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    Percorsi di Media Education per la pastorale giovanile (cap. 3 di: I media per l'educazione)


    Gianna Cappello - Lucio D'Abbicco, I MEDIA PER L'ANIMAZIONE, Elledici 2002

     

    «Ogni mezzo creato di comunicazione può essere scelto e utilizzato da Dio
    come sua via per giungere al cuore dell'uomo».

    (C. M. MARTINI, Il lembo del mantello di Gesù, 1991)


    Siamo arrivati alla parte finale del nostro discorso, quella che potremmo definire come «operativa»; prima però di entrare nel merito, vogliamo ricordare i passaggi che ci hanno condotto sin qui.

    Nel primo capitolo da un lato abbiamo evidenziato la posizione del magistero nei confronti delle comunicazioni sociali: la Chiesa guarda ai media in maniera fondamentalmente positiva, costruttiva e propositiva, non mancando di sottolineare le criticità e i rischi derivanti da un uso degli stessi che non sia a misura di uomo. Dall'altro lato abbiamo provato a tradurre l'atteggiamento suggerito dal magistero in uno stile che particolarmente la pastorale giovanile dovrebbe tenere nei confronti delle comunicazioni sociali: stile improntato secondo quella che abbiamo definito ecologia dei media, ovvero intelligenza dell'ambiente che si abita. Crediamo che questo stile debba essere preliminare e propedeutico a qualsivoglia concreta azione e percorso pastorale con i media, o su i media. Le due preposizioni (con e su) rimandano ai diversi approcci possibili fra media ed educazione. Il secondo capitolo ha approfondito appunto questa varietà e molteplicità di approcci fra i media e l'educazione, che si collocano dentro il quadro epistemologicamente coerente della Media Education; e già in quella sede sono state esemplificate alcune possibili attività.
    Nel presente capitolo suggeriremo altri percorsi per la pastorale giovanile, secondo due tipologie: giocando con la terminologia adottata per la ME, immaginiamo una «pastorale ai media» e una «pastorale con e per i media». Nel primo caso (indicato come «traccia A») intendiamo una riflessione tematica sul medium, alla luce del messaggio cristiano e in una prospettiva educativa; nel secondo caso (indicato come «traccia B»), invece, recependo l'invito che proviene in particolare dai Messaggi del Papa per le Giornate delle Comunicazioni Sociali, proviamo a suggerire percorsi per «fare annuncio» attraverso i media. I percorsi proposti sono organizzati in forma di schede onde renderne più agile la consultazione (alcune schede sono tra l'altro corredate con «box» di approfondimento). Essi rinvengono da esperienze compiute all'interno della pastorale, ovvero da altre esperienze ripensate per il particolare contesto. In tutti i casi vanno considerati come semplici spunti che volta per volta dovranno essere articolati in base alle specifiche esigenze e contingenze. D'altra parte le esemplificazioni offerte non esauriscono l'orizzonte mediale, lasciando fuori alcuni mezzi – come la radio – o particolari prodotti – come il fumetto; per non dire poi del teatro, mezzo/forma di comunicazione sui generis, entrato da tempo nel corredo delle pratiche educative in generale e pastorali in particolare: eventuali sollecitazioni a favore di tale esperienza crediamo che sarebbero risultate pleonastiche.
    Si è inteso, insomma, soffermarsi solo su alcune esperienze (privilegiandone certe magari un po' desuete o poco frequentate) che potessero comunque rendere il senso della ricchezza degli incontri e incroci possibili fra pastorale e media. E in generale, individuato un medium, i contributi offerti sono di carattere metodologico (come impostare l'attività) e non entrano più di tanto nel merito dei contenuti, ritenendo che essi potranno essere meglio articolati e sviluppati dagli operatori in base al proprio «bagaglio pastorale».

    TRACCIA A - Il giornale
    «C'è Gesù fra le righe?...»

    Obiettivi: Riflettere sui valori etici che provengono dal progetto cristiano di umanità; verificarne la loro presenza (ovvero la loro assenza) nell'informazione.

    Materiali: Giornali (quotidiani e periodici).

    La lettura critica, meditata dei giornali può essere considerata uno dei primi esercizi di ME e anche uno dei più facilmente realizzabili, dato che si riferisce a un medium «povero»[1] Esso risulta particolarmente indicato per la fascia degli adolescenti che, com'è noto, non sono grandi consumatori di notizie – se non di argomenti a loro particolarmente cari. Inoltre, la complessità del reale, che richiede un notevole sforzo di interpretazione, ma anche i processi di concentrazione delle fonti di informazione nelle mani di pochi e potenti gruppi, rendono quest'attività particolarmente attuale e importante. Infine, vale la pena ricordare un famoso precedente in ambito ecclesiale: quella Scuola di Barbiana dove, grazie all'intuizione di don Lorenzo Milani, straordinario pastore ed educatore, la lettura del giornale rappresentava un elemento fondamentale del singolare percorso di formazione lì praticato.
    Dal punto di vista cristiano c'è da segnalare un'altra emergenza: il progressivo processo di scristianizzazione dell'Occidente è chiaramente riflesso nell'informazione. Se questo può essere avvertito come un fatto positivo, nel senso di un'emancipazione della cultura rispetto a matrici – quelle della religione – sino a ieri accettate acriticamente, è pur vero che c'è il rischio di smarrire anche l'elemento valoriale discendente da quelle matrici: il nocciolo intorno al quale si è conformata l'etica della civiltà Occidentale. Ammonisce il Papa: «se non c'è spazio per Cristo, non c'è spazio per l'uomo».[2]
    Percorrere l'informazione con «occhio cristiano», allora, può essere un esercizio per ricostruire – non foss'altro che per contrasto – il corredo di principi e valori che provengono dal messaggio cristiano. Il parametro sarà sempre Cristo, «modello e progetto di uomo». Immaginiamo che non sia cosa facile dare a priori tale modello, soprattutto in un contesto giovanile; ebbene, la lettura del giornale può risultare un percorso che in maniera induttiva e giocando sulla negoziazione delle interpretazioni, aiuti a ri-conoscerlo. Si tratterà, dunque, di comprendere il sostrato valoriale che soggiace alle notizie, partendo eventualmente proprio da quegli argomenti più cari ai ragazzi. Un aiuto alla riflessione può venire dalle belle pagine che il cardinale Martini dedica alle problematiche della comunicazione contemporanea nelle sue lettere pastorali.[3] Le pagine di spettacolo e di costume possono offrire numerosi, straordinari spunti di riflessione: in che misura l'informazione rispetta l'intimità di uomini e donne – per esempio i personaggi dello spettacolo, oggetto (o soggetto?) di veri e propri accanimenti mediatici? Qual è il ruolo dell'informazione nel creare «divi» e che senso ha questo processo? Quanto spazio ricevono i fatti di spettacolo e costume nella stampa e che proporzione c'è fra lo spazio riservato a questi argomenti e quello riservato ad altri meno «leggeri»?...
    È evidente come la fantasia dell'educatore possa sbizzarrirsi. E dalle pagine più familiari si può passare a considerazioni sulle altre pagine e sull'intero sistema delle notizie: qual è il criterio «gerarchico» che le ordina? Come vengono trattati i fatti? Come viene trattato il dolore, la sofferenza: con attenzione morbosa, puntando sul sensazionale, o con rispetto della persona? (A questo proposito può risultare interessante una riflessione sui titoli, in particolare delle «prime pagine»: la prima pagina, infatti, funge un po' da copertina del giornale.) Che spazio viene riservato ai grandi e gravi problemi dell'umanità (diritti civili, fame, ecologia, rapporto fra Sud e Nord del mondo...)?...
    Il discorso potrà addentrarsi in terreni sempre più problematici (e dunque trascurati da uno sguardo «ingenuo» sulle notizie): in che misura la politica editoriale (della singola testata) influenza il trattamento delle notizie? In che misura il mercato pubblicitario interviene nel mondo dell'informazione?...
    È chiaro che un'attività del genere dovrà essere svolta confrontandosi con un certo numero di testate: si potrà incaricare ogni ragazzo (o gruppo di ragazzi) di «dedicarsi» a un giornale in particolare per un periodo definito di tempo, in modo da avere a disposizione osservazioni che si riferiscono al diverso trattamento giornalistico degli stessi avvenimenti. Si potranno considerare separatamente quotidiani e settimanali. Sarà naturalmente opportuno «osare» e inserire fra i giornali considerati quelli che si rifanno esplicitamente alla lezione cristiana: non per prenderli come modelli, ma per verificare se esiste –eventualmente – un modo diverso di fare informazione, e dunque capire in cosa esso consista. D'altra parte è un dato di fatto che almeno in Italia la cultura (genuinamente) cristiana – al di là degli aspetti ritualistici – tende a essere sempre più minoritaria: riscoprire e valorizzare certa stampa dichiaratamente cristiana può essere anche un modo per avvicinare i ragazzi a fonti di informazione alternative rispetto a quelle «maggiori», non omologate e non omologanti.[4]

    APPROFONDIMENTO
    La notizia e il giornale

    La redazione, il luogo fisico dove vengono redatte le notizie, è l'ultimo di una lunga ed interessante serie di passaggi. Le informazioni possono giungervi sotto forma di articoli già compilati, ovvero in forma di scarni comunicati da sviluppare; i principali canali sono le agenzie, i cronisti e gli inviati, i corrispondenti, i collaboratori esterni e i comunicati ufficiali.
    Le agenzie sono organizzazioni giornalistiche che non pubblicano direttamente le notizie raccolte, ma le forniscono agli organi di informazione. In ogni paese opera almeno una di queste agenzie, che dispone di proprie redazioni e di una rete di informatori estesa anche nei centri minori. La più importante in Italia è l'Ansa (Agenzia nazionale stampa associata), in Francia c'è la France Press, in Gran Bretagna la United Press, in Germania la Reuter, negli Stati Uniti la Associated Press. Ogni giornale, pagando un abbonamento, può collegarsi alle agenzie mediante un terminale che trasmette in continuazione i fatti avvenuti nel mondo. Le informazioni trasmesse dalle agenzie sono in genere molto brevi, essenziali, redatte con uno stile anonimo e molto scarno. Di conseguenza i vari giornali spesso elaborano e integrano le notizie d'agenzia, specie se riguardano i fatti interni, con altre raccolte direttamente attraverso i corrispondenti che i maggiori giornali hanno in ogni città del paese (di solito sono i giornalisti dei quotidiani locali) e nelle principali capitali del mondo. Quando poi un fatto è molto importante e merita di essere seguito per diversi giorni, il giornale invia sul posto un giornalista della redazione (chiamato appunto inviato o inviato speciale).
    Giunta infine in redazione, la notizia deve essere collocata al giusto posto nel giornale; la redazione stessa è divisa in settori: ogni settore corrisponde in linea di massima agli argomenti delle varie pagine. C'è il settore che si occupa delle notizie che provengono dall'estero, quello delle notizie nazionali (gli «interni»), quello delle notizie di «cronaca» (sono i fatti di attualità: delitti, incidenti, disgrazie, ma anche scoperte scientifiche, manifestazioni, ecc.), quello delle notizie locali; altri gruppi di giornalisti si interessano degli avvenimenti sportivi, degli spettacoli, dell'economia, della scienza, della cultura.
    Il lavoro di tutti questi settori viene coordinato dal direttore responsabile, dal redattore capo e dalla segreteria di redazione: si tratta di organizzare la preparazione dei testi e dei titoli in modo che, entro una certa ora, tutte le pagine possano essere complete e pronte per la stampa (in gergo si dice «chiuse»). A questo punto it lavoro passa nella tipografia dove già si era avviata la «composizione», cioè la prima fase tecnica della fabbricazione del giornale.
    La maggior parte dei testi, cioè degli scritti di un giornale, è costituita da articoli: infatti, a parte le lettere dei lettori, la pubblicità e gli annunci economici (cioè le richieste o le offerte di lavoro, la vendita, l'acquisto e l'affitto di case, auto, ecc.), solo le notizie brevi non sono da considerarsi articoli.
    Nel gergo di chi lavora nei quotidiani, tutti gli articoli con i rispettivi titoli hanno un nome in base alla posizione nella pagina. L'articolo di fondo, detto sbrigativamente «il fondo», è sempre in prima pagina, in alto a sinistra, e ha il titolo solitamente su una o due colonne (in genere i quotidiani hanno la pagina divisa in nove colonne). Esso viene chiamato anche editoriale, non perché contiene le idee dell'editore (il proprietario del giornale), ma perché esprime l'opinione del direttore: questa stranezza si deve al fatto che il termine deriva dall'inglese editor che vuol dire direttore. Nelle altre pagine, a parte i casi particolari, l'articolo pubblicato in questa posizione si chiama articolo di apertura, proprio perché apre la pagina a sinistra (infatti noi leggiamo da sinistra a destra).
    Oltre l'articolo di apertura ci sono l'articolo di spalla, che è in alto a destra, l'articolo di centro, sempre in alto tra l'apertura e la spalla, e l'articolo di taglio, al centro della pagina, o di taglio basso se è al piede.

    TRACCIA B - Il giornate
    «Annunciare Cristo... in prima pagina!»

    Obiettivi: Prendere posizione sulla «grande» stampa in merito ai fatti dell'attualità, per testimoniare la propria fede nel pubblico dibattito.
    Materiali: ...

    La presente attività può considerarsi speculare alla precedente. L'idea di essere autori di informazione, oltre che fruitori è molto diffusa fra le comunità ecclesiali: pensiamo ai bollettini e/o giornalini parrocchiali, a volte curati proprio dai gruppi giovanili. È un'esperienza sicuramente positiva sia da un punto di vista strettamente informativo (si tratta di produrre e proporre informazione cristiana), sia - soprattutto, secondo noi - da un punto di vista educativo. «Fare il giornale» è un'attività complessa: richiede di collaborare a un progetto comune, e dunque di mettere in gioco e condividere competenze e «talenti» di ciascuno; può tra l'altro essere declinata come esperienza di servizio (dal gruppo alla comunità parrocchiale), acquisendo così valore aggiunto in termini di formazione cristiana. È sicuramente un'esperienza da prendere in considerazione.
    Tuttavia, questa stampa - che vogliamo definire «piccola» in senso quantitativo, riferendoci cioè al suo ridotto bacino potenziale di lettori - presenta un limite e allo stesso tempo un rischio: di restare rinchiusa dentro quella cerchia «piccola», finendo per risultare autoreferenziale. Verrebbe così sminuito il valore testimoniale implicito in tali iniziative pastorali.
    L'attività che qui si suggerisce guarda, invece, alla «grande» stampa - valga la precisazione fatta sopra - cioè a quella che si rivolge a tutto il «mercato» dei lettori, a prescindere dalle loro scelte di fede. È consuetudine di moltissime testate avere al proprio interno un «angolo della posta», cioè una sorta di libera «tribuna» dalla quale sia possibile per ogni lettore far sentire la propria voce; spesso questi spazi prevedono un vero e proprio dialogo fra il lettore e un giornalista (in genere si tratta del direttore). Al di là dell'evidenza che tali spazi possono avere all'interno del giornale, crediamo che essi possano essere considerati una palestra dove esercitare il proprio «diritto di opinione» in maniera «pubblica».
    L'idea, dunque, è quella di far esprimere il gruppo dentro questo particolare spazio informativo, in merito a fatti (a notizie) che siano stati portati all'attenzione del gruppo stesso e che interpellino in particolar modo la coscienza cristiana. In altri termini si tratta di «uscire allo scoperto», di testimoniare la propria fede nel pubblico dibattito; è un modo per incarnare l'invito di Gesù, ribadito dal Papa: «ciò che udite nell'orecchio, annunciatelo sui tetti» (Mt 10,27). «Oggi proclamare la fede dai tetti significa proclamare la Parola di Gesù nel mondo dinamico delle comunicazioni sociali e attraverso di esso».[5]
    Vogliamo sottolineare l'importanza che l'esperienza sia condotta dal gruppo: è nel gruppo, infatti, che si esplica il valore formativo dell'esperienza stessa, più che nell'iniziativa eventualmente presa dalla singola persona. Non si dimentichi, poi, il rinforzo alla motivazione che può derivare dal vedersi «pubblicati» - per esempio - sul quotidiano cittadino: esperienza sicuramente non consueta per un ragazzo.
    «Scrivere al giornale» può diventare un appuntamento ricorrente, impegnando il gruppo a definire sempre meglio la propria opinione cristiana sui principali fatti dell'attualità.

    TRACCIA A - Il cinema
    «Il cineforum»

    Obiettivi: Valorizzare l'esperienza del consumo cinematografico come situazione culturale «forte» e stimolante.
    Materiali: Film in formato VHS (o DVD), videoregistratore, videoproiettore o televisore.

    Come il teatro, anche il cineforum è entrato da tempo nel corredo di pratiche che la pastorale ha fatto proprie: sottolinea, a tal proposito, Tagliabue che la Chiesa è stata la prima istituzione, insieme allo Stato, a cogliere le straordinarie potenzialità della cinematografia.[6] La maggiore facilità d'uso delle attuali tecnologie (pensiamo alla possibilità di riprodurre film in formato videocassetta), inoltre, ha reso tale esperienza ancora più accessibile. Questa considerazione, potrebbe far ritenere pleonastica la presente scheda: infatti, si potrebbe credere che la diffusa familiarità con la cinematografia e la praticità delle tecnologie rendano il cineforum una pratica elementare. In realtà esso prevede vari livelli di complessità, a seconda dell'approccio e delle finalità che si intendono perseguire.
    Vogliamo prendere come spunto l'interessante contributo di Pier Cesare Rivoltella Quale metodologia per il cineforum:[7] in questo scritto l'autore indica due possibilità, soffermandosi su quella che ritiene più stimolante. La prima possibilità, probabilmente la più comune, consiste nell'utilizzare il film come pretesto per parlare d'altro – un argomento che è pre-ordinato rispetto al film stesso: dunque, si parla sul film; tale approccio sacrifica di fatto il. film come prodotto culturale e comunicativo autonomo. Per tale ragione Rivoltella propende per la seconda possibilità, il parlare del film, che pone al centro dell'attenzione il film in tutto il suo valore di testo significante, di «oggetto culturale da smontare e rimontare»,[8] contribuendo alla «educazione dello sguardo spettatoriale».[9] In virtù di tale approccio è proprio il testo filmico che guida le operazioni di lettura e di confronto, secondo tre livelli:
    1. il film è portatore di un vedere, cioè di un particolare «sguardo sul mondo», il quale può connotarsi per l'adesione a particolari tendenze estetiche e ideologiche. A questa dimensione possiamo far corrispondere la lettura del livello linguistico-espressivo, cioè della grammatica e della sintassi del film; essa promuove la competenza del saper vedere;
    2. il film produce un sapere. In fase di lettura ciò corrisponde al riconoscimento del nodo narrativo-tematico (trama, tematiche, personaggi) che promuove la competenza del saper comprendere;
    3. il film, attraverso il suo vedere e il suo sapere, rivela un sistema va-lodale (il suo credere). È il livello etico che in fase di lettura promuove il saper valutare.
    In definitiva, questo approccio lascia che in qualche modo sia il film «a parlare», scatenando un gioco di letture e interpretazioni, però dentro i limiti che il campo testuale presenta ai vari livelli (vedere, sapere, credere). Rivoltella raccomanda l'elaborazione della «scheda di lettura filmica», che introduca la visione e serva da supporto al successivo dibattito; essa potrà contenere informazioni di carattere tecnico sul film (regista, cast, anno di produzione, paese di produzione, ecc.), il profilo del regista e la sua bibliografia essenziale, una breve sintesi della vicenda, alcuni spunti tematici per la lettura, una rassegna-stampa essenziale.[10]
    Appare evidente come un'impostazione di questo tipo, articolata in varie fasi (progettazione del cineforum, preparazione del materiale paratestuale, conduzione del dibattito) si presti a un lavoro d'équipe; è, dunque, pensabile un coinvolgimento attivo dei ragazzi, in coordinamento con gli educatori.
    Come detto, questo approccio è sicuramente il più giusto nel caso in cui ci si ponga la finalità di educare lo sguardo spettatoriale; è allora plausibile pensare che il cineforum consista in un percorso strutturato, con più appuntamenti nell'arco di un periodo di tempo. Tuttavia può darsi che questa finalità esuli da un determinato percorso pastorale il quale nondimeno voglia includere una o più esperienze di visione cinematografica condivisa; può anche darsi che tali esperienze siano progettate per introdurre o approfondire un certo argomento: ci ritroveremmo, cioè, dentro il primo approccio, quello del «parlare sul film».
    Ferma restando la validità delle note di Rivoltella, crediamo che nel particolare contesto della pastorale questo approccio sia legittimo; piuttosto, facendo tesoro di quelle indicazioni, si potrà dare un senso più ricco all'esperienza, valorizzando il momento della visione del film. Utilizzando la metodologia del cineforum, il «parlare sul film» significherà allora focalizzare l'attenzione su quella particolare tematica che si intende approfondire, senza però perdere la ricchezza comunicativa complessiva del testo.

    Una postilla

    In realtà ci sarebbe da riflettere sull'ipotesi di un'educazione dello sguardo spettatoriale dentro la pastorale. La comunicazione della fede nel corso della storia ha tenuto in gran conto il linguaggio iconico e in generale visivo: basti pensare allo spessore semantico presente nella tradizione delle icone, nella successiva iconografia di argomento religioso, nelle architetture dei luoghi di culto. Non si tratta solo di produzioni artistiche, spesso di notevole pregio, ma anche di testimonianze del senso di fede che poteva pervadere una certa epoca, o un certo contesto storico-sociale. Ed è un fenomeno che naturalmente continua a manifestarsi, perché non esiste aula liturgica o ambiente ecclesiale che non risulti significativamente connotato da segni rivolti alla vista. Il punto è che il nostro sguardo probabilmente non è più «educato» a soffermarsi e «leg-
    gere» questi segni, e ad apprezzarne il significato che – pur in forme discutibili dal punto di vista del gusto e del valore artistico – indubbiamente l'autore ha inteso comunicare.
    È plausibile dunque che la pastorale si faccia carico di educare (rieducare) «lo sguardo della fede» a cogliere la ricchezza comunicativa che lo circonda nei luoghi dove la fede è annunciata. Un approccio critico al linguaggio cinematografico può essere un buon punto di partenza per esplorare – secondo un percorso storicamente «a ritroso» – le varie forme della comunicazione visiva nelle testimonianze prossime (presenti nel luogo che il gruppo frequenta), o più remote e illustri.[11]

    TRACCIA B - L'audiovisivo
    «Videomaking»

    Obiettivi: Elaborare una «testimonianza» originale secondo una modalità espressiva tipica della nostra cultura.
    Materiali: Videocamera, videoregistratore (possibilmente 2), televisore.

    Siamo circondati, bombardati da immagini; siamo immersi nella «cultura dell'audiovisivo». E se pensassimo noi di realizzarne uno?... L'idea non sembri peregrina: realizzare un video è oggi molto più facile di quel che potrebbe sembrare. Da un lato le tecnologie hanno reso possibile questa pratica a livello amatoriale, e difatti essa si è largamente diffusa: le videocamere hanno affiancato le più tradizionali macchine fotografiche nel corredo tecnologico proposto (dal mercato) alle famiglie. Dall'altro lato l'abitudine al consumo di immagini (televisive, cinematografiche) può dirsi entrata nel nostro DNA, al punto che l'immaginario non fatica a funzionare in termini di audiovisivo: allo stesso modo in cui la mente umana, fantasticando, da sempre elabora storie, crediamo che oggi non le sia estraneo elaborare storie in forma di narrazioni cinematografiche (nel senso letterale di «immagini in movimento»). Naturalmente con ciò non intendiamo dire che esista una effettiva competenza circa il linguaggio audiovisivo; solo che si può verificare una diffusa familiarità con questo. E il rilievo è di certo più valido per i giovani, particolarmente attratti dalle suggestioni di questo linguaggio.
    D'altra parte se, come abbiamo già detto, la pastorale ha sempre guardato con attenzione ai vari modi dell'espressività umana – includendo per esempio il teatro nel novero delle sue pratiche – non vediamo perché anche questa forma di espressione, il videomaking, non possa trovare spazio al suo interno.
    Mantenendo il riferimento al teatro, possiamo dire che l'audiovisivo è un prodotto a impatto comunicativo forte, al pari del teatro, ma per motivi diversi da questo: esso è per sua natura destinato a una fruibilità diffusa, nel senso che è riproducibile facilmente e infinite volte, in virtù del suo specifico supporto mediatico (videocassetta VHS, ma oggi anche DVD). Questo aspetto non è di secondaria importanza nell'ottica pastorale di usare i media per l'annuncio e la testimonianza: un video può raggiungere potenzialmente un pubblico più vasto di un allestimento teatrale, può essere oggetto di scambi, di comunicazione a distanza, può essere «messo in rete», ecc.
    Come il teatro, l'audiovisivo ha una forte valenza educativa, perché è un prodotto complesso (non «complicato»), includendo varie dimensioni di esperienza: la molteplicità dei linguaggi e dei codici (visivi e sonori); il «lavoro di squadra» e la pluralità delle competenze necessarie (artistiche, tecnologiche, relazionali, ecc.). Inoltre, un'esperienza del genere ha una marcata componente progettuale e processuale: i risultati del lavoro si possono «vedere» solo al termine dello stesso, quando il video assume la sua fisionomia definitiva. Il videomaking può risultare un'esperienza fortemente motivante, in grado di promuovere la partecipazione di tutti, sia in termini operativi, sia –ci sembra ancora più importante – in termini di riflessione.
    Rimane un problema di natura tecnologica: indubbiamente per realizzare un audiovisivo sono necessarie tecnologie che, seppur ormai ampiamente diffuse e semplificate, possono rappresentare una difficoltà e un gap per qualcuno – magari proprio l'animatore del gruppo... Crediamo che tale problema possa tradursi in risorsa: il videomaking, proprio per la sua natura complessa, valorizza la diversità e varietà di abilità e «talenti». Pertanto, non sarà necessario che l'animatore si assuma «l'onere tecnologico» dell'impresa, che potrà essere delegato al, o ai giovani più «disinvolti» su tale fronte; è molto più importante che egli ne tuteli il complessivo orientamento di senso, esercitando una funzione di coordinamento e supervisione.
    Se siamo minimamente riusciti a illustrare le valenze del videomaking in prospettiva formativa-pastorale, vediamo adesso quali debbano essere i passaggi fondamentali di una simile esperienza: il riferimento va alla manualistica cinematografica (che consta ormai numerosi contributi, dai più divulgativi ai più tecnici), qui ripensata e schematizzata in considerazione del particolare contesto operativo.

    L'individuazione dell'idea (Soggetto). È la fase in cui deve nascere motivatamente l'ipotesi di realizzare un video, piuttosto che un altro prodotto espressivo. La scelta del video, cioè, deve rappresentare il punto di arrivo di un percorso dal. quale emerga: il desiderio del gruppo di comunicare qualcosa – a qualcuno (individuazione del. destinatario) e che l'audiovisivo rappresenta la soluzione migliore per realizzare questo obiettivo. Se non avviene questo passaggio preliminare, se il videomaking viene proposto a priori, come una «bella esperienza» che prescinde da finalità e contenuti, il rischio è quello che risulti «posticcia», al punto che nel corso del lavoro emerga l'insensatezza di tale scelta.
    Varie sono le ipotesi possibili; ne vogliamo suggerire solo alcune.
    • Il video è destinato fondamentalmente a una fruizione interna al gruppo, per esempio come espediente per animare una situazione «forte» della vita del gruppo (un campo-scuola); in questo caso può essere curato da un sotto-gruppo; oppure può essere realizzato dall'équipe degli educatori. Potrebbe anche essere l'occasione per «fare memoria» di un particolare momento del cammino di gruppo.
    • Il video è destinato a una fruizione esterna, per esempio come presentazione del gruppo alla comunità, o a gruppi omologhi appartenenti ad altre realtà, ecclesiali e non.
    In ogni caso è bene che l'idea sia ridotta al suo nòcciolo comunicativo, perché il lavoro successivo non risulti troppo gravoso.

    L'elaborazione dell'idea (Sceneggiatura). È la fase in cui si deve dare all'idea la forma (benché ancora embrionale) dell'audiovisivo: praticamente si tratta di immaginare come dovrà essere il video. In questa fase deve entrare in gioco se non la specifica competenza di qualcuno, quella familiarità con il linguaggio delle immagini che è sicuramente comune a tutti, come dicevamo sopra. L'animatore avrà il. compito di stimolare il lavoro di immagin-azione (cioè di produzione di immagini) da parte del gruppo, badando che questo non prenda derive troppo bizzarre o complicate. È una fase anche di scrittura, nel senso che l'elaborato finale deve consistere in uno scritto che servirà da guida per il lavoro successivo. Tecnicamente questa è la sceneggiatura, per la quale esistono varie modalità di estensione. Non riteniamo opportuno dilungarci su tale aspetto; solo suggeriamo di sviluppare il soggetto in sequenze (scene), descrivendo per ciascuna la parte del video e la parte del sonoro (battute degli eventuali personaggi, musiche): a tale scopo può essere utile dividere il foglio in due colonne.[12] Eventualmente si può ricorrere a materiali già esistenti, coerenti con il soggetto individuato – per esempio testi per letture sceniche o veri e propri copioni teatrali – che dovranno essere rielaborati in vista del diverso prodotto espressivo.
    In fase di sceneggiatura devono emergere tutti gli elementi necessari per la realizzazione del video: dai personaggi, al/ai set, alle modalità di ripresa (camera fissa, in movimento, ecc.). Sarà così possibile individuare quelle difficoltà (di carattere tecnico, ecc.) che suggeriscano una correzione di rotta e una semplificazione dell'ipotesi di partenza. Inoltre, la sceneggiatura può dare una prima idea circa la durata del video. Immaginando una situazione di «puro artigianato» (cioè con una disponibilità strumentale ridotta al minimo), è importante considerare anche l'impatto del prodotto finale sui suoi potenziali fruitori; i parametri possono essere quelli dei «filmini» girati in famiglia: spesso essi risultano inguardabili per lunghezza e fattura, perché si fa un uso pretenzioso della videocamera (e delle proprie capacità di utilizzarla...). Tutto ciò per dire che nell'ottica di semplificare al massimo il lavoro, la questione della durata deve essere attentamente considerata: riteniamo che un prodotto del genere non debba durare più di 10-15 minuti.[13]

    Le riprese (Produzione). Una sceneggiatura dettagliata permette di affrontare le riprese con idee sufficientemente chiare e ciò comporta un sicuro risparmio di tempo. Anche in questo caso non ci soffermiamo sulle tecniche di ripresa (inquadrature, movimenti di macchina) che, tra l'altro, richiedono pratica più che istruzioni scritte; diamo solo qualche consiglio.
    Le videocamere amatoriali sono molto sensibili ai movimenti dell'operatore con il frequente risultato che le immagini girate risultino «mosse»;[14] pertanto, conviene limitare al massimo i movimenti e, nel caso di inquadrature fisse, utilizzare un supporto (cavalletto).
    Per ogni scena è opportuno fare più riprese, modificando eventualmente l'inquadratura, per avere più materiali fra cui scegliere in fase di montaggio; in questo caso è bene appuntarsi tutte le riprese realizzate e il punto del nastro in cui sono registrate (semplifica il lavoro di ricerca quando le si dovrà montare).
    Molti modelli di videocamera offrono la possibilità di inserire in fase di ripresa (quelle digitali anche in fase di riproduzione) degli «effetti» (dissolvenze e tendine in apertura e chiusura di ripresa, particolari elaborazioni dell'immagine, ecc.): rappresentano indubbiamente una risorsa da tenere in considerazione; anche in questo caso, però, è bene decidere prima (dalla sceneggiatura) quali effetti inserire, affinché risulti una certa coerenza e armonia nel prodotto finale.
    Se si prevede di registrare contemporaneamente immagini e parlato, si consideri la portata del microfono della videocamera e si studino i necessari espedienti per migliorare la qualità del sonoro.

    La post-produzione: montaggio, sonorizzazione, ecc. Un audiovisivo nasce in sede di montaggio: è lì che il materiale caotico prodotto in fase di ripresa, prende una forma coerente e dignità di prodotto destinato alla fruizione. Ma il montaggio è anche la fase più «specialistica» del videomaking: per essere eseguito ad arte, richiede un attrezzatura non comune e costosa. Tuttavia questo non deve scoraggiare i nostri intraprendenti videomakers: si può eseguire un montaggio elementare, ma sufficiente allo scopo semplicemente con una videocamera e un buon videoregistratore. Inoltre, la varietà di prodotti oggi presenti sul mercato dell'home video permette soluzioni anche più raffinate, pur restando in ambito amatoriale: molte fra le nuove videocamere digitali o DVD possiedono un software per realizzare un discreto montaggio.
    Allo stesso modo alcune videocamere (digitali e non) e alcuni videoregistratori prevedono una funzione (è l'audio dubbing) che permette di registrare sulla videocassetta una colonna sonora alternativa a quella incisa in fase di ripresa: in tal modo è possibile creare un tappeto musicale e/o un commento audio uniforme.
    Molte altre possibilità creative sono possibili nel videomaking avendo mezzi, ma soprattutto idee: la disponibilità strumentale – lo ripetiamo – non deve essere considerata un limite, ma eventualmente un'ulteriore stimolo alla creatività che dovrà sforzarsi di trovare le soluzioni alternative per realizzare l'obiettivo.

    TRACCIA A - Internet
    «Gesù nella rete»

    Obiettivi: Scoprire ed entrare in contatto con le realtà ecclesiali presenti in Internet.
    Materiali: Postazione computer collegata a Internet.

    Internet non è propriamente un medium, bensì uno spazio virtuale (una «rete») reso possibile dall'interazione di media e tecnologie diverse – dunque si tratta comunque di un'esperienza marcatamente «mediale»; per tale motivo è consuetudine assimilarlo ai media. Parlando di Internet, bisogna innanzitutto sfatare una credenza: che i giovani siano straordinariamente competenti in fatto di informatica. Questo è un dato da verificare e muta parecchio a seconda del contesto geografico, culturale ed economico di appartenenza. D'altro canto è vero che i giovani sono particolarmente predisposti a familiarizzare con le novità – e dunque con le nuove tecnologie che rappresentano di fatto, come si diceva nel primo capitolo, l'ambiente delle nostra epoca. A tal proposito ricordiamo che il Papa ha di recente indicato in Internet «un nuovo forum per proclamare il Vangelo».[15]
    Dunque, Internet può rappresentare un'esperienza da «animare» in senso pastorale, anzi può rivelarsi una occasione formativa «forte» nel momento in cui la competenza informatica risultasse diversificata all'interno del gruppo. Ancora una volta il confronto con il medium può diventare occasione per mettere in gioco i diversi «talenti» di ciascuno, creando un circuito di reciproci scambi e aiuti.
    Il percorso che qui proponiamo – di pastorale al medium – vuole essere semplicemente la trasposizione in ambito pastorale del normale «avviamento a Internet», laddove tale avviamento crediamo che debba consistere fondamentalmente nell'illustrare le modalità per navigare in rete e – soprattutto – nell'educare a una navigazione orientata.
    Nel nostro caso l'orientamento può essere dato dalla ricerca dei luoghi e dei modi in cui è in qualche modo rilevabile la presenza del messaggio cristiano. Si tratta di un approccio a Internet visto soprattutto come enorme banca-dati, come contenitore di informazioni, per scoprire la cospicua presenza (che tale è) di spazi che parlano di Dio e di spiritualità.
    Questo approccio può, d'altro canto, creare il desiderio di mettersi in contatto con alcune delle realtà rinvenute: infatti, molti siti nell'ambito considerato prevedono spazi per la comunicazione (casella di posta elettronica, partecipazione a forum tematici, chat). Verrebbe così esaltata, oltre quella informativa, un'altra funzione di Internet: la funzione comunicativa vera e propria. Con alcune importanti aperture per la riflessione: pensiamo al caso delle chat. In genere, la partecipazione a chat-fine è un'esperienza condotta individualmente; inoltre, è prassi tutelare la propria identità, assumendone una fittizia, con il rischio di lasciarsi prendere la mano da questo gioco di mascheramento. Invece crediamo che all'interno di una situazione di gruppo e «tutelata» da una precisa progettualità, anche l'eventuale scelta di un'identità fittizia, o la scelta di un'identità unica per tutto il gruppo possa diventare un fatto educativo, cioè non casuale, ma frutto di un confronto.
    Naturalmente un'esperienza del genere ha un senso (pastorale) se viene condotta dal gruppo nel suo insieme: posto che navigare in Internet in genere è un fatto solitario, farlo con gli altri e con un senso chiaro e preciso, può rappresentare una dimensione nuova e diversa dell'esperienza. Dunque, sarà necessario avere una postazione telematica (computer più collegamento alla rete) a disposizione del gruppo; inoltre, appare chiaro che un'attività del genere è indicata per un piccolo gruppo che possa facilmente interagire presso quella postazione (a meno che non si abbiano a disposizione più postazioni).

    TRACCIA B - Internet
    «Il gruppo in rete»

    Obiettivi: Essere in rete per dare la propria «testimonianza».
    Materiali: Computer collegato a Internet, eventualmente un software per la creazione del sito.

    Il presente percorso è complementare al precedente, nella logica propriamente interattiva di Internet: uno spazio dove non solo è possibile fruire, ma anche produrre comunicazione e informazione. E anche qui non diciamo nulla di particolarmente originale: l'esperienza che proponiamo è ormai ampiamente diffusa fra comunità parrocchiali e gruppi giovanili.
    Ci riferiamo alla costruzione e gestione di un proprio (del gruppo) sito. Questa iniziativa può nascere come logica conseguenza di quanto suggerito nella scheda precedente: dalla scoperta, cioè, di siti di questo tipo. In definitiva, per una realtà ecclesiale essere presenti in rete rappresenta la versione aggiornata del classico «giornalino della comunità»: uno spazio per far sentire la propria voce. Con una differenza sostanziale: un sito WEB comporta l'inserimento in una dinamica comunicazionale diversa da quella dei «giornalini» (che raggiungono solo le persone vicine alla comunità), decisamente più aperta all'incontro con mondi (personali, culturali) altri.
    Bisogna però fare attenzione a rifuggire da impropri «aneliti missionari»: il sito che si va a costruire non deve avere la pretesa di... convertire qualcuno, ma solo di dare spazio alla testimonianza della propria fede e del cammino del gruppo. Deve essere un spazio per «proclamare il Vangelo», come suggerisce il Papa, consapevoli che l'evangelizzazione è un processo complesso e progressivo, rispetto al quale Internet può rappresentare uno strumento utile, ma non esaurirne l'essenza.[16]
    La costruzione e gestione di un sito di gruppo può coinvolgere significativamente tutti i componenti, differenziando ruoli e compiti: ci può essere chi cura l'aspetto tecnologico (Web Master), chi ne cura l'aggiornamento in termini di contenuti, chi provvede allo «smaltimento» della posta (elettronica), chi modera l'eventuale forum... Si può utilizzare la postazione telematica della parrocchia (o del luogo presso cui il gruppo ha sede), oppure, laddove fosse possibile, ognuno può assolvere dal proprio computer al compito assegnato; in questo secondo caso sarà importante trovare i modi opportuni per conservare comunque la dimensione comunitaria dell'esperienza.
    Come sempre nelle attività con i media, si tratta di esperienze complesse che bene si confanno a una dinamica di gruppo; in più questa con Internet richiede un impegno continuativo nel tempo e la possibilità di «passare il testimone» ai nuovi arrivati quando questi subentrano nel gruppo.

    TRACCIA A - La musica
    «Il discoforum»

    Obiettivi: Focalizzare i messaggi presenti nella produzione di musica leggera che ci «interpellano» come cristiani.
    Materiali: Canzoni (su cassetta, CD, video); testi delle canzoni; strumentazione necessaria per la riproduzione.

    Anche la musica, come Internet, non è propriamente un medium, bensì una forma di comunicazione artistica; tuttavia essa da sempre si esprime attraverso strumenti – che possono essere considerati media secondo un'accezione larga. In più, dal secolo scorso, grazie alle tecnologie che ne hanno consentito la riproducibilità, l'esperienza del consumo musicale non è più legata alle esecuzioni dal vivo, cosicché gran parte di questo consumo avviene grazie ai mezzi di comunicazione, di massa e no: riproduttori sonori, radio, ma anche tv e Internet. Anzi, si osserva come a volte l'incrocio fra la musica e il medium utilizzato crei un prodotto assolutamente originale: è il caso dei videoclip. D'altro canto tale esperienza è fortemente legata al mondo giovanile: i ragazzi sono tra i maggiori consumatori di musica – e difatti costituiscono un target privilegiato del mercato discografico.
    La vastità e multidimensionalità dell'espressione musicale è tale che risulta possibile prefigurare numerose possibilità di incrocio con l'animazione culturale dei giovani e di «dialogo» con la pastorale. Qui evidentemente non si vogliono suggerire percorsi di «educazione musicale» – sarebbero fuori luogo nel contesto dato – bensì itinerari in cui la pastorale provochi i ragazzi a «interrogare» questa loro esperienza così familiare, a cercare i significati profondi e le aperture di senso. I media entreranno in gioco come strumenti, ma ancor più come canali particolari che consentono di fruire l'esperienza e che in qualche misura danno forma a questa: abbiamo già fatto l'esempio del videoclip, ma sarebbe anche interessante riflettere circa i diversi modi, luoghi e rituali secondo cui si consuma musica (pensiamo all'ascolto solitario dei walkman in contrapposizione all'esperienza dei concerti dal vivo). Tuttavia questi sono aspetti che attengono più ai discorsi fatti nel primo capitolo; qui suggeriremo un approccio diverso: quello del discoforum. Il termine è abbastanza eloquente e crediamo che non abbia bisogno di troppe delucidazioni: alla maniera del più classico cineforum, si tratta di svolgere un'esperienza di riflessione, dialogo e approfondimento intorno a canzoni (forum è propriamente il luogo e il tempo della discussione). Come per il cineforum, è importante stabilire poche, ma importanti «istruzioni per l'uso», destinate soprattutto agli animatori e conduttori dell'esperienza.
    Il disco può essere semplicemente il pre-testo, l'espediente per introdurre un determinato discorso: per esempio, si parte dall'ascolto di un brano musicale per affrontare un argomento di catechesi. Oppure il disco può essere il discorso, nel senso che si dedica l'incontro esclusivamente al forum intorno a quel. disco: lo si interroga, si negoziano le interpretazioni e i significati. È l'ipotesi che preferiamo e caldeggiamo, perché non offre percorsi prestabiliti, ma si apre al terreno incerto del confronto aperto, di una riflessione che nasce sul momento grazie al contributo di ciascuno, secondo lo stile dell'animazione (ma anche della ME). Naturalmente ciò non impedisce all'educatore di individuare una tematica, coerente con gli obiettivi del percorso formativo, rispetto alla quale si selezioneranno i contributi musicali; essi potranno essere proposti dallo stesso educatore, o dall'intero gruppo. In ogni caso è opportuno partire dai gusti musicali prevalenti dei ragazzi, perché i testi proposti non risultino estranei alla loro esperienza. Un percorso interessante, ricchissimo di contributi (basta saperli individuare!...), può essere quello che tematizza il rapporto dell'uomo con l'Alterità – ciò che le religioni chiamano Dio. Non si pensa alla produzione di musica leggera dichiaratamente «cattolica» – la quale in genere rappresenta un mercato poco frequentato dai giovani – ma a quei brani di autori popolari e «alla moda» che affrontano in qualche modo il tema.[17]
    Il discoforum potrà essere condotto in modo asistematico, cioè con una dotazione minima di supporti – il brano (con la necessaria strumentazione per ascoltarlo) e possibilmente il testo riprodotto su fotocopie – e di criteri per la discussione. Oppure, laddove ce ne fosse l'esigenza e la possibilità, in maniera più sistematica: oltre al brano e al testo, si potrebbe pensare a una sorta di scheda introduttiva con notizie sull'album da cui è tratto il testo, sull'autore e sulla «corrente» musicale alla quale può essere ricondotto. Si potrebbe, inoltre, prevedere un brano tratto dalla Bibbia da leggere in conclusione che, a prescindere dall'andamento del forum, rappresenti la «risposta» della Parola al testo discusso.
    Naturalmente si possono prevedere anche brani in videoclip:[18] in questo caso oltre ai suggerimenti dati sopra (e ai necessari «supplementi» di strumentazione), sarà opportuno considerare le notazioni relative all'analisi del testo audiovisivo.[19]


    Appendice

    Il racconto che qui si presenta è stato elaborato da Lucio D'Abbicco per il Campo-scuola 2001 del gruppo «Giovanissimi» (16-19 anni) della parrocchia «Resurrezione» di Bari e ne ha rappresentato il filo conduttore. Esso è stato somministrato «a puntate» secondo una modalità che voleva in qualche modo evocare la dinamica dello scambio di messaggi via cellulare: la puntata del giorno veniva «recapitata» a sorpresa (fatta trovare al tavolo della colazione, alla reception dell'albergo...) a un ragazzo, invitandolo a «condividerla» (raccontarla) con gli altri amici.
    E evidente che il riferimento al medium (il cellulare, e in particolare i brevi messaggi di testo che si inviano tramite esso) rappresenta un semplice pretesto narrativo, dunque non sarebbe corretto parlare di un'esperienza di Media Education. Tuttavia è un esempio in cui la pastorale giovanile pone nel mezzo del suo discorso il rimando a una pratica mediale molto comune fra gli adolescenti, proiettandola – pur nella dimensione fantastica del racconto – verso una insolita prospettiva testimoniale.
    Per tali ragioni abbiamo ritenuto di accludere il racconto a questo nostro lavoro.

    SMS: NUOVO MESSAGGIO

    I
    Un bel. giorno SMS cominciò a farsi delle domande.
    Voi direte: «Sì, ma chi è 'sto SMS?».
    Ecco, erano appunto di tal guisa le domande che SMS quel. giorno cominciò a porsi: «Ma io chi sono? Cosa ci sto a fare? A che servo?...». Di certo SMS apparteneva alla famiglia degli Short Message System e abitava un luogo chiamato Etere Hertziano; ma detto ciò, in realtà non si è detto molto.
    Famiglia, poi, la sua: erano una marea quelli come lui, andavano e venivano in maniera forsennata... Come famiglia, insomma, proprio non erano il massimo. Piuttosto erano una categoria, un insieme... di che?
    Ecco, siamo tornati al punto di partenza: proprio questo cominciò a chiedersi SMS quel tale giorno, stufo di non sapere, stanco di non capire. E così si mise a cercare.
    SMS volteggiava pensoso nell'Etere Hertziano, mentre gli altri come lui gli correvano accanto, sopra, sotto; sembravano tutti presi da chissà quale importantissima missione. «Ehi, tu!» fece SMS a uno dei suoi simili «Mi dici dove corri?». «Vieni subito. Ti aspetto. TVTB» rispose quello. «Scusa, come hai detto?». Ma l'altro era già scomparso. «TVTB» continuava a rimuginare SMS: un'altra parola misteriosa si aggiungeva alle sue curiosità, e gli complicava le idee. Chissà che cosa importante doveva significare!
    SMS provò daccapo a fermare un altro come lui. «Senti, perché corri?». «Mi manchi tanto. TVB». Ancora una parola misteriosa, e il suo simile che veniva risucchiato dall'Etere Hertziano. Questa volta SMS cercò di seguirlo e si mise a volteggiare dietro di lui: «Ehi, fermati! Rispondimi, ti prego!». A un tratto quello cambia direzione e il nostro povero SMS, non riuscendo a stargli dietro, sbanda perdendo il controllo della sua corsa.
    Fu così che andò a urtare contro qualcosa di duro.
    SMS non aveva mai provato quella sensazione fino ad allora: gli sms non hanno consistenza, non hanno un corpo, dunque non conoscono la durezza che si accompagna alle cose solide. Perciò la sensazione che provava adesso era assolutamente nuova: SMS aveva scoperto qualcosa di diverso da sé e da quelli come sé.

    II
    «Ohi! Ohi!» si lamentava. «Ti sei fatto male, ragazzo?». Una voce venne fuori da quel solido che SMS aveva urtato. «Beh, insomma, un po'... Ma tu chi sei?». La curiosità prese subito il sopravvento sul dolore.
    «Ma come? Non mi riconosci?». Fece il solido, alquanto sorpreso della domanda di SMS. «Io sono il Processore, sono un AT». Oh no! Altre parole misteriose! «Ti prego, signor Processone - disse SMS, ormai al colmo della confusione, tanto da pronunciare in maniera sbagliata quel nome - Dimmi chi sei, perché altrimenti io non ci capisco niente!...».
    «Te l'ho detto, ragazzo: sono il Processore (non il Processone!), sono un AT, cioè un Apparato Tecnologico. A seconda dei casi, posso essere chiamato anche GSM, oppure WAP. Senza di me voi sms non potreste esistere, non potreste andare da un capo all'altro dell'Etere Hertziano...».
    Finalmente a SMS cominciarono a schiarirsi e a ordinarsi le idee: dunque, nell'Etere Hertziano non c'erano solo quelli come lui, ma anche altri esseri, chiamati AT, completamente diversi dagli sms, perché questi avevano un corpo - una durezza - e non correvano da un capo all'altro dell'Etere Hertziano, ma permettevano agli sms di farlo... Dunque, SMS comprese di non essere un AT, un WAP, un GSM o come altro lo si voleva chiamare... Ma restava la questione: cosa era SMS? Visto che il Processore sembrava molto sicuro di sé, SMS pensò di rivolgergli ancora delle domande, alla ricerca di quelle spiegazioni a cui teneva tanto.
    «Gentile Processore, dici che senza di te noi sms non potremmo esistere. Ma allora forse puoi aiutarmi a capire meglio chi sono io? Cosa ci sto a fare? A cosa servo?...».
    «Eh, ragazzo, quante cose vuoi sapere! Non credere che io possa rispondere a tutto. In fondo noi AT, per quanto molto belli e potenti, restiamo limitati e duriamo poco: domani al mio posto potresti trovarne un altro e dopodomani un altro ancora. Comunque, per quello che posso sapere, le cose stanno così: io, Processore, compongo te, sms, e ti faccio girare da un capo all'altro, ma non per mia volontà o fantasia: eseguo dei comandi...».
    Riepiloghiamo - SMS cercava sempre di mettere in ordine le idee: io non sono un AT, ma sono in qualche modo fatto da un AT - il Processore - che esegue dei comandi ricevuti. Dunque, in definitiva, cosa sono io - si chiedeva? «Tu, come me, stai di mezzo fra un qualcuno che vuole mandare qualcosa a qualcun altro. Tu porti quel qualcosa. Gli umani chiamano messaggio tale cosa...».

    III
    Messaggio! Questa parola piaceva a SMS, soprattutto perché, grazie al Processore, ne comprendeva il significato. Dunque, SMS comprese di essere un messaggio, breve - short - ma pur sempre un messaggio. Le idee finalmente cominciavano a schiarirsi.
    «Non ti nascondo che ti invidio un po' - aggiunse il Processore - perché tu hai la possibilità di avere una sorte diversa dalla mia: noi AT siamo destinati a passare, mentre un messaggio potrebbe anche durare a lungo, molto a lungo...».
    E già: un messaggio è cosa diversa da una tecnologia o da una apparecchiatura; è ciò che qualcuno vuole comunicare a qualcun altro. Un messaggio parla. Le tecnologie, le apparecchiature passano, cambiano perché evolvono. E un messaggio? Beh, un messaggio rischia di essere dimenticato, o incompreso, o deriso...
    SMS rimuginava le ultime parole del Processore: un messaggio potrebbe anche durare a lungo... Dunque, non è che per un messaggio il destino si presenti così roseo: in realtà, dipende dal tipo di messaggio. Certo, molti esistono il tempo di una lettura veloce sul display; altri, invece, possono durare di più. Alcuni - pochi, molto pochi -riescono ad esistere per sempre...
    Ma questo, SMS, non poteva ancora saperlo con chiarezza. Certo, era molto fiero della funzione che aveva scoperto: «Sono un messaggio -diceva soddisfatto - Sono importante perché grazie a me qualcuno comunica a qualcun altro...».
    SMS si interruppe. E già, perché una nuova, pressante domanda gli si presentava adesso: «Cosa comunico?...».
    Avere scoperto la propria funzione, insomma, non era tutto.
    Di messaggi - dicevamo - ce ne possono essere a bizzeffe e di tutti i tipi. Del resto, SMS lo vedeva intorno a sé: quanti come lui correvano continuamente nell'Etere Hertziano per dire cose le più varie. Strane, alle volte. Sciocche, molto spesso. Forse inutili, e perciò destinate a durare poco.
    SMS si interrogava in maniera sempre più insistente. Ormai aveva capito che la sua esistenza poteva avere un senso solo nella scoperta di quello che lui era. E lui non poteva essere uguale agli altri, perché ogni messaggio, ogni sms deve essere diverso, altrimenti è inutile: è qualcosa di già detto, di già sentito...
    «Processore, come posso scoprire il messaggio che porto?» chiese ancora al suo amico.
    «Quel messaggio tu lo hai inciso nella tua natura elettronica, ma potrai scoprirlo solo quando giungerai al tuo destinatario. Allora, si compirà il tuo destino: potrai scomparire nel lampeggiare di un display, oppure potrai continuare a comunicare ad altri...».
    SMS era turbato; la sorte indicata dal Processore non poteva avere sfumature: o un caso o l'altro, o il continuare ad esistere, o il venire risucchiato per sempre nel Cestino - il luogo nero dell'Etere Hertziano dove finivano gli sms cancellati... In realtà c'era un'altra alternativa: era quella di restare nel limbo dell'Etere Hertziano - messaggio non consegnato; ma questo avrebbe significato non conoscere mai a fondo la propria identità...
    Il rischio andava corso, l'avventura meritava di essere provata. «Processore, ti prego - disse SMS - fammi giungere a destinazione! Voglio scoprire chi sono!».

    IV
    Il Processore si concentrò; i suoi circuiti di silicio entrarono in tensione e... SMS spiccò il volo del grande viaggio. Attraversò come una saetta l'Etere Hertziano, ignaro di quel che sarebbe stato di lui, ma pieno di un'ebbrezza mai provata.
    Dovete sapere che gli sms sono entità dotate di poche sensazioni. Una è particolarmente forte: quella che provano quando compaiono sul display del cellulare di destinazione; è allora che si compie il loro destino.
    SMS sentì di essere comparso sul. display; la sua materia incorporea adesso aveva la forma di una scritta luminescente, consumata da chissà quali sguardi e quali intenzioni. Non che SMS avesse un cuore come lo intendiamo noi; ma certo si può dire che palpitasse nell'attesa fremente.
    Dall'altra parte del display, una mano percorse veloce i tasti del cellulare.
    E avvenne qualcosa di molto strano.
    SMS si sentì stiracchiare. Questa, poi proprio non se l'aspettava! Perché non fu cancellato, SMS, ma neanche rimase quello che era. Sentiva che la piccola entità di cui era fatto cresceva, si apriva a una diversa forma. E quando alla fine gli effetti della tastiera pigiata cessarono, SMS si scoprì nella sua nuova dimensione: «Signore Mia Salvezza»...
    Questo era divenuto, questo era il messaggio che portava e che adesso si spiegava chiaramente; questa era la sua identità profonda, custodita da sempre nel nome che portava.
    Un'identità che – come gli aveva spiegato il Processore – non veniva da lui, perché nessun messaggio nasce da se stesso, ma da un qualcuno che lo comunica a qualcun altro. Ed era un'identità originale, irripetibile, che rendeva SMS un messaggio nuovo, e durevole – oltre le letture fugaci di display variopinti, oltre il frenetico digitare su minuscole tastiere, oltre gli squilli e le allegre melodie che creano solo un confuso rumore di sottofondo nelle giornate degli umani.
    Infatti, accadde quest'altra strana cosa a SMS. Ora che era stato pie-
    namente dispiegato – «Signore Mia Salvezza» – cominciò a correre da un display all'altro, sempre rilanciato dai cellulari che lo ricevevano, come se si trattasse di una cosa, di un messaggio della massima importanza, che non stancava mai, ma anzi voleva raggiungere sempre nuovi destinatari.
    SMS era molto fiero di ciò, benché avesse compreso che il merito non era tutto suo. E tuttavia si sentiva portatore di qualcosa di bello. Lui non poteva saperlo, ma quel messaggio che portava, «Signore Mia Salvezza», andava diritto al cuore...


    NOTE

    1 Un lavoro simile a quello qui descritto potrebbe essere fatto con i telegiornali, ma esso risulterebbe più impegnativo perché richiederebbe un maggior dispiego di tecnologie (tv, videoregistratore).
    2 Messaggio del Santo Padre per la 36° Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, 2002, n. 6.
    3 Ci si riferisce alle già citate Effatà... e Il lembo del mantello...
    4 Pensiamo ai periodici, collegati a istituti missionari, a movimenti e ad associazioni, che sono impegnati sul fronte del sociale, del pacifismo, del «terzomondismo», della lotta alle mafie, ecc.
    5 Messaggio del Santo Padre per la 35° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, cit., n. 1.
    6 C. TAGLIABUE, Cinema e vita quotidiana, Elledici, Leumann (To) 2001, p. 18.
    7 In: AA.Vv., Chiesa e cinema. Una storia che continua, Atti del Convegno ACEC, Centro Ambrosiano, Milano 1995, pp. 49-64. Si veda pure quanto detto nel secondo capitolo del presente volume in merito all'analisi testuale, in particolare alle pp. 68-71.
    8 p. 56.
    9 p. 55.
    10 Un riferimento utile tanto per l'elaborazione della scheda, quanto per la scelta stessa del o dei film in base alle proprie finalità educative può essere il sito dell'ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema), che contiene un catalogo di schede filmiche: www.acec.it.
    11 Un esempio valido a livello «nazionale», intorno a cui riflettere, potrebbe essere l'iconografia ufficiale scelta dalla CEI per i tre anni di preparazione al Giubileo del 2000 (a suo tempo diffusa in vari formati, tra cui anche poster). Sulle icone un valido sussidio è: A. PEIRETTI, Pregare con le icone, Gribaudi, Milano 1997.
    12 Si vedano le note sulla trascrizione grafica nel secondo capitolo.
    13 Tale considerazione vale ancor di più se si prevedono (sono possibili) interventi di post-produzione (montaggio, sonorizzazione): in questo caso bisogna prevedere oltre ai già impegnativi tempi delle riprese anche quelli - altrettanto, se non maggiormente impegnativi - della post-produzione.
    14 Alcune hanno un dispositivo (stabilizzatore di immagini, o EIS) che limita, ma non elimina il disturbo causato da movimenti involontari.
    15 Messaggio del Santo Padre per la 36° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, cit.
    16 A tal proposito può risultare interessante la riflessione svolta (e i dubbi sollevati) da Martelli al seminario di studio «Chiesa in rete. Le nuove tecnologie e la pastorale»: S. MARTELLI, La socialità mutata: nuove identità, nuove relazioni, in AA.Vv., WWW Chiesa in rete cit., pp. 27-38.
    17 Recentemente la EMI ha prodotto una compilation di «preghiere, pensieri e riflessioni rivolti al Cielo», dal titolo Lettere celesti con un campione molto vario di autori presenti (fra gli altri: Branduardi, De André, Jannacci, Gaber, Guccini, Finardi, Vasco Rossi).
    18 Per esempio, sul tema del rapporto uomo-Dio, si ricorda il famoso videoclip di Madonna Like a prayer.
    19 Ved. capitolo precedente.


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