a suscitare in loro la convinzione e il gusto dei valori autentici che li orientano al dialogo e al servizio. È una comunità “educativa”
    Dire “educativa” significa una vera scelta nel servizio che si intende prestare e una caratterizzazione della comunità credente che elabora e realizza un progetto educativo-pastorale: definisce un'area di lavoro, quella della promozione umana della persona, ma anche, e specialmente, uno stile di presenza e di guida, una modalità che configura la totalità dell'azione pastorale, incluso lo stesso annuncio del Vangelo.
    L’educatore è uno che impegna la sua vita in una azione di educazione. Anche del “catechista” oggi si deve dire che non soltanto è apostolo e pastore dei giovani, ma educatore: un educatore che è simultaneamente apostolo, profeta e testimone del Vangelo. La sua caratteristica è quella di offrire il messaggio educativo in condizioni e con esperienze di apprendimento adeguate al soggetto, accompagnare la persona nel laborioso cammino di assimilazione delle proposte e dei valori e aiutarla a crescere liberando tutte le sue potenzialità.
    La pastorale “educativa” non si riduce mai alla sola catechesi o alla sola liturgia, ma spazia in tutti i concreti impegni della persona e della sua condizione. Si situa all'interno del processo di umanizzazione nella convinzione che il Vangelo deve proprio essere seminato lì per portare ogni persona ad impegnarsi generosamente nella storia. Niente di quello che la persona si porta dentro è indifferente all'educatore. Se l'educazione è un aiuto allo sviluppo delle risorse personali affinché la totalità di queste abbiano piena fioritura e la persona raggiunga la maturità, l'educatore non selezionerà nel soggetto, per svilupparlo o trascurarlo, solo quello che interessa alla propria causa. Il punto centrale di interesse nel processo educativo è la persona.
    “La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana... Pertanto i fanciulli e i giovani... debbono essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità nell'elevazione ordinata e incessantemente attiva della propria vita e nella ricerca della libertà” (GE, 1).

    Lo stile dell’animazione

    La proposta di esperienza di Dio dentro il cammino educativo può essere raccolta attorno a due termini chiave: accoglienza e animazione.
    L’accoglienza è un fatto di spiritualità: è riconoscimento della presenza operosa di Dio nella storia personale e comunitaria: la fiducia in ogni persona è concretizzazione della fede di Dio. L’educatore riconosce nella persona una dignità che nasce da Dio che ama ogni persona. L’educatore è consapevole di questo e vive un suo originale incontro con Dio, attraverso il “sacramento della persona”. Questa convinzione religiosa illumina il quadro educativo. Tutte le esperienze umane sono cariche di dignità, perché in tutte è all’opera lo Spirito Santo, per autenticare, consolidare, purificare, convertire: in una parola per salvare. Tutte le esperienze hanno però bisogno di questo processo purificatore. L’educatore si mette allora a fianco delle persone per attivare questo processo. In questo sa di essere collaboratore di Dio.
    L’animazione, che caratterizza l’intero cammino educativo, è lo stile che caratterizza il fare catechesi, il fare scuola come il giocare, la presenza nel sociale come la cura della persona e della vita di gruppo. È una “qualità” che deve dare sapore a tutto il camino di educazione umana e di educazione alla fede.
    Si vive facendo animazione quando si vuole consentire alle persone di partecipare attivamente alla gestione dei processi educativi in cui sono immersi, affinché possano sviluppare le loro specifiche caratteristiche, la loro personalità e nello stesso tempo assorbire, in modo creativo e critico, l’esperienza accumulata nella società e nella comunità ecclesiale.
    L’animazione non è solo un fatto di competenza educativa, ma anche di fede: credere nella vita dei giovani e credere, più in generale, che è possibile un modo diverso di vivere, che è possibile una nuova qualità di vita. L’animazione che affonda le radici in Dio, crede nella vocazione di ogni uomo alla espressione delle sue potenzialità, e crede nella vocazione assoluta di ogni uomo a fare esperienza, almeno in modo implicito, di Dio come felicità suprema. Fare animazione è allora credere personalmente nell’obiettivo di ogni spiritualità: riscoprire con le persone la passione per la vita fino a confessare che Gesù è il Signore della vita. La passione per la vita è nell’educatore passione educativa: credere nelle forze vive di ogni persona e mettere la sua esperienza, la sua competenza, il suo entusiasmo e la sua fede, a servizio della crescita della persona.
    L’animazione fa sua la scelta della pazienza di Dio, la scelta di fare compagnia alla persona senza imporsi, senza costringerla, fa sua la scelta dei tempi lunghi. Poiché quello che conta è che ognuno sviluppi i “talenti” ricevuti, l’animatore ritiene realizzato il suo servizio quando una persona dà tutto quello che è capace di dare.
    Si tratta, in sostanza, di considerare l’educazione e l’evangelizzazione nelle loro corrette dimensioni e di stimare valido e importante per la crescita della persona ogni aspetto dello sviluppo e ogni germe di energia, anche latente. Le risorse di cui è ricca ogni persona costituiscono le sue possibilità di crescita umana e cristiana.
    Educazione-evangelizzazione, concepite alla luce dell’animazione, implicano un rapporto educativo liberante e propositivo, un processo educativo costruito in base ad obiettivi raggiungibili, una particolare maniera di gestire le esperienze educative e un certo modello di gruppo.

    Le intuizioni fondamentali

    L'animazione è, prima di tutto, un modo di pensare al giovane, ai suoi dinamismi, ai processi in cui gioca la sua maturazione. Le intuizioni fondamentali sono quelle percezioni della realtà giovanile che ispirano e sostengono tutta l'azione educativa in qualunque ambiente e in qualunque settore di attività, che sono messe in cantiere a servizio dei giovani.
    Una prima intuizione è la fiducia nella persona e nelle sue capacità e potenzialità di bene. Ci sono dentro di lei risorse che, convenientemente risvegliate e alimentate, possono far scattare una energia nuova perché possa crescere, "essere di più, valere di più". Ogni cammino educativo parte, allora, dalla valorizzazione di ciò che il giovane si porta dentro come dono di tante persone, e che l'educatore cerca di scoprire con intelligenza, di far emergere con pazienza, di far maturare con fiducia.
    Una seconda grande intuizione è che le capacità e potenzialità di bene nelle persone, piccole o grandi, per potersi sviluppare, hanno bisogno di un apporto di tipo educativo. Esse, da sole, soprattutto nella società complessa e pluralista di oggi, non riescono ad esprimere le energie che si portano dentro in maniera personale e originale.
    A contatto con educatori, che nutrono una profonda passione e amorevolezza educativa, ogni persona invece si sente sollecitata a manifestare la sua parte migliore e apprende a far propria il meglio dell'esperienza umana e cristiana, che viene proposta.
    Una terza intuizione è un modo originale di accompagnare le persone in un cammino di educazione alla fede. Si parla di educazione come via all'evangelizzazione.
    Il processo educativo aiuta a vivere e amare la vita attraverso risposte personali, radicate nei grandi valori umani, fino a riconoscere che l'esistenza porta in sé una domanda di tipo religioso, che ha una risposta nella vita e nell'insegnamento di Gesù di Nazaret, che diventa modello di comportamento, Il processo di evangelizzazione propone la fede come risposta e provocazione ulteriore all'amore per la vita, fino a riconoscere che Gesù è il Signore e la pienezza della vita. L'annuncio della fede è così una spinta sempre più intensa di umanizzazione e si riflette su tutti gli aspetti della crescita umana a livello fisico, intellettuale e spirituale.
    In continuità con l'impegno di maturazione e di promozione dei valori più specificamente umani si sviluppa nell'azione educativa la direzione propriamente religiosa e cristiana. Le due linee non sono di per sé cronologicamente successive né tanto meno divergenti, ma toccano due aspetti essenziali dell'unica vocazione dell'uomo quale è delineata nel progetto di Dio.
    Le due linee costituiscono un unico itinerario formativo: l'educazione apre all'esperienza religiosa e all'ascolto-accoglienza del Vangelo. Il Vangelo si fa seme dentro l'esperienza maturata fino a quel momento, e restituisce alle persone una nuova progettualità quotidiana. In tale processo si valorizzano non solo i momenti "religiosi", ma anche quanto si riferisce alla crescita della persona fino alla sua maturità.
    Una quarta intuizione è il fare della vita il tema centrale del dialogo educativo e pastorale: la vita quotidiana nelle sue piccole, attuali, ma decisive attese, problemi, paure, speranze, progetti. Si tratta di condividere con le persone un profondo amore alla vita che trova fondamento nella buona notizia del Vangelo da accogliere e da cui lasciarsi trasformare. Dialogare della vita quotidiana è abilitare alla consapevolezza che nella normalità delle situazioni quotidiane, contrassegnate anche dal limite, ogni persona è capace di rendere più umana la sua vita e di viverla nella gioia.
    Una quinta intuizione è la convinzione che le persone devono essere i soggetti protagonisti della loro crescita umana e cristiana. Ciò non significa abbandonarle a se stessi. L'azione educativa nello stile dell'animazione vuole svegliare nella persona una collaborazione attiva e critica al cammino educativo, misurata sulle sue possibilità.
    Nelle persone sono presenti, nonostante i condizionamenti interiori e ambientali, un insieme di attitudini e di qualità alle quali l'educatore deve continuamente far riferimento e, con la sua presenza attiva, farle crescere e maturare, sollecitando ogni persona ad assumere responsabilmente la propria vita. L'educatore, da parte sua, si sente impegnato a scoprire, rispettare e valorizzare l'originalità del soggetto, favorendone le caratteristiche e le attitudini.
    Una sesta intuizione è l'attenzione ad elaborare proposte in cui tutti possano essere coinvolti. La cordialità e l'amicizia rendono l'educatore punto di riferimento per tutti, soprattutto per quelli che hanno meno sicurezze affettive o sociali. Con questi, in modo particolare, l'educatore è disposto a condividere ansie e problemi, pur di accompagnarli nei momenti decisivi dell'esistenza.
    L'apertura a tutti non significa abbassamento delle attese educative, ma urgenza di offrire ad ognuno ciò di cui ha bisogno qui-ora e chiedergli di rispondere con gesti commisurati alle sue possibilità. Tutti coloro che vivono in un ambiente educativo entrano in contatto con un'unica proposta di vita e di spiritualità. In qualche modo camminano percorrendo un unico itinerario, al cui interno vengono ritagliati diversi percorsi educativi e religiosi, a seconda delle persone che vi sono coinvolti.

    LA MISSIONE DI EVANGELIZZAZIONE

    Per una comunità cristiana l'evangelizzazione è la dimensione fondamentale della missione. Si è chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede. La scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero. Si cammina con le persone per condurle alla persona del Signore risorto affinché, scoprendo in Lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria esistenza, crescano come “uomini e donne nuovi”.
    Nel progetto educativo pastorale c'è un aspetto centrale, che illumina e dà il colore a tutto l'insieme, e che sta molto a cuore a chi è impegnato in tale missione: è l'annuncio di Gesù Cristo e l'iniziazione al suo mistero. L'evangelizzazione è intesa come annuncio di Gesù e comprende tutte le forme che vanno dalla semplice testimonianza silenziosa che provoca domande, fino all’inserimento nella comunità cristiana e al coinvolgimento attivo nella sua missione.
    Ci ricorda il Papa: “Dalla Parola del Signore si deve attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino. Bisogna ricordare che non ci salverà una formula, ma una Persona Gesù Cristo, e la certezza che essa ci infonde dicendo: Io sono con voi! Non si tratta allora di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita divina e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste. È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace” (cf NMI 29).

    Educatori alla fede

    L'espressione “educatori alla fede”, sottolinea la capacità di aprire le persone alla fede attraverso diverse vie e modalità. Educare è far affiorare dal soggetto, attraverso proposte oggettive, le sue possibilità latenti, aprirlo a un mondo di valori e agli eventi della salvezza in modo che egli scelga proprio perché si sono attivate le motivazioni e il desiderio della fede.
    Mentre viene valorizzato il momento specifico della catechesi, si afferma che in questo compito ci si ritrova tutti senza eccezione, qualunque sia l'attività che si è impegnati a svolgere. Non c'è differenza di finalità né di compito tra coloro che fanno la catechesi e coloro che si dedicano all'insegnamento o alle discipline sportive, turistiche, culturali. La vita non si spartisce tra le occupazioni “profane”, senza rilevanza cristiana, e quelle “religiose o pastorali”, che esprimono l’impegno cristiano. Attraverso ogni rapporto, ogni attività sia culturale o ricreativa che specificamente religiosa, si cerca di mettere la fede al centro della vita.
    Educare alla fede è comunicare soprattutto con la vita. Il primo sguardo, perciò, non è rivolto né ai contenuti né alla metodologia, ma alla Persona di Gesù Cristo, il “comunicatore” perfetto; lo dice l’espressione che richiama la lettera agli Efesini: “conoscere Gesù Cristo sia la scienza più eminente; annunciare le insondabili ricchezze del suo mistero, la gioia più profonda”.
    “La passione di annunciare il Vangelo suscita una nuova missionarietà, che non può essere demandata ad una porzione di “specialisti”, ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo. Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani” (cf NMI 40).

    Con le persone incontro al Signore

    Dopo lo sguardo sulla persona dell'educatore alla fede, bisogna descrivere il suo ministero in termini educativi. “Camminare con le persone” Comporta almeno due cose. Anzitutto esige che l'educatore stesso avanzi maturando nella fede, spinto dalle sfide e dagli stimoli che vengono dalla situazione della singola persona di fronte all'annuncio: comunicando la fede, la sviluppa. D'altra parte “camminare con le persone” vuol dire accettare il loro punto di partenza, i loro ritmi ed essere disposti a percorsi diversi. È tutt'altro che svolgere un programma. San Paolo paragonava la comunicazione della fede alla generazione di una vita. Chi non accetta questa logica può ripetere delle formule, ma bisogna vedere se veramente suscita la fede nel dinamismo della vita.
    L'obiettivo dell'evangelizzazione è l'incontro personale col Signore Gesù. Al centro della fede si colloca il rapporto con la persona di Gesù. Attraverso questo incontro ogni persona, giovane e adulta, dovrebbe trovare un senso unificante per la sua esistenza, stabilire una fusione costante tra fede e vita, costruirsi una personalità nuova modellata su Cristo. Sono tre le espressioni da meditare: condurre al Signore risorto, scoprire il senso della propria esistenza, crescere come uomini nuovi.
    Nei riguardi dei giovani il Papa ci ricorda: “La proposta di Cristo va fatta a tutti con fiducia, venendo incontro alle esigenze di ciascuno quanto a sensibilità e linguaggio. Proprio per quanto riguarda i giovani, il Giubileo ci ha offerto una testimonianza di generosa disponibilità Dobbiamo saper valorizzare quella risposta consolante, investendo quell’entusiasmo come un nuovo “talento”, che il Signore ci ha messo nelle mani perché lo facciamo fruttificare (cf NMI 40).

    L'ESPERIENZA DI VITA COMUNITARIA

    La comunità avvia i battezzati, giovani e adulti, a fare esperienza di vita ecclesiale con l'ingresso e la partecipazione a una comunità di fede. Per questo è necessario animare e promuovere gruppi e movimenti di formazione e di azione apostolica e sociale. In essi le persone, giovani e adulte, crescono nella consapevolezza delle proprie responsabilità e imparano a dare il loro apporto insostituibile alla trasformazione del mondo e alla vita della Chiesa, diventando i giovani stessi “i primi e immediati apostoli dei giovani” (AA 12).
    La vita della Chiesa è vita di comunione nella fede, nella speranza e nella carità. È anche vita di comunità visibile, nell'amore e nella comunicazione fraterna, nelle celebrazioni e nell'azione.

    Un ambiente “educativo” e “di festa”

    L’esigenza comunitaria si esprime in alcune direzioni precise. La prima è la creazione in un’unica esperienza dinamica in cui vengono associati adulti e giovani, educatori e giovani. Nella comunità non ci sono gli educatori da una parte e dall’altra i giovani: tutti insieme con ruoli evidentemente diversi, formano la comunità. I ruoli nascono dalla diversa funzione: c’è uno scambio reciproco non solo di amicizia e di stima, ma anche di informazioni nelle due direzioni. Anche i giovani sono “educatori” dei loro educatori.
    Questo scambio educativo avviene in uno spazio ben preciso: è costituito dalle mura, dai corridoi, dagli orari, dalla possibilità di incontrarsi tra tutti, dal cortile in cui tutti si ritrovano non solo per giocare, ma soprattutto ad affermare che c’è un legame comune. L’ambiente è un clima in cui il singolo trova il suo posto, riconosciuto nella sua persona e nelle sue attese. La pedagogia dell’ambiente non è mai massificazione, ma “pedagogia dell’un per uno”, raggiunto non solo attraverso l’incontro a tu per tu con un singolo educatore ma nella esperienza di una “comunità educativa”. Ambiente è la varietà di interessi e la ricchezza dei valori, che diventano stimolo ad una crescita armonica, capacità di accoglienza cordiale e interessamento al vissuto di ciascun membro.
    L’ambiente è il luogo in cui si sperimenta un’immagine di chiesa simpatica, capace di rispondere alle attese dei singoli. La comunità riunisce, per dono di Dio, uomini che credono nell’uomo e che trovano la forza per credervi nella fede in Cristo, l’unico uomo perfetto, colui che dà a tutti la forza di diventarlo.
    La comunità fa sperimentare la fede come felicità, gioia, allegria. Fare festa è una confessione solenne che il mondo intero è nelle mani di Dio, che davvero Cristo è risorto e la vita può diventare una festa. La festa è un momento privilegiato di crescita educativa perché impegna su tutti i piani: si intensificano i rapporti interpersonali, aumenta la collaborazione e corresponsabilità, in quanto tutti si sentono protagonisti; si esprimono potenzialità inespresse, capacità inedite, ci si rivela nel profondo di se stessi con le proprie risorse di creatività e autenticità; ci si arricchisce sul piano religioso perché ogni festa ha come momento centrale l’incontro con il Signore nella preghiera e nell’eucaristia.
    Coltivare la festa dentro di noi vuol dire radicare la festa nel profondo di se stessi: è là che il Signore e la sua festa ci attendono. Vivere la festa è anzitutto consentire di esprimere il bisogno di felicità che è in noi, sapendo che in Cristo tutto è rivalutato al punto che la festa modifica ogni azione, ogni incontro, ogni attività: la festa anima la vita quotidiana.
    Festa è sentirsi parte viva di una “grande speranza” che non è soltanto speranza nel mondo e nell’uomo, ma in quei “cieli nuovi e terra nuova”, che attendono ogni uomo di buona volontà e che sono dono di Dio.

    Il gruppo

    La proposta che gli educatori fanno a tutti, soprattutto ai giovani, come cammino educativo per fare una esperienza personale di Chiesa, sono i gruppi, che vanno posti tra gli elementi caratterizzanti l’educazione e l’evangelizzazione, tra le esigenze indispensabili del progetto educativo-pastorale.
    La tendenza associativa, la vita di gruppo, l'aspirazione comunitaria è un'esperienza quasi spontanea nella vita di ogni educatore che vive e cammina con persone concrete, portato, quindi, alla socialità e all'amicizia.
    A livello di comunione ecclesiale, si comprende il significato dei gruppi considerando che la Chiesa universale si concretizza e si rende visibile nelle Chiese particolari e da queste si fanno presenti nelle loro comunità più piccole. In tal modo la comunione di vita e di amore che sgorga dal Cristo percorre un duplice movimento guidato dallo Spirito: dalla Chiesa universale alle Chiese particolari e da queste alle comunità più piccole; e, in senso inverso, dalle comunità minori alle Chiese particolari e da queste alla Chiesa universale. La comunione, poi, oggi non si esprime soltanto nelle strutture locali, ma, superando l'aspetto territoriale, si concretizza in associazioni unite da ideali cristiani condivisi e celebrati.
    Per le persone, giovani e adulti, l'entrata nelle comunità ecclesiali più grandi può avere il rischio dell'anonimato, del ritualismo, dello scontro fra gli aspetti visibili “esterni” e gli elementi costitutivi “interiori”. L'esperienza della vita di gruppo costituisce una mediazione importante tra il singolo (rischio dell'individualismo e della solitudine) e la grande massa (rischio dell'anonimato), facendo maturare a poco a poco il senso di appartenenza. Per questo gli educatori fanno la scelta del gruppo, affinché le comunità possano veramente diventare evangelizzatrici, e perché il singolo possa efficacemente inserirsi nella comunità cristiana.
    In ogni caso i gruppi proposti nella comunità assumono una logica educativa: danno il primo posto alla persona: tutto il resto (organizzazione, strutture, strumenti e processi, cause o mete che interessano all'educatore per la scelta personale di vita) viene commisurato e orientato alla crescita della persona. I gruppi affidano alla persona la responsabilità della propria crescita, affiancando il suo sforzo e la sua ricerca. Il tutto viene espresso nella parola “animare”, il che di suppone camminare con le persone, suggerire, motivare, aiutare a crescere e accogliere da loro stimoli per un processo comune.
    Da tutto il contesto risulta chiaramente che il perno di tutta l'esperienza sarà il gruppo, dove è possibile gestire la vita, raccogliere interrogativi e proporre degli itinerari su misura dei soggetti.

    A cerchi concentrici

    La comunità è anzitutto un luogo di comunione, in cui si fa esperienza: si incontrano persone, si fanno attività, si vivono momenti di preghiera. Non è una comunità elitaria, ma aperta a tutti. E tuttavia non è livellante. Ha una struttura a cerchi concentrici in cui il nucleo è costituito da quei credenti, adulti e giovani, educatori e educandi, che vivono profondamente l’identità cristiana ecclesiale, e la periferia non è una zona a parte, emarginata, ma una zona “in cammino”: c’è un flusso organico che collega centro e periferia, i quali si alimentano reciprocamente in un processo di crescita comune.
    Questo comporta una proposta diversificata e graduale e non una proposta a forte identità per tutti: si chiede a ciascuno ciò che è capace di dare e gli si offre quanto è in grado di ricevere, convinti che ogni persona ha un suo ritmo di sviluppo che bisogna rispettare. La comunità prende ogni membro, anche il più piccolo e più giovane, al punto in cui realisticamente si trova, per fare strada con lui. La comunità fa da ponte educativo tra uomini e società civile da una parte, scelta di fede e comunità ecclesiale dall’altra. La proposta cristiana non viene offerta a parole o con ragionamenti più o meno fini, ma viene fatta sperimentare in un clima di famiglia, di festa, di invito alla preghiera personale e comunitaria.

    L'INIZIAZIONE ALLA VITA LITURGICA

    La comunità è impegnata a iniziare i battezzati, giovani e adulti, a partecipare in modo cosciente e attivo alla liturgia della Chiesa, culmine e fonte di tutta la vita cristiana. Insieme a giovani e adulti celebra l'incontro con Cristo nell'ascolto della parola, nella preghiera e nei sacramenti. L'eucaristia e la riconciliazione, celebrate assiduamente, offrono risorse di eccezionale valore per l'educazione alla libertà cristiana, alla conversione del cuore e allo spirito di condivisione e di servizio nella comunità ecclesiale.
    L’impegno educativo chiede di “iniziare” le persone, anche i più piccoli, a partecipare alla liturgia della Chiesa. Non dunque una pratica rituale o istituzionale per cui si adempiono degli obblighi, ma l’introduzione cosciente nel mondo dei segni e delle realtà che le celebrazioni offrono. Iniziare vuol dire: mostrare, spiegare, introdurre come soggetti attivi, insegnare a celebrare, a partecipare inseriti in una comunità che celebra, a vivere il richiamo dei segni specialmente quello a cui essi rimandano. “I pastori d' anime debbono vigilare attentamente che nell'azione liturgica non solo siano osservate le leggi che ne assicurano la valida e lecita celebrazione, ma che i fedeli ne prendano parte consapevolmente, attivamente, fruttuosamente” (SC 12).
    Per assicurare una conveniente iniziazione, si deve favorire una “partecipazione esterna e interna, secondo la loro età, condizione, genere di vita e grado di cultura religiosa” (SC 19).
    Un valore rilevante da richiamare è il valore educativo dell'anno liturgico. La piena e cosciente partecipazione all'opera salvifica si organizza attorno alla celebrazione dell'anno liturgico, che ritma la vita della comunità credente, indicando il cammino di crescita spirituale e l'impegno graduale che si assume per rispondere alla chiamata di Dio. È un modo concreto di strutturare il progetto educativo sul mistero di Cristo. L'iniziazione per un educatore alla fede, oltre agli aspetti catechistici, comporta la complessa esperienza della “festa”, vissuta nel culto, nell'espressione spontanea, nella comunità credente.

    In ascolto della Parola del Signore

    Le forme maggiore della vita liturgica e di preghiera della comunità sono l’ascolto della parola, la celebrazione dell’eucaristia e la santificazione del tempo che è offerto dal Signore quotidianamente a ogni persona.
    Il primo atteggiamento della comunità orante non è quello di parlare, ma è anzitutto quello di tacere per ascoltare. Infatti il “Dio vivente”, che ha radunato la comunità e la tiene unita, non cessa di parlare: ascoltarlo umilmente è il modo più significativo di riconoscere il primato della sua iniziativa. Attraverso tutti gli avvenimenti Dio parla del suo disegno di salvezza incentrato in Gesù Cristo. Ma la sua parola è sostanzialmente annunziata per iscritto nella Sacra Scrittura. “Avere in mano la Sacra Scrittura” significa, secondo il contesto, leggerla (o ascoltarne la lettura) e meditarla. Si tratta di imparare, soprattutto dal Vangelo “l’eminente scienza di Gesù Cristo” che è una scienza dalle profondità infinite.
    Il Concilio suggerisce gli atteggiamenti che la comunità e il singolo devono avere di fronte alla parola di Dio. Essi devono “ascoltarla” con umiltà nei momenti e nei modi opportuni; “accoglierla” nel cuore con docilità, come criterio supremo, e quindi lasciarsi giudicare da essa: è questo l’atto di fede, di cui Maria è il modello perfetto; “custodirla” nella vita, dove porta il suo frutto; “annunziarla” nell’impegno educativo e pastorale con ardore. La parola deve toccare le nostre orecchie (“ascoltarla”), scendere nel nostro cuore (“accoglierla”), passare nelle nostre mani (“praticarla”), uscire dalla nostra bocca (“proclamarla”). Ciò solleva alcune serie esigenze: il dovere di educarci al silenzio, di riconoscere la nostra radicale povertà, di testimoniare la Parola e di impegnarci a diffonderla.
    Il Papa ci ricorda che “in particolare è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza (cf NMI 39).

    Uno stile di preghiera “educativa”

    La preghiera “educativa” è il prolungamento della spiritualità della passione per la vita: è una preghiera “del quotidiano”. È una preghiera di un educatore e apostolo, che ha donato la sua vita al Signore impegnandosi con lui nella salvezza degli uomini. La preghiera precede, accompagna e segue l’azione come un fattore irrinunciabile e necessario. La precede, perché è nella preghiera che l’educatore pensa all’azione di Dio e secondo Dio, e la finalizza al suo volere e alla sua gloria. L’accompagna, come riferimento costante al proprio Signore, come domanda di grazia, come implorazione di aiuto, specialmente nell’ora della stanchezza e della prova.
    È una preghiera autentica e completa nella sostanza, lineare e semplice nelle sue forme, popolare nei suoi contenuti, allegra e festiva nelle sue espressione; una preghiera alla portata di tutti, dei ragazzi e dei giovani in particolare; una preghiera, infine, intrinsecamente ordinata all’azione.
    La preghiera è semplice, umile, fiduciosa: semplice nell’ispirazione evangelica, nella quantità e nella forma esteriore. L’educatore fa esperienza della paternità di Dio, prega in dialogo semplice e cordiale con il Padre che sente vicino. Rifugge da preghiere troppo lunghe e faticose, che rischiano di annoiare. È anche alieno da formule ricercate, da riti complicati, dalle dimostrazioni troppo esteriorizzate o emotive, da tutto ciò che potrebbe riservare praticamente la preghiera a una élite. Semplice non vuol dire passiva. La preghiera è anche gioiosa, creativa, aperta alla partecipazione comunitaria. L’educatore diffonde gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa. Ci vogliono liturgie belle, con canto e musica, con una equilibrata varietà che mantenga sveglia l’attenzione del cuore, rinnovi la gioia interiore, faccia sperimentare quanto è bello stare con il Signore!
    Preghiera semplice e gioiosa non vuol dire preghiera superficiale. La preghiera deve essere “profonda”, che congiunge cioè spontaneamente l’orazione con la vita, è aderente alla vita e si prolunga in essa. Parte da un cuore sincero, sfugge al conformismo e al formalismo, vuole parole autentiche, gesti dignitosi, celebrazioni che incidono sulla vita per trasformarla a poco a poco in “liturgia”.
    Anche per questo il Papa sottolinea che “per una pedagogia della santità c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera. Nella preghiera si sviluppa il dialogo con Cristo, che ci rende suoi amici intimi: “Rimanete in me e io in voi”. Questa reciprocità è la sostanza stessa, l’anima della vita cristiana ed è condizione di ogni autentica vita pastorale. Realizzata in noi dallo Spirito santo, essa ci apre, attraverso Cristo e in Cristo, alla contemplazione del volto del Padre.
    Le comunità cristiane devono diventare autentiche “scuole” di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprime soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia; aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio.
    Ma ci si sbaglierebbe a pensare che i comuni cristiani si possano accontentare di una preghiera superficiale, incapace di riempire la loro vita. Specie di fronte alle numerose prove che il mondo d’oggi pone alla fede, essi sarebbero non solo cristiani mediocri, ma “cristiani a rischio”. Correrebbero, infatti, il rischio insidioso di vedere progressivamente affievolita la loro fede, e magari finirebbero per cedere al fascino di “surrogati”, accogliendo proposte religiose alternative e indulgendo persino a forme stravaganti della superstizione” (cf NMI 32-34).

    La celebrazione eucaristica “nello stile educativo”

    I sacramenti sono il cuore della vita liturgica e l'eucaristia è il cuore della vita sacramentale. Tali affermazioni raccolgono bene non soltanto il pensiero della Chiesa, ma anche lo spirito di tutta la tradizione di tipo educativo della Chiesa, per la quale l'eucaristia ha un posto fondamentale nell'educazione alla fede dei battezzati, giovani e adulti. Nei sacramenti si realizza in modo del tutto speciale quell'incontro con Cristo che è “fondamentale” nel processo educativo.
    Alcuni tratti costituiscono lo stile educativo della eucaristia.
    Innanzitutto l’attenzione al “dono” del Signore, che si fa vicino a noi, e suscita l’entusiasmo e il ringraziamento. In secondo luogo non è educativa una eucaristia perché ci sono molti ragazzi e giovani o perché sono loro a cantare e animare la celebrazione. Non è educativa neppure perché ogni tanto ci si rivolge ai ragazzi, in maniera diretta. È educativa solo se si hanno a cuore le attese e le intuizioni di ogni persona, giovane e adulta, in altre parole, si è attenti a cogliere il dono che sono le persone, soprattutto giovani, per l’umanità e per la chiesa.
    L’eucaristia è educativa se è una celebrazione comunitaria. Ognuno è convocato non per vivere la “sua” messa, ma per inserirsi in un’unica esperienza. Ognuno vive non “ad occhi chiusi”, raccolto nel profondo del suo io, ma entra in una grande celebrazione. Nel mangiare il pane eucaristico si accoglie il dono della salvezza, il pane della liberazione che il Signore ha preparato. Nel bere al calice dal vino si condivide la grande alleanza tra il Signore e gli uomini, tra i presenti e gli assenti, tra coloro che fanno la chiesa e coloro che sono parte del Regno di Dio che è oltre la Chiesa.
    Nel sentirsi comunità fraterna, nel canto, nella stretta di mano, nel guardarsi negli occhi ci si sente amati da Dio attraverso i fratelli e si è felici perché lo si incontra in loro. Nel partecipare alla “processione” si cammina non soltanto verso un altare, ma verso i “cieli nuovi e nuova terra” che il Signore ha promesso all’umanità.

    La riconciliazione

    La parola del Signore ci chiama a continua conversione. Riferendosi al sacramento della riconciliazione, bisogna ricordare che per una pedagogia della riconciliazione è richiesta la continuità tra lo stile di avvicinare la persona, soprattutto giovane, all'interno del processo educativo e quello che riesce a stabilire nel momento sacramentale. Si tratta della medesima paternità, amicizia e confidenza che risvegliano in ogni persona l'attenzione ai movimenti della grazia e l'impegno a superare il peccato. L'impegno sacramentale richiede normalmente una precedente intesa educativa. La regolarità nell'incontro, il dialogo franco e sereno, il proposito che suscita la costanza, offrono occasione di eccezionale valore educativo.
    Bisogna educare alla conversione continua da realizzare a piccoli passi, nel quotidiano della propria crescita educativa. Nella celebrazione della riconciliazione si fa memoria della conversione alla luce della parola di Dio, che rivela da una parte come ogni piccolo passo è azione di Dio e impegno dell’uomo, e dall’altra come solo il Signore salva dal peccato che si annida in noi.
    “Ci vuole un rinnovato coraggio pastorale perché la quotidiana pedagogia della comunità cristiana sappia proporre in modo suadente ed efficace la pratica del sacramento della riconciliazione. Bisogna fronteggiare la crisi del “senso del peccato” che si registra anella cultura contemporanea, e far riscoprire Cristo, come colui nel quale Dio ci mostra il suo cuore compassionevole e ci riconcilia pienamente a sé. È questo volto di Cristo che occorre far riscoprire anche attraverso il sacramento della penitenza, che è per un cristiano la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il battesimo.
    Il Giubileo ci ha offerto un messaggio incoraggiante, da non lasciar cadere: se molti, e tra essi anche tanti giovani, si sono accostati con frutto a questo sacramento, probabilmente è necessario che i pastori si armino di maggior fiducia, creatività e perseveranza nel presentarlo e farlo valorizzare” (cf NMI 37).

    ORIENTAMENTO ALLE SCELTE VOCAZIONALI

    La comunità educa i battezzati a sviluppare la propria vocazione umana e battesimale con una vita quotidiana progressivamente ispirata e unificata dal Vangelo. Il clima di famiglia, di accoglienza e di fede, creato dalla testimonianza di una comunità che si dona con gioia, è 1'ambiente più efficace per la scoperta e l'orientamento delle vocazioni. Questa opera di collaborazione al disegno di Dio, coronamento di tutta l’azione educativa pastorale, è sostenuta dalla preghiera e dal contatto personale, soprattutto nella direzione spirituale.
    La successione degli aspetti che costituiscono la totalità del servizio di educazione alla fede dei battezzati, giovani e adulti, (sviluppo umano, annuncio di Cristo, inserimento nella Chiesa, vita liturgica e sacramentale) culmina con l'orientamento vocazionale

    Coronamento dell’azione educativo-pastorale

    L'orientamento vocazionale è inseparabile dalla pastorale rettamente intesa. Lo è a tal punto che non si può concepire una pastorale che non sviluppi progressivamente la capacità di scelte di vita conformi al Vangelo; né, d'altra parte, si può pensare una pastorale vocazionale che non si costruisca su una più generale maturazione di ogni battezzato nella fede e su una sua più intensa partecipazione nella comunità ecclesiale
    Nel progetto locale l'azione educativa e pastorale contiene come obiettivo essenziale una dimensione vocazionale. La scoperta della propria chiamata, l'opzione libera e riflessa d'un progetto di vita, costituisce anzi la meta e il coronamento di ogni processo di maturazione umana e cristiana. La preparazione e l'accompagnamento alle scelte di vita sono interne ai processi stessi di educazione e di evangelizzazione.
    Come mettere in pratica questa caratteristica della azione educativa e pastorale della comunità? Curando l'orientamento delle persone in una duplice direzione: verso la maturazione della vocazione umana e cristiana e, più specificamente, verso la realizzazione della vocazione particolare di ciascuno. Sono due livelli che si sviluppano insieme, ma con progressività di obiettivi e di esperienze.
    Il primo impegno consiste nell’educare a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita quotidiana progressivamente ispirata e unificata dal Vangelo. Bisogna aiutare, perciò, le persone a capire che l'esistenza di ciascuno è una vocazione perché ciascuno è chiamato a vivere a immagine e somiglianza di Dio. La vita intesa come vocazione chiarisce il rapporto dell'uomo col mondo, la sua comunanza di destino con gli altri uomini e soprattutto l'invito di Dio ad un dialogo sempre più esplicito con lui, ad una risposta consapevole e libera di collaborazione, per giungere a vivere in comunione con lui.
    L’accogliere la vita come compito, dono e missione, l'accettare in essa la presenza divina è la prima e più importante decisione della persona, punto di partenza per una maturazione personale armonica e completa. La stessa vocazione umana riceve un nuovo senso quando l'uomo prende coscienza di essere stato chiamato a diventare figlio di Dio e membro del suo popolo seguendo Gesù Cristo.
    All'interno della vocazione umana e battesimale si colloca il discorso sulle vocazioni ecclesiali specifiche. La Chiesa si presenta come popolo di Dio e come Corpo di Cristo con varietà di carismi e ministeri. Attraverso questi carismi i fedeli partecipano in diverse forme alla missione di Cristo che è anche quella della Chiesa: annunciare il Vangelo, rendere culto a Dio e trasformare l'umanità verso l'immagine vera dell'uomo.
    Le vocazioni specifiche non si aggiungono, dunque, a quella battesimale, ma sono modi originali e personali di viverla.
    L'orientamento, più che un “momento”, anche se speciale e intenso, è un “processo” che segue lo sviluppo unitario e armonico della personalità; si poggia sul protagonismo di ogni persona che si confronta, secondo le possibilità delle diverse età, seguendo i segni di Dio; aiuta ogni persona, soprattutto giovane, a definire il progetto di vita e a strutturare la personalità attraverso un adeguato e realistico rapporto con se stesso, un sereno e generoso rapporto con gli altri e con la realtà, un intenso rapporto con Dio.
    Nel processo di orientamento l'educatore ha un ruolo facilitante, che sviluppa attraverso l'incontro personale e il dialogo formativo. L'aiuto alla maturazione, la scoperta e l'orientamento vocazionale sono opera di collaborazione al disegno di Dio. Gli interventi degli educatori sono mediazioni relative in rapporto all'azione di Dio e alla libertà con cui la persona è capace di accogliere la sua presenza e la sua chiamata. Sono però mediazioni necessarie nella situazione concreta in cui vivono i battezzati e la comunità cristiana.

    LA PROMOZIONE SOCIALE

    Una comunità educativa attenta vede con chiarezza la portata sociale della propria opera. La considerazione della portata sociale del servizio di educazione è immediata. Non soltanto perché ogni intervento pastorale, anche solo religioso, si riferisce alla comunità degli uomini in cui ha luogo, assumendo necessariamente un risvolto sociale. Infatti è impossibile parlare di “presenza e segno” nell'area dell’educazione e della promozione umana senza considerare le implicanze sociali di questa presenza.

    Attenzioni particolari

    Bisogna tener presenti due aspetti della partecipazione dei credenti alla trasformazione della società. Il primo è legato al compito di educatori, che educano alle responsabilità morali, sociali e professionali. Significa creare un reale spirito di fraternità, per portare attenzione agli ultimi e affiora il bisogno di discernere la prospettiva generale della educazione, ispirata al Vangelo.
    Il secondo aspetto è legato alla qualità degli educatori credenti: si è chiamati a offrire una testimonianza significativa per la giustizia e per la pace. L’impegno educativo per la giustizia nel mondo diventa credibile, nella misura in cui ogni educatore singolarmente e ogni comunità educativo-pastorale a tutti i livelli sono autentici testimoni della giustizia. È necessario sottolineare la particolare prospettiva di questo compito: la testimonianza partecipa alla missione stessa della Chiesa in favore della giustizia e della pace.
    Al compito educativo pastorale e alla testimonianza si aggiunge l'azione: bisogna rifiutare tutto ciò che favorisce la miseria ed emarginazione e cooperare con coloro che costruiscono una società più degna dell'uomo. È un modo di agire più diretto. Si educa più per quello che si è che non con quello che si dice.

    Principi ispiratori

    Da dove sgorga l’impegno sociale della comunità e da che cosa viene regolato? In primo luogo dalla qualità dei singoli credenti educatori e apostoli. Lavorando per la giustizia nel mondo non ci si allontana dalla missione della Chiesa. Questa orienta lo spirito e le intenzioni con cui si compie tale sforzo e anche i comportamenti pratici sui quali occorre sempre più riflettere, a partire dal Concilio. Si chiede perciò che le parole e gli interventi abbiano come sorgente e anima viva la carità del Cristo Salvatore; come motivazione le esigenze del Vangelo e la volontà di soccorrere Cristo stesso in coloro che soffrono ingiustizia; come scopo cooperare all'affermazione del Regno, animando l'ordine temporale con lo spirito del Vangelo; come stile: una bontà dialogante che procede per le vie dell'amore.
    Questo impegno, in secondo luogo, poggia sulla comunione ecclesiale. In questo campo, come negli altri, non si può agire secondo la fantasia “personale” né soltanto secondo la nostra spontanea generosità: inseriti nella Chiesa locale, si partecipa alla sua azione con una preoccupazione di coerenza e di tempestività. Derivano da ciò alcuni comportamenti pratici, che è bene almeno enumerare: muoversi quando la Chiesa locale si muove e non fare da forza frenante o da “battitori liberi” o “navigatori solitari”; confrontare i propri criteri di intervento con quelli che la Chiesa propone; concordare, particolarmente se si attua in circostanze straordinarie o in società ad alto indice di conflittualità, i propri interventi con chi guida la Chiesa locale.
    Da questi principi deriva un terzo criterio: l’indipendenza della comunità educativo-pastorale da partiti politici e da ideologie di moda. La Chiesa, nella sua esperienza, è giunta a distinguere le diverse possibilità che ha un laico da quelle di un religioso o di un pastore a riguardo degli interventi nell'area politica. Si chiede a ogni educatore di essere cosciente che i valori del regno contengono ed esprimono in forma universale ed efficace le energie di costruzione della società più di qualunque struttura politica, e di essere quindi fedeli all’impegno di testimoni della carità e della potenza di Cristo.
    Occorre riprendere il tema dell'unità della missione educativa della comunità e mostrare come tutto questo compito, apparentemente profano, è intimamente legato al compito di educazione della fede. L'unità è assicurata dalla coscienza dell’educatore, guidata e illuminata da un riferimento fondamentale: l'amore di Cristo che si attua attraverso diversità di azioni. Qualunque cosa l’educatore faccia, quindi anche attraverso i contenuti umani, vuole essere un “segno e portatore dell'amore di Dio ai giovani”. Il servizio di promozione “prepara la fede” di chi non l'ha ancora, stimola e sostiene la fede di chi già la possiede: l'uno e l'altro possono riconoscere nella dedizione di cui sono oggetto un segno della verità di Cristo che viene loro annunciato attraverso le opere.

    UNO STILE DI VITA ISPIRATO A MARIA

    Ogni educatore alla fede sa di collaborare con Gesù Cristo unico vero salvatore come Maria che si è posta tutta a servizio della causa del Figlio. Maria non ha tenuto Gesù per sé, ma lo ha lasciato andare perché vivesse per il Padre, per la missione che gli aveva affidato.
    Fintanto che non si vive per una causa, non si capirà cosa vuol dire presenza forte e incoraggiante di Maria nella vita. Non ha senso una Madonna che gratifica, che fa tanto sentimento, che viene utilizzata per la riuscita personale nel lavoro o nello studio e nei momenti difficili. Maria partecipa della grande impresa a cui ha associato la sua vita. Non è un quadro appeso al muro della propria cameretta o del salone giochi, ma una persona viva oggi, che dà una mano a chi si impegna attivamente nel vivere i propri ideali di giustizia, di pace, di ricerca di una nuova qualità di vita.
    Maria va vista, al di là di ogni concezione più o meno infantile, nella spiritualità della responsabilità: il suo “sì” e la sua collaborazione alla storia della salvezza sono il grande segno di responsabilità innalzato nel tempo per ogni uomo che sente di essere chiamato a dare una mano al Regno di Dio.
    Maria non è solo espressione concreta della vicinanza di Dio nella lotta per la vita, ma è anche modello, incarnazione vissuta di alcuni valori decisivi per noi oggi.. Ispirandoci a lei siamo sollecitati a concretizzare il nuovo stile di vita, che occorre inventare per uscire dalla crisi culturale e religiosa.
    È modello di contemplazione. Al ritorno da Gerusalemme, in cui Gesù dodicenne si era incontrato con i grandi esperti della Bibbia, e in cui Gesù le aveva dato una dura risposta: “devo vivere per la missione che il Padre mi ha affidato”, Maria si ritrova a pensare alle cose successe, le medita, e le conserva nel suo cuore, intuendo di essere di fronte al fatto misterioso della salvezza di Dio. Vive la contemplazione del Regno di Dio.
    Oggi il mondo ha bisogno particolare di uomini che vivano e meditino su dove sta andando l’umanità, sulla presenza di Dio nella storia, sulla grande lotta contro il peccato ingaggiata nel mondo, sulla responsabilità a cui ogni uomo è chiamato.
    Maria è, in secondo luogo, modello nella disponibilità assoluta alla causa del Regno di Dio. È il simbolo della donazione assoluta: l’Immacolata, colei che sempre è stata tutta dalla parte di Dio, a servizio della sua azione di salvezza nel mondo. Non ha tenuto nulla per se stessa: è stata casta, povera, sempre alla ricerca della volontà di Dio. Maria è il simbolo della disponibilità al bene senza mezze misure, senza tentennamenti, senza contraddizioni.
    Maria, proprio perché Immacolata a servizio assoluto di Dio, è vissuta a servizio dell’uomo: a servizio dell’uomo Gesù, a servizio di Elisabetta, a servizio della prima comunità cristiana nel cenacolo quando tutti erano spauriti. La donazione assoluta a Dio trova in Maria una indicazione stimolante per noi: Dio lo si incontra nell’uomo, in colui che ha bisogno di aiuto, come Elisabetta che attendeva un figlio ed era avanti negli anni; in coloro che erano senza speranza come i discepoli che avevano visto crollare le attese poste in Gesù. Maria è sempre modello di servizio all’uomo.
    Maria è, inoltre, modello di gioia e di festa: la contemplazione e la vicinanza ai “poveri” la conducono al grande canto del Magnificat: il canto dei contemplativi, il canto degli uomini che si impegnano per un mondo nuovo, il canto dei poveri che da Dio ottengono giustizia. In un mondo dove c’è bisogno di gioia e dove ci si chiede se è giusto fare “festa” in mezzo a tanta sofferenza, Maria è testimone di una festa radicata nel fatto che Dio si mostra nel volto deipoveri. Solo in uno sguardo di fede, come quello di Maria, anche oggi si può fare festa pur condividendo la sorte di tanti milioni di uomini che muoiono di fame. Queste persone sono sempre presenti e per loro si condivide ciò che si è e ciò che si ha.
    Da ultimo, Maria è modello di fedeltà. Non si è mai tirata indietro, pur sapendo, come le aveva annunciato il vecchio Simeone, che una spada le avrebbe trafitto il cuore. La ritroviamo a fianco di Gesù, anche se nell’ombra, durante la sua missione, e la troviamo con lui soprattutto sul calvario, ai piedi della croce mentre il figlio muore. Maria partecipa alla missione di Gesù in un cammino di fedeltà, di perseveranza, fino alla sofferenza. Maria induce così a prendersi la responsabilità di uomini e di figli di Dio, nel duro sforzo quotidiano.
    Maria è la prima fra i credenti e la più perfetta discepola di Cristo. La parola di Dio si è fatta carne e storia nella sua anima e nella sua persona, prima che nel suo seno. Perciò essa rappresenta al vivo il cammino faticoso e felice dell’uomo singolo e dell’umanità verso il proprio compimento. In Lei le strade dell’uomo si incrociano con quelle di Dio. E' dunque una chiave interpretativa, un modello, un tipo e un cammino.
    Maria si è sentita ed è stata proclamata “beata”, felice nella sua povertà, per il dono di Dio, per la sua disponibilità. Maria ha accompagnato la Chiesa nascente e partecipa oggi con la ricchezza della sua maternità alla maturazione storica della comunità cristiana e alla sua missione nel mondo.

     


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