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    I tre livelli della comunicazione interpersonale: la semantica (cap. 4 di: Comunicazione educativa)


    Mario Pollo, COMUNICAZIONE EDUCATIVA, Elledici 2004

     

    Nella comunicazione il problema del significato, ovvero dei processi che consentono ai comunicanti l'accordo, e quindi la reciproca comprensione, intorno al senso dei segni e dei simboli che utilizzano, è uno dei più complessi e ricco di mistero o, se qualcuno preferisce, ricco di dimensioni non ancora esplorate in modo adeguato. Nonostante i limiti delle scienze che costituiscono il settore della semantica, la dimensione del significato è essenziale all'educazione, in quanto tra i suoi obiettivi vi è sia la costruzione di significati comuni tra i membri del gruppo educativo, sia l'acquisizione da parte dell'educando della capacità di attribuire significato alle esperienze della vita quotidiana e, quindi, alla comunicazione con se stesso, gli altri e il mondo.
    Il tema del significato sarà sviluppato a partire dal concetto linguistico di segno per espandersi, attraverso le relazioni interne ed esterne di questi, al simbolo, all'immagine e alla capacità della lingua di produrre storia e senso esistenziale.
    Inizialmente il discorso sarà svolto sul piano rigorosamente linguistico per poi andare verso le sponde delle altre scienze che si occupano dello studio del linguaggio.

    IL SEGNO

    Il segno, pur essendo il concetto base della scienza del linguaggio, ma forse proprio per questo, è di difficile definizione e soggetto a interminabili dibattiti e controversie, che manifestano visioni e filosofie del mondo diverse se non antagoniste. A complic
    te le cose in questi ultimi decenni la definizione del segno si è allargata alle entità extralinguistiche, ovvero ai segni non verbali. Per questo motivo in questa breve introduzione al concetto di segno si è preferito fare riferimento a una delle definizioni che: più prudenti e tradi- zionali che indica il segno come una entità
    • può diventare sensibile;
    • per un gruppo determinato di utenti indica una carenza in se stessa.[1]
    In altre parole questo significa che il segno si manifesta sempre attraverso una forma materiale: onda sonora, luce, oggetto, traccia, ecc.; e che esso ha il potere di evocare qualcosa che non è material- mente presente nel segno stesso.
    La parte di segno che può diventare sensibile e manifestarsi è detta significante, mentre ciò che il segno evoca è il significato. Infatti il significato non è presente nel segno ma nella mente dei comunicanti ed è in parte soggettivo. Il significante può evocare solo qualcosa che i comunicanti hanno precedentemente associato ad esso.
    La relazione che lega tra di loro le due facce del segno è la significazione, ed essa è di tipo istituzionale in quanto è sempre stabilita da un gruppo sociale, piccolo o grande non importa. In alcuni casi il significante, oltre ad evocare un significato, produce, in chi usa i segni, una immagine mentale. È questo un processo tipico della letteratura e dell'arte in genere attraverso cui vengono create atmosfere, sensazioni, azioni, avvenimenti nella mente del lettore, dell'ascoltatore o dello spettatore. Questa funzione del segno è di solito indicata con la parola rappresentazione.
    Occorre ribadire però che la doppia presenza del significante e del significato è essenziale per l'esistenza del segno, in quanto un significante senza significato è semplicemente un oggetto, mentre un significato senza significante è l'indicibile.
    Il segno, oltre che dalla significazione, è caratterizzato da due altre relazioni: la denotazione e la simbolizzazione.
    La denotazione è la relazione che esiste tra il segno e un oggetto, fisico o mentale, come ad esempio tra la parola pane e il pane reale. La simbolizzazione, invece, è la relazione che esiste, in modo sufficientemente stabile, tra due significanti o tra due significati. Il significante fiamma può, ad esempio, in alcune circostanze, richiamare quello di amore. In questo caso si dice che la parola fiamma simbolizza la parola amore. La simbolizzazione non è quindi una relazione tra un significante e un significato ma la relazione, stabilitasi per un qualche motivo, tra due significanti o tra due significati. La simbolizzazione è assai diversa dalla significazione.
    Infatti la relazione tra significante e significato nella significazione è:
    • arbitraria, in quanto non esiste alcun motivo per cui ad un certa forma sensibile del segno debba corrispondere un dato significato;
    • necessaria, in quanto senza di essa non può esistere il segno;
    mentre la relazione tra due significanti nella simbolizzazione è:
    • motivata, in quanto esistono precisi motivi per cui un significante ne richiama un altro;
    • non necessaria, in quanto i due segni messi in relazione dalla simbolizzazione esistono indipendentemente l'uno dall'altro e, quindi, la loro esistenza non è legata alla loro relazione.
    Dalla relazione di simbolizzazione si deduce che il simbolo ha una realtà diversa dal. segno, in quanto è una realtà di secondo livello.

    IL SIMBOLO

    Il simbolo, secondo questa accezione della simbolizzazione, è un segno che oltre ad avere un proprio significato manifesto, rinvia attraverso altri significanti ad un significato nascosto. Di solito questo significato è di tipo esistenziale e tocca la sfera affettivo-emotiva.
    Oltre a questo occorre dire che il simbolo si svela con pienezza solo all'interno di situazioni particolari.
    Normalmente le situazioni che consentono al simbolo di essere fonte di un'esperienza forte di relazione con una realtà psichica o spirituale sono quelle del rito, della meditazione, della contemplazione e della narrazione autentica.
    Occorre sottolineare che in queste situazioni la persona vive l'esperienza del simbolo non a livello di intenzionalità razionale e cosciente, ma a livello spontaneo e inconscio. Infatti il simbolo in molte situazioni parla direttamente alla regione più profonda della personalità dell'individuo saltando la mediazione della coscienza razionale e, quindi, le stesse relazioni previste dalle teorie del linguaggio.
    L'esperienza del simbolo, se non quando si riflette su di esso, non è mai una esperienza razionale e cosciente. Questo porta necessariamente il discorso sul simbolo al di là di quello specificatamente linguistico verso le regioni esplorate dalla psicologia del profondo, dalla storia delle religioni e dall'antropologia.
    Parlare del simbolo in termini razionali, e quindi trattare il suo significato come quello di un segno, come si è fatto prima, è di fatto, anche se necessario, una sorta di riduzionismo.

    Il simbolo: ricordo di un passato arcaico o sogno di un futuro salvato?

    La capacità del simbolo di indicare la direzione che conduce ad una esperienza esistenziale profonda gli deriva dal suo essere il ponte che collega la storia dell'uomo con il mondo del prima e del dopo la storia. La tesi che il simbolo evochi dei significati legati alla arcaica storia dell'uomo nel mondo ha il suo interprete più noto e profondo in Jung, il quale affermava: «Come il corpo umano costituisce un complesso museo di organi, ciascuno dei quali possiede una lunga storia evolutiva dietro di sé,. così dobbiamo prevedere che la mente sia organizzata in modo simile. Essa deve essere un prodotto storico alla stessa stregua del corpo in cui si trova ad esistere. Per "storia" non intendo il fatto che la mente si venga sviluppando da sola attraverso riferimenti coscienti al passato tramite il linguaggio e altre tradizioni culturali. Io mi riferisco bensì allo sviluppo, preistorico e inconscio della mente dell'uomo arcaico, la cui psiche era altrettanto chiusa di quella animale. Questa psiche straordinariamente antica costituisce la base della nostra mente, così come la struttura del nostro corpo è fondata sul modello anatomico del mammifero».[2]
    È necessario sottolineare che Jung non identifica la mente con il cervello, così come del resto farà più tardi lo scienziato del cervello, il premio Nobel John Eccles. La mente viene perciò riconosciuta come una parte immateriale e misteriosa dell'essere umano la cui presenza è leggibile nella vita umana.
    Tuttavia la tesi che il simbolo sia semplicemente il risultato della storia arcaica dell'uomo non è accettata, ad esempio, da uno studioso di storia delle religioni come Mircea Eliade il quale, a questo proposito, sostiene: «Oggi si comincia a vedere che la parte astorica di ogni essere umano non affonda, contrariamente a quanto si pensava nel XIX secolo, nel regno animale e, in fin dei conti, nella "vita", anzi al. contrario, devia e si innalza ben al di sopra di essa: questa parte astorica dell'uomo porta, come una medaglia, l'impronta del ricordo di una esistenza più ricca, più completa e più beatifica».[3]
    In altre parole, secondo Eliade il simbolo non condurrebbe l'uomo a «ridiscendere alle fonti più profonde della vita organica», ma a ritrovare le tracce della felice condizione umana nel paradiso perduto.
    Il mito del paradiso perduto appartiene, infatti, in forme diverse a tutte le culture umane ed è la base di quella nostalgia che fonda la speranza che la vita dell'uomo potrà essere più felice e beatifica, proprio perché è già stata così.
    Non ha alcuna importanza che il paradiso perduto sia esistito realmente prima della storia o, più semplicemente, sia il sogno della felicità umana al termine della storia. Quello che conta è che esso introduce nella vita umana la nostalgia per una condizione che, anche se non è alla portata nell'oggi, è comunque nell'orizzonte delle possibilità dell'esistenza umana riconciliata con la volontà del Dio creatore.

    Il Simbolo che salva: Gesù

    Il simbolo è ciò che lancia l'uomo oltre i limiti e le angustie del presente e che lo apre sulla possibilità di una vita emancipata dalla finitudine del peccato e di nuovo in unione con la potenza salvifica divina.
    Gesù è da questo punto di vista il Simbolo che si fa storia, sia perché rende già presente nella storia umana quella salvezza che i sogni degli uomini collocavano oltre la storia, sia perché appartiene nello stesso istante alla condizione umana nella storia e alla condizione divina oltre la storia.
    Il simbolo, invece, quale realtà linguistica umana, è stato da Gesù salvato al pari delle altre realtà umane, e reso disponibile a far scoprire all'uomo la ricchezza dei segni che già accompagnano il suo presente e che possono indirizzarlo sulla via della salvezza.
    Dopo la venuta del Cristo, il simbolo non abita più al di là dei confini della storia ma indica la via del suo compimento.
    Questa precisazione è importante perché per molti uomini il simbolo ha assunto il volto dell'idolo. Molti uomini, infatti, invece di considerarlo come l'indicatore di un cammino verso una realtà trascendente, lo hanno trasformato nella stessa realtà indicata.
    Per comprendere come mai si sia realizzato un travisamento tanto grave, bisogna ricordare che il simbolo non indica solo all'uomo la via del cielo ma anche quella delle regioni della distruttività in cui alberga il delirio di potenza umana che è alla base del peccato originale (gli «inferi»). Il simbolo possiede anche questa funzione perversa perché ha in sé depositata la memoria del tentativo dell'uomo di farsi come Dio. Infatti l'esperienza beatifica del paradiso terrestre ha termine per l'uomo quando ha ceduto alla tentazione di divenire come Dio. Molti idoli nascono da questa tentazione: dalla volontà di ritrovare nel regno della morte quella potenza che non appartiene all'uomo. Il simbolo contiene anche i germi di questa suprema tentazione.

    L'immagine: la memoria che si fa presente

    Parlando del segno si è accennato alla funzione della rappresentazione. In questa funzione gioca un ruolo particolare l'immagine che da molti è considerata una compagna di strada del simbolo. L'immagine è una rappresentazione, una imitazione di un modello esemplare che viene continuamente ri-attualizzata attraverso l'immaginazione, e cioè attraverso la facoltà di rappresentare cose non date attualmente alla sensazione.
    Il potere dell'immagine è quello di mostrare tutto ciò che rimane refrattario al concetto. Di solito l'immagine non è portatrice di un solo significato, ma di un fascio di significati interdipendenti anche se appartenenti a piani diversi.
    L'immagine condensa in una percezione istantanea un insieme di significati esistenziali complessi. L'immagine della madre, ad esempio, condensa e fa vivere a chi la elabora o la percepisce una esperienza esistenziale legata, da un lato, al vissuto concreto della figura materna e, dall'altro, a quella che è depositata nella tradizione e nella memoria della cultura che abita.
    Avere immaginazione non è quindi fantasticare, ma cogliere l'esperienza di significato che le immagini veicolano nella vita di ognuno. Avere immaginazione è vivere un presente nutrito sia dei significati sedimentati nella memoria delle esperienze esistenziali personali e della civiltà in cui si abita, sia dei significati prodotti dalla creazione dei mondi possibili che la propria cultura e il proprio linguaggio rendono pensabili.
    Quante volte il mondo immaginario costruito da un romanzo ha arricchito il senso dell'agire esistenziale di una persona! La rappresentazione che crea immagini dà vita con la significazione, la denotazione e la simbolizzazione al processo attraverso cui l'uomo tesse di senso la sua presenza nel mondo.

    SIMBOLI, IMMAGINI E SENSO DEL QUOTIDIANO

    Come è noto, nella nostra cultura è presente una profonda crisi del linguaggio sia per quanto riguarda la capacità di utilizzare i simboli e le immagini più antiche, sia per quanto riguarda la denotazione. Questa crisi richiede all'educazione un compito affatto particolare. Ed è questo il motivo per cui, ad esempio, il metodo dell'educazione incorpora a pieno titolo al suo interno il lavoro sul linguaggio. Infatti, il primo obiettivo del metodo dell'educazione, in questa ottica, è quello della restituzione della potenza simbolica al. linguaggio quotidiano, mentre il secondo è quello di arricchire il rapporto del linguaggio con il mondo della realtà storica umana.
    Come indica chiaramente la teoria dell'educazione culturale, restituire al linguaggio umano la sua potenza simbolica e immaginifica significa, di fatto, far risuonare nella vita quotidiana di chi lo utilizza memorie, sensazioni, suggestioni, aperture ed esperienze che lo inviano al di là del suo presente e lo aiutano a collegare la sua vita all'universo di senso nella quale essa si dice.
    L'ambiguità del Linguaggio che i simboli e le immagini esprimono non è, in questa prospettiva, un limite ma la ricchezza che consente al giovane di sentirsi parte di una storia, che pur essendo più grande della sua personale non può dirsi senza questa.
    In sintesi, questo significa che i simboli e le immagini rilanciano il giovane verso una sorta di solidarietà cosmica senza negare la sua soggettività e la sua individualità. Solidarietà cosmica che ha la sua origine nell'unico evento della creazione e nell'unico cammino che può salvare la vita dell'uomo dall'abisso della distruttività della morte. Tutto questo alla condizione, però, che tutti i simboli e le immagini siano rispecchiati nel Simbolo, ovvero nella persona di Cristo che, in quanto compiutamente uomo e compiutamente Dio, vive contemporaneamente sia la vita nella storia che quella assoluta oltre la storia. Il linguaggio simbolico è, quindi, necessario ad ogni comunicazione che voglia collocare il senso del contingente nel senso universale e, quindi, divenire sapienziale.

    Restituire «storia» alle parole umane

    Dopo avere descritto sommariamente il percorso che occorre seguire per consentire ai giovani la rigenerazione del proprio linguaggio e la sua apertura alla sapienza del «simbolo», si può affrontare un secondo percorso, ovvero quello della restituzione alle parole e ai segni linguistici della memoria collettiva che ha intessuto la loro storia. Tra parentesi, questo percorso di restituzione di memoria alle parole è la via metodologica obbligata per arricchire tanto la significazione quanto la denotazione, molto spesso entrambi deboli tra le giovani generazioni.

    IL RAPPORTO TRA LINGUA E STORIA

    La lingua e gli altri linguaggi umani hanno attraversato il tempo: nati da altre lingue e linguaggi, sono evoluti e regrediti all'interno di una storia individuale e sociale. Le parole che oggi noi utilizziamo hanno attraversato il tempo e hanno contribuito a fare la storia vissuta dalle generazioni che le hanno utilizzate, proprio mentre da questa stessa storia venivano modificate nei significati di cui sono portatrici.
    La lingua, in primo luogo, e gli altri linguaggi sono lo strumento principale attraverso cui le persone e i gruppi sociali danno forma alla realtà, la organizzano e la interpretano attraverso la loro particolare cultura. Tutte le visioni del mondo sono fondate sull'utilizzo di una particolare lingua e di specifici linguaggi, e traggono dalle caratteristiche di questi il loro fondamento costitutivo. Si può dire che le persone nelle varie epoche storiche hanno vissuto la realtà che la loro lingua e i loro linguaggi hanno reso loro disponibile attraverso le particolari culture del tempo e del luogo che hanno abitato.
    Questa concezione del ruolo del linguaggio e della cultura sociale in cui si esprime nella vita umana è oggi ampiamente provata.
    È importante non dimenticare che il linguaggio, mentre aiuta la persona ad interpretare la realtà e ad agire in essa, viene modificato dalla stessa realtà, dall'impatto che la comunicazione esercita nei rapporti delle persone con se stessi, con gli altri e con la natura.
    La modifica riguarda sia la struttura grammaticale del linguaggio, che il significato di cui sono portatori i suoi segni.
    Di questa solidarietà tra linguaggio e storia, tra vita delle persone e parole, rimane traccia nelle trasformazioni della struttura dei vari linguaggi e nel significato di cui sono portatori i loro segni. Questo è evidente in modo particolare nel principale linguaggio umano: la lingua.
    Le trasformazioni della lingua sono la testimonianza della sua avventura della storia.
    Ogni parola ha in ogni momento della sua vita un significato che è in parte nuovo e in parte antico. Quest'ultimo non è andato perduto, anche se dimenticato, in quanto è alla base del processo che ha portato al. significato odierno.
    Il significato attuale di una parola non è comprensibile se non è riferito alle trasformazioni del significato antico della stessa parola. Un esempio può chiarire meglio quello che stiamo dicendo.
    Il significato di una parola è come la superficie terrestre. Essa è formata da molti strati, che sono il risultato delle trasformazioni di una certa epoca storica. Lo strato più recente è quello dove vivono nel presente le persone. Esso non sarebbe come è, se non ci fossero, al di sotto, gli strati più antichi. Non per nulla il paesaggio, la flora e la fauna di un terreno morenico sono diversi da quelli di un terreno in cui anticamente vi era il mare.
    Questa è una considerazione talmente ovvia da apparire banale, eppure la maggioranza delle persone oggi, tra cui in particolare i giovani, tende a usare il linguaggio come se i suoi significati fossero generati solo dal presente, come se non avessero storia e, spesso, addirittura come se fossero quasi esclusivamente legati all'esperienza soggettiva.

    La riscoperta dei significati radicati nel passato

    La comunicazione interpersonale per svolgersi nella sua pienezza ha bisogno di un linguaggio ben radicato – nella fonte dei suoi significati  nella storia sociale e nelle storie individuali che lo hanno prodotto.
    Solo se il significato delle parole, delle frasi e dei testi può giocare su questa stratificazione profonda di significati, una comunicazione può evocare i significati relativi all'essere e al senso della vita. Solo chi ha appreso lo spessore storico dei segni utilizzati nella comunicazione è in grado di trasformare anche la soggettività da limite in ricchezza. Occorre poi riscoprire la nostalgia per quel luogo del tempo in cui il figlio di Dio fatto uomo onorò la parola del senso totale della vita.
    Nostalgia che spinge l'uomo contemporaneo a percorrere i sentieri del suono alla ricerca di quella verità che le immagini non possono rivelare e che solo la Parola può donare.
    Oggi questa nostalgia spinge, magari inconsapevolmente, la persona a cercare quella comunicazione ravvicinata e personale che è tipica delle esperienze dei piccoli gruppi umani, anche se molti di essi non conoscono o non sanno quel che Gesù stesso ha affermato: «Perché se due o tre persone si riuniscono per invocare il mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). C'è anche un detto di Gesù simile a questo, riportato in un manoscritto emerso alla fine del secolo scorso dalle sabbie dell'Egitto, che amplia ulteriormente questa affermazione: «Là dove due sono riuniti non manca Dio».
    Questi detti di Gesù sono delle inequivocabili affermazioni circa il fatto che dove almeno due persone sono in comunicazione diretta, personale e autentica, Egli è in mezzo a loro solo che lo vogliano riconoscere.
    E, forse, il significato della comunicazione autentica è tutto qui. Questa sommaria esplorazione della semantica, forse un po' arbitraria rispetto ai canoni rigorosi della scienza linguistica, ha voluto fornire alcune indicazioni di lavoro, non ancora operative perché si limitano ad descrivere dei percorsi, che debbono essere accettate, per la loro importanza, come parti centrali di qualsiasi metodo di educazione. Infatti il lavoro sul significato è quello che consente, come recita l'obiettivo generale dell'educazione culturale, di abilitare il giovane a costruire se stesso all'interno dell'avventura di senso che, dall'origine dell'uomo, percorre senza posa il mondo.


    NOTE

    1 Ducrot O., Todorov Z., Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, ISEDI, Milano 1972, p. 114.
    2 Jung C. G., L'uomo e i suoi simboli, Bompiani, Milano 1967, p. 51.
    3 Eliade M., Immagini e simboli, Jaca Book, Milano 1981, p. 16.


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