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    2. Gli anni 70


    Dalmazio Maggi, EDUCAZIONE E PASTORALE. Una scelta di Chiesa, Elledici

     


    Capitolo 2
    Gli anni 70


    La Chiesa si presenta all’insegna del rinnovamento ed è invitata a ridare leggibilità alla sua vita e a rimettere le sue forme espressive in comunicazione con il mondo di oggi

    Il Documento di base per una rinnovata azione pastorale

    Nel Documento Base (RdC) la catechesi viene rinnovata in vista della educazione alla fede. Essa è esplicitazione sempre più sistematica della prima evangelizzazione, educazione di coloro che si dispongono a ricevere il battesimo o a santificarne gli impegni, iniziazione alla vita della Chiesa e alla concreta testimonianza di carità. Essa intende portare alla maturità della fede attraverso la presentazione sempre più completa di ciò che Cristo ha detto, ha fatto e ha comandato di fare (cf n.30).
    La catechesi ha come finalità formare la mentalità di fede, che significa “educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo” (cf n.38).
    La catechesi sviluppa nel cristiano una mentalità profondamente cattolica. Educa a rilevare e a rispettare tutto ciò che c’è di buono nell’umanità, soprattutto in seno alle grandi religioni; esorta a edificare la pace, la comprensione e lo sviluppo, in uno spirito di famiglia; convince a partecipare responsabilmente all’attività missionaria della Chiesa, con la preghiera, con la testimonianza della vita, con l’aiuto generoso; stabilisce un clima di dialogo e di simpatia con le giovani chiese locali, invitando a riconoscere il contributo che esse portano alla crescita di tutto il popolo di Dio (cf n.50).
    La catechesi è per una integrazione tra fede e vita. Con la grazia dello Spirito Santo, cresce la virtù della fede se il messaggio cristiano è appreso e assimilato come “buona novella”, nel significato salvifico che ha per la vita quotidiana dell’uomo. La parola di Dio deve apparire ad ognuno “come una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori e insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni”. Diventerà agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della vita (cf n.52)).
    Il centro vivo della fede è Gesù Cristo. Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue. La Chiesa, quindi, deve predicare a tutti Gesù Cristo e fare in modo che ogni cristiano aderisca alla sua divina persona e al suo insegnamento, sino a conoscere e vivere tutto il suo “mistero” (cf n.57).
    Scegliendo Gesù Cristo come centro vivo, la catechesi non intende proporre semplicemente un nucleo essenziale di verità da credere; ma intende soprattutto far accogliere la sua persona vivente, nella pienezza della sua umanità e divinità, come Salvatore e capo della Chiesa e di tutto il creato (cf n.58).
    Evangelizzare Gesù significa anzitutto presentarlo nella sua esistenza concreta e nel suo messaggio, quale fu trasmesso dagli Apostoli e dalle prime comunità cristiane. Egli appare come “l’uomo perfetto”, che “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo”(cf n.59).
    La catechesi deve introdurre i credenti nella pienezza dell’umanità di Cristo, per farli entrare nella pienezza della sua divinità. Lo può fare in molti modi, muovendo da premesse e da esperienze diverse, seguendo metodi diversi, secondo l’età, le attitudini, la cultura, la problematica, le angosce e le speranze di chi ascolta. La catechesi mette particolarmente in luce i lineamenti della personalità di Gesù Cristo, che meglio lo rivelano all’uomo del nostro tempo: la sua squisita attenzione alla sofferenza umana, la povertà della sua vita, il suo amore per i poveri, i malati, i peccatori, la sua capacità di scrutare i cuori, la sua lotta contro la doppiezza farisaica, il suo fascino di capo e di amico, la potenza capovolgitrice del suo messaggio, la sua professione di pace e di servizio, la sua obbedienza alla volontà del Padre, il carattere profondamente spirituale della sua religiosità (cf n.60).
    Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo. Questa catechesi su Cristo è già una prima risposta ai problemi umani, anche per coloro che non hanno il dono della fede (cf n.61).

    I criteri per l'esposizione del messaggio di Cristo

    L’elaborazione di una catechesi sistematica deve rispondere alle doti intrinseche della parola di Dio, al suo carattere di parola viva e attuale. La catechesi dovrà servirsi di un linguaggio, che corrisponda alla cultura odierna e sappia far comprendere la rivelazione agli uomini di oggi. La Chiesa, sin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli, e inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi, allo scopo cioè di adattare, quanto si conviene, il Vangelo alla capacità di tutti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione (cf n.76).
    Chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell’esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti, è il “Dio con noi”, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita; e la sua parola è destinata a irrompere nella storia, per rivelare a ogni uomo la sua vera vocazione e dargli modo di realizzarla (cf n.77).
    La catechesi dedica particolare attenzione alle più comuni situazioni di vita dei fedeli, perché ciascuno sia guidato a interpretarle e a viverle con sapienza cristiana. Sono situazioni nelle quali il cristiano viene a trovarsi ogni giorno, situazioni normali, ma spesso decisive per le sorti della sua fede. Egli deve essere messo in condizioni di saperle valutare e risolvere, conformemente al pensiero e al comportamento di Cristo (cf n.130).
    Il catechista si rivolge all’intera personalità di ciascuno, a tutto quanto ciascuno è per natura e per grazia. La catechesi è rivolta all’intelligenza, alla capacità e al bisogno di agire del cristiano, alla sua esigenza di esperienza personale, alla sua affettività e immaginazione; alla sua fede, alla sua speranza, alla sua carità (cf n.131). La catechesi illumina tutte le età dell’uomo. Ogni età dell’uomo ha il suo proprio significato in se stessa e la sua propria funzione per il raggiungimento della maturità. Una sana educazione umana e cristiana consente a ciascuno di vivere sempre some figlio di Dio, secondo la sua misura, ed è garanzia del progresso spirituale (cf n.134).
    La famiglia è come la madre e la nutrice dell’educazione per tutti i suoi membri, in modo particolare per i figli. La catechesi familiare trova la sua originalità e la sua efficacia nel carattere occasionale e nella immediatezza dei suoi insegnamenti, espressi innanzi tutto nel comportamento stesso dei genitori e nella esperienza spirituale di ciascuno (cf n.152).
    Si esige il coordinamento educativo per evitare dispersioni e disarmonie e per consentire a tutti una esperienza spirituale unitaria e feconda. Sul piano psicopedagogico, principio fondamentale, che ispira il coordinamento della catechesi è l’unità interiore della persona. Il coordinamento non può, dunque, ridursi ad una distribuzione quantitativa di compiti o della materia da insegnare, né a espedienti metodologici esteriori. L’attenzione degli educatori è sempre rivolta ai livelli di maturazione dei fedeli: rileva carenze, ritardi, possibilità ed esigenze di sviluppo, per assicurare un programma educativo che metta armonicamente in esercizio tutta la persona.
    Gli educatori devono soprattutto conoscersi, stimarsi, studiare insieme. Essi accettano l’ambito di azione delle strutture nelle quali agiscono, ma assumono solidali la responsabilità di una piena educazione. Accogliendo tutte le esigenze e le aspirazioni dei soggetti, ciascun educatore si preoccupa di promuovere le esperienze giuste al momento giusto, di far superare le esperienze sbagliate, di estendere la propria influenza educativa mediante il dialogo e la collaborazione con gli altri educatori.
    Mai un educatore o una comunità educatrice hanno concluso il loro lavoro: una tensione spirituale profonda li tiene continuamente desti, sempre pronti a trovare il loro nuovo posto nella vita di coloro, dei quali devono avere cura. Tutto diviene servizio e ansia di carità apostolica (cf n.159).

    Fedeltà alla parola di Dio e alle esigenze dell'uomo

    A fondamento di ogni metodo catechistico, sta la legge della fedeltà alla parola di Dio e della fedeltà alle esigenze concrete dei fedeli. È questo il criterio ultimo sul quale i catechisti devono misurare le loro esperienze educative; questo il fondamentale motivo ispiratore di ogni ipotesi di rinnovamento. Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo: non si tratta di due preoccupazioni diverse, bensì di un unico atteggiamento spirituale, che porta la Chiesa a scegliere le vie più adatte, per esercitare la sua mediazione tra Dio e gli uomini. È l’atteggiamento della carità di Cristo, verbo di Dio fatto carne (cf n.160).
    I punti di partenza e i procedimenti della catechesi possono essere diversi, secondo le esigenze e le possibilità dei fedeli. Così si può partire dalla parola di Dio, o dalla esperienza quotidiana; si può procedere secondo i criteri strettamente dottrinali, o seguendo interessi di attualità; si può accentuare il bisogno di allargare le conoscenze o di scoprire la realtà ecclesiale, o di approfondire il rapporto tra fede e vita (cf n.162).
    Per essere a servizio degli uomini, piccoli e grandi, il catechista deve essere un acuto conoscitore della persona umana, dei suoi spirituali processi, della comunità in cui ciascun uomo vive e cresce. Assecondando le intenzioni di Dio e seguendo le vie dello Spirito santo, egli sa raggiungere i fedeli nelle loro concrete situazioni e a loro si accompagna giorno per giorno, lungo un itinerario sempre singolare. Il suo metodo diventa servizio fraterno, in una ricchezza di insegnamenti, di proposte e di suggestioni, che sviluppano e adattano le facoltà spirituali del cristiano, per meglio abilitarlo all’atto di fede (cf n.168).
    Il metodo della catechesi è attento alle esigenze singolari dell’individuo. La natura umana è comune in tutti, ma ciascuno è inconfondibile, per le sue caratterizzazioni originarie e il ritmo di sviluppo; per i condizionamenti che lo avvolgono e le attitudini che sa sviluppare; per le sofferenze e le gioie che continuamente lo plasmano e per la originalità della chiamata che Dio gli rivolge. Il suo metodo parte dalla sintonia con i singoli fedeli, che sono conosciuti nelle loro personali capacità, negli ostacoli, nei ritardi e negli anticipi del loro cammino, nelle situazioni decisive per il loro progresso spirituale (cf n.170).
    Infine il catechista è un testimone, un insegnante, ma è soprattutto un educatore. Infatti l’insegnamento catechistico mira all’educazione cristiana integrale di quanti lo ascoltano; deve cioè portarli a una coerente testimonianza di vita. A questo riguardo il catechista si propone, come termine, il pieno sviluppo della personalità cristiana dei fedeli. La fede, la speranza, la carità sono le virtù prime e fondamentali alle quali deve condurli per fare scaturire la vita di preghiera e l’impegno di ogni altra virtù: la giustizia, il coraggio, la veracità, il dominio di sé, il servizio agli altri, la fedeltà, la gioia. La qualifica di segno della volontà di Dio appare soprattutto quando il suo insegnamento diviene educazione (cf n.187).

    L'azione liturgica

    In vista del rinnovamento liturgico è promulgato il “Direttorio per le messe dei fanciulli” (1973), che impegna a curare l’eucaristia domenicale come momento “educativo”.
    Come guidare i fanciulli verso la celebrazione eucaristica? La Chiesa, che battezza i bambini, fiduciosa nei doni che in questo sacramento si ricevono, deve far sì che i battezzati crescano nella comunione con Cristo e con i fratelli; segno e pegno insieme di questa comunione è la partecipazione alla mensa eucaristica, a cui i fanciulli vengono preparati, e più intensamente formati, a rendersi conto del suo significato. Questa educazione liturgica ed eucaristica non si può separare da quella generale, nel suo contenuto, umano e cristiano insieme; una formazione liturgica priva di questo fondamento porterebbe anzi dei riflessi negativi (cf n.8).
    Coloro pertanto che rivestono un compito educativo, in primo luogo i genitori, gli educatori alla fede e gli animatori, devono concordemente ed efficacemente adoperarsi perché i fanciulli, i quali hanno già innato un certo qual senso di Dio e delle cose divine, facciano anche, secondo l’età e lo sviluppo raggiunto, l’esperienza concreta di quei valori umani, che sono sottesi alla celebrazione eucaristica, quali l’azione comunitaria, il saluto, la capacità di ascoltare, quella di chiedere e accordare il perdono, il ringraziamento, l’esperienza di azioni simboliche, il clima di un banchetto tra amici, la celebrazione festiva. Spetta alla catechesi eucaristica avviare e favorire lo sviluppo di quei valori umani, in modo che i fanciulli a poco a poco, secondo l’età e le condizioni psicologiche e sociali, aprano il loro cuore alla intelligenza dei valori cristiani e alla celebrazione del mistero di Cristo (cf n.9)
    Nella riaffermazione di tutti questi valori, la massima parte di impegno spetta alla famiglia cristiana. Di qui l’urgenza di un’adeguata preparazione dei genitori e delle altre persone che svolgono un compito educativo, anche in ordine alla formazione liturgica dei fanciulli. In forza dell’impegno consapevolmente e liberamente assunto nel battesimo dei loro bambini, i genitori hanno il dovere di insegnar loro gradualmente a pregare, pregando essi stessi ogni giorno con loro e indirizzandoli a dire personalmente le loro preghiere (cf n.10).
    Nella formazione liturgica dei fanciulli e nella loro preparazione alla vita liturgica della Chiesa, possono avere grande importanza anche le varie celebrazioni, predisposte allo scopo di facilitare ai fanciulli stessi la percezione e il significato di alcuni elementi liturgici, quali il saluto, il silenzio, la preghiera comune di lode, specialmente se fatta in canto (cf n.13). Fermo restando quanto fin qui si è detto, tutta la formazione liturgica ed eucaristica dei fanciulli deve avere un obiettivo ben definito e costante: portarli a fare della loro vita quotidiana una risposta sempre più autentica al Vangelo (cf n.15).
    Come responsabilizzare gli adulti? I principi della partecipazione attiva e consapevole s’impongono in qualche modo con più forza ancora, se la messa viene celebrata per i fanciulli. Tutto quindi si deve predisporre per accrescere tale partecipazione e per renderla più intensa e viva. È bene pertanto che siano molti i fanciulli, tra i quali vengono divisi i compiti particolari della celebrazione: preparare l’ambiente e l’altare, svolgere l’ufficio di cantore, cantare nel coro e suonare gli strumenti musicali, proclamare le letture, rispondere durante l’omelia, pronunciare le intenzioni della preghiera universale, portare i doni all’altare e altri uffici del genere, secondo le consuetudini dei diversi popoli.
    Per favorire la partecipazione, possono talvolta dimostrarsi utili alcune aggiunte, per esempio, l’inserimento di motivi particolari di rendimento di grazie, prima che il sacerdote inizi il dialogo del prefazio (cf n.22).
    Il sacerdote che celebra la messa per i fanciulli deve cercare di dare alla celebrazione un tono festivo, fraterno, raccolto; più che non nelle messe con gli adulti, è proprio lui, il sacerdote, che crea nella celebrazione questa particolare atmosfera. Si tratta di atteggiamento che dipende dalla sua preparazione personale, come pure dalla comunicabilità del suo modo di agire e di parlare. Deve badare anzitutto alla dignità, alla chiarezza e alla semplicità dei gesti. Nel parlare ai fanciulli, si esprima in modo da essere facilmente inteso, pur evitando ogni forma troppo puerile. Le monizioni che il rito affida alla sua libera inventiva devono condurre i fanciulli a una genuina partecipazione liturgica: non devono quindi ridursi a pure spiegazioni didattiche.
    Grande efficacia hanno nel cuore dei fanciulli gli inviti talora ad essi rivolti con naturalezza spontanea dal sacerdote, per esempio, per l’atto penitenziale, per l’orazione sulle offerte, per il “Padre nostro”, per il gesto di pace, per la comunione (cf n.23).
    Poiché l’eucaristia è sempre un’azione di tutta la comunità ecclesiale, è desiderabile la presenza almeno di alcuni adulti, perché, non come sorveglianti, ma uniti nella preghiera, partecipino con i fanciulli alla messa e, per quanto necessario, prestino ad essi il loro aiuto. Nulla vieta che uno di questi adulti che partecipano con i fanciulli alla messa, con l’assenso del parroco o del rettore della Chiesa, dopo il vangelo rivolga ai fanciulli la parola, specialmente se al sacerdote riesce difficile adattarsi alla mentalità dei piccoli ascoltatori.
    Anche nelle ,esse per i fanciulli si favorisca la diversità dei compiti e degli uffici, in modo che la celebrazione risulti davvero comunitaria; per le letture, per esempio, e per i canti si ricorra sia ai fanciulli che agli adulti. Grazie alla varietà delle voci, si eviterà così il tedio della monotonia (cf n.24).

    La comunicazione della salvezza

    Il rinnovamento si è andato polarizzando attorno alla priorità dell’evangelizzazione e ha portato al programma pastorale degli anni 70 "evangelizzazione e sacramenti" (1973).
    La Chiesa ha nella storia una sua specifica missione: quella di comunicare agli uomini la salvezza, annunziata e compiuta dal Cristo. Mezzi fondamentali per il compimento di questa missione: l’annuncio del Vangelo e la celebrazione dei sacramenti. Non deve perciò sorprendere se oggi, in una nuova situazione culturale e sociale, la Chiesa si interroghi sul modo di annunciare più efficacemente il vangelo e di educare i fedeli a una più profonda comprensione e a una pratica più completa dei sacramenti (cf n.1). Sacramento di Cristo, la Chiesa deve farsi pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli, con l’esempio della vita e la predicazione, con i sacramenti e gli altri mezzi della grazia, alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo. Ne consegue la necessità di un continuo e adeguato “rinnovamento”, non solo in se stessa, ma anche nel modo con cui si rende presente al mondo e vi annuncia il Vangelo (cf n.2).
    Esistono problemi di metodo e di linguaggio, nella ricerca e nella individuazione delle vie che raggiungono l’uomo contemporaneo, per poterne interpretare, con lucida oggettività, le esigenze più vere. Di qui la necessità di un approfondimento e di una traduzione, in un linguaggio moderno, del messaggio cristiano e di una testimonianza di vita, che ne accompagni e quasi ne convalidi l’annuncio. Tutto questo comporterà un serio rinnovamento delle nostre comunità cristiane, chiamate ad essere e a manifestarsi, nella loro vita, come visibile segno di salvezza per gli uomini (cf n.22).
    L’attività evangelizzatrice e missionaria trova il suo centro nella parrocchia, la quale è luogo ordinario e privilegiato di evangelizzazione della comunità. Infatti l’evangelizzazione, qui più che altrove, può diventare insegnamento, educazione ed esperienza di vita (cf n.94). La famiglia è chiamata a essere il primo luogo di annuncio del messaggio cristiano e di educazione permanente alla fede (cf n.95). In tal modo non solo i figli vengono adeguatamente introdotti nella vita ecclesiale, ma tutta la famiglia vi partecipa e cresce: i genitori stessi annunciando ascoltano, insegnando imparano (cf n.96).

    La famiglia nella chiesa e nel mondo

    I Vescovi nel presentare il documento “Evangelizzazione e sacramento del matrimonio” (1975) sono consapevoli di esser giunti ad uno dei punti focali e decisivi della missione della Chiesa oggi nel mondo.
    L’annuncio della Parola, accolta nella fede e celebrata nella liturgia, sfocia nella vita nuova secondo lo Spirito di Cristo, che costituisce non solo un culto spirituale gradito a Dio, ma anche un Vangelo vissuto e testimoniato. La vita cristiana degli sposi deve perciò essere una evangelizzazione credibile ed efficace (cf n.102). Viene così arricchita la varietà della Chiesa, la quale, anche mediante la vita dei coniugi, può scoprire, approfondire e annunciare la sua realtà di sposa del Signore (cf n.103).
    In forza del sacramento, gli sposi sono consacrati per essere ministri di santificazione nella famiglia e di edificazione della Chiesa. I coniugi compiono il loro ministero e impegnano i loro carismi, oltre che nella testimonianza di una vita condotta nello Spirito, nella educazione cristiana dei figli, e in modo privilegiato nel camminare con loro nell’itinerario della iniziazione cristiana (cf n.104)
    Una forma eminente della missione ecclesiale dei coniugi è l’esercizio cristiano dell’ospitalità. “Nel nostro tempo, così duro per molti, quale grazia essere accolti in questa piccola chiesa, secondo la parola di San Giovanni Crisostomo, di entrare nella sua tenerezza, di scoprire la sua maternità, di sperimentare la sua misericordia, tanto è vero che un focolare cristiano è “il volto ridente e dolce della Chiesa”. È un apostolato insostituibile…” (Paolo VI) (cf n.105)
    La promozione umana, distinta ma inseparabile dalla evangelizzazione, è il principale servizio che gli sposi cristiani sono chiamati a compiere nell’ambito della società civile. Tale servizio consiste anzitutto nel vivere all’interno del proprio nucleo coniugale e familiare, un’esperienza quotidiana di autentico amore, come richiamo e stimolo ai valori dell’incontro interpersonale e del dono gratuito di se stesso offerti ad una società, prigioniera del mito del benessere e dell’efficienza (cf n.111). I coniugi, inoltre, contribuiscono al bene comune della società mediante l’educazione dei figli, ai quali offrono l’esempio non solo del proprio amore reciproco, ma anche di un amore che oltrepassa i confini della famiglia per estendersi a tutti, specialmente ai poveri e agli oppressi, e nei quali stimolano l’apertura verso il bene della società intera (cf n.112).
    Veramente il futuro della Chiesa e della sua presenza salvifica nel mondo passano in maniera singolare attraverso la famiglia, nata e sostenuta dal matrimonio cristiano (cf n.119).

    La trasformazione dal di dentro

    Nel 1975 Paolo VI ribadisce per la Chiesa l’impegno di annunciare il Vangelo (EN), sottolineando che è un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l’umanità.
    Si tratta di incoraggiare tutti nella missione di evangelizzatori affinché, in questi tempi d’incertezza e di disordine, lo compiano con amore, zelo e gioia sempre maggiori (cf n.1). L’obiettivo è uno solo: “rendere la Chiesa del XX secolo sempre più idonea ad annunziare il Vangelo all’umanità del XX secolo” (cf n.2).
    Le condizioni della società ci obbligano tutti a rivedere i metodi, a cercare con ogni mezzo di studiare come portare all’uomo moderno il messaggio cristiano, nel quale, soltanto, egli può trovare la risposta ai suoi interrogativi e la forza per il suo impegno di solidarietà umana (cf n.3).
    Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la “buona novella” in tutti gli strati dell’umanità e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: “ecco faccio nuove tutte le cose”. Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo (cf n.18). Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza (cf n.19).
    Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo che occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Gaudium et spes, partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio (cf n.20).
    Ma l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale dell’uomo; è un messaggio che coinvolge tutta la vita (cf n.29). La testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con uno zelo senza limiti, è il primo mezzo di evangelizzazione. “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri… o se ascoltano i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (cf n.41).
    Nell’ambito dell’apostolato di evangelizzazione proprio dei laici, è impossibile non rilevare l’azione evangelizzatrice della famiglia. Essa ha ben meritato, nei diversi momenti della storia della Chiesa, la bella definizione di “Chiesa domestica”. Ciò significa che, in ogni famiglia cristiana, dovrebbero riscontrarsi i diversi aspetti della Chiesa intera. Inoltre la famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell’intimo di una famiglia cosciente di questa missione, tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto (cf n.71).
    Ci vogliono testimoni autentici come evangelizzatori. Si ripete spesso, oggi, che il nostro secolo ha sete di autenticità. Soprattutto a proposito dei giovani, si afferma che hanno orrore del fittizio, del falso e ricercano sopra ogni cosa la verità e la trasparenza. La testimonianza della vita è divenuta più che mai una condizione essenziale per l’efficacia profonda della predicazione. Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia (cf n.76).

    L'uomo via quotidiana della Chiesa

    Nella sua prima enciclica (4 marzo 1979) Giovanni Paolo II, collegandosi direttamente alla prima di Paolo VI, presenta Gesù Cristo “Redentore dell’uomo”
    Nell’atto redentivo la storia dell’uomo ha raggiunto, nel disegno d’amore di Dio, il suo vertice. Dio è entrato nella storia dell’umanità e, come uomo, è divenuto suo “soggetto”, uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico! Attraverso l’Incarnazione Dio ha dato alla vita umana quelle dimensioni che intendeva dare all’uomo, sin dal suo primo inizio, è l’ha data in maniera definitiva. (cf n. 1)
    Gesù Cristo è la via principale della Chiesa. Egli stesso è la nostra via “alla casa del Padre”, ed è anche la via a ciascun uomo. Su questa via che conduce da Cristo all’uomo, su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno. La Chiesa stessa non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell’uomo, così come non può rimanere indifferente a ciò che lo minaccia.
    Si tratta dell’uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell’uomo “astratto”, ma reale, dell’uomo “concreto”, “storico”. Si tratta di “ciascun” uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero. (cf n. 13)
    La Chiesa non può abbandonare l’uomo, la cui “sorte”, cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto e indissolubile unite a Cristo. Quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione.
    Quest’uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa.
    Essendo quindi quest’uomo la via della Chiesa, via della quotidiana sua vita ed esperienza, della sua missione e fatica, la Chiesa del nostro tempo deve essere, in modo sempre nuovo, consapevole della di lui “situazione”. Deve cioè essere consapevole delle sue possibilità, che prendono sempre nuovo orientamento e così si manifestano; la Chiesa deve, nello stesso tempo, essere consapevole delle minacce che si presentano all’uomo: Deve essere consapevole, altresì, di tutto ciò che sembra essere contrario allo sforzo perché “la vita umana divenga sempre più umana”, perché tutto ciò che compone questa vita risponda alla vera dignità dell’uomo. In una parola, deve essere consapevole di tutto ciò che è contrario a quel processo. (cf n. 14)
    Se Cristo “si è unito in certo modo ad ogni uomo” la Chiesa, penetrando nell’intimo di questo mistero, nel suo ricco e universale linguaggio, vive anche più profondamente la propria natura e missione. Questa unione del Cristo con l’uomo è in se stessa un mistero, dal quale nasce “l’uomo nuovo”, chiamato a partecipare alla vita di Dio, creato nuovamente in Cristo alla pienezza della grazia e della verità. L’unione del Cristo con l’uomo è la forza e la sorgente della forza.
    La Chiesa, cercando di guardare l’uomo quasi con “gli occhi di Cristo stesso”, si fa sempre più consapevole di essere la custode di un grande tesoro, che non le è lecito sciupare, ma deve continuamente accrescere. Se infatti l’uomo è la via della vita quotidiana della Chiesa, è necessario che la stessa Chiesa sia sempre consapevole della dignità dell’adozione divina che l’uomo ottiene, in Cristo, per la grazia dello Spirito Santo, e della destinazione alla grazia e alla gloria. Riflettendo sempre di nuovo su tutto questo, accettandolo con una fede sempre più cosciente e con un amore sempre più fermo, la Chiesa si rende, al tempo stesso, più idonea a quel servizio dell’uomo, cui Cristo Signore, la chiama quando dice: “Il Figlio dell’uomo… non è venuto per essere servito, ma per servire” (cf n. 18).

    La pedagogia della fede

    Nel 1979 Giovanni Paolo II espone il suo pensiero nella lettera “Catechesi tradendae” e nel capitolo su “come fare la catechesi” offre alcune linee e orientamenti di tipo metodologico.
    L’età e lo sviluppo intellettuale dei cristiani, il loro grado di maturità ecclesiale e spirituale e molte altre circostanze personali esigono che la catechesi adotti metodi diversi, per attingere il suo scopo specifico: l’educazione alla fede. Tale varietà è richiesta anche, su un piano più generale, dall’ambiente socio-culturale, nel quale la Chiesa svolge la sua opera catechistica. La varietà dei metodi è un segno di vita e una ricchezza (cf n.51).
    Il termine acculturazione, o inculturazione, pur essendo un neologismo, esprime molto bene una delle componenti del grande mistero dell’Incarnazione. Della catechesi, come dell’evangelizzazione in generale, possiamo dire che è chiamata a portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture. Per questo, la catechesi cercherà di conoscere tali culture e le loro componenti essenziali; ne apprenderà le espressioni più significative; ne rispetterà i valori e le ricchezze peculiari. Gli autentici maestri in catechesi sanno che una catechesi “s’incarna” nelle differenti culture o nei differenti ambienti (cf n.53).
    La pluralità dei metodi nella catechesi contemporanea può essere segno di vitalità e di genialità. In tutti i casi, quel che importa è che il metodo prescelto si riferisca, in definitiva, a una legge che è fondamentale per tutta la vita della Chiesa: quella della fedeltà a Dio e della fedeltà all’uomo, in uno stesso atteggiamento di amore (cf n.55).
    L’irriducibile originalità dell’identità cristiana ha per corollario e condizione una pedagogia non meno originale della fede. È normale adattare in favore dell’educazione della fede le tecniche sperimentate e perfezionate dell’educazione in quanto tale. Dio medesimo, nel corso della storia sacra e soprattutto nel Vangelo, si è servito di una pedagogia, che deve restare come modello per la pedagogia della fede (cf n.58). Alla catechesi incombe il preciso dovere di trovare un linguaggio adatto ai fanciulli e ai giovani del nostro tempo in generale, come a numerose altre categoria di persone, perché essa possa più agevolmente “dire” o “comunicare” ai fanciulli, agli adolescenti, ai giovani e agli adulti di oggi tutto il contenuto dottrinale, senza alcuna deformazione (cf n.59).
    Il dono più prezioso che la Chiesa possa offrire al mondo contemporaneo, disorientato e inquieto, è di formare in esso cristiani sicuri nell’essenziale e umilmente lieti nella loro fede (cf n.61).
    Il compito riguarda tutti i credenti ed è necessario seminare abbondantemente nel cuore di tutti i responsabili dell’insegnamento religioso e dell’addestramento alla vita secondo il vangelo, il coraggio, la speranza, l’entusiasmo! (cf n.62). L’azione catechetica della famiglia ha un carattere particolare e, in certo senso, insostituibile. Questa educazione alla fede da parte dei genitori – educazione che deve iniziare fin dalla più giovane età dei figli – si esplica già quando i membri di una famiglia si aiutano vicendevolmente a crescere nella fede grazie alla loro testimonianza cristiana, spesso silenziosa, ma perseverante nel ritmo di una vita quotidiana vissuta secondo il Vangelo. La catechesi familiare, pertanto, precede, accompagna e arricchisce ogni altra forma di catechesi.
    Il contributo dei laici, anch’essi educatori alla fede, costituisce una sfida per la responsabilità dei Pastori. Questi catechisti laici, infatti, debbono essere accuratamente formati a quel che è, se non un ministero formalmente istituito, per lo meno una funzione di grandissimo rilievo nella Chiesa.


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