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    Bartolo Longo. Da sacerdote dello spiritismo alla gloria degli altari


    Santi giovani e giovinezza dei Santi /15

    Francesco Casella *

    (NPG 2023-01-77)



    Bartolo Longo, nato nel 1841 a Latiano (BR) da papà medico e da mamma sposata in seconde nozze, a sei anni venne affidato al collegio degli Scolopi di Francavilla Fontana, dove si dava ampio rilievo alla devozione mariana: qui Bartolo iniziò la recita quotidiana del rosario. Nel 1851, a 53 anni, gli morì il padre e la madre due anni dopo si risposò con un avvocato. Bartolo, nel 1858, lasciò il collegio e nel giugno dello stesso anno la Facoltà di Lettere e Filosofia di Napoli gli conferì “il primo grado di approvazione” per essere “abilitato a poter essere ammesso agli esami pei gradi dottorali in qualunque Facoltà e all’istruzione di rudimenti grammaticali”. La famiglia lo inviò a studiare privatamente a Brindisi e poi a Lecce dove, nel 1859, superò l’esame di filosofia, che gli permise, nel 1862, di iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli. Colà mentre studiava viveva una vita fatta di feste, atti goliardici, varie piccole storie d’amore, balli, incontri con gli amici e lunghe passeggiate.

    Adesione allo spiritismo

    Nell’ambiente accademico napoletano del tempo vi era un forte anticlericalismo, che gradualmente pervase anche Bartolo. La lettura della famosa opera del francese Ernest Renan, Vita di Gesù (1863), lo sconvolse profondamente e ne mise in dubbio l’educazione religiosa ricevuta. Animato da una certa curiosità e dalla ricerca di qualcosa che poteva placare la sua intima angoscia, Bartolo fu sedotto dal mistero, dall’occulto, dall’arcano e si avvicinò allo spiritismo. Iniziò a frequentarne i circoli e ne fu talmente conquistato che, oltre ad abbandonare la Chiesa, divenne anche un “sacerdote” dello Spiritismo. I prolungati digiuni, cui si assoggettava per acquistare sempre nuova sensibilità nelle oscure trame, lo portarono a danneggiare la propria salute fisica e mentale, per cui cadde in una fortissima depressione. Nonostante ciò, nel dicembre 1864 riuscì a laurearsi, ma senza a trovare la pace.

    La svolta

    Bartolo parlò della sua situazione con l’amico e professore Vincenzo Pepe, che gli presentò il padre domenicano Alberto Radente, esperto direttore spirituale, che divenne la figura fondamentale nel processo che lo portò a cambiar vita. Gradualmente lo allontanò dalle pratiche esoteriche e lo istruì chiarendogli i dubbi sorti dopo la lettura della Vita di Gesù del Renan. Dopo quasi un mese Bartolo si riaccostò all’eucaristia, ritornando alla vita cristiana.
    Nell’aprile 1867, fece il praticantato di avvocato penalista a Lecce e in pochi mesi conseguì il titolo di procuratore presso la Corte d’Appello. Ma l’attività nel foro penale non lo soddisfaceva, per cui decise di abbandonarla per dedicarsi alle opere di carità e allo studio della religione. Tornò a Napoli, ospite del Pepe, e approfondì la propria educazione teologica e religiosa con il redentorista Emanuele Ribera e il gesuita Carlo Rossi. Conosciuto poi padre Ludovico da Casoria (canonizzato nel 2014) ne seguì le orme, prestando assistenza morale e spirituale agli ammalati presso l’ospedale degli Incurabili. Nel frattempo, iniziò a frequentare la comunità religiosa che Caterina Volpicelli (canonizzata nel 2009) aveva aperto a Napoli. Colà incontrò la contessa Marianna Farnararo De Fusco, donna molto impegnata in opere caritatevoli e assistenziali.
    Grazie a questi incontri, Bartolo avvertì intensamente il desiderio di riscattare il tempo trascorso nello spiritismo, e si mise alla ricerca di come vivere in modo più profondo la fede cristiana, dedicandosi a opere di apostolato.
    Per meglio utilizzare la capacità divulgativa della stampa si mise a studiare la lingua italiana, il latino e le basi del cristianesimo. Nel 1870, passò a studiare filosofia e, nello stesso tempo, continuò a perfezionare i suoi studi di teologia, sempre impegnato in esercizi ascetici e opere di carità.
    Combattuto tra il desiderio di farsi frate e quello di continuare da laico la sua opera di apostolato, seguendo i consigli di padre Alberto Radente decise di entrare nel Terzo Ordine Domenicano (1871). Intanto aveva continuato a frequentare la casa della Contessa De Fusco, che era rimasta vedova, a soli 27 anni, del conte Albenzio De Fusco, ricco proprietario nella Valle di Pompei.

    Pompei: i frutti operosi della conversione

    Nell’ottobre del 1872, la contessa gli affidò l’amministrazione delle sue proprietà in questa valle. Bartolo fu colpito dalle misere condizioni in cui vivevano gli abitanti, afflitti anche da pregiudizi e dall’ignoranza religiosa. Comprese meglio la sua vocazione e iniziò ad adoperarsi per mettere in pratica gli insegnamenti morali e religiosi ricevuti dai suoi maestri. Iniziò la sua missione diffondendo la devozione al santo rosario. In particolare, fondò una confraternita (1876) che, con la recita del rosario, accompagnasse e suffragasse le anime dei morti.
    Nel frattempo, fece giungere a Pompei un’immagine della Madonna del Rosario (1875), che fece restaurare. Su invito, poi, del vescovo di Nola iniziò a raccogliere fondi per l’edificazione di una chiesa dedicata alla Madonna. Le offerte si incrementarono per i prodigi attribuiti all’immagine della Vergine. La prima pietra dell’erigenda chiesa venne posta l’8 maggio 1876 e la consacrazione del nuovo Tempio nel maggio 1891. La facciata del Santuario fu inaugurata dieci anni dopo.
    Bartolo, per incrementare la pratica del rosario, pubblicò il volumetto I quindici sabati (1877) che ebbe numerose edizioni. Fece poi conoscere il suo progetto apostolico, pubblicando testi, lettere, opuscoli, preghiere. Nel 1884 fu la volta del Il Rosario e la nuova Pompei (tutt’ora diffuso in tutto il mondo), che faceva conoscere l’intensa attività apostolica e sociale portata avanti in quegli anni soprattutto per le classi sociali più deboli, tra cui i detenuti.
    Nel 1885, sposò la contessa De Fusco, che lo sosteneva nelle sue attività assistenziali e, nello stesso anno, intraprese un viaggio attraverso l’Italia (1885) per promuovere le sue opere sociali: a Torino, in particolare, entrò in contatto con don Bosco e le opere sociali del Murialdo e del Cottolengo. Tutti i contatti furono fonte di ispirazioni per le sue opere apostoliche e sociali nella Valle di Pompei.
    Nel 1891, lanciò un appello ai devoti della Madonna per realizzare un’opera assistenziale in favore dei figli dei carcerati e, nel 1892, accolse il primo bambino e pose la prima pietra per l’Opera dei carcerati. L’avvenimento suscitò molto interesse da parte della stampa e, oltre gli applausi, non mancarono le critiche dei positivisti e in particolare di Cesare Lombroso, il fondatore dell’antropologia criminale. Bartolo lo confutò rispondendo sullo stesso piano e seguendo un procedimento sperimentale analitico. Per la direzione dell’Opera dei figli dei carcerati si rivolse al successore di Bosco, don Michele Rua (1902) ma la trattativa non ebbe esito positivo (Ne abbiamo scritto personalmente). La direzione, a partire dal 1907, fu assunta dai Fratelli delle Scuole Cristiane di san Giovanni Battista de La Salle.
    Nel 1893, Bartolo fece dono del santuario di Pompei al Papa Leone XIII, che prese l’Opera sotto la sua giurisdizione e ne affidò l’amministrazione ai coniugi Longo. Nel 1906, il Longo cedette a papa Pio X tutte le Opere di Pompei, per allontanare da sé e dalla moglie De Fusco ogni sospetto. Infine, nel 1916, cedette al papa anche la proprietà letteraria di tutte le sue pubblicazioni.
    Nel 1897, poi, fondò la Congregazione delle Suore Domenicane “Figlie del S. Rosario di Pompei”, che si presero cura dell’esistente Orfanotrofio femminile. In seguito affidò loro anche l’Istituto per le figlie dei carcerati.

    Gli ultimi anni e la beatificazione

    Rimasto vedovo nel 1924, si aprì un’estenuante battaglia legale tra la famiglia Longo e la famiglia De Fusco per le proprietà situate nella Valle di Pompei. Il Longo, molto amareggiato, si ritirò a Latiano. Fece ritorno a Pompei solo l’anno seguente, accolto festosamente dai pompeiani, senza possedere più nulla. Pio XI, nel 1925, lo insignì dell’onorificenza della Gran Croce del Santo Sepolcro. Negli ultimi mesi di vita Bartolo godette dell’amicizia del medico Giuseppe Moscati (canonizzato nel 1987), che lo assistette nella sua morte (5 ottobre 1926).
    Beatificato da papa Giovanni Paolo II, nel 1980, Bartolo Longo fu strumento della provvidenza per la difesa e la testimonianza della fede cristiana e per l’esaltazione di Maria santissima in un periodo doloroso di scetticismo e di anticlericalismo. Ha portato avanti con intrepido coraggio un’opera grandiosa che ancora oggi ci lascia stupiti ed ammirati. Si può veramente definire “l’uomo della Madonna”: per amore di Maria divenne scrittore, apostolo del Vangelo, propagatore del rosario, fondatore del celebre santuario, creatore di istituti di carità, questuante per i figli dei poveri per amore di Maria e sopportò in silenzio tribolazioni e calunnie.

    I Papi sulla tomba del beato

    A Pompei non ci sono solo gli scavi; c’è il famoso santuario, con la salma del beato Bartolo Longo, che gli ultimi papi hanno visitato.
    Papa Giovanni Paolo II nel 1979 e poi ancora nel 2003 a conclusione dell’anno del Rosario quando nell’omelia affermò: “Sullo sfondo dell’antica Pompei, la proposta del Rosario acquista il valore simbolico di un rinnovato slancio dell’annuncio cristiano nel nostro tempo. Che cosa è infatti il Rosario? Un compendio del Vangelo… Il Beato Bartolo Longo ebbe un’intuizione profetica, quando, al tempio dedicato alla Vergine del Rosario, volle aggiungere questa facciata come monumento alla pace. La causa della pace entrava così nella proposta stessa del Rosario. È un’intuizione di cui possiamo cogliere l’attualità, all’inizio di questo Millennio, già sferzato da venti di guerra e rigato di sangue in tante regioni del mondo”.
    Anche Benedetto XVI è andato come pellegrino a Pompei nel 2008 e nell’omelia, ricordando Bartolo Longo, ne sottolineò la radicale conversione: “Con la sua grazia, Dio rinnova il cuore dell’uomo perdonando il suo peccato, lo riconcilia ed infonde in lui lo slancio per il bene. Tutto questo si manifesta nella vita dei santi, e lo vediamo qui particolarmente nell’opera apostolica del beato Bartolo Longo, fondatore della nuova Pompei… Una cittadella di Maria e della carità, non però isolata dal mondo, non, come si suol dire, una “cattedrale nel deserto”, ma inserita nel territorio di questa Valle per riscattarlo e promuoverlo.… Chi avrebbe potuto pensare che qui, accanto ai resti dell’antica Pompei, sarebbe sorto un Santuario mariano di portata mondiale? E tante opere sociali volte a tradurre il Vangelo in servizio concreto alle persone più in difficoltà? Dove arriva Dio, il deserto fiorisce! Anche il beato Bartolo Longo, con la sua personale conversione, diede testimonianza di questa forza spirituale che trasforma l’uomo interiormente e lo rende capace di operare grandi cose secondo il disegno di Dio. La vicenda della sua crisi spirituale e della sua conversione appare oggi di grandissima attualità. La sua conversione, con la scoperta del vero volto di Dio, contiene un messaggio molto eloquente per noi”
    Anche papa Francesco, la mattina della sua visita pastorale a Napoli, ha voluto sostare a Pompei (21 marzo 2015) dove ha recitato la Supplica alla Vergine del S. Rosario e ha pregato nella cappella del Beato.

    * Docente presso l’Università Pontificia Salesiana


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