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    I compiti (Terza parte di: Trenta storie)


    Riccardo Tonelli, TRENTA STORIE da meditare e raccontare per un progetto di pastorale, Elledici 1999


     

    In ogni buon progetto due elementi sono in continuo rapporto: l'obiettivo che si intende raggiungere e le risorse necessarie per creare le condizioni favorevoli al suo raggiungimento.
    L'espressione «risorsa» serve ad indicare tutto ciò di cui può disporre chi si mette a fare progetti. Alcune risorse esistono già; altre possono essere facilmente inventate, scatenando fantasia e passione. Quelle che esistono, vanno verificate per valutare fino a che punto sono congruenti rispetto all'obiettivo. L'invenzione di quelle nuove va realizzata con lo sguardo egualmente molto attento all'obiettivo.
    Tutto questo vale per ogni progetto serio. Lo ricordano continuamente gli addetti ai lavori.
    Nell'ambito pastorale l'operazione va realizzata con una attenzione precisa ad una serie di esigenze che vengono dal modo con cui Gesù e i suoi discepoli hanno portato avanti la causa della vita e della speranza. Certamente, non possiamo riportare di peso, nella nostra prassi ecclesiale, i testi del Vangelo. Ma dobbiamo avere il coraggio di verificare questa stessa prassi alla luce delle provocazioni evangeliche, per scrivere oggi il prontuario degli interventi pastorali in una fedeltà all'oggi che si radica in quella del passato.
    L'operazione non è facile. Le difficoltà vengono da due prospettive opposte: o siamo troppo arroccati alle nostre sicurezze, per guardare al passato in termini disponibili, o siamo diventati troppo poco rispettosi della sapienza dell'uomo per fare di essa la carne concreta in cui ridare parola al Vangelo.
    Le storie che seguono sono un tentativo di suggerire alcuni di questi «interventi», qualificanti per un progetto di pastorale, pensati tra fede e cultura. Servono da esempio per una fatica che deve continuare.

    Pietro, lo zoppo e l'annuncio di Gesù
    Alla scuola di Gesù Pietro ha scoperto qual è il centro del servizio al Vangelo: far camminare dritti gli zoppi, raccontando loro la storia di Gesù di Nazareth.

    Educare alla legalità
    Il confronto con la legge è un'esigenza irrinunciabile in ogni progetto pastorale: educare alla legalità è importante, ma la legge è per la vita. Il servizio alla vita è il criterio fondamentale della libertà evangelica.

    Anticipare il futuro
    I discepoli di Gesù sono persone che sanno vigilare, prevedere, organizzarsi, per non restare fuori dalla festa come è capitato alle cinque ragazze poco sagge. Ma... prevedere il futuro comporta la necessità di anticipare nel presente quella solidarietà che sogniamo... proprio il contrario di quello che hanno fatto le cinque ragazze... troppo sagge.

    C'è modo e modo di fare osservazioni
    Ogni buon educatore sa di dover dire forte le esigenze della vita: non può, di certo, rassegnarsi al silenzio. La questione è un'altra: come «fare osservazioni»? Natan, che rimprovera a Davide il suo peccato, ha qualcosa da insegnarci anche oggi.

    Basta con la logica mercantilistica...
    Anche nella pastorale si è infiltrata la logica del profitto: se fai questo... ci guadagni, qualcosa oggi e molto domani. Per questo, di fronte ad ogni proposta, qualcuno chiede: cosa ci guadagno? E se invece prendessimo maggiormente sul serio la logica del seme che deve morire per diventare spiga?

    Chi è l'uomo?
    Ogni progetto di pastorale parte da uno scommessa sull'uomo. Chi è l'uomo? Non basta il suo biglietto da visita per identificarlo... Gesù, sollecitato dai suoi discepoli, si schiera con decisione: tra il tipo d'uomo impersonato dal fariseo e quello impersonato dal pubblicano, sceglie il secondo, senza nessuna incertezza. E noi?

    Dio, da che parte stai?
    Chi fa pastorale dà un volto a Dio e gli restituisce parola. Dio... chi sei per me? Da che parte stai? Qual è la tua volontà? Gesù si è scontrato con i dottori della legge e i sapienti del tempo perché il volto di Dio che traspariva dalla sua prassi era molto diverso da quello ufficiale, come quella volta in cui, di sabato, ha fatto camminare a testa dritta la donna ammalata.

    L'amore che si fa servizio
    Il dottore della legge si aspettava un elenco di persone da amare ed eventualmente un secondo elenco con quelle di cui non interessarsi. Gesù capovolge la prospettiva: amare il prossimo vuol dire «farsi prossimo» .. . e così, tra l'altro, diamo anche un volto a Dio.

    Un'esperienza che diventa messaggio
    Gesù non affronta i problemi «discutendo» con i suoi discepoli. Sceglie un'altra strada: fa fare esperienza e poi li aiuta a decifrarla. La trasfigurazione è una grande esperienza che diventa messaggio per dire chi è Gesù e come si propone a tutti.

    La voglia di vedere Gesù
    La storia di Zaccheo è molto interessante per immaginare le linee fondamentali di un progetto di pastorale: alla curiosità di Zaccheo Gesù risponde facendosi invitare a casa sua. Accolto dall'abbraccio di Gesù, Zaccheo cambia radicalmente stile di vita. La conversione nasce dall'accoglienza.

    Per la vita... ma come?
    Abbiamo tutti una grande voglia di vita. Gesù è d'accordo: è venuto perché la vita sia piena in tutti. Dice però chiaro: solo correndo il rischio di perdere tutto, condividendo tutto in una solidarietà senza confini, possiamo essere tutti nella vita.


    PIETRO, LO ZOPPO E L'ANNUNCIO DI GESÙ

    Dopo la resurrezione di Gesù, Pietro aveva ripreso l'abitudine di salire al tempio per pregare un po', in santa pace. Ne aveva bisogno. La responsabilità della Chiesa, che Gesù gli aveva affidato prima di morire, lo preoccupava non poco. Prima, quando c'era ancora il Maestro, era facile intendersi con lui. Poteva anche sbagliare e Gesù non glielo mandava a dire. Così, tra buoni consigli e cantonate proverbiali, a sue spese imparava a fare l'evangelizzatore. Ora era tutto più complicato... si sentiva solo, anche se non gli mancava il conforto degli amici discepoli. Ogni tanto, doveva persino risolvere i problemi degli altri. Glielo chiedevano con forza. «Sei tu il capo... Gesù ti ha affidato autorità e responsabilità... Che facciamo?».
    Quel giorno era incominciato come tanti altri. Poi, all'improvviso, un'avventura imprevista l'ha fatto diventare un giorno speciale. Il libro degli «Atti» ha annotato persino l'indirizzo esatto: alla Porta Bella del Tempio.
    Pietro stava entrando, pieno delle sue preoccupazioni. Sperava in mezz'ora di pace, nella preghiera e nel ricordo.
    Sulla soglia si trova la strada sbarrata da una mano tesa. Si ferma immediatamente. Non gli passa neppure per il capo la tentazione di dire a quel poveretto che gli tendeva la mano: «Senti.., adesso non ho tempo. Ne parliamo dopo. Fammi pregare in pace e poi vedrai che un rimedio lo troveremo». Non aveva ancora riscoperto tutte le cose che Gesù gli aveva insegnato, ma il rapporto con la sofferenza l'aveva imparato benissimo. Quando qualcuno soffre e chiama... questa è la cosa più importante. Tutto il resto passa in secondo piano. Non c'è tempo per fare teorie e cercare chiarificazioni. Si deve intervenire, presto e bene.
    Pietro si ferma. Con un rapido sguardo cerca di rendersi conto della situazione. Non vuole partire con la gamba sbagliata. Ha paura che la passione premurosa di cui Gesù l'ha contagiato gli possa giocare brutti scherzi.
    Realizza al volo: la mano tesa è quella di un povero zoppo; gli chiede quattro soldi per sbarcare la giornata.
    La risposta è precisa e concreta. Cerca qualche moneta. Inutilmente. Si fa triste: «Non ho con me nulla. Non posso accontentarti».
    Qui viene il bello. Poteva dire: «Pazienza... sarà per un'altra volta». Ma la storia del buon samaritano gli martella dentro. Non gli dice: «Pregherò per te». Gesù non l'ha mai fatto con chi soffriva e gli chiedeva aiuto. Inventa una risposta formidabile.
    «Senti... Non ho soldi. Per te faccio però un'altra cosa... non è esattamente quello che tu mi chiedi. Ma vedrai che alla fine ti piacerà tantissimo... scoprirai che ti è davvero andata bene. Scommettiamo?».
    Racconta con calore e convinzione un pezzo importante della sua vita: «Ho conosciuto un uomo fantastico. Le mie mani l'hanno toccato tante volte. I miei occhi si sono sprofondati nel suo volto. Il frammento di vita che ho vissuto con lui, l'ha cambiata tutta. Un giorno nero l'ho tradito, ma lui mi ha buttato le braccia al collo e tutto è finito in un'esperienza di quelle che ti cambiano dentro.
    Ti racconto la sua storia: scommetto che ti piacerà...».
    Pietro racconta allo zoppo la storia di Gesù. Sceglie bene i pezzi da raccontare. Allo zoppo non interessava per niente uno capace di guarire i ciechi o i lebbrosi. Il suo problema era altrove: nelle gambe rattrappite. E Pietro gli racconta di Gesù che fa camminare tutti gli zoppi che incontra.
    Pietro racconta e lo zoppo ascolta. Poi, all'improvviso, smette di ascoltare e decide di provare: si mette dritto in piedi. La storia di Gesù che guarisce gli zoppi l'ha colpito. Vuole provare in prima persona.
    Sta dritto sulle sue gambe. Tengono benissimo. Lo sostengono quando tenta di spiccare due salti e quando scatta in una corsa.
    È guarito. La storia che Pietro gli ha raccontato, l'ha restituito alla vita.
    Davvero quel Pietro è un tipo strano. Gli ha chiesto soldi... ha detto di non averne. Per fortuna che quel giorno era in bolletta... La storia di Gesù vale più di tutti i soldi che gli poteva dare.
    Lo zoppo si mette a correre per il Tempio, gridando di gioia. La forza vitale nelle gambe si è trasformata in vita dentro: ha scoperto Gesù, il Signore.
    La storia non finisce qui. Anche il seguito è importante.
    L'ex-zoppo fa tanto di quel caos, nel recinto sacro del Tempio, che lo chiamano i sommi sacerdoti e cercano di scoprire cosa diavolo sia capitato. Spunta il nome di Pietro. Lo convocano d'urgenza e lo processano per turbamento dell'ordine pubblico. Qualcuno gli raccomanda, senza mezzi termini: «Per favore, basta con la mania di guarire gli zoppi... se continui farai la fine del tuo amico. Non lo possiamo permettere: per ragioni di prudenza».
    Pietro risponde in modo perentorio: «Non posso frenare la voglia di vita che Gesù mi ha affidato. Lo zoppo cammina dritto come un ragazzo di vent'anni, perché tutti sappiano che non si può essere vivi – pienamente vivi – se non nel nome di Gesù di Nazareth. Voi l'avete ucciso. Dio l'ha risuscitato per la vita e la speranza di tutti. Io, i miei amici, il popolo della vita... lo annunceremo con forza, d'ora in poi, perché tutti abbiano vita. E spero proprio che non vi dispiaccia, tanto lo facciamo lo stesso».


    EDUCARE ALLA LEGALITÀ

    L'hanno preso in uno dei rari momenti di tranquillità. Gesù se ne stava solo e in santa pace, dopo una giornata spesa tutta a parlare, a rispondere, a fare.
    Stava pregando, immerso nella contemplazione del Padre.
    Arrivano come forsennati, trascinando per i capelli una povera donna, spaurita e discinta.
    Gliela buttano ai piedi, come un sacco di patate. «L'abbiamo colta in adulterio flagrante. Non ci sono dubbi sulla sua colpevolezza. Uccidiamola, a colpi di pietra. Lo prescrive la legge, come tu sai molto bene». Gesù li guarda stupito.
    «Incomincia tu. Ecco una pietra: lanciala per primo. Hai sempre parlato bene della legge. Coraggio... osserviamola assieme».
    Quel gruppetto di dottori della legge pensava di averlo messo con le spalle al muro. Gesù aveva sempre parlato bene della legge. Aveva invitato ad un'osservanza precisa e puntuale. «Non dovete permettervi di cambiare il testo scritto: neppure una virgola o un accento va preso alla leggera». Adesso deve scegliere: osservare la legge e mettersi a gettare pietre sulla povera donna peccatrice, o sconfessare tutte le sue dichiarazioni di principio e togliersi finalmente la maschera.
    Gesù tace. Continua a pensare e a pregare come se nulla fosse capitato. Non gli piace la gente che decide solo perché altri hanno deciso per loro. Vogliono uccidere nel nome della legge? Se la vedano loro, con la loro coscienza e non cerchino sostegni esterni.
    Il clima si fa teso, pesante. Qualcuno insiste: «Gesù... allora?». Ma Gesù aspetta in silenzio.
    La legge per lui è importante. Ma è per la vita. Non può diventare principio di morte. Questa non è la legge che il Padre suo ha offerto agli uomini. Fanno così i potenti di questa terra, cui interessa davvero poco la vita degli altri.
    Stanati dal silenzio impietoso di Gesù, quei bravi giudei che volevano il rispetto della legge a tutti i costi, si scoprono immersi nella morte. La invocavano sul peccato della povera donna. E ne erano pieni essi stessi: di peccato e di morte.
    Sono messi con le spalle al muro. Chiamati per nome, loro che della donna conoscevano solo la colpa, fuggono.
    Buttano le pietre che avevano ormai nelle mani e fuggono.
    Qualcuno scappa vergognoso. Qualche altro si allontana salvato: riscopre la legge, lui che pensava di conoscerla alla perfezione e la voleva applicata alla lettera.
    Tutti erano arrivati lì pieni di morte. Se ne tornano a casa loro, restituiti alla vita.
    Gesù, finalmente, è solo. La povera donna è ancora per terra, incapace di sollevare lo sguardo dalla polvere in cui era stata gettata.
    Gesù si china. La afferra per una mano. La alza in piedi: a testa dritta, come piace a lui. La guarda negli occhi, con uno sguardo dolcissimo.
    «Sei viva. La legge della vita ti ha salvata. Vedi come sono strane queste cose... Pensavi di essere viva perché facevi quello che volevi in barba alla legge. Ed eri morta, prima ancora di essere condannata. Ora sei viva: restituita alla vita.
    Beh... adesso... ce la fai a vivere da persona viva?».
    «Sì, Gesù. Grazie. Posso stare con te?».
    Una differenza non piccola tra noi e gli accusatori della donna peccatrice merita di essere sottolineata.
    Quella gente credeva alla legge. Forse, possiamo discutere sul tipo di fiducia e sull'interpretazione che dava. Resta che ci credeva.
    Noi, invece, viviamo in una stagione di profonda e diffusa crisi di legalità. Contestiamo, spesso e volentieri, la legge e le istituzioni che la esprimono e la garantiscono. Non si tratta di scoprire chi dei due ha la ragione. Il problema è un altro. Gesù lo pone davanti con fermezza.
    Le istituzioni e le leggi che le regolano hanno il compito di guidarci nell'amore. Ma spesso schiacciano l'amore. La legge è disattesa o piegata verso il favore di qualche persona o di qualche gruppo. L'istituzione diventa impersonale e ossessiva e serve solo a ratificare il sopruso acquisito.
    Purtroppo l'esito lo costatiamo tutti i giorni: una spontanea sfiducia verso la legge, che scatena una larga crisi di legalità.
    Certo, dobbiamo trovare un rimedio.
    La storia di Gesù e della donna peccatrice ci avverte che il problema non è prima di tutto di metodo. Riguarda la sostanza delle cose.
    Qualcuno vuole leggi sicure e punizioni ferree per i trasgressori. Spesso anche le istituzioni educative si buttano nella stessa logica. La logica sembra giustificatissima. In fondo, fanno tutti così...
    Gesù suggerisce un atteggiamento specialissimo nei confronti della legge. Raccomanda l'osservanza delle leggi fino ai particolari più piccoli: una virgola o un accento trasgredito basta per finir male (Mt 5,17-19). E poi... quando c'è di mezzo la vita, infrange persino le leggi più sacre: quella del sabato o quella della punizione del colpevole, disposto a scatenare reazioni dure da parte dei suoi nemici (Gv 5,1-18).
    Alla fine è condannato a morte come trasgressore della legge, lui che si era impegnato per la sua vera osservanza, contro ogni forma di legalismo della legge.
    La sua vita ci insegna qualcosa di serio e urgente: l'orizzonte dentro di cui pensare e progettare con la fatica quotidiana di chi sa utilizzare scienza e sapienza.
    La legge è una sola: dare vita dove c'è morte, perdendo la propria perché tutti possano averla piena e abbondante.
    Questo va gridato come esito della scelta di vita che porta a confessare che solo Gesù è il Signore. Le altre leggi – tutte, anche se a livelli diversi – sono importanti. Spesso rappresentano la via obbligata per far nascere vita. Qualche volta le esigenze della vita sono tali da costringerci alla libertà della trasgressione. Sempre, sono così urgenti da sollecitare a trapassare l'osservanza della legge: fino, veramente, a sacrificare la vita.


    ANTICIPARE IL FUTURO

    A tutti piace poter squarciare, ogni tanto, il velo di incertezza che copre il futuro. Conoscere in anticipo l'avventura del domani dà, infatti, sicurezza e potere: chi ha qualche segreto tra le mani riesce a farsi bello di fronte ai propri amici e pensa di avere le risposte per ogni tipo di problema.
    I discepoli di Gesù non facevano eccezione. Qualcuno, più curioso degli altri, ogni tanto persino li stuzzicava, con la speranza di far parte del giro dei fortunati: «Dai... voi siete amici di Gesù, state con lui da un pezzo e di voi si fida: provate a chiedere informazioni su quello che sta per capitare. Lui dice di avere un filo diretto con Dio... qualche segreto ve lo può svelare di sicuro. Basta domandarglielo in bei modi».
    Un giorno in cui le cose sembravano più nere del solito, i discepoli prendono il coraggio a due mani e buttano lì la domanda che da tempo li angosciava: «Gesù, verso dove stiamo andando?». Poi, con un po' di sfrontatezza, vanno al sodo: «È vero che la fine del mondo è vicina? C'è gente in giro che lo sta predicando con forza. Ci sono previsioni e scadenze attendibili? Quando capiterà questo sconvolgimento generale? Ci saranno dei segni premonitori?».
    Tutto d'un fiato hanno detto a Gesù quello che volevano conoscere. Adesso, buoni buoni, aspettano la risposta.
    Di motivi per una domanda del genere ne avevano in abbondanza. Quando Gesù parlava di questi temi, andava giù duro: «Sapete di quel bel tipo cui la stagione era andata benissimo. Si era riempito la casa di frutti abbondanti. I granai non bastavano più: in fretta ne aveva costruito di nuovi. Poi, sprofondato a riposare e a godere le sue ricchezze, aveva concluso: Adesso, finalmente, me la posso godere in santa pace. Beh... per questo bel tipo le cose non sono proprio andate così: il giorno dei grandi progetti è stato l'ultimo della sua vita. Nella notte, la morte ha bussato alla sua esistenza e se l'è trascinato con sé».
    Insistono: «D'accordo, dobbiamo prepararci per non fare una brutta fine. Però, se uno sa in anticipo quello che deve capitare, si prepara meglio e con maggior decisione. Allora, Gesù... quando? Quali saranno i segni annunciatori?».
    Gesù non elude la domanda. Risponde però a modo suo. Invece di prodursi in previsioni e scadenze, racconta una storia.
    «Ascoltatemi con attenzione. Vi racconto una storia. I particolari... contano poco. Andate alla sostanza e tirate voi la conclusione.
    Dalle nostre parti, la vigilia delle nozze si fa sempre un po' di festa. Le usanze le conoscete bene e chissà quante volte avete preso parte anche voi a feste come queste.
    I futuri sposi invitano gli amici più intimi. Cantando, ballando e mangiando, si preparano al grande awenimento del giorno dopo. Come sapete, la festa incomincia solo quando lo sposo raggiunge la promessa sposa nella sua casa.
    Una volta, erano state invitate dieci ragazze, amiche della sposa. Avevano l'incarico di illuminare la festa, con lo splendore della loro presenza e delle loro lampade. Ciascuna doveva perciò portare con sé una lucerna e l'olio necessario. Si erano organizzate, assicurandosi persino una buona provvista d'olio, per non rimanere a secco sul più bello.
    Cinque erano furbe: di olio ne avevano portato in abbondanza, in previsione di una festa prolungata. Le altre cinque, invece, avevano tirato al risparmio e si erano portato solo lo stretto necessario.
    Purtroppo, quella sera, lo sposo ha fatto tardi. Le cinque ragazze previdenti avevano una buona riserva ed erano tranquille. Le altre, invece, incominciano a preoccuparsi. Fanno quattro rapidi calcoli e arrivano presto ad una facile conclusione: l'olio non basta. Che figura, pensano, rimanere a secco sul più bello della festa... Chiedono alle amiche un po' di solidarietà: Dateci un po' del vostro olio, per favore. La risposta è secca e senza appello: No... se lo diamo a voi, non basta più a noi... andate a comprarvene da qualche parte. Se fate svelte, arriverete a tempo per l'inizio della festa.
    Il consiglio... sembra saggio. C'è un problema, però: è notte fonda... nessuno a quest'ora tiene, di sicuro, il negozio aperto.
    Tentano il tutto per tutto. Bussano a qualche porta. Finalmente una si apre. Rifanno la scorta dell'olio e via di corsa verso la casa della festa.
    Sentono, da lontano, i canti e il suono delle danze. Si precipitano. La porta è chiusa: la festa è tutta dentro, fuori è notte e silenzio. Insistono. Qualcuno apre. Fateci entrare, supplicano le povere cinque ragazze con le lampade ormai cariche di olio a sufficienza per tutta la notte. La risposta è impietosa, come uno schiaffo: «No... nessuno vi conosce. Niente da fare. Restate fuori. Lo sposo è ormai arrivato e la festa è nel clou. Voi non c'entrate. Tornate a casa vostra e non fateci perdere altro tempo».
    Fine della storia.
    Gesù guarda i discepoli. Vuole verificare cosa avevano capito. Hanno un gran punto interrogativo disegnato sul volto. Gli avevano chiesto la data della fine dei tempi e qualche segno anticipatore e Gesù risponde raccontando la strana storia delle cinque ragazze rimaste senza olio, per mancanza di prudenza e di previsione.
    Gesù riprende la parola.
    «Proviamo a ripensare assieme alla storia che vi ho raccontato.
    Chi accetta un invito, deve organizzare bene il suo tempo e le risorse, per non finire con l'acqua alla gola sul più bello. Il guaio delle cinque ragazze che hanno esaurito la provvista dell'olio prima del tempo... è proprio questo. Se fossero state un po' più previdenti, sarebbero arrivate con una scorta abbondante e nessun ritardo le avrebbe colte di sorpresa.
    Voi volete sapere quando la fine del tempo busserà alla porta della vostra vita e della storia... Non ve lo posso dire perché nessuno lo sa. Questo è il grande segreto di Dio. Una cosa però possiamo sapere bene: la necessità di essere persone attente, vigilanti, previdenti. La fine arriverà quando nessuno se l'aspetta. E come un ladro: svuota la casa se il padrone manca di prudenza. La casa dell'uomo vigilante è, invece, protetta sempre. Nessuna sorpresa lo metterà in crisi».
    «Questo è chiaro... ancora una volta, Gesù, ci hai messo in crisi. Grazie»: la risposta è sincera. «Dicci, però, le ragazze che si erano portate dietro la scorta... hanno fatto bene a non imprestare del loro olio? Non ci hai fatto capire da che parte stai!».
    Gesù risponde in modo deciso: «La storia non va letta con la pretesa di dare il voto a tutti i protagonisti. Non dice chi è bravo e chi non lo è. Lo sposo ha fatto tardi per ragioni sue e la festa si è prolungata oltre il tempo previsto, perché alle feste non si comanda.
    La storia suggerisce un'altra cosa molto più importante: come collocarci nei confronti del futuro. Il futuro è nelle mani di Dio. Non dobbiamo cercare di penetrare un mistero imprevedibile. Dobbiamo invece vivere in una vigilante attesa.
    Il futuro, però, lo possiamo anticipare: la solidarietà che non bada a spese e butta all'aria ogni logica meschina... essa anticipa il futuro verso cui siamo in trepida attesa».
    E conclude: «Le cinque ragazze che non hanno voluto condividere il loro olio con le amiche... non mi vanno di certo simpatiche. Sono state egoiste e basta. Vi ho invitato a copiare da loro l'organizzazione e la vigilanza... non di sicuro la mancanza di solidarietà e la paura di rischiare.
    Per vivere nell'oggi anticipando il futuro, bisogna fare proprio il contrario: se qualcuno ti chiede di accompagnarlo per un chilometro di strada, tu fanne con lui quattro; se qualcuno ti chiede in prestito il tuo mantello, tu dagli anche la tunica; se incontri uno che ha fame, dividi con lui il tuo pane».


    C'È, MODO E MODO DI FARE OSSERVAZIONI

    Davide, come tutti noi, ogni tanto si lasciava andare. Questa volta però non aveva davvero badato a spese.
    La signora Betsabea aveva preso l'abitudine birichina di farsi il bagno in terrazza. A forza di sbirciarla, Davide se n'era invaghito cotto e cercava follemente il modo di portare a compimento il suo progetto di seduzione.
    Sapeva di avere un'immagine da difendere e delle esigenze pubbliche da rispettare. Non se la sentiva però di rinunciare a Betsabea. Tenta così... la via diplomatica.
    S'informa alla lontana sulla situazione matrimoniale di quella bella signora. Viene a scoprire che il marito di Betsabea, generale dell'esercito di Davide, era fuori sede, impegnato a combattere.
    Un po' alla volta a Davide le idee di schiariscono. Non può sposare una donna già maritata. Può però sposare una vedova. Ci avrebbe fatto persino della bella figura: lui, il re, preferire una vedova ai mille facili partiti... «Che bravo il nostro re»: l'avrebbero detto tutti. Così si ritrovava, nello stesso piatto, Betsabea e l'applauso.
    La strada è trovata. Resta solo un ostacolo: Uria, il marito di Betsabea, è vivo e vegeto e combatte da leone in prima linea.
    È vivo... anzi, era vivo. Organizzandosi un pochino, può diventare un eroe di guerra, medaglia d'oro al valor militare... da consegnare a Betsabea, come ricordo del marito, caduto in guerra, prima della festa di nozze.
    Il re Davide dà qualche ordine ad amici fidati. «Mettete Uria nel centro della battaglia, là dove i nemici sono più agguerriti. Lasciatelo solo. Fate in modo che muoia da eroe».
    Purtroppo gli danno retta e Betsabea si trova con una medaglia in più e il marito in meno.
    Finito il lutto, scatta la proposta di matrimonio. Feste solenni e tutto torna come prima. Davide è contento. Betsabea si è presto consolata. La gente di Gerusalemme parla bene della generosità del suo re. Il futuro è ricco di prospettive felici.
    Natan, il profeta, è l'unico a non essere soddisfatto degli avvenimenti. Non gli va giù né l'avventura poco pulita né la conclusione felice cui è giunta.
    Da buon educatore, deve denunciare l'accaduto e chieDere a Davide di cambiare vita. Che razza di profeta sarebbe se, anche lui, si rassegnasse al silenzio... Sente la responsabilità di intervenire. Non può però tuonare come un forsennato. Una brutta fine non gliel'avrebbe tolta nessuno. Soprattutto però – cosa peggiore – nessuna conversione in vista, eliminato quel piantagrane del profeta scomodo.
    Chiede udienza. L'ottiene. Si presenta a Davide con un sorriso accattivante.
    «Davide, parlano tutti molto bene di te. Sono contento... perché è vero. Sei un ottimo re. Ami la giustizia. La difendi, la fai osservare e l'osservi tu stesso. Sei una benedizione di Dio sul nostro popolo».
    Non ha detto cose false. Betsabea a parte, Davide era davvero un re quasi perfetto.
    Davide l'ascolta compiaciuto. Avrà persino pensato: «Natan è un uomo prezioso e fidato. Sa denunciare e lodare. Devo valutarlo un po' di più».
    «Senti, Davide... voglio confidarti un cruccio. Sono stato testimone di un fatto che sta inquietandomi. Vedi se puoi farci qualcosa...». E racconta: «Conosco un uomo che aveva cento pecore. Un giorno, un amico è andato a trovarlo. Se la sono raccontata a lungo, perché erano mesi che non si incontravano. All'ora del pranzo, quello delle cento pecore invita l'amico a fermarsi. Gli promette un ottimo pranzo a base di pecora arrosto.
    Fin qui tutto bene. È vero. Mi inquieta quello che segue.
    Pensa, Davide... aveva cento pecore... per far festa all'amico ha depredato la pecora di un vicino. Quel poveretto ne aveva una sola. La teneva cara come fosse un figlio. E lui, che ne aveva cento, gliel'ha rubata per far festa all'amico...».
    Davide diventa rosso come il fuoco. «Ha fatto così... quel disgraziato? Possibile? Sei sicuro? La sua colpa è gravissima. Quell'uomo deve morire. Natan... dimmi il nome. Ci penso io. Subito».
    Natan lo guarda in silenzio. Davide è sconvolto. L'ingiustizia commessa l'ha mandato su tutte le furie. «Natan, il nome... quell'uomo va punito, subito e senza pietà».
    Natan guarda ancora Davide. Poi, deciso, rompe il silenzio: «Davide, quell'uomo sei tu».
    Davide crolla. Nella foga aveva estratto la spada e la brandiva come se avesse davanti uno stuolo di nemici. La rimette nel fodero, triste e sconsolato. «È vero, quell'uomo sono io... perché ho fatto così... io, l'unto del Signore. Natan, grazie. Aiutami a rimettere le cose a posto».
    Forse, con la stessa foga con cui stava maneggiando la spada qualche attimo prima, ha preso in mano la cetra e ha cantato, con voce struggente: «Pietà di me, Signore... contro di te ho peccato... cancella la mia colpa».
    E se quello di Natan fosse il modo di fare proposte in un tempo di grida scomposte e di silenzio rassegnato?


    BASTA CON LA LOGICA MERCANTILISTICA...

    Un ragazzo, serio e bravo, si è avvicinato un giorno a Gesù. La domanda se l'era coltivata dentro, mentre con cura preparava l'incontro. Purtroppo, la vecchia logica, radicata nell'esperienza religiosa del suo popolo, affiora anche in questo momento tanto decisivo per la sua vita. «Gesù, cosa mi costa avere la vita eterna? Fammi una proposta e io mi impegno ad accettarla». Gesù risponde a puntate, come faceva di solito. Vuole educare il suo interlocutore, guidandolo per mano dall'osservanza della legge alla libertà dell'amore.
    «Osserva i comandamenti». «Gesù, li ho osservati fin da piccolo. Lo possono testimoniare quelli che mi conoscono. Mi sento tranquillo. Non mi basta, però. Per questo ti ho cercato. Che cosa devo fare in più?». Gesù lo abbraccia con il suo sorriso profondo e caldo. È davvero un ragazzo bravo. Cambia tono. «È vero: sei un bravo ragazzo. Sei capace di un salto di qualità. Smettila di fare i conti con Dio e la tua coscienza. Buttati nella generosità dell'amore». «Che cosa devo fare»: continua la logica del contratto a partita doppia. Gesù spara grosso. Vuol fare capire che non c'è un prezzo giusto. L'amore è senza prezzo: pazzo e generoso nello stesso gesto.
    «Questa è la mia proposta: vendi tutto e vieni con me. Non ci guadagni nulla... non è vero che se mi segui avrai cento volte quello che hai abbandonato. Lo farebbero tutti... Non so cosa ci si guadagna. So però che possiamo restituire vita e speranza a tutti. Vieni con me. Coraggio... lascia tutto e vieni con me».
    Quel ragazzo era bravo e generoso. Ma aveva un grosso difetto: aveva paura del rischio. Così, ha risposto di no a Gesù, per non rischiare. È andato via, triste e sconfitto. Se Gesù gli chiedeva un prezzo alto, poteva starci. Sapeva che Dio è esigente e si faceva pagare salato. E lui l'avrebbe sfidato. Gesù gli chiede un atto d'amore gratuito, nella stessa logica dell'amore di Dio. Non può rischiare: è troppo fuori dei suoi schemi.
    Pazienza nei confronti di un ragazzo, formato alle scuole rabbiniche. Ma con i discepoli, quelli che Gesù aveva scelto e formato personalmente, proprio non ci voleva...
    Anche loro, purtroppo, ragionavano nella stessa logica del «quanto mi costa» e «cosa ci guadagno».
    Ne avevano parlato un po' tra loro. Avevano ripensato alle parole di Gesù, quando li aveva chiamati dalle loro case e dal loro lavoro, per vedere se, almeno implicita, nell'invito non c'era una tariffa di compenso.
    Non si ricordavano niente di significativo. Le battute di Gesù erano tutte in un'altra prospettiva.
    Prendono il coraggio a due mani e affrontano di petto la questione. «Senti, Gesù», parte Pietro, che era stato incaricato di aprire la conversazione su questo problema scottante, «lo devi dire chiaro. Fanno tutti così i maestri nei confronti dei loro discepoli. Noi abbiamo lasciato tutto per venire con te. Ci siamo fidati di te. Adesso però... è tempo di fare quattro conti. Cosa ci guadagneremo?». La battuta è uscita... un po' sofferta e con un pizzico di vergogna. Ma non ne potevano più. Al primo che ha parlato, fanno eco gli altri: «Cosa ci guadagniamo, Gesù, a stare con te?». Speravano in una ricompensa alta. Avevano persino esagerato l'elenco di quello che avevano lasciato per seguire Gesù. Lo volevano commuovere, spingendolo ad alzare la ricompensa.
    Gesù, come il solito, risponde a ondate successive.
    Già la prima battuta va giù dura. Sperava che fosse sufficiente. E invece...
    «Ascoltate bene perché la faccenda è seria. Avete abbandonato fratelli, sorelle, madre e padre per stare con me. D'accordo: vi assicuro una ricompensa cento volte superiore. Però, capiamoci bene... i miei discepoli devono essere disposti a odiare il padre, la madre e i fratelli per servire la causa del Vangelo. E la casa... cento case, vi bastano? Io non ho neppure una pietra dove posare il capo di notte. Vi assicuro la stessa cosa anche per voi. Il Regno è una causa che toglie il respiro. Per questo, chi mi segue, avrà tribolazioni e sofferenze per annunciare il Vangelo.
    Però, una cosa è certa: avrete un posto speciale nella casa del Padre».
    La risposta di Gesù non consola davvero molto, nella logica del «cosa ci guadagno» e del «cosa mi costa».
    Ritornano alla carica. Ormai volevano andare a fondo della questione. Li dobbiamo ringraziare questi amici di Gesù, cocciuti e poco intuitivi. Ci hanno regalato il pensiero e il cuore di Gesù in una questione tanto importante.
    «Vada per la vita eterna. Lì almeno avremo un posto speciale: i primi posti, a destra e a sinistra... Se ne devono accorgere quelli che ci ridevano dietro». Fanno bene i conti e si organizzano: un primo posto a te e uno a me. La divisione non è facile. Litigano e poi mettono di mezzo anche le rispettive madri, con la speranza di commuovere Gesù.
    L'interrogativo è sempre la stesso: abbiamo lasciato tutto... cosa ci guadagneremo, almeno nella vita eterna?
    Gesù non ne può più. Un posto nella casa del Padre non è come un posto allo stadio. Non si compra il biglietto, a nessun prezzo. Non ci vogliono né pochi né molti soldi e non ci sono posti di prima e di seconda fila. Lì, nella casa del Padre, comanda la logica dell'amore. Il Padre apre la sua casa perché ama i figli suoi. Spalanca le porte a tutti, in un amore che ha l'iniziativa, che accoglie tutti allo stesso modo. L'amore del Padre è così grande e imprevedibile che se anche il nostro cuore ci rimprovera qualcosa (e guai a chi non si lascia rimproverare dal suo cuore...), Dio è più grande del nostro cuore.
    «La volete sapere tutta?», finisce deciso Gesù. «Se si devono fare delle prenotazioni, queste sono per gli ultimi, i poveri, i peccatori... persino le prostitute. Gli ultimi sono i primi, nella casa di mio Padre».


    CHI È L'UOMO?

    I discepoli di Gesù non gli avevano mai chiesto: chi è l'uomo?
    I loro dubbi erano su Dio. Glieli aveva fatti spuntare Gesù stesso, quando si era messo a predicare certe cose su Dio, tanto diverse da quelle che giravano sulla bocca dei dottori della legge.
    Gesù diceva delle cose bellissime su Dio. Ai discepoli piacevano: restituivano vita e speranza, anche quando c'erano mille motivi per essere in crisi. Ogni tanto si chiedevano: Avrà ragione Gesù o i dottori della legge? Un poco alla volta, la speranza che avesse ragione Gesù stava diventando certezza.
    Invece, sull'uomo non avevano dubbi. Per loro andava benissimo quello che conoscevano. Ma proprio questo preoccupava Gesù. Non si erano ancora accorti che il modo con cui lui presentava Dio faceva a pugni con l'immagine dell'uomo in cui si riconoscevano.
    Per i discepoli, che ragionavano secondo i modelli culturali del tempo, c'erano persone importanti e poveretti che non valevano quattro soldi. A loro piaceva Gesù quando si faceva invitare a pranzo dai notabili del paese. Ma non lo sopportavano per nulla quando si fermava per strada a conversare con i peccatori, i lebbrosi... persino con le prostitute.
    Erano convinti, i discepoli di Gesù, che fosse facile distinguere tra le persone buone e quelle cattive: bastava applicare la legge. Invece Gesù diceva che i primi posti nel regno dei cieli sono riservati a quelli che contano poco. Un giorno era arrivato persino a dichiarare che il pastore dovrebbe correre dietro alla pecora impazzita, lasciando in pace le novantanove, buone e tranquille. Si erano presi una sgridata solenne quella volta in cui avevano deciso di dare una mano ai pescatori per dividere i pesci buoni da quelli cattivi. L'avevano capito bene: la questione non era di pesci, ma di uomini... Gesù non l'aveva mandato a dire: solo Dio sa chi è buono e chi è cattivo e non lo svela a nessuno.
    Un bel giorno i poveri discepoli non ci hanno visto più. Hanno preso in disparte il loro maestro e gli hanno chiesto, senza mezzi termini: «Dicci da che parte stai». E poi, subito, più decisi ancora: «Ci devi far capire quali sono le persone che ti piacciono... perché abbiamo una confusione in testa che fa spavento».
    Speravano in definizioni ed elenchi. Qualcuno era pronto ad annotare la risposta.
    Gesù sceglie un'altra strada: «Vi racconto una storia. Ascoltatela bene e provate a scoprire cosa ci sta sotto». Risponde così alla domanda sull'uomo, facendo vedere, prima di tutto, come dobbiamo cercare risposte, quando c'è di mezzo una realtà che è mistero grande.
    «Un giorno sono andati a pregare al tempio due tipi... più diversi di così non si può immaginare. Uno era un fariseo, bravo, zelante, noto a tutti per la sua vita osservante.
    L'altro era un esattore delle tasse: un tipaccio, pieno di soldi rubati senza scrupoli. C'era persino da meravigliarsi del fatto che fosse andato a pregare.
    Il fariseo si è messo al primo posto: il suo. In piedi, a testa alta, ha ripetuto la preghiera che faceva tutti i giorni: "Dio, ti ringrazio. Sei stato buono e generoso con me e io ti ho ripagato con la stessa moneta. Siamo pari: posso guardarti in faccia, come guardo quelli della mia stessa razza. Pago le decime, faccio le offerte prescritte, osservo tutte le leggi. Sono bravo, grazie a Dio e al mio impegno".
    Poi conclude: "Non ho più nessun bisogno di te. Ce la faccio ormai da solo. Risparmia le tue grazie... Quello che risparmi con me, lo puoi utilizzare verso quel poveretto che sta in fondo. Vedi come sono generoso? Grazie, mio Dio". Fine della preghiera del fariseo.
    Anche il povero esattore delle tasse, nascosto in fondo, all'ombra di una colonna, tentava di pregare. Una fatica terribile... perché era in crisi e la preghiera lo ributtava maggiormente in crisi. È una fatica pensare a se stesso... pensare poi alla propria vita davanti a Dio è una tragedia... a meno di non essere bravo come quel fariseo là davanti.
    Gesù riporta qualche parola dalla preghiera stentata dell'esattore delle tasse: "Signore, abbi pietà di me che sono un povero peccatore, pieno di problemi fino al collo. Sapessi quanto mi costa venire a pregarti. Ogni volta che penso a te, nella preghiera, scopro meglio chi sono, conto i tradimenti che attraversano la mia vita, confronto la tua bontà misericordiosa con la mia esistenza. I conti non tornano mai... e la crisi cresce.
    Sai... qualche volta mi è venuta la voglia di piantarla con questa preghiera. Così, potrei vedermela solo con me stesso. Alla fine riuscirei ad accontentarmi e basta crisi. Forse. Non è bello, però. Non è giusto. E poi sono sicuro che non ci riuscirei. Senza di te, sono morto.
    Ti chiedo due cose. Per me sono importantissime. Lo so che non me le merito. Ma te le chiedo ugualmente.
    Prima di tutto, ti chiedo la grazia di continuare a venire qui per pregarti... nonostante tutto. Ho scoperto che fa un gran bene contemplarti, anche se questo mi fa soffrire. Nel tuo volto, vedo il mio. Dal profondo ti invoco. Mi fa del bene. Mi aiuta a vivere. Pregare è come sognare a colori sulla propria esistenza: non voglio proprio perdere anche il diritto a sognare.
    La seconda cosa... è più difficile. Dipende solo da te. Non so bene le parole: leggi tu tra le righe. Ecco: provo a dirti quello che desidero. Pigliami così come sono. Accoglimi, povero diavolo che sono, nel tuo abbraccio. Senza di te non posso vivere. Non ce la faccio proprio. Non mi devi chiedere di diventare bravo come condizione del tuo amore. Resterei solo, triste, disperato. Regalami il tuo amore accogliente e vedrai che... un po' alla volta... qualcosa cambierà nella mia vita"».
    Fine della storia.
    I discepoli sono rimasti zitti e stupiti. Cercavano una definizione di uomo bravo e realizzato. La storia che Gesù ha raccontato, li ha spiazzati. Ancora una volta Gesù ha caricato le tinte. Erano abituati a sentire e a fare raccomandazioni: impegno, buona volontà, fatica di mettercela tutta. Gesù la mette dalla parte opposta: chiede la capacità di entrare in crisi e la disponibilità ad affidarsi a Dio. Per questo, non va d'accordo con i farisei. Sembra quasi che tenga per l'esattore delle tasse.
    Glielo chiedono: «Gesù, da che parte stai?».
    La risposta non si fa attendere: «I poveri peccatori mi fanno una tenerezza sconfinata. Sono pronto ad abbracciarli, come il padre ha buttato le braccia al collo al ragazzo scappato di casa». I discepoli lo guardano: «Quale ragazzo?». «Non sapete la storia del ragazzo che si fa dare soldi da suo padre e li sciupa tutti e poi torna a casa, disperato? Un giorno o l'altro ve la racconto».
    Dio accoglie i peccatori che alzano le braccia verso di lui. Li perdona e li riempie del suo amore. Ci ama per primo. Non chiede condizioni. Ci ama e basta. Tutto il resto viene dopo, come frutto del suo amore.
    Conclude Gesù: «È chiaro adesso chi è l'uomo? Quante idee storte... dovete ancora cambiare».


    DIO, DA CHE PARTE STAI?

    Sembra un caso strano, ma a Gesù capitavano tutte di sabato.
    Un sabato, infatti, Gesù stava parlando nella Sinagoga, come faceva volentieri quando il responsabile gli dava la parola. Parlava di Dio in un modo speciale. Tutti s'accorgevano che aveva esperienze bellissime e originali cui fare riferimento. Quasi quasi, veniva spontaneo pensare che l'avesse visto e conoscesse qualche segreto speciale di lui.
    Però, non lo faceva pesare. Soprattutto non gli passava neppure per la testa la tentazione di usare queste informazioni di prima mano per darsi delle arie o per mettersi un gradino sopra i suoi ascoltatori. Non si comportava per nulla come i dottori della legge che di solito commentavano la Scrittura negli incontri del sabato. Lui, al contrario, parlava come parlavano tutti: senza paroloni e con richiami e paragoni, pieni del sapore della vita quotidiana.
    Insomma, era un piacere ascoltarlo quando parlava di Dio.
    Sul più bello, la porta di fondo della Sinagoga scricchiola come se qualcuno tentasse di sbirciare dentro.
    Pochi ci hanno fatto caso: un colpo improvviso di vento o qualche curioso che, arrivato tardi, cerca di non farsi notare.
    Gesù si ferma. Chiama Pietro. Qualcuno dei pochi che avevano notato il piccolo trambusto, pensa: «Lo manda a sgridare quel seccatore, che ha disturbato una riunione tanto seria. Ci voleva proprio. Almeno nelle riunioni del sabato, sarebbe bene imparare ad essere puntuali».
    Gesù ha progetti molto diversi: «Senti, Pietro, di' a quella povera donna che sta fuori dalla porta... di non aver paura. Dille che si faccia avanti. Voglio farle un regalo che neppure si sogna».
    «Chissà come avrà fatto ad accorgersene? Quel Gesù ha mille occhi e non gli sfugge niente!». Non aveva ancora scoperto il povero Pietro che l'amore ha uno sguardo capace di forare anche le pareti.
    La povera donna avanza. Si mette in mezzo alla sala, piena di vergogna. Tutti gli sguardi sono su di lei. È ammalata seriamente. Una forma grave di artrosi l'ha quasi piegata in due. Cammina ricurva, con lo sguardo che corre solo verso terra.
    Aspetta lei. Aspettano tutti. Aspettano anche quelle tre persone, piantate in fondo alla sala con l'atteggiamento indagatore di chi non gli interessa nulla di quello che viene detto, ma controlla tutto per riferire poi a chi di dovere.
    Gesù rivolge alla povera donna ammalata di artrosi uno sguardo che dice più di mille parole. I suoi occhi brillano dalla voglia di guarirla. Le cose che aveva detto prima su Dio stanno per arrivare finalmente al dunque.
    Pietro è preoccupato. Ha delle responsabilità su Gesù e sul gruppo dei discepoli. Interviene prima che Gesù si metta nei guai. «Gesù, non guarirla... oggi è sabato. Se lo fai, ci accuseranno di trasgredire una legge santissima come è quella del sabato. Già i sommi sacerdoti e i dottori della legge non ci possono vedere per le cose che stai dicendo su Dio. Se poi ti metti anche a trasgredire le leggi... sono guai neri. Per favore, Gesù, un po' di prudenza non guasta davvero».
    Gesù non ascolta. La logica di Pietro non gli va giù. Pensa a quella povera donna ammalata; pensa a quello che stava dicendo su Dio. Sembra concludere: basta parole... ci vogliono fatti... altrimenti continuano a tirare Dio dalla loro parte. Non si può andare avanti così. Dio fa della vita dell'uomo la sua grande felicità e quelli lo riducono ad un poliziotto che controlla tutto, pronto a dare multe e castighi. C'è persino il rischio che qualcuno pensi che Dio sia felice delle sofferenze della gente.
    Vuole essere chiaro. Non gli piacciono le affermazioni che dicono e non dicono. Si butta nella mischia.
    Gesù si rivolge direttamente al capo della Sinagoga e ai tre dottori della legge che stavano lì a controllarlo. «Voi siete dottori della legge, vero? Bene: sapete tutto su Dio. Lo spiegate con sicurezza agli altri. Sembra quasi che Dio vi abbia affidato i suoi segreti. Allora, ditemi, per favore: se io, per caso, guarissi questa povera donna, proprio oggi che è sabato... Dio sarebbe contento? Da che parte sta, secondo voi? Qual è in concreto la sua volontà? Secondo voi che sapete tutto di lui, è più felice della guarigione di una persona ammalata o dell'osservanza del sabato?».
    Gesù non è gentile. Mette davanti alternative dure: da che parte sta Dio in questa situazione concreta. Guarigione o legge? Non ce la fanno a nascondersi sulla soluzione più facile: tutte e due sono cose importanti... ciascuna a suo tempo. Devono scegliere.
    La risposta non si fa attendere: «Gesù, osserva la legge e non permetterti di fare cose proibite. La legge è legge. La guarisci domani... Ha aspettato diciotto anni. Può aspettare ancora un giorno».
    Di fronte a questi ragionamenti, che tradiscono una idea meschina di Dio, Gesù perde la pazienza, come quel giorno in cui aveva rovesciato le bancarelle dei cambiavalute all'ingresso del Tempio. C'è di mezzo Dio, il suo progetto sulla vita dell'uomo, il suo mistero d'amore. Se lascia perdere, lo tradisce per sempre.
    Dobbiamo dirgli un grazie grande come una montagna. Ci ha spalancato per un attimo il cuore di Dio.
    Si rivolge ancora ai tre dottori della legge, al capo della Sinagoga che la pensava come loro, e a tutti quelli che credevano di intendersela con Dio. «Voi dite di essere i figli del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Voi dite che quando i vostri nemici, in Egitto, vi costringevano a camminare a testa curva, sotto il peso dei macigni che vi caricavano sulle spalle, Dio è intervenuto direttamente, vi ha liberati dalla schiavitù. Ha fatto di voi un popolo che cammina a testa dritta... Fate bene a dirlo: è proprio vero. C'è solo un problema. Voi volete che nel nome di questo Dio che fa camminare a testa dritta... io lasci ancora per un giorno questa povera donna piegata in due? Voi siete in errore. Non avete capito proprio niente di Dio. Dio è felice quando l'uomo cammina a testa dritta».
    Si rivolge alla povera donna ammalata: «Drizza il tuo capo. Sei guarita. Sei viva. Puoi guardare tutti in faccia, finalmente». Poi alla folla, meravigliata e felice, dichiara: «Avete capito chi è Dio e da che parte sta? Ve l'avevo detto prima con le parole... ora però ve lo detto con i fatti... e sono più contento. I fatti valgono più di mille parole».
    La preoccupazione di Pietro era fondata. Questa volta Gesù l'ha proprio fatta grossa. Decidono di ucciderlo. Lo trascinano sull'orlo del precipizio su cui è costruita la città e cercano di buttarlo giù, come si faceva con i bestemmiatori. Questa volta Gesù scappa dalle loro mani. Ma poi, qualche mese dopo, si consegna volontariamente alla morte, per dire un'altra parola, quella conclusiva, sul mistero di Dio.


    L'AMORE CHE SI FA SERVIZIO

    Gesù era abituato a trovarsi bombardato da interrogativi. Molti li suscitava lui stesso, con quel suo modo di fare così diverso dal solito. Qualche domanda esprimeva l'ansia dell'assetato che corre verso una sorgente d'acqua fresca. Qualche altra nasceva dal desiderio di vederci più chiaro o, persino, da un pizzico di curiosità per quest'uomo, spuntato da un paese che non aveva mai prodotto nulla di buono.
    Il dottore della legge che, quel giorno, ha avvicinato Gesù, non rientrava in nessuna di queste categorie. La sua domanda era una specie di esame. Si sentiva in dovere, lui «dottore della legge», di verificare l'ortodossia di Gesù per esprimere un parere competente.
    Gli ha rivolto la domanda d'obbligo: «Gesù, dimmi... cosa devo fare per avere la vita eterna?». La questione era facilissima per un uomo religioso... complicata invece per chi bazzicava poco con il tempio e le scritture. Dalla risposta si poteva dare subito un giudizio sulla competenza e serietà di Gesù.
    Gesù non lo manda al diavolo... come, forse, avremmo fatto noi, infastiditi da un atteggiamento provocante. Neppure però risponde rassegnandosi al giudizio. Dice, con un sorriso disarmante: «Perché me lo chiedi? Sei tu il dottore della legge. Queste cose le sai meglio di me».
    La reazione non si fa attendere. Pronto, il dottore della legge fa sfoggio della sua erudizione teologica: «Due cose sono necessarie per avere la vita eterna: amare Dio e amare il prossimo. Questa è la legge che Mosè ci ha insegnato».
    Gesù si mette lui adesso dalla parte dell'esaminatore. Gli dà un ottimo voto. «Perfetto. Il titolo che hai, te lo sei davvero meritato. Una cosa ti raccomando: metti in pratica quello che conosci così bene». Fa un passo per allontanarsi. L'interrogatorio è concluso.
    Il dottore della legge non si rassegna. Proprio non gli va giù la pessima figura fatta. Così rilancia il discorso con una nuova domanda.
    Questa volta sta particolarmente attento. Non vuole ricadere in una nuova trappola. Va nel difficile. «Dimmi, Gesù, chi è il mio prossimo, quello che devo amare come amo Dio?». Su Dio non può chiedere. Ha paura che Gesù gli dica: «Come... lo chiedi a me... sei tu il dottore della legge. Ogni giorno spieghi alla gente qual è la volontà di Dio su tutto... Per favore, non farmi perdere altro tempo».
    Sul prossimo, invece, anche un dottore della legge può avere dei dubbi. La legge e le tradizioni identificavano abbastanza chiaramente chi era il prossimo da amare: sul mestiere, sul luogo di nascita, sulle ascendenze paterne, su alcune malattie... Le interpretazioni concrete però variavano. Per questo il dottore della legge può rivolgere a Gesù la sua domanda intelligente. Ha l'occasione buona per valutare la posizione teologica di Gesù e magari risolvere qualche questione ancora aperta.
    «Chi è il mio prossimo?». Chiede una specie di elenco. Immagina che Gesù gli dica: questo, questo e questo sono «prossimo» per un buon ebreo, osservante della legge. Gli altri no.
    Prigioniero anche lui, come tanti, del tranello dei «destinatari», di cui interessarci con amore preferenziale, si aspetta un elenco a due colonne: quelli del sì e quelli del no... con qualche nome a metà strada. E invece Gesù risponde raccontando una storia.
    «Un giorno, un tipo che stava scendendo da Gerusalemme a Gerico, è incappato in una banda di rapinatori. Gli hanno portato via tutto e poi l'hanno abbandonato, più morto che vivo, sul sentiero.
    Aveva disperato bisogno di aiuto. La sete gli bruciava la gola. Le poche forze stavano consumandosi. Non ce la faceva più. Da quelle parti, però, erano rarissimi i viaggiatori. Quel giorno poi non passava proprio nessuno...».
    Creato il contesto, Gesù preme la mano. Fa passare di lì tre personaggi. Li sceglie con cura. Sono figure simboliche senza sfumature: i «buoni», proprio quelli ufficialmente buoni e bravi; e i «cattivi», che più cattivi di così non si può.
    «Passa un sacerdote, tutto preso dalle sue preoccupazioni. Non si cura affatto del poveretto, abbandonato sul ciglio del sentiero. Prosegue il suo cammino, dritto per la sua strada. Anche un levita passa poco dopo per quel sentiero. Neppure lui se ne preoccupa e procede oltre. Molti impegni pastorali l'attendono e non ha davvero il tempo per curarsi di quello che gli sta attorno.
    Alla fine passa un samaritano. S'accorge subito della situazione disperata di quel povero uomo, incappato nella banda di ladroni.
    Si ferma. Non ha dubbi: l'unica cosa importante, in questo momento, è dare una mano a chi soffre.
    Scende da cavallo. Disseta il moribondo. Gli cura alla bell'e meglio le ferite. Se lo carica in sella e giù di corsa verso Gerico, alla ricerca di un medico. Lo trova. Completa la medicazione. Poi lo porta in albergo e lo affida alle cure dell'albergatore. Gli anticipa una buona somma di denaro per le prime urgenze e gli assicura il saldo al suo ritorno».
    Gesù guarda il dottore della legge. C'è rimasto un po' male. La galleria dei personaggi Gesù se la doveva risparmiare. Lo sa che tra Ebrei e Samaritani non corre buon sangue. Passi per la brutta figura fatta fare ai sacerdoti e ai leviti... ma far diventare bravo e generoso un samaritano... questo è troppo.
    Gesù non ha dimenticato la domanda che ha dato origine alla storia. «Chi è il mio prossimo?», voleva sapere il dottore della legge. Era pronto a prendere nota: un elenco di quelli da amare e di cui interessarsi e, magari, anche il foglio con quelli che doveva lasciare andare per la loro strada.
    Voleva un elenco. Con il suo bel foglio tra le mani poteva orientarsi facilmente a proposito di destinatari (del suo amore e della sua missione). In caso di contestazione, bastava citare Gesù e tutto era risolto.
    Gesù non dà nessun elenco: né al dottore della legge né, tanto meno, a noi. Anzi, capovolge proprio la logica.
    Il «prossimo» non può essere previsto o programmato a suon di decisioni o di richiami alla tradizione. Chiunque ha bisogno di me e mi interpella, lui è il mio prossimo, da amare e da servire. La questione non riguarda gli altri, presenti o assenti nell'elenco di quelli di cui interessarsi; e neppure riguarda uno stile consolidato di servizio né un tipo di risposta su cui possiamo essere specializzati.
    La questione riguarda me, te: la comunità degli uomini e la comunità ecclesiale. Noi dobbiamo diventare capaci di «farci prossimo» nei confronti di chiunque ha bisogno.
    «Hai capito?», chiede Gesù al dottore della legge. «Beh, adesso fa' anche tu la stessa cosa. Chiaro?».


    UN'ESPERIENZA CHE DIVENTA MESSAGGIO

    «Parliamoci chiaro... è tempo ormai di fare il punto sulla nostra esperienza»: Gesù, all'improvviso, si rivolge ai discepoli con un tono un po' diverso dal solito. Si guardano negli occhi, stupiti e smarriti. Pensano: «Cosa capita? Cosa vuole Gesù oggi?».
    Gesù riprende, deciso: «Chi sono io per voi?». S'accorgono tutti che la domanda ne nasconde un'altra, ancora più inquietante: «Perché state con me?».
    Non se l'aspettavano proprio una domanda così provocante. Rispondono con delle scuse, nella speranza di far cambiare discorso. Qualcuno dice: «Gesù, la gente ha una grande ammirazione per te. Te ne sei di sicuro accorto, tante volte. Sostengono che sei un profeta, come quelli dei tempi passati... anzi, il meglio di tutti. La gente fa anche dei nomi... ti chiamano Mosè, Elia... Pensa... chi ha ancora nostalgia di Giovanni, quello che battezzava sulle rive del Giordano e non risparmiava nessuno con le sue parole di fuoco, assicura che tu sei come lui... Tu sei il più grande dei profeti». Sono pronti a continuare. Si augurano che la lunga litania di elogi allontani l'incubo della necessità di dare risposta in prima persona. Gesù li interrompe: «Lo so. Mi sta a cuore un'altra cosa: voi, che state con me da tanti mesi, che dite di me? Chi sono per voi?».
    Scende un lungo pesante silenzio. Forse non ci hanno ancora pensato abbastanza. Troppe ragioni si incrociano nella loro decisione e hanno paura di metterle in pubblico.
    Pietro rompe il silenzio: «Gesù, te lo dico io chi sei per noi...». «Bravo, Pietro, se non ci fossi tu, dovremmo inventarti...»: il sorriso torna sul volto dei discepoli. «Dimmi, Pietro, chi sono io per te?». Pietro risponde, sulle ali dello stesso entusiasmo con cui ha accolto, qualche mese prima, l'invito di Gesù: «Tu sei il Messia. Ti abbiamo atteso e sperato, come l'assetato cerca una fonte d'acqua fresca. Tu sei il dono di Dio per noi, il segno del suo amore e del suo patto di alleanza». Una risposta da manuale; i discepoli applaudono. Dichiarano tutti: «Siamo d'accordo con Pietro. Gesù, per noi tu sei il Cristo».
    Adesso... sperano proprio che Gesù cambi discorso. Queste domande, che vanno a scavare nelle ragioni più profonde dell'esistenza, mettono sempre un po' in crisi.
    Gesù è contento della risposta di Pietro. Ma non gli basta. Ila paura che sia una battuta, convinta e consapevole, ma ancora troppo esteriore. Di risposte così ne diamo molte e non ci costano eccessivamente, perché arrivano diritte e filate dal repertorio delle frasi ad effetto.
    Questa volta prende lui l'iniziativa attraverso espressioni che non lasciano spazio all'incertezza: «Non dite in giro che io sono il Messia. Ciascuno lo deve scoprire da solo. E poi... i tempi non sono ancora quelli giusti. Troppi pregiudizi incrinano l'immagine del Messia di Dio.
    Ritorniamo a noi: tra amici possiamo condividere le esperienze più intense. Ascoltatemi bene: vi voglio confidare un segreto... Chi parla di Dio con libertà, va contro un mucchio di idee sbagliate. Troppe persone pensano di sapere tutto di Dio e giudicano quello che io faccio e quello che io dico da questa loro teologia. Io do loro fastidio. Stanno organizzandosi per uccidermi.
    Sembra strano alle vostre logiche: il segno di chi sono io nel progetto di Dio sta proprio qui, nella mia decisione di offrire tutta la mia vita per le persone che Dio ama. I profeti antichi ne avevano parlato... ma pochi hanno dato loro ascolto. In me questo sta avverandosi: sto per essere preso prigioniero, condannato e ucciso. pio, il Padre mio e vostro, mi restituirà pienamente alla vita». Poi aggiunge: «Se non ci credete, aspettate un po' e vedrete come i fatti mi daranno ragione. Ve l'assicuro... è vero... ma non ho paura».
    Pietro e gli altri restano senza fiato. «Non è possibile. Tu fai solo del bene alla gente. Chi vuoi che ti uccida?». Pietro riparte, deciso come sempre: «Non puoi rassegnarti. Resisti, Gesù... se hai bisogno, chiamaci... ci siamo noi a difenderti».
    Gesù guarda Pietro con uno sguardo pieno di tristezza: «Pietro, non hai capito nulla... Prima hai dichiarato delle cose importanti. T'accorgi, però, che erano frasi vuote. La vita nasce dalla morte, te l'ho detto tante volte. Io sacrifico la mia vita: questo è il modo con cui dichiaro di essere il Messia di Dio, questo è il progetto di Dio per la vita di tutti. Pietro, parli come Satana... allontanati da me».
    Adesso, finalmente, tutto è chiaro: stare con Gesù è un rischio non piccolo. Uno che parla come lui, mette paura.
    Sembra un fanatico esaltato. Se lui farà una brutta fine, non si salveranno di sicuro nemmeno i suoi amici. Ne vale la spesa? Non è meglio fare marcia indietro finché c'è ancora tempo? La crisi serpeggia tra i discepoli. Qualcuno esprime, tra i denti, quello che anche altri pensavano: «Non ha
    senso. Ci porta alla rovina. Meglio lasciarlo andare per la sua strada... Anche noi conosciamo le Scritture e sappiamo da che parte sta Dio».
    Peggio di tutti c'era rimasto Pietro. La sua dichiarazione era stata sincera; più sincera ancora era la preoccupazione
    che a Gesù non capitassero tragedie. Prendersi un rimprovero da Gesù, farsi dare persino del demonio... questo è troppo.
    Gesù non insiste. Legge nel profondo del volto dei suoi discepoli e li scopre scoraggiati e delusi. Ci sta malissimo.
    Sono i suoi amici, quelli cui ha affidato i suoi segreti e la sua grande passione. Non li può abbandonare allo scoraggiamento e non è tempo, di sicuro, di continuare a discutere con loro. Ormai il rapporto si è incrinato e le parole non sono sufficienti per ricucire lo strappo. Non può però
    rimangiarsi nulla di quello che ha detto. Il confronto con la verità rappresenta, anche in questo caso, uno dei momenti educativi più alti.
    Progetta una soluzione alternativa, una di quelle capaci di far rinascere la speranza e la fiducia anche dalle ceneri della crisi più nera.
    Chiama Pietro e altri due dei più influenti. Se li tira dietro controvoglia. «Dove andiamo?». «Fidatevi... venite con me». Poi dice agli altri discepoli: «Aspettateci qui: torneremo presto e continueremo la nostra conversazione».
    In silenzio, a passi lunghi, si mettono a risalire il pendio del monte. Non insistono sulle spiegazioni. Lo seguono, come hanno fatto tante altre volte, con quel frammento di
    speranza che non riescono proprio a cacciare dal loro cuore, nonostante tutto.
    Con il fiato grosso arrivano finalmente sulla cima. Gesù li invita ad una sosta di riposo e si allontana di qualche passo.
    All'improvviso, un lampo abbagliante squarcia la forte luminosità di una giornata di sole. Pietro e gli amici si voltano. Vedono Gesù in un turbine di luce accecante. Le sue vesti sono diventate bianchissime. Con lui, sbucati dal mistero, intravedono i profeti Mosè ed Elia. Stanno conversando con Gesù. Non c'è dubbio: quello è proprio Gesù. Il suo volto, il suo atteggiamento, lo splendore di cui è circondato... questo è nuovissimo. Una cosa del genere i discepoli non l'avevano mai vista.
    Pietro rompe il silenzio: «Gesù, stiamo sognando? Quello che gustiamo è un anticipo di quel posto di cui ci hai parlato tante volte. Questa è la tua casa. L'hai abbandonata per piantare le tue tende in mezzo a noi... Fermiamoci qui. E troppo bello quello che ci hai fatto sperimentare. Fermiamoci. Io costruisco tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia. Di noi... non ti preoccupare. È sufficiente la gioia che sperimentiamo stando qui con te. Ci basta contemplarti. Gesù, restiamo qui per sempre...». Le parole gli uscivano di bocca come un fiume in piena. Questa volta era sincero fino in fondo.
    Una mano lo tocca sulla spalla. «Pietro, scendiamo. Non possiamo restare sul monte: la causa che il Padre mi ha affidato mi incalza. Devo correre. Non posso fermarmi. Troppe persone sono ancora avvolte nell'ombra della morte. Presto, scendiamo».
    Gesù è tornato quello di sempre. Le sue vesti sono quelle tessute da sua mamma; il suo volto è illuminato dal sorriso che era abituato a scorgere chi lo incontrava per via. Anche i due con cui conversava, sono scomparsi.
    Si rimettono in cammino: dal monte verso il gruppo di povere casette in cui li stavano aspettando gli altri discepoli. Il ritorno è felice. Gesù parla tranquillo, con il tono
    caldo di sempre.
    «Vedi, Pietro... e vale anche per te Giovanni e per te Giacomo... vale per tutti. Abbiamo fatto un'esperienza nuova, imprevista. Vi ho fatto toccare con mano un frammento del mistero della mia esistenza. Quando ho parlato della mia morte, siete entrati in crisi... avete persino dubitato di me. Mi avete preso per un fanatico e per un illuso, che va a cercare grane per principio preso.
    Un po' di ragione l'avevate... innegabilmente. La morte rivela il senso della vita. Voi pensavate ad un Messia potente e trionfatore. La previsione della mia morte vi ha distrutto quest'immagine. Avete concluso: forse non sono il Messia.
    Non sono il segno del Dio che voi immaginate. Ve l'ho ripetuto tante volte: Dio, mio Padre, mostra la sua potenza nell'amore... e non c'è persona che ama di più di quella che è disposta a donare la propria vita per le persone che ama. La mia morte è il segno di un amore più grande di quello che voi immaginate.
    Io sono il Cristo di Dio. Facevate fatica a crederlo... Vi ho dato una piccola prova... un frammento della gloria di Dio per incoraggiare la vostra speranza».
    «Gesù, perdonaci... Stiamo facendo una fatica terribile ad entrare nel tuo modo di pensare. Fidati di noi. Ci piace... vedrai che un po' alla volta sarai contento di noi». Ripensano anche alla pretesa di fermare il mondo per restare sempre sul monte a contemplare lo splendore della trasfigurazione di Gesù. S'accorgono che era una brutta tentazione. «Gesù, ti chiediamo perdono anche per lo sciocco desiderio di restare sul monte. Certo, è stato un momento felice... ma hai ragione tu: dobbiamo tornare alla vita di tutti i giorni. Lì giochiamo la nostra fiducia in te e la nostra speranza nel tuo progetto».
    «Siete perdonati... sono cose che capitano a tutti: la voglia di continuare un'esperienza bella è normale. Ma è una tentazione pericolosa. Ci vuole, ogni tanto, per consolidare la speranza... ma poi si deve coraggiosamente ritornare alla vita quotidiana»: Gesù conclude.
    Pietro, Giovanni e Giacomo sono di nuovo con gli altri discepoli. «Che cosa è capitato?»: lo chiedono con gli occhi, pieni di curiosità. «Gesù... ci ha regalato un'esperienza incantevole... e poi ci ha aiutato a scoprire il suo significato».
    Pietro si sente investito di una responsabilità grande: «Sedetevi... adesso vi racconto l'esperienza che abbiamo fatto... ma soprattutto cerco di dirvi bene qual è il suo messaggio. L'esperienza è un regalo di Gesù a tre di noi... non si sa per quale ragione abbia scelto proprio noi tre. Il messaggio però è quello che conta di più: questo è un regalo per tutti: per voi e per quelli che crederanno sulle vostre parole».


    LA VOGLIA DI VEDERE GESÙ

    Gesù era uno di quei bei tipi di fronte ai quali nessuno era riuscito a restare indifferente. Suscitava entusiasmo o faceva arrabbiare.
    L'hanno cercato in tanti, per le ragioni le più strane. Lo cercavano quelli che attendevano da lui la guarigione, una buona parola, almeno un sorriso per continuare a sperare. Con la stessa decisione lo cercavano per eliminarlo, con la scusa che era pericoloso perché metteva in crisi l'osservanza formale della legge. Anche i suoi genitori e gli amici, ogni tanto, hanno dovuto mettersi a cercarlo: all'improvviso spariva e nessuno sapeva dove era finito.
    La sua esistenza era incominciata sotto il segno della ricerca. Per metterlo al mondo, Maria e Giuseppe hanno dovuto cercare un angolo tranquillo, perché per questa famiglia di poveretti non c'era posto da nessuna parte. L'hanno cercato i pastori, i magi, il re Erode. Anche gli ultimi momenti della sua esistenza terrena sono stati segnati dalla ricerca: l'ha cercato chi voleva arrestarlo e non voleva sbagliare persona; l'hanno cercato coloro che volevano vederlo, per l'ultima volta, nel sepolcro.
    I suoi discepoli, spesso, hanno tentato di mettere un poco d'ordine nell'affannosa ricerca di Gesù. Hanno stabilito degli orari, per lasciargli qualche ora di sonno. Hanno selezionato quelli che avevano diritto da quelli che invece davano solo fastidio. Per questo, volevano escludere i bambini, chiassosi e confusionari, e i peccatori, troppo pericolosi per la dignità. Poverini... lo facevano per difendere l'esistenza di Gesù, tirato da tutte le parti. Volevano organizzare le cose come si faceva di solito: distinguere tra le richieste buone e quelle inutili, tra le domande serie e quelle soltanto curiose.
    Gesù non c'è mai stato. Era fuori dei suoi schemi. Chi ama e vuole la vita, non può di sicuro fare un elenco di priorità né può decidere in anticipo chi lo cerca davvero o chi invece si prende gioco di lui.
    Molte persone hanno cercato Gesù. Una storia, però, è più simpatica di tutte, quella di Zaccheo.
    Zaccheo era un poco di buono. Lo sapevano tutti e glielo dicevano in faccia... con un po' di ritegno solo perché era un uomo potente e con i potenti è meglio andarci cauti. Lo sapeva bene anche lui, ma non gliene importava nulla (o quasi). Tanto lui aveva i soldi. E con i soldi risolveva tutti i problemi.
    Il suo guaio erano proprio i soldi. Molti glieli invidiavano; moltissimi gli contestavano il modo con cui se li procurava. Zaccheo era un esattore delle tasse, uno di quelli che senza pietà spillava denaro a destra e a manca per conto dei Romani. Un po' di soldi li consegnava; un po' se li teneva. E così aveva una barca di soldi e di nemici. Tutto questo, i buoni ebrei, attaccati ai soldi come tutti e nazionalisti esasperati, non glielo perdonavano davvero.
    Abitava a Gerico, una città bellissima, ricca d'acque e profumata di rose, nonostante fosse in mezzo al deserto.
    Un giorno viene a sapere che dalla sua città doveva passare Gesù. S'incuriosisce. «Lo devo vedere», decide subito, «parlano tanto di lui... se non ne approfitto adesso, mi mancherà per sempre». Ne parla con gli amici. Lo prendono in giro: «Zaccheo... hai deciso di convertirti... non ti bastano più i tuoi soldi? Pensa alla faccia dei tuoi nemici... Non dar loro questa consolazione». Zaccheo è deciso: «Non c'è pericolo. Lo voglio vedere, punto e basta. Mi va simpatico, con quella banda di pescatori che si tira dietro». Qualcuno gli sussurra: «Zaccheo, attento. Gesù è un tipo pericoloso. Non le manda a dire a nessuno». «Per carità... tranquilli. Ci sono abituato. Io lo lascio parlare, come faccio con tutti. E poi faccio quello che mi pare. I soldi li ho io, non lui, che è un morto di fame, senza fissa dimora».
    Zaccheo si organizza per vedere Gesù. Studia le varie possibilità. Rinuncia alla soluzione troppo semplice di convincere, con qualche elemosina al posto giusto, di far passare Gesù sotto le finestre di casa sua. Preferisce scendere lui sulla strada.
    Ma c'è un problema. Zaccheo ha un piccolo difetto fisico: è basso di statura. Lo scopre adesso. Se si mescola alla folla, addio possibilità di vedere Gesù. Non riuscirebbe a vedere nulla... tanto più che Gerico è piena di fanatici che si piazzano sulla strada già dalla sera prima, per non perdersi una briciola dello spettacolo di Gesù che passa.
    Zaccheo ci pensa. Chiede consiglio. Poi decide di testa sua: «Mi arrampico su un albero, in barba alla dignità».
    Anche lui ci va di notte, per non farsi vedere. Si organizza per stare tranquillo, appollaiato sul suo albero, fino al passaggio di Gesù. «Lo voglio vedere».
    Finalmente passa Gesù. Zaccheo tiene il fiato. È il momento più difficile. Se qualcuno si accorge, povera la sua dignità e addio faccia tosta. Domani, nell'ufficio delle imposte, tutti lo guarderanno con un tono che ti prende in giro dalla testa ai piedi.
    Ecco Gesù. Boh... tutto lì? Che capita? Si ferma? Si ferma proprio sotto l'albero di Zaccheo. Scende dalla cavalcatura e guarda in alto. «Zacche0000». Zaccheo trema di vergogna. «Zaccheo, vieni giù, devo parlarti». Ormai è fatta. Zaccheo scende e si mette davanti a Gesù, pronto a tutto.
    Gesù gli sorride. Sorride a Zaccheo? Poi parla. Altro che rimproveri... neppure un buon consiglio. Dice Gesù: «Zaccheo, ho deciso: oggi vengo a pranzo a casa tua. Ti va?».
    Zaccheo si sente un colpo al cuore. Voleva vedere Gesù per curiosità, per non essere tagliato fuori quando tra gli amici si parlava di lui. E adesso Gesù sconvolge tutti i piani. Si propone come ospite della sua casa e della sua vita.
    Zaccheo non ci pensa due volte. Risponde al volo, con una gioia traboccante: «Gesù, grazie. Vieni. Preparo in fretta. Ci facciamo un pranzo di quelli da ricordare».
    Gesù ha buttato le braccia al collo a Zaccheo. Non gli ha fatto nessun rimprovero né ha posto alcuna condizione. Gli ha restituito tutta la dignità. L'ha riconciliato con se stesso... la prima persona dopo anni di rimproveri, noiosi quanto inutili. Può ospitare Gesù a casa sua: se Gesù l'ha detto, è segno che lui può farlo. Zaccheo ritrova la gioia di stare in compagnia con se stesso.
    Però... l'abbraccio di Gesù butta per aria tutto. Interpella e inquieta. «Se non cambio vita», pensa Zaccheo, «cosa è venuto a fare Gesù nella mia casa?». Si getta nell'entusiasmo della conversione. Cambia vita, in quel modo esagerato che solo l'amore e il perdono sanno scatenare: «Restituisco quello che ho rubato: quattro volte tanto. I miei soldi li dono ai poveri. Divido la mia vita con loro. Da oggi, cambio... tutto».
    Qualcuno brontola. Non ci capisce più. Accidenti... di questo passo, dove si va a finire? Quel Gesù lì è proprio pericoloso. Fa diventare bene il male. La voglia di Zaccheo di vedere Gesù non era «buona». Gesù doveva sgridarlo e basta. Questo modo di fare è troppo rassegnato.
    Adesso interviene Gesù. Non ne può più con questa mania di giudicare, di dividere, di valutare prima di accogliere.
    Alza la voce: «Insomma... non vi rendete conto che la salvezza di Dio è entrata oggi nella vita di Zaccheo?».
    Zaccheo è un uomo nuovo: salvato dall'abbraccio accogliente di Dio, si è riconciliato finalmente con se stesso e con gli altri. La sua povera voglia di vedere Gesù gli ha trasformato la vita: il più piccolo dei semi è diventato albero grande.


    PER LA VITA... MA COME?

    Quel pomeriggio, sulla riva del lago di Genezareth, si era radunata una gran folla per ascoltare Gesù. Erano arrivati in massa dai villaggi vicini, come capitava solo nelle grandi occasioni. Ormai il sole era al tramonto e una leggera brezza rinfrescava l'aria. Nessuno però si accorgeva. Avevano ben altro cui farsi attenti. Non si erano neppure accorti che il tempo stava volando via, inesorabile.
    Gesù diceva delle cose bellissime. Non le avevano mai sentite, così chiare e confortanti. Gesù, poi, le diceva con un'autorevolezza che dava conforto e sicurezza. Ci si accorgeva subito che le sue parole venivano da un'esperienza specialissima.
    Diceva: «Date un'occhiata ai bellissimi fiori che rendono allegri i prati qui attorno. Sono vestiti in un modo splendido. Re e regine chissà cosa darebbero per fare un giro agghindati in questo modo. Ma non ci riescono: non ci sono sarti capaci di progettare qualcosa di simile. I fiori li veste Dio, con un gesto d'amore gratuito. Pensate a quanto si preoccuperà di ciascuno di noi, se ha tanta cura di cose che domani saranno bruciate dal sole e spariranno nel nulla».
    Strano... non ci avevano mai pensato. Eppure è proprio così. Ma non è finito. Gesù aggiunge subito: «Guardate gli uccelli che volteggiano nel cielo. Nessuno muore di fame, anche se non hanno né granai né organizzazioni di soccorso. Ci pensa Dio a regalare a ciascuno ciò di cui hanno bisogno. Se si preoccupa tanto di qualche passerotto... provate ad immaginare l'amore che porta a ciascuno di noi. Siamo importanti per Dio. Tutti Io sono; soprattutto per Dio sono importanti quelli che contano quasi come un passerotto che vola nel cielo».
    Lo si ascoltava con gioia. Il tempo passava e nessuno ci faceva caso. Ogni parola che usciva dalla bocca di Gesù era come un lungo abbraccio accogliente.
    Solo Gesù si è accorto del tempo che passava. L'amore arriva, per forza, a queste sensibilità. Si ferma. Si guarda d'attorno. Cerca di verificare lo stato delle cose. Poi, deciso, si rivolge a Filippo, che gli stava accanto. «Filippo... interrompiamo per qualche momento. Questa gente ha diritto ad un po' di riposo. Tu approfitta della pausa per distribuire qualcosa da mettere sotto i denti. Chissà la fame che ha questa povera gente... Hanno fatto un lungo viaggio per arrivare fin qua e poi si sono assorbite quattro ore di conversazione».
    Filippo ha un attimo di smarrimento. «Gesù, nessun problema per l'intervallo. Il problema è l'altro: i panini per sfamare tutta questa gente». Aggiunge un altro discepolo: «Gesù, li ho contatti, mentre tu parlavi. Sono quasi diecimila. Un record. Pensa quanto pane ci vorrebbe, per riempire almeno un buco nello stomaco di tutta questa gente...».
    «Che si può fare?», insiste Gesù con Filippo. La risposta non si fa aspettare, di una logica che non fa una piega: «La soluzione migliore è questa: arriviamo subito alla conclusione e poi manda ciascuno a casa propria. Non abbiamo pane. Non abbiamo soldi. Siamo in un luogo deserto. Non c'è proprio nulla da fare. Rimanda la gente a casa prima che diventi notte e...». Non dice «s'arrangeranno»... ma lo si capisce al volo.
    Gesù non ci sta davvero. Filippo l'ha proprio deluso. Sono anni che sta con lui... e guarda i frutti.
    «Filippo, la tua soluzione è assurda. Ho parlato del Padre che nutre gli uccelli e veste i gigli del campo... e tu mi consigli di finire dicendo a questa gente di tornarsene a casa a pancia vuota». Di Dio Gesù parla prima di tutto con i fatti. Assicura che è un Padre, buono e accogliente, perché restituisce la libertà alla povera peccatrice, la vita al ragazzo morto prematuramente, la salute alla donna piegata in due dalla malattia.
    Filippo va in crisi. Non sa davvero che pesci pigliare. Anche i suoi colleghi aspettano, ansiosi e incerti.
    Gesù prende l'iniziativa. Dice a Filippo: «Verifica se qualcuno si è portato con sé qualche panino». «Qualcuno si è portato dietro un po' di provviste?», grida Filippo.
    Si fa avanti un ragazzino con una piccola sporta. «Io ho cinque pani e qualche pesce. Me li ha dati mia mamma, prima di partire di casa. Stavo per mangiarli, quando ho sentito il richiamo di Filippo. Eccomi qua. Che c'è?».
    Gesù lo guarda con uno sguardo che incanta.
    «Senti», gli dice, «voglio fare una scommessa con te. Tu mi dai tutte le tue provviste. Le dividiamo tra questa folla. Questa è la scommessa: dividendo il tuo pane, ci togliamo la fame tutti: tu, io, Filippo, i miei amici... tutta questa gente. Ci stai?».
    Il ragazzo è incerto. Pensa ai suoi panini, alla sua fame, al lungo viaggio per tornare a casa... Guarda la folla: tantissimi. Come possono essere sufficienti i suoi cinque pani?
    Tenta il colpo: generoso... ma non troppo. «Gesù, facciamo metà per uno: qualche panino per te e il resto per me. Non è una proposta da buttar via. Ti va?».
    Gesù non ci sta davvero. La sua richiesta è esigente: «Tutto». Solo così si possono togliere la fame tutti. «Se non vuoi, nessun problema. Ti tieni i tuoi panini e te li mangi. Non sarà facile. Avrai cento occhi puntati addosso. Qualcuno cercherà di portarteli via. Dovrai difenderti con i denti. Ma sono tuoi e hai diritto di fare quello che vuoi».
    Insiste Gesù: «La scommessa è questa: se me li dai e li dividiamo tutti, la vita cresce per tutti».
    Il ragazzo ci sta. Consegna a Gesù i suoi pochi pani e i quattro pesci. Incominciano a dividere e a mangiare. Più dividono e più il pane e i pesci aumentano. Ce n'è davvero per tutti: non un boccone alla svelta, ma una spanciata.
    Alla fine, raccolgono i pezzi avanzati. Si sono tolti la fame e ne restano ancora sette sporte piene.
    Gesù conclude: «È vero: il Padre nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo. Lo fa da solo. Per nutrire la fame degli uomini (quella di pane e quella di speranza), ha bisogno, invece, di collaborazione. Possiamo crescere nella vita solo se qualcuno rinuncia a quello che possiede, lo divide, lo regala per amore. L'abbiamo sperimentato questa sera. Tornate a casa e fate anche voi la stessa cosa. Arrivederci».
    La folla se ne va, preoccupata e pensosa.
    Erano abituati a sentirsi dire: «Rinunciate a quello che possedete. Sacrificatevi. Pensate a chi soffre e imparate a cercare anche voi un po' di sofferenza, almeno per solidarietà».
    Gesù capovolge le raccomandazioni: «Sono venuto perché tutti abbiano la vita e la felicità. Il Padre vuole che ne abbiamo tanta da non sapere più dove metterla. Dio è fatto così: nutre gli uccelli del cielo e veste i fiori del campo, senza cercare nessun compenso. Gli piace e basta. Fa così perché ama follemente i figli suoi».
    Ma... c'è un «però», duro ed esigente.
    La vita cresce solo se qualcuno la sa regalare per amore. Se ce la teniamo stretta, la perdiamo noi e la facciamo perdere a tutti. Se sappiamo condividere tutto, davvero tutto, avremo vita e felicità in abbondanza.
    Se avesse ragione Gesù? Tutto diventa più impegnativo. Non basta rinunciare a qualcosa e non è sufficiente regalare ai poveri quello che avanza e non abbiamo il coraggio di buttare via. Va condiviso tutto, per possedere tutto. Invece di dividere tra quello che è mio e quello che regalo agli altri, tutto diventa mio, se lo condivido con gli altri. Così propone Gesù per la vita e la felicità...
    Qualcuno ha inventato la «mortificazione» come condizione educativa irrinunciabile. L'espressione è brutta e la sostanza è peggio. Mortificare vuol dire «dare la morte». Gesù vuole la vita e la felicità. Lotta contro la morte... altro che cercarla e programmarla. Pone però una condizione esigente: se il chicco di frumento non muore, né è vivo né genera la vita.
    Non sarebbe meglio togliere l'espressione «mortificazione» dal dizionario della pastorale, e cercare di sostituirla con la parola (e i fatti) «condivisione»?


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