Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Le difficoltà (Quinta parte di: Trenta storie)


     

    Riccardo Tonelli, TRENTA STORIE da meditare e raccontare per un progetto di pastorale, Elledici 1999

     

    L'abbiamo sperimentato tutti, tante volte: sul più bello l'entusiasmo
    frana sotto la spinta delle difficoltà. Alcune vengono dall'esterno di noi, impreviste e sconcertanti. Altre, le peggiori, vengono da noi stessi e bloccano tutto, lasciando scoperto quello su cui avevamo giocato tante speranze.
    Che fare?
    Un buon progetto non può ignorare questa ipotesi. Deve, al contrario, prevederla nelle stagioni delle verifiche e delle riprese.
    Dobbiamo attenderci l'insorgere di difficoltà, ma non possiamo, di certo, anticipare le ipotesi di soluzione con la sicurezza delle cose intelligenti. Qualche linea d'intervento la possiamo però prevedere, confrontando le nostre storie con quelle, normative e consolanti, di chi è vissuto prima di noi.
    Dal Vangelo ho raccolto alcune storie: propongono problemi, incertezze e, persino, tradimenti... come sono quelli che minacciano ogni operatore di pastorale; ma, soprattutto, delineano le direzioni con cui tutto questo può essere risolto.

    Allora, com'è andata?
    Spesso ad una buona volontà che sposterebbe le montagne, corrispondono risultati scarsi e, qualche volta, persino fallimentari. Viene spontaneo chiedersi il perché di tutto questo e dove eventualmente stiano le responsabilità. Un buon progetto, che guarda al futuro, non può non porsi problemi del genere. Il Vangelo suggerisce una risposta «strana»: la parabola del seminatore...

    Non abbiate paura...
    Nei momenti più neri – che non mancano mai nell'avventura dell'evangelizzatore – anche noi gridiamo come i discepoli sulla barca, squassata dal mare in tempesta: Gesù, dove sei? La risposta: un fantasma, quasi irriconoscibile, che si avvicina camminando tra le onde agitate.

    Se anche il tuo cuore ti inquieta...
    Se fosse sufficiente dichiarare il proprio entusiasmo, avremmo già sistemato mezzo mondo. Alla prova dei fatti, però, il tradimento e la paura sono sempre annidate tra le pieghe della nostra esistenza. Ci consola l'esperienza di Pietro: anche il tradimento più nero diventa qualcosa da raccontare per consolidare la speranza.

    Una scuola di preghiera
    La storia dei discepoli di Emmaus fa scuola: dal sì generoso allo scoraggiamento il passo è corto. Gesù fa strada con noi per restituirci all'impegno e alla speranza.


    ALLORA, COM'È ANDATA?

    «Allora, com'è andata?» è una specie di saluto d'obbligo con cui diamo il benvenuto a chi torna da un'impresa.
    Ci tiene lui a farsi rivolgere una domanda del genere, così ha la possibilità di incensarsi un poco, sciorinando tutte le difficoltà che ha dovuto superare e gli applausi che si è guadagnato. E ci tengono gli altri: gli amici, per consolare di qualche imprevisto; gli invidiosi e i gelosi, per costringere a dichiarare che anche ad essi, tante altre volte, le cose sono andate davvero bene.
    I discepoli di Gesù non hanno mai chiesto a Gesù come gli era andata. Quello che lui faceva era sotto gli occhi di tutti. Si sarebbero presi una battutaccia: «Perché me lo chiedete? Guardatevi d'attorno e chiedetelo a quelli che mi hanno ascoltato. Parlo in pubblico, nelle sinagoghe e nel tempio. Non ho nessun segreto. Quello che devo dire, lo predico apertamente».
    La domanda se la rivolgevano però spesso tra loro, tornando dai giri missionari verso cui Gesù indirizzava i suoi discepoli, con un'insistenza sempre più grande.
    «Allora, com'è andata?». La risposta era sempre quella: «Mah... non male, ma di certo tutt'altro che bene. Chissà perché?».
    Di impegno e di passione ne mettevano tantissima. Ci buttavano tempo, sonno, energie. Purtroppo, però, i risultati non erano dei più entusiasmanti. Pochi ascoltavano. Pochissimi chiedevano approfondimenti e si dichiaravano decisi a seguire il giovane maestro di Nazareth. Di miracoli poi... neppure l'ombra. Le poche volte che li avevano tentati, avevano dovuto fuggire, prima che la folla li allontanasse ad insulti e strattoni. A dir la verità, una volta era andata meglio del solito. Però, ci aveva pensato Gesù a spegnere l'entusiasmo: «Ho visto il demonio precipitarsi a razzo verso di voi. Gli avete dato corda, con la vostra presunzione».
    In una riunione di verifica, in cui i volti erano più tesi del solito e la crisi serpeggiava nell'aria, decidono di prendere di petto il problema. Non ne possono più di mezze parole e di inviti alla pazienza. «Gesù, facci capire... la missione che tu ci affidi è come fare un buco nell'acqua: zelo, impegno, fatica e risultati nulli. Possibile?».
    Gesù aspetta a rispondere. È convinto che il silenzio aiuti a snidare i pregiudizi, anche quelli nascosti tra le pieghe più profonde.
    Rilanciano i discepoli, delusi e amareggiati: «Per favore, Gesù, dicci qualcosa. Vedi: non ne possiamo più. Di chi è la colpa del nostro fallimento? Se non siamo fatti per quest'impresa, pazienza... ci rinunciamo una volta per tutte. Torniamo alle nostre barche... almeno lì è facile contare i risultati del lavoro».
    Finalmente, la questione è chiara: di chi è la colpa? Qualcosa non è andato nel verso giusto: perciò ci deve essere un colpevole, da qualche parte.
    Gesù prende la parola. L'attenzione è alle stelle. Si rendono conto, i poveri discepoli, che c'è di mezzo la ragione della loro vocazione.
    «Avete visto cosa fa il contadino quando è giunta la stagione per la semina? Si organizza, raccoglie un sacco di semente e va verso il suo campo. Se ne mette un po' nel grembiule e incomincia a spargere ai quattro venti la sua semente.
    Ha un lungo mestiere. I suoi gesti sono precisi e sicuri. Purtroppo, è difficile fare bene i conti con le bizzarrie del vento. Un po' di seme cade sul terreno appena arato. Lo penetra e si consolida nelle zolle ricche di potenza vitale. Qualche altro però cade sui bordi del campo. Il terreno è troppo arido per far fruttificare il seme. Qualche manciata di seme va a finire persino sulle pietraie che delimitano i poderi.
    Gli uccelli, sempre affamati, stanno in agguato. Piombano a stormi sul campo e si fanno una scorpacciata di semente... Soprattutto quella caduta ai bordi del podere e quella finita sul terreno sassoso finisce presto come cibo degli uccelli».
    124
    La storia raccontata da Gesù li consola e li preoccupa. Il seminatore è bravo, la semente è buona, il terreno è adatto... La colpa dei risultati scarsi e incerti non sta in lui. Di chi è allora la responsabilità?
    Conoscono benissimo la conclusione della storia.
    Molti mesi più tardi, il contadino raccoglie i frutti del suo lavoro. Sa già che non potrà aspettarsi nulla dal seme caduto fuori delle zolle arate. Anche quei rari semi che sono riusciti ad attecchire, resistendo agli assalti degli uccelli e all'aridità del suolo, danno spighe rachitiche, bruciate subito dal primo sole di primavera.
    Gesù però insiste: «La storia del seminatore è solo una parabola. Serve a farci pensare ad un'altra seminagione, ben più impegnativa: quella della parola di Dio. Quello che sto dicendo per il seminatore, vale soprattutto per chi va in giro ad annunciare il regno di Dio. Pensateci bene.
    Ad ogni chicco seminato non corrisponde la stessa spiga. Qualche volta, da un chicco nasce una spiga, turgida all'inverosimile; qualche altra volta, invece, la spiga è smilza e rinsecchita da far paura. Ci sono dei chicchi che spariscono tra la polvere del terreno e se ne sono altri, invece, che danno frutto, con percentuali molto diverse». Poi aggiunge: «Non chiedetemi il perché di questa diversità. È difficile dirlo. Molti elementi giocano sul risultato e lo condizionano: la qualità della semente e quella del terreno, l'esposizione al sole e il flusso dell'acqua. Fuori paragone... le cose si complicano a non finire. C'è di mezzo la libertà di ogni persona e la sua disponibilità ad accogliere una parola che viene dal silenzio del mistero. Il Padre che sta nei cieli non forza la mano a nessuno. Ha regalato a tutti libertà e responsabilità. Rispetto l'una e l'altra fino al limite dell'amore».
    I discepoli restano sconvolti. Cercavano un elenco di imputabilità, con la buona volontà di chi sarebbe stato disposto a cambiare qualcosa se avesse scoperto di esserci di mezzo lui. E Gesù li immerge in un'esperienza, nuova e sconcertante, dove i conti non tornano mai e le logiche sono tanto diverse da quelle con cui cerchiamo di affrontare i nostri problemi quotidiani.
    Gesù batte il ferro finché è caldo. Ha trovato finalmente l'occasione giusta per condividere, con i suoi discepoli, alcune delle cose che gli stanno più a cuore.
    «Voi volete sapere come si fa a prevedere il risultato della fatica di evangelizzare. Avete ragione: ogni operaio ha diritto ad una busta-paga chiara e precisa.
    Le regole che valgono in questo settore sono però assai diverse da quelle normali.
    Torniamo alla storia che vi ho raccontato. Ci aiuta a parlare in modo concreto di cose che altrimenti sarebbe molto difficile comunicare.
    Sapete bene cosa capita al chicco di frumento quando è seminato. Sparisce tra le zolle del terreno. Poi, alla prima umidità, marcisce. Muore. Il chicco di frumento deve morire, sottoterra, per diventare spiga. Se uno scava per rintracciarlo, fa fatica a scoprirlo. Non è più quello di prima. Il contadino è felice. Sa che la morte è l'inizio sicuro della vita.
    Vedete come sono diversi i punti di prospettiva. Si può dire: è finito tutto... perché è morto. E invece si deve dichiarare, nella gioia: è morto... dunque vivrà. Sta rifiorendo in una spiga, ricca e abbondante.
    Questa è la logica strana del regno di Dio.
    Chi lo annuncia, cerca i risultati. Ha ragione. La questione è un'altra: quali risultati? Se cercate l'applauso e se vi affannate a fare dei proseliti, siete come il chicco di frumento che non accetta di morire. Resterà da solo... addio pane per la tavola dell'affamato».
    Un lungo silenzio fa da eco alle parole di Gesù. Questo modo di vedere le cose, mette in crisi. Resta la domanda: «Allora, com'è andata?». Le risposte diventano diverse da quelle che circolavano prima. Si vergognano un poco. Ma Gesù sorride. Vuol bene ai suoi discepoli; li considera gli amici più intimi, quelli cui affiderà la causa che ha preso tutta la sua vita.
    «Ve ne dico un'altra», insiste Gesù. «Pensate al lievito. Chi prepara il pane, mescola con cura lievito e farina. Il lievito sparisce nella farina. È tanto nascosto che non si nota più.
    Eppure, lavorando in segreto, fa fermentare tutto. Al mattino, la pasta è fiorita, pronta a diventare pane profumato.
    La parola che voi pronunciate è come il lievito. Sembra persa, inutile, improduttiva. Poi, avviene il miracolo del pane che rende lieta la tavola del povero».
    Il paragone del lievito li consola. «Gesù, grazie. Preferiamo la storia del lievito a quella del seme. La morte ci fa paura: meglio pensare al pane che fiorisce per una forza misteriosa che è stata sepolta tra la farina. Ci hai scelto come lievito per la fame del mondo. Cambia le nostre preoccupazioni: aiutaci a diventare davvero un pugno di lievito».
    Qualche giorno dopo, ritornano sulla questione. Li ha colpiti e impressionati. Uno dice: «Adesso capisco quello che Gesù ci voleva comunicare quando ci ha dichiarato, senza mezzi termini: dopo che avete fatto tutto quello che dovevate fare, abbiate il coraggio di riconoscere che siete soltanto dei servi». «Certo, è proprio vero», commenta un altro. «Io c'ero rimasto male. Farsi dare del servo... gli avrei cavato gli occhi. È proprio vero. Noi siamo i servi della parola. Il padre fa nascere la vita sulla nostra parola. Dobbiamo pronunciarla con coraggio, forza e competenza e poi fare la fine del lievito... sparire perché lavori meglio...». Riappare Gesù, all'improvviso: «Trovate il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: morire per dare la vita. Non dimenticatelo mai: per generare tutti alla vita, è necessario fare la fine del chicco di grano, che muore».


    NON ABBIATE PAURA...

    Era stato un pomeriggio da ricordare, uno di quelli che lasciano il segno.
    Gesù aveva parlato ad una folla sconfinata. Riempivano tutti gli angoli del prato, lungo il dolce declivio verso il lago. Quelli che erano riusciti a conquistare le prime file avevano goduto un mondo per le parole che Gesù aveva regalato. «Abbiamo un Padre che ci ama. Si prende cura di noi, senza esigere nulla in contraccambio. Tiene conto dei capelli del nostro caso e dà il nutrimento giornaliero agli uccelli del cielo». Gli altri, quelli seduti più lontano, avevano dovuto accontentarsi di qualche parola, portata dalla brezza della sera e degli applausi dei più fortunati.
    Gli apostoli erano tra i più fortunati: seduti ai piedi di Gesù, non perdevano una battuta.
    Quella sera, poi, l'incontro era terminato nel modo più impensabile. Prima dei saluti, Gesù aveva offerto pane e pesce arrostito. Non aveva badato all'economia. Tutti si erano tolta la fame. Qualcuno era riuscito persino a farsi una provvista per il ritorno. Pochi sapevano da dove arrivava quel ben di Dio. Gli apostoli, ancora una volta, erano tra i fortunati, spettatori dell'incredibile: cinque o sei pani, offerti da un ragazzo previdente e coraggioso, avevano sfamato diecimila persone.
    Dopo gli ultimi saluti, qualche parola di commento e un largo arrivederci, Gesù aveva fissato l'appuntamento ai suoi apostoli sull'altra sponda del lago. «Non vieni?», gli avevano chiesto. «Come fai a raggiungerci? La barca la prendiamo noi. E tu?». La risposta di Gesù era stata pronta e quel tanto evasiva che invitava a non insistere: «Non preoccupatevi. Mi arrangerò. Ho bisogno di un po' di silenzio e di pace. Voi andate. Mi fermo a pregare un paio d'ore e vi raggiungo».
    «A presto». Ed erano partiti.
    All'improvviso spunta un vento feroce. Le onde si alzano. Il lago di Galilea è scosso da uno di quei temporali improvvisi che mettono paura anche ai pescatori più navigati.
    I discepoli erano gente di lago, rotti a tutte le tempeste. Questa però è uno spavento. La barca è ingovernabile, sbattuta dal vento e dal mare grosso. Non riescono a tornare e l'altra sponda è troppo lontana per cercare di raggiungerla con un mare così.
    Qualcuno commenta: «Peccato, la sera sembrava tranquilla. Poi era incominciata così bene. Un successo. Hanno applaudito Gesù come mai era capitato prima. L'ultimo gesto poi, l'attenzione alla fame dei presenti e la proposta di qualcosa per togliersela almeno una volta del tutto... aveva riempito la misura. Davvero un successone. E adesso... che si fa?». «Ci fosse almeno Gesù... lui ha la parola giusta per ogni situazione». Si consolano pensando a lui: «Forse sarebbe persino capace di spegnere il vento e di ridurre il mare alla bonaccia». Pietro, il pescatore abituato a trattare il mare come un compagno di lavoro e d'avventura, trema di paura come gli altri. Grida con tutto il fiato che ha in gola: «Gesù... dove sei?».
    All'improvviso, le ombre della notte lasciano intravedere una figura lontana. Si muove. Cammina sul pelo dell'acqua, cavalcando le onde in burrasca. Si avvicina alla barca.
    Ci mancava anche questo. «Un fantasma... qualche morto annegato in una notte come questa che viene ad accoglierci per trascinarci con lui nel regno dei defunti». «Gesù... dove sei? Aiuto, Gesù: salvaci».
    L'ombra è ormai vicinissima alla barca. L'ultimo grido si spegne in gola.
    Una voce, dolcissima, rompe il fragore del tuono e del mare: «Sono io, non temete. Vi ho raggiunto. Non posso lasciare i miei discepoli nel pericolo».
    Non ci credono. La distanza tra Gesù e la barca, in balia delle onde, è piccola; la voce è distinta. Non ci credono: un sogno, l'ultimo miraggio prima del naufragio.
    Persino Pietro stenta a riconoscere Gesù. «Non può essere lui... l'abbiamo lasciato sulla riva senza barca». Gli assomiglia. La voce è la sua. Ma non è lui.
    «Se sei tu davvero, chiamami per nome e ti raggiungo a nuoto». Gesù sta al gioco: «Pietro, buttati e raggiungimi». Pietro non ci pensa due volte. Si tuffa. Le onde lo travolgono. Non riesce a stare a galla, lui che sfidava persino le barche e le batteva sul tempo. «Gesù, affogo. Salvami». «Coraggio, Pietro, dammi una mano. Ecco... fidati di me. Pensa quante volte ti ho offerto ragioni per fidarti di me... perché hai paura ancora?».
    La mano di Gesù alza Pietro dalle onde del mare. Sono sulla barca: Gesù, Pietro, assieme. I discepoli si guardano d'attorno. Non hanno più dubbi: è proprio lui. Adesso ne sono sicuri.
    Il vento è cessato, all'improvviso. Il mare si calma in pochi attimi. La barca, spinta da una presenza misteriosa, tocca terra, sulla sponda opposta del lago. Sono arrivati.
    Un pomeriggio e una notte proprio da ricordare.
    Passano i giorni, veloci sotto l'incalzare degli avvenimenti. La storia del fantasma e della barca scossa dal mare in tempesta viene però dimenticata presto. Si sono messi d'accordo di non parlarne più. «Meglio dimenticare la figuraccia. Pazienza per la paura: il mare in tempesta fa spavento a tutti... anche se le prime volte che l'abbiamo raccontato ci hanno preso in giro. Aver preso Gesù per un fantasma... proprio noi che abbiamo vissuto lunghi mesi a gomito a gomito con lui... questo è il colmo. Mettiamoci una pietra sopra e guai a chi ne parla».
    Poi arrivano i giorni tristi. Hanno catturato Gesù. L'hanno processato, condannato, ucciso. I suoi nemici hanno vinto. I discepoli fuggono. Ritorna la paura: un'esperienza terribile, che cancella, d'un colpo, tutti i ricordi felici. Altro che il mare in tempesta e il fantasma che cammina tranquillo sulle onde... Adesso tutto è davvero finito, nel peggiore dei modi. «Gesù, dove sei?»: i poveri discepoli non hanno più neppure la forza di gridarlo.
    Quella sera, rintanati in una stanza sbarrata verso l'esterno, hanno ripensato alla barca scossa dal vento: «Qui ci vorrebbe Gesù». Purtroppo non c'è più. L'hanno vinto e distrutto. Sono distrutti anche loro; i loro sogni sono stati trascinati nella tomba con il loro maestro.
    Ma non è finita. Gesù ritorna vincitore. Questa volta non regala bonaccia al mare in tempesta. Rincuora i discepoli con la potenza del suo Spirito e li lancia verso i quattro angoli del mondo. Sono cambiati ormai: trasformati dentro. L'incontro con il Risorto ha fatto il miracolo. Non hanno più paura.
    Si buttano a parlare di Gesù con una foga che mai si sarebbero sognati d'avere. Dicono parole forti. Compiono gesti coraggiosi. Le cronache della prima comunità cristiana riportano qualche frammento di discorso. Uno per tutti: le parole con cui Pietro difende la guarigione dello zoppo alla Porta Bella del tempio. «Volete sapere perché questo zoppo ora cammina, dritto e sicuro? La cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,9-12).
    Ogni tanto, ritornano sulla pagina nera del mare e del fantasma. «È stato un momento di debolezza. Non ce ne possiamo vergognare. Anzi... va ricordato: anche così possiamo pensare alla presenza di Gesù nella nostra vita». Sono tutti d'accordo: è uno degli episodi da selezionare, per raccontarlo a chi crederà in Gesù sulla loro parola. Pensano: chissà quante altre persone saranno tentate di non riconoscere Gesù nei momenti difficili dell'esistenza... E concludono: «Se ci siamo passati noi da questa avventura triste, noi che proprio non potevamo sbagliarci dopo tutte le prove che Gesù ci aveva dato... La nostra storia può servire da conforto e sostegno. Va raccontata».
    Paolo l'ha provato sulla propria pelle. Ci regala un commento bellissimo a quest'esperienza. «Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,7-10).


    SE ANCHE IL TUO CUORE TI INQUIETA...

    «Ho paura che, questa notte, mi troverò da solo, circondato soltanto dai miei nemici».
    È triste restare da solo, abbandonato da tutti. Ed è più sconfortante ancora scoprire che i traditori si annidano tra gli amici.
    «Questa notte mi lascerete solo. Sarò tradito da qualcuno di voi».
    Le parole di Gesù cadono, dure e impietose, tra i discepoli, radunati per mangiare la cena di festa. Restano senza voce, sconfortati e amareggiati. Possibile? Tradire Gesù? Abbandonarlo dopo tutto quello che è stato per ciascuno. «Perché dovremmo farlo?», si chiedono l'un l'altro. «Per paura» incalza Gesù. I nemici si sono organizzati. Sono decisi a tutto. Non ne possono più. Arriveranno armati fino ai denti, decisi a tutto: o questa volta o mai più.
    «Mi lascerete nelle loro mani... Anzi, qualcuno passerà persino dalla loro parte, per paura di fare la mia stessa fine».
    Pietro non ne può più. Esplode, sicuro come sempre. «Gesù, questo poi no. Io non ti tradirò... mai. Sta' certo: anche se tutti dovessero abbandonarti, io no. Non lo posso fare. Sei tutto per me. Ho lasciato tutto per stare con te... vorresti che proprio nel momento più impegnativo cambiassi parere?».
    «Pietro... anche noi... tutti. Mai e poi mai... Gesù, sta tranquillo... staremo con te anche se dovesse costarci la vita». Lo gridano tutti, ad una sola voce.
    Gesù tace. Cambia discorso. Ritornano i toni della festa. Passano poche ore e i timori di Gesù si avverano puntuali.
    È solo nell'orto. Prega il Padre, affranto dalla minaccia che gli incombe. Prega e suda sangue. Gli altri, i discepoli, persino i più fedeli, dormono tranquilli, intorpiditi dalla fatica e dalle emozioni.
    Poi, all'improvviso, arrivano i soldati. Gesù è arrestato e trascinato davanti al tribunale.
    I discepoli si disperdono. La debole resistenza è controllata da Gesù stesso, pronto al perdono anche nel momento conclusivo.
    Pietro vaga un po' disperato nella notte di Gerusalemme. Poi arriva nel cortile del tribunale. Sopra, tra urla scomposte, Gesù è giudicato. Sotto, attorno al fuoco, Pietro aspetta. Vuol sapere come le cose finiranno, ma non ha nessuna intenzione di farsi riconoscere. Non vuole rischiare. Incomincia già a tirarsi indietro, lui che, qualche ora prima, a parole, dichiarava di essere pronto a tutto per il suo maestro.
    Si avvicina una donna. Non ha nessuna pretesa. Sa di contare poco in quel cerchio di uomini che stanno scaldandosi al fuoco e commentano i fatti del giorno. Lei, poverina, è soltanto una serva di casa. Deve stare attenta: oltre a non darle eccessivo ascolto, le possono far perdere il posto.
    Prima ascolta. Poi butta lì una battuta. Forse è solo un po' di curiosità o il tentativo di farsi notare. Non è certo un atto d'accusa. Per carità... non se lo può permettere davvero.
    «Senti, Pietro... ma tu quel Gesù che stanno condannando... lo conosci? L'hai frequentato? Che tipo era?». Pietro scatta, punto sul vivo: «Mai visto... che ti viene in mente? Che razza di domanda mi stai facendo? Per favore, siamo seri».
    La donna non è convinta. Si ferma e ascolta. Pietro si è messo a parlare, come un fiume in piena. Vuole dimostrare che non ha proprio niente da spartire con Gesù.
    La donna insiste: «È difficile immaginare che tu non lo conosca. Parli come lui. Hai la stessa inflessione di voce. Scommetto che siete dello stesso paese. Possibile che non lo conosca?».
    Questa volta Pietro non ne può più. La paura lo stringe alla gola. «Basta», grida, «fatela smettere. Dice solo sciocchezze. Mai visto quel Gesù lì». Lo scatto di Pietro è stato controproducente. Qualche altro sembra confermare la constatazione della donna. Pietro giura e spergiura: «Io Gesù non so chi sia. Mai visto. Lo condannino se lo merita. Lo lascino libero se non ha commesso nulla di grave. Io non lo so. Non me ne importa nulla. E smettetela... una buona volta. Mi avete infastidito».
    Si alza per andarsene. Vuole dimostrare che ha ragione lui. L'hanno offeso e se ne va.
    Ha fatto solo due passi e si trova avvolto nella disperazione della morte.
    «L'ho tradito. Ho tradito Gesù. L'ho tradito perché sono un vigliacco. Non mi costava nulla... e l'ho tradito. E adesso... cosa faccio? Dove posso fuggire? Ho tradito il mio Signore. L'ho condannato io alla morte».
    Si ferma. Dalla scala scende qualcuno. È Gesù, circondato dai soldati, legato come un malfattore. Condannato due volte: dal giudizio perverso e dal tradimento del suo amico.
    Pietro guarda Gesù. L'ultimo sguardo e poi... non gli resta che la morte del disperato.
    Gesù guarda Pietro. Uno sguardo dolce: un profondo abbraccio accogliente. Non l'aveva mai sperimentato come questa notte. Gesù gli butta le braccia al collo... a lui, a Pietro, il traditore per paura.
    Gli sguardi si incrociano rapidissimi. Non c'è tempo neppure per una parola. Non riesce a gridare neppure «Gesù». I soldati lo trascinano via, a strattoni e a spinte.
    Pietro ferma il tempo. Lo sguardo di Gesù si fa parola. Sente l'eco lontano di una bellissima storia, raccontata qualche mese prima da Gesù. Allora non l'aveva capita tanto bene. Gli sembrava strana, troppo rassegnata. Adesso la riscopre tutta: è sua... la sua storia.
    «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. [...] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa» (Lc 15,11-32).
    La storia l'ha trasformato. Gli ritorna il sorriso sul volto. Non ha più paura. L'abbraccio di Gesù ha distrutto il suo peccato. E tornato quello di prima, con un'esperienza in più, che l'ha cambiato dentro e gli ha fatto toccare con mano l'amore accogliente di Dio.
    Un giorno aveva chiesto a Gesù: «Tu dici di perdonare. E sono d'accordo. Non hai detto però quante volte bisogna perdonare. Quante volte?». Gesù non propone dei numeri. Dice a Pietro: «Fai tu... mi raccomando: sii generoso. Non si sa mai». Pietro aveva tentato il massimo della generosità che gli sembrava possibile. «Gesù... sette volte... va bene?». Si aspettava da Gesù un rimprovero: «Troppo. Stringi, Pietro... Il peccato non può essere preso alla leggera».
    Gesù lo sgrida per la ragione opposta: «Troppo poco. Si perdona sempre. Tutto può essere perdonato, senza limiti di tempo e di numero. Basta fidarsi dell'amore di Dio e affidarsi a lui, come un bambino alle braccia della madre». «Ricordati», insiste Gesù, «se anche una mamma potesse dimenticare il figlio, Dio non ci dimentica mai».
    Anche in quella circostanza, Pietro era rimasto con i suoi dubbi. E se Gesù fosse un pochino esagerato?
    Adesso riscopre tutto. Il suo tradimento... altro che sette volte. Da solo vale tutti i peccati di questo mondo.
    Gesù, con uno sguardo, lo avvolge del suo amore accogliente. Con il volto ormai trasfigurato dai pugni e dagli sputi, gli dice: «Pietro, coraggio, facciamo festa. Ti avevo perso e ora sei mio, per sempre».
    Pietro esce di corsa dal cortile del tribunale. Cerca i suoi amici. Li raduna. Racconta il suo tradimento tutto d'un fiato. È contento. Non sta nella pelle. Ha toccato con mano il perdono di Gesù, lui che avrebbe meritato il castigo più duro.
    Qualcuno gli raccomanda il silenzio. «Pietro, non dirlo a nessuno. Ci fai una pessima figura. Mettiamoci una pietra sopra: facciamo finta che non sia successo nulla.. Ti assicuriamo anche noi il silenzio. L'avventura della Chiesa incomincerebbe male. Scusa, sai, Gesù ti ha affidato una responsabilità grossa: hai una dignità da far valere».
    Il parere di Pietro è tutto il contrario. Non riesce proprio a tacere. Lo racconta a tutti. «Ho tradito il maestro nel peggiore dei modi. E mi ha buttato le braccia al collo. Sono il ragazzo scappato di casa, che il padre sprofonda nel suo abbraccio accogliente. Lo dobbiamo dire a tutti... Ho sperimentato la più bella notizia della mia vita».
    Ha fatto tanto e ha gridato tanto che, controvoglia, hanno dovuto registrare l'accaduto nei testi del Vangelo. Era troppo importante per metterci una pietra sopra.
    Il commento più bello se l'è riservato, più tardi, Giovanni, nella Lettera scritta ai cristiani tanti anni dopo la morte di Gesù: «Anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20).


    UNA SCUOLA DI PREGHIERA

    Ci avevano sperato tanto. Avevano accettato l'invito di Gesù con entusiasmo. Avevano lasciato tutto per seguirlo, affascinati dalla sua persona e convinti della sua causa.
    Ora però tutto sembrava finito. Nel peggiore dei modi.
    I nemici avevano catturato Gesù. L'avevano sottoposto ad un processo che era tutto una presa in giro. L'avevano condannato come un malfattore, lui che aveva solo fatto del bene a tutti quelli che aveva incontrato. Poi, dopo averlo torturato, l'avevano ucciso. Tutto era finito così. Gesù aveva promesso di vincere anche la morte. L'aveva fatto con quella degli altri. Con la sua però... nulla di tutto questo. Gesù era stato cancellato dagli occhi e dal cuore dei suoi amici. Avevano vinto i suoi nemici. Tutto doveva ritornare come prima.
    Pazienza... era stato un bel sogno, finito troppo presto e nel modo più tragico.
    Adesso non c'era proprio più nulla da fare. Bisognava tornarsene a casa, con l'amarezza della nostalgia e con un pizzico di vergogna. Era necessario riprendere in mano gli attrezzi del lavoro, abbandonati con troppa foga qualche mese prima.
    Ritornare... quelli di prima: come se nulla fosse accaduto, superando persino il sorriso beffardo degli amici di un tempo, che non avevano capito la strana voglia di mettersi dietro quel tipo di Nazareth, che stava facendosi un mucchio di nemici con le sue idee.
    Molti discepoli avevano già preso la strada del ritorno. Adesso toccava anche a loro. Buoni buoni, avevano deciso di ritornare ad Emmaus, a casa propria. Come se nulla fosse successo.
    Camminavano scambiandosi parole amare. Non ne avevano altre: le ultime si erano spente in gola con il saluto triste agli amici che restavano a Gerusalemme.
    All'improvviso, si avvicina un viandante, spuntato quasi dal nulla. Veniva come loro dalla direzione di Gerusalemme. Ma non l'avevano notato prima.
    «Buongiorno». «Salve». «Dove andate?». «Veniamo da Gerusalemme e torniamo a casa nostra ad Emmaus. Manca ormai poco, per fortuna».
    Insiste il pellegrino: «Posso unirmi a voi? Io vado oltre. La strada è lunga e, di questi tempi, anche un po' pericolosa. Possiamo farci compagnia?».
    «Accidenti... che facce tristi avete. Non l'avevo notato prima. Mi sembrate appena spuntati da un funerale. Mi sbaglio?».
    La risposta è pronta. Le parole corrono come uno scroscio di pianto. «Veniamo davvero da un funerale. Ne parla tutta Gerusalemme. Come fai a non saperlo? Hanno ucciso Gesù di Nazareth. Era nostro amico e nostro maestro. Noi stavamo con lui, condividevamo la sua passione per la liberazione d'Israele e la sua speranza nel futuro di Dio. L'hanno ucciso, inchiodato sulla croce, dopo un processo che sembrava studiato apposta per condannarlo».
    Una pausa per prendere fiato e per riandare agli ultimi bagliori di quella speranza che aveva loro infiammato il cuore.
    «Aveva fatto solo del bene: guariva gli ammalati, trattava bene i poveri, aveva una parola buona anche per i peccatori. Ha resuscitato persino dei morti. Hai sentito parlare di sicuro di Lazzaro, quello di Betania. Gesù l'ha riportato in vita, tre giorni dopo che era morto. Purtroppo parlava con eccessiva libertà di Dio e della legge. Voleva troppo bene alla povera gente.
    L'hanno ucciso. Chi? Lo sai di sicuro... i romani, ma con la complicità dei nostri sacerdoti e dei dottori della legge...
    Prima di morire, aveva promesso che sarebbe ritornato in vita, anche lui, come il suo amico Lazzaro. Ma ormai sono passati tre giorni... e non è capitato proprio nulla».
    Il secondo incalza: «Proprio nulla... non è vero. Sai, nel nostro giro c'erano anche delle donne. Stavano con noi per servire Gesù. Un paio di loro dice di aver visto Gesù risorto. Nessuno ci crede. Sono donne fanatiche... Se lo sono immaginato, accecate dal dolore e dall'amore.
    I capi, Pietro e gli altri, non hanno visto nulla. Tutto è finito. Torniamo anche noi a casa».
    «Calma. Non correte troppo nelle conclusioni», riprende la parola lo strano compagno di viaggio. «State facendo una lettura scorretta degli avvenimenti. Vi fermate a quello che avete visto con gli occhi. Mi spiace per voi: siete un po' ciechi. Non sapete leggere dentro gli avvenimenti».
    «Aiutaci tu... se ci riesci». «Volentieri. Ascoltate».
    Un passo dopo l'altro si avvicinano a casa. Un passo dopo l'altro, il compagno di strada li aiuta a rileggere gli avvenimenti dal mistero che si portano dentro. Cita brani della Scrittura. Ricorda profezie antiche e nuove. Rende attuali lontani ricordi.
    Neppure nei tempi in cui stavano con Gesù, avevano vissuto un'esperienza simile. Allora erano tutti proiettati verso il futuro. Si erano quasi dimenticati del passato. Il presente e i progetti su esso erano troppo importanti per pensare ancora al passato.
    Adesso, invece, dal presente vanno verso il passato. Lo ricomprendono, immergendolo nel mistero di Dio. Le cose meravigliose che Dio ha compiuto per il suo popolo diventano una specie di nuova lettura del presente. Anche il buio, l'incertezza e il dolore cambiano tono. Brillano di qualcosa che non avevano mai scoperto.
    Si guardano negli occhi. «Strano... ma allora non hanno ucciso la nostra speranza. Ce l'avevano spenta. Avevano tentato di spegnerla ed eravamo caduti nella trappola. Senza passato il nostro presente diventava disperato. Tornavamo a casa perché eravamo senza futuro. Invece... c'è speranza. Aveva ragione Gesù quando ci parlava del chicco di grano che deve morire per diventare spiga».
    «L'hanno ucciso... ma non hanno vinto. Dio vince la morte. Era tutto programmato nei piani misteriosi di Dio».
    Spontaneamente sulle labbra affiorano le parole dei Salmi. Hanno un sapore nuovo. Non se n'erano mai accorti prima.
    «E se tornassimo a Gerusalemme?». «Domani. Oggi è tardi. Non possiamo rifare il cammino di notte. È troppo pericoloso. Domani».
    Poi, ormai, ecco le prime case di Emmaus. Sono arrivati a destinazione: domani mattina, alle prime luci, si torna a Gerusalemme.
    Il compagno di viaggio fa finta di salutarli per rimettersi in cammino. «Prosegui? A quest'ora?». Insistono: «Fermati con noi. Nella nostra casa, un posto per te lo troviamo senza problemi. Dai... fermati».
    Erano rassegnati a tornare alla vita di prima. Avevano tirato i remi in barca, scoraggiati e delusi. Ma l'esperienza di Gesù li aveva segnati dentro. Respiravano l'esigenza dell'ospitalità, quella vera. Le loro parole non erano di circostanza. Venivano dal cuore. «Sta' con noi. Sei ospite nostro».
    Il viandante misterioso si ferma. Qualche resistenza, forse per saggiare l'autenticità dell'invito. Poi si ferma. Accetta l'atto di ospitalità.
    Si mettono a tavola.
    Ad un certo punto... si aprono gli occhi.
    Gesù ha fatto strada con loro. Ha pregato lungo la via con loro, aiutandoli a rileggere gli avvenimenti dal mistero che essi si portavano dentro. Li ha aiutati a pregare contemplando.
    Ora la preghiera esplode nella celebrazione. Gesù prende il pane e la coppa del vino. Li benedice e li condivide.
    Un grido: «È lui, il crocefisso è risorto. Possibile che non ce ne siamo accorti prima? Eravamo proprio ciechi, di dolore e di rassegnazione».
    Non c'è più. È tornato nel silenzio da cui è venuto.
    Le poche ore trascorse con loro hanno lasciato il segno. Li ha guidati per mano in un'intensa esperienza di preghiera, che li ha cambiati profondamente.
    La speranza e la passione ritorna prepotente nei loro cuori intorpiditi. La preghiera e la celebrazione si spalancano verso la vita.
    Adesso non è più tardi per tornare a Gerusalemme. Non ci sono più i pericoli del viaggio notturno. Partono, di corsa: l'esperienza vissuta va comunicata agli altri.
    Ritornano a Gerusalemme, per gridare a tutti: Gesù è risorto, la sua avventura per la vita e la speranza di tutti... continua. Anzi: ricomincia.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu