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     I luoghi della

    pastorale giovanile

    Domenico Sigalini


    (Da: Dizionario di pastorale giovanile, Elledici 1989)


    1. L’INTERROGATIVO DI PARTENZA

    Il punto di partenza è sicuramente una domanda che si deve fare ogni operatore di pastorale giovanile e non: dove realizzo tutti i progetti di condivisione, annuncio, proposta della fede in Gesù per i giovani, che la comunità cristiana ha maturato?
    Capita però che, quando si progetta, nella nostra mente giochi parte consistente una sorta di precomprensione: tutto quello che progettiamo prevede che ci sia un gruppo di giovani che si incontrano con una certa continuità in qualche ambiente parrocchiale e con cui si può sviluppare quella serie di ideali e di itinerari. Si prevede che la pastorale giovanile si sviluppi attraverso riunioni in parrocchia, molte attività di servizio all’interno di essa e qualche azione all’esterno. Talvolta pure queste ultime sono ancora orientate a far entrare in parrocchia o nei nostri ambienti e patiscono un certo ripiegamento all’interno.
    Oppure, se il livello di progettualità è diocesano, si presuppone sempre che ci siano delle parrocchie che hanno un giro di giovani che frequentano, con cui si ha un buon rapporto educativo e che vengono raggiunti da bravi animatori, da proposte associative, da scadenze abbastanza precise: riunione settimanale, caposcuola, Giornata mondiale della gioventù, qualche week end nei tempi forti, ecc.
    Si pensa che le comunità cristiane, le parrocchie siano visibili dai giovani e che, per una sorta di consuetudine, passino da lì con molta naturalezza e lì decidano se seguire o no le proposte educative.
    Invece, i giovani abitano il territorio e spesso non incrociano la comunità cristiana. Ritorna allora la domanda: è possibile pensare la pastorale giovanile in maniera più ampia e più complessiva?
    È non solo possibile, ma necessario pensare che i destinatari e in seguito anche i soggetti della pastorale giovanile siano i giovani di tutto il territorio, nei loro spazi di vita e nelle loro abitudini aggregative ed espressive.
    Questo esige che si superi l’impostazione molto diffusa dei famosi tre cerchi, secondo i quali comodamente si suddividono i giovani o in genere le persone: i vicini, gli andirivieni, i lontani. Il centro è l’organizzazione della pastorale giovanile o della parrocchia e non sempre la fede in Gesù o la stessa comunità cristiana e rispetto a questo centro si fotografa il mondo giovanile.
    Sicuramente i giovani vivono stadi diversi di vita spirituale e di fede, non possono essere oggetto dello stesso intervento educativo, ma la distinzione allora non è legata agli spazi in cui vivono o alla consuetudine con la comunità cristiana o con la parrocchia, ma alla vita interiore, alle domande, alla coscienza spirituale, alle esperienze di umanità e di conoscenza del vangelo o della voce dello Spirito, di cui la vicinanza alla comunità cristiana è un elemento, non l’unico. Vediamo, infatti, crescere il fenomeno dei giovani, che io chiamo «cani sciolti», che hanno una grande capacità di vita interiore, ma che non frequentano nessuna iniziativa di pastorale giovanile e spesso neppure la comunità cristiana.
    Si è inoltre fatta sempre più consistente quella fetta di giovani che non hanno mai sentito l’annuncio di Gesù o che hanno abbandonato molto presto qualsiasi rapporto con una visione religiosa o cristiana della vita.
    Muovendo il passo da queste brevi osservazioni vediamo di costruire una ipotesi di luoghi per la pastorale giovanile che tenga in conto il mondo giovanile di oggi e la stessa autocomprensione della chiesa e della pastorale.
    Parlare di luoghi significa individuare situazioni di vita, realtà strutturate, persone che li frequentano, contesti e abitudini, obiettivi e operatori. Per comodità di esposizione divido la fotografia in due grandi aree: gli spazi istituzionali e gli spazi informali e colloco a metà strada gli spazi aggregativi che la comunità cristiana offre. Sono spesso tra l’istituzionale e l’informale e hanno una loro conduzione interessante, in continua evoluzione.


    2. GLI SPAZI O MOMENTI ISTITUZIONALI

    Dico spesso per celia che tutti i responsabili di pastorale giovanile devono affittare un elicottero, fare una ricognizione per il territorio e fotografare le concentrazioni di giovani; soltanto dopo si deve impostare la pastorale giovanile. Purtroppo avviene il contrario. Fissiamo il nostro punto di vista nei nostri luoghi e diciamo che i giovani non ci sono più, non vengono più, sono indifferenti.
    Non sono indifferenti; sono solo altrove, nella vita; noi invece spesso ne siamo fuori. Provo anche solo ad elencare alcuni di questi spazi che sono abitati dai giovani e che esigono una nuova attenzione della comunità cristiana: la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro, le carceri, gli ospedali, le caserme, gli altri luoghi abitati da giovani per servizio pubblico (carabinieri, polizia, servizio civile…), le comunità di ricupero… La tradizione delle nostre comunità cristiane non ha mai lasciato sguarniti questi spazi anche con una pastorale rinnovata. Ciascuno ha una sua apposita pastorale.

    2.1. Un elenco esemplificativo

    Esiste una pastorale familiare che cura soprattutto il rapporto genitori-figli, la preparazione dei giovani al matrimonio e l’attenzione alle giovani coppie. Oggi sono in atto bellissime esperienze di preparazione lunga al matrimonio, come spazio per una nuova iniziazione cristiana, un nuovo catecumenato.
    La pastorale scolastica oggi si sviluppa in termini molto più creativi per cogliere la sfida del cambiamento come una occasione particolare di rinnovamento. Non si tratta solo di insegnamento della religione, ma di tutto il tessuto di relazioni e di approfondimenti culturali che connettono la vita dei giovani. La scuola sarà sempre più frequentata, anche in termini quantitativi di tempo, e i giovani vivranno giornate intere nei plessi scolastici e in attività ad essi collegati. Stanno nascendo necessarie interazioni con tutti i luoghi dell’educazione cristiana e tutte le progettualità esplicite di una comunità cristiana (oratori, associazioni, centri giovanili…).
    Altro spazio è la vita universitaria che è per molti giovani il vero snodo decisivo della vita e delle scelte di fede. Molti giovani vivono lontani dai loro luoghi di nascita, spesso in grandi collegi o in alloggi di fortuna. Passano la settimana stipati in appartamenti costosi e rientrano ogni venerdì o ogni quindici giorni. Alcune città che si sentono espropriate dei loro giovani osano fare riunioni di catechesi presso le grandi università (cf Roma, Milano, Bologna, Padova). Non è secondaria al riguardo l’attività capillare di tutti i pensionati e collegi universitari distribuiti in abbondanza per tutto il territorio nazionale e ben coordinati.
    Ancora più determinante è il mondo del lavoro sia per i giovani occupati, sia per quelli che sono in una interminabile attesa di occupazione, o che fanno cattivi lavori. L’esperienza più interessante è il «progetto Poliporo» che vede collaborare la pastorale giovanile, la pastorale sociale e del lavoro e la caritas nelle regioni del Sud per evangelizzare questi giovani, aiutandoli a crescere in una nuova mentalità e in una nuova professionalità. Il progetto ha dato vita a una nuova figura di animatore chiamato «animatore di comunità» che fa da perno tra gli uffici pastorali sopraddetti e le risorse del territorio.
    Per le caserme è stata costituita addirittura una diocesi a sé con tanto di vescovo, curia e accademia per i preti. La cancellazione del servizio di leva obbligatorio e l’istituzione di un esercito di volontari sta cambiando radicalmente questo mondo. Per ora, accanto al servizio di leva si è sviluppata una grande risorsa, quella degli obiettori di coscienza che ha dato non poche occasioni di evangelizzazione e forze nuove a tutta la pastorale giovanile. Ora è iniziata una nuova sfida: il servizio civile anche femminile per i giovani che vogliono dare alla comunità civile una anno del loro tempo.
    Per le altre concentrazioni di giovani (carceri, ospedali, servizi di ordine pubblico, squadre di calcio) esiste una rete di cappellani motivati e organizzati tra loro che affrontano con grandi difficoltà le problematiche tipiche dei giovani loro affidati, spesso senza un minimo appoggio della comunità cristiana soprattutto giovanile, dovuto talvolta al disinteresse, talvolta a un isolamento voluto.
    Una interessante fetta di giovani è accostata pastoralmente nelle numerose comunità di ricupero dal disagio o dalla tossicodipendenza, che in maggioranza sono animate da preti o da associazioni di ispirazione cristiana. È un’opera non troppo visibile, ma profonda, di ricostruzione della vita personale e delle ragioni del credere.
    Stanno crescendo in numero e in esigenze i giovani immigrati di varie etnie e religioni per i quali si offrono momenti di aggregazione e di formazione, di scambio e di sostegno, talora pure di annuncio cristiano.
    A questo elenco si devono aggiungere le attenzioni particolari a giovani colpiti da alcuni handicap come la mancanza della vista o dell’udito o della mobilità fisica o della salute mentale, per i quali ci sono apposite istituzioni che li seguono e offrono loro formazione e servizi.
    Un altro spaccato interessante è l’insieme delle associazioni che si occupano di particolari professioni: coltivatori diretti, artigiani… o di momenti caratteristici della vita giovanile, come per esempio il turismo, lo sport, la musica…
    Esiste anche una associazione costituita da ragazze che fanno sfilate di moda e in questo lavoro scrivono con creatività e coraggio la loro vita cristiana o un’altra che si occupa esclusivamente dei barboni giovani.
    La comunità cristiana ha sempre avuto fantasia e attenzione a tutte le espressioni della vita.

    2.2. Alcune scelte

    Riguardo a questi luoghi oggi sono necessarie alcune scelte elencate qui di seguito.
    1. Una coraggiosa ridefinizione dell’obiettivo pastorale della presenza cristiana nell’ambiente, che deve essere sempre più orientato alla nuova evangelizzazione, dopo una attenta lettura dei cambiamenti sia dei giovani che dei contesti e dei significati che gli ambienti stanno assumendo.
    2. Una progettualità più definita costruita con un massimo di collaborazione sia all’interno della chiesa tra uffici pastorali e associazioni, che nella società civile.
    3. La qualificazione cristiana degli operatori, che possono ritrovare nuove energie e collaborazioni se si offrono maggiormente come testimoni della fede e non come custodi dell’organizzazione.
    4. Uno scambio continuato e normale di informazioni, di studi, di elaborazioni, di strumenti tra i vari operatori d’ambiente e della comunità cristiana.
    5. Alcuni luoghi e momenti in cui si sperimenta la comunione di tutti nella comunità cristiana, che deve essere riferimento e casa comune.

    2.3. Alcuni luoghi particolari

    Per completezza di quadro tra i vari luoghi meritano almeno un cenno.
    1. Il caposcuola. È una iniziativa che ha almeno 40 anni di vita e che ha permesso a più generazioni di giovani di fare un passo qualificato nella propria adesione alla fede. È in genere una settimana che i giovani vivono in comunità, in luoghi anche paesaggisticamente attraenti e lontani dalla vita quotidiana. Sono organizzati a mò di settimane di studio su alcuni argomenti, ma con un massimo di coinvolgimento e di partecipazione, di approfondimento personale e di gruppo, in un massimo di relazioni positive tra i giovani e tra i giovani e gli animatori. Ogni associazione se li organizza a suo modo, ogni centro giovanile e ogni parrocchia offre questa possibilità ai giovani del suo territorio. Oggi stanno evolvendo verso un raccordo più definito con il territorio o si trasformano in itineranti per interagire maggiormente con le situazioni concrete.

    2. I santuari e il pellegrinaggio giovanile. Complici le giornate mondiali della gioventù, il pellegrinaggio è diventato una alternativa positiva al camposcuola e permette ai giovani di vivere una sorta di corso di esercizi spirituali itineranti. È un cammino di rinnovamento interiore, di approfondimento della fede, di rafforzamento del senso della comunione e della solidarietà con i fratelli e un ottimo mezzo per scoprire la personale vocazione di ciascuno. Camminando, faticando, stando assieme, chiedendo aiuto, allungando o accorciando il passo, facendo silenzio e cantando, pregando e dialogando si costruisce una storia di fede. Al pellegrinaggio si accostano spesso giovani che non fanno parte del solito giro. Le mete più ambite sono i grandi santuari europei: Santiago de Compostela, Chestochowa, Loreto, ma anche santuari più regionali

    3. I luoghi del silenzio e della contemplazione. I monasteri e i conventi, durante l’estate, sono pieni di giovani in cerca di Dio, di una esperienza di silenzio e di raccoglimento, di ascolto della parola e di ascolto di sé. Vi si tengono esercizi spirituali che ancora per molti giovani (cf Azione cattolica) sono passi obbligati per una maturazione della fede e delle proprie decisioni oppure cammini personali condotti da qualche monaco o monaca.

    4. Le giornate mondiali della gioventù. Sono luoghi diventati progettuali per le comunità cristiane e sono molto seguiti anche da giovani che non fanno parte normalmente della vita di una comunità cristiana. Sono luoghi in cui i giovani sono periodicamente chiamati a farsi pellegrini per le strade del mondo. In essi la Chiesa vede se stessa e la sua missione fra gli uomini; con loro accoglie le sfide del futuro, consapevole che l’intera umanità ha bisogno di una rinnovata giovinezza dello spirito. Questo pellegrinaggio del popolo giovane costruisce ponti di fraternità e di speranza tra i continenti, i popoli e le culture. È un cammino sempre in atto. Come la vita. Come la giovinezza.

    5. Le molteplici associazioni, gruppi e movimenti. Sono veri spazi aggregativi, veri tessuti di relazione che offrono ai giovani un luogo di crescita, di confronto, di accoglienza, di proposta e di impegno. In certe diocesi sopperiscono alla carenza dei luoghi istituzionali; in altre offrono un minimo di vita e abitabilità ai giovani. La molteplicità di essi crea anche qualche problema, ma sicuramente permette ai giovani una vivacità e una pluralità di espressione che alla fine mette in secondo piano i problemi.


    3. GLI SPAZI DELLA VITA QUOTIDIANA

    Oltre a guardare i giovani come raggruppabili per ambienti, oggi è necessario considerarli nei loro spazi quotidiani personali di vita, nel tempo libero, nelle loro creatività e percorsi. Due sono le grandi aree che debbono vedere all’opera la pastorale giovanile: i luoghi di aggregazione che la comunità cristiana propone e i luoghi della vita quotidiana come nuovi areopaghi.
    I primi esigono che la stessa comunità cristiana si costituisca come spazio di vita abitabile e i secondi spingono a un andare nel mondo come comunità, come pastorale, in questo caso, giovanile e non soltanto attraverso la testimonianza cristiana personale, insostituibile, in ogni ambiente in cui si vive.

    3.1. I luoghi di aggregazione proposti dalla comunità cristiana

    Le comunità cristiane investono molte energie per l’iniziazione cristiana, cioè, per aiutare le giovani generazioni a cogliere la bellezza della vita cristiana e a muovervi i primi passi, motivati e vitali. Capita però che alla fine delle «operazioni» di iniziazione, il giovane anziché partecipare di più alla vita cristiana, si congeda, fugge, abbandona, non trova più (o non l’ha mai trovata?) adatta la comunità cristiana alla sua voglia di vivere, alle sue domande impellenti.
    La Chiesa allora offre uno spazio di aggregazione, dice il Papa, uno spazio in cui sviluppa i valori autentici della vita umana e cristiana. Non è assolutamente corretto che la Chiesa offra ai giovani solo spazi sacrali, solo spazi di celebrazione liturgica o di approfondimento catechistico, occorre una abitabilità della comunità cristiana, un luogo in cui poter esprimere vita, voglia di stare assieme, di confrontarsi, di provare sentimenti e affetti, di gestione delle proprie sensazioni e emozioni che non è ancora solo confronto con la Parola o celebrazione entro un rito. È soprattutto un tessuto di relazioni umane, di amicizia, di dialogo, di scambio, di fatica del crescere e gioia del collaborare.
    A questo riguardo diventano importanti, come sopra rilevato, le aggregazioni, i movimenti, le associazioni, il gruppo. E siccome questi tessuti hanno bisogno anche di un tetto sotto cui vivere e di progetti secondo cui svilupparsi ecco allora la proposta di oratori, centri giovanili, patronati, collegi, compagnie, confraternite, cooperative, comunità di ricupero. Non è possibile ridurre la proposta ecclesiale solo alla messa e al catechismo. Questi elementi nei riguardi delle giovani generazioni sono connotati troppo come tassa da pagare o come interesse della chiesa per essere visti come espressione della bontà di Dio e gioia della sua conoscenza. Una comunità cristiana che mira solo alla messa e al catechismo, agli occhi dei giovani non appare gratuita, come invece lo è, ma interessata a portare avanti il suo programma indipendentemente dalle domande, dalle infinite complicazioni, belle e meno belle, della vita degli uomini.
    Alcuni pastoralisti, ma soprattutto alcuni operatori di pastorale fanno non poca resistenza a questa scelta perché ne vedono il facile imbarbarimento, la riduzione della comunità cristiana a luogo di intrattenimento, la voglia della Chiesa di possedere i giovani, di averli nei sui spazi, di poterli staccare dalla vita del mondo, soprattutto si rimprovera alle scelte di costruire ambienti, l’adattarsi continuamente alle mode del tempo, il rincorrere i giovani, l’abbassare il cristianesimo ai loro gusti.
    Nel muovere questa critica si usano frasi altisonanti, molto belle e molto vere, ma che qui sono usate solo strumentalmente e senza il minimo di ermeneutica. «Bisogna predicare Cristo crocifisso e risorto, il resto non serve; la comunità cristiana ha solo il vangelo; non dobbiamo creare società alternative; quello che conta è la Parola di Dio, il resto non serve, anzi fa danno». Sono critiche che vengono da ogni parte, da destra e da sinistra, se ha ancora senso oggi usare questa espressione, cioè, da chi vorrebbe la fede più sicura nelle sue affermazioni della verità e da chi la vuole più povera e più essenziale. «I giovani oggi non sanno catechismo e tu perdi tempo a chiacchierare, a farli giocare e a suonare la chitarra» oppure, citando don Milani, «il gioco è un naufragio della proposta dei valori evangelici». Si potrebbe continuare.
    L’unica possibilità di intenderci è di rimettere al centro una sola parola: educazione. La fede è un dono di Dio, ma è educabile. Se questo è vero per le giovani generazioni che si stanno ancora orientando nel comprendere il senso della vita, occorre fare di tutto per accompagnarsi a loro, per condividere speranze e delusioni, ricerche e scoperte e aiutarli a incontrare il Signore della vita. Lo stesso don Milani non disdegnava le mediazioni, anzi, ha fatto sempre e solo scuola ai suoi ragazzi e li ha aiutati a incontrare Gesù. I laboratori della fede che il Papa propone sono questo. Ne deriva che gli spazi aggregativi che la comunità cristiana propone devono essere sempre nel massimo della gratuità, come lo è ogni atteggiamento educativo, ma anche nel massimo della creatività nel proporre la vita evangelica.
    Da questo punto di vista i nostri spazi aggregativi, gli oratori, le associazioni, i movimenti hanno bisogno di fare un salto di qualità per essere laboratori della fede in due direzioni:
    1. Nel tornare ad essere veri spazi aggregativi. Se in oratorio [1], associazione, la vita del giovane, la sua voglia di incontrarsi, le sue domande di vita non sono interpretate non si può neanche iniziare a parlare di laboratorio. È solo un dispensario, un mortorio, una sacrestia o una strada. Certe nostre associazioni o gruppi o movimenti non fanno crescere uomini e donne, ma gregari o appaltati o parcheggiati della vita. Quando il Papa chiama l’oratorio ponte tra la chiesa e la strada non intende vederlo come un prolungamento della sacrestia, ma nemmeno come una esaltazione della povertà della strada.
    2. Nel qualificare in senso giovanile proposte vere di fede, spazi espliciti di ascolto e di incontro tra le persone e con l’esperienza dei credenti. Le nostre comunità cristiane diventano case abitabili se sanno offrire proposte di vita cristiana belle, culturalmente all’altezza delle esigenze dei giovani, artistiche, creative, fedeli al vangelo e non ridotte a intrattenimento.
    La proposta di spazi aggregativi ai giovani esige che si cerchino nuovi assetti della comunità cristiana, collaborazione e progetti comuni di parrocchie, associazioni e movimenti. Proprio perché i giovani hanno una grande mobilità e sono soggetti a spostamenti strutturali come l’andare a scuola tutti i giorni, spostarsi per il tempo libero, ricercare interessi e relazioni oltre il proprio luogo di abitazione, le suddivisioni ecclesiastiche del territorio, come le parrocchie e pure le diocesi, non riescono più a intercettarli.
    A questo riguardo meritano di essere ricordate le seguenti esperienze nuove:
    1. L’allargamento, senza annullarla, dell’esperienza parrocchiale, lavorando a una interazione capace di rispondere alle sfide di un territorio omogeneo per cultura, realtà territoriali, presenze di proposte aggregative per giovani (sport, musica, lavoro, scuola, divertimento…). In certi luoghi si sono formate le cosiddette unità pastorali, cioè nuovi assetti pastorali composti da una o più parrocchie che interagiscono e si strutturano in maniera nuova. Sono nate per mancanza di clero e come concentrazione di servizi religiosi, ma oggi molte stanno diventando spazi di nuova corresponsabilità laicale, dove la famiglia, i giovani, i laici assieme al presbitero creano occasioni di incontro, di formazione e di celebrazione. In altre si è solo incaricato un prete di seguire più parrocchie contemporaneamente. A mio avviso è un passo utile, ma non risolutivo, se non si crea una nuova mentalità nelle comunità cristiane.
    2. L’apertura di spazi appositi che servono i giovani nel territorio. In certi grossi centri che sono luoghi di grande flusso di studenti, che vi stazionano per tutta la giornata, stanno nascendo luoghi (oratori, saloni, punti di incontro) condotti da qualche cooperativa di animatori, che accolgono gli studenti come luogo di scambio, di associazionismo, di corte progettualità, di studio comune e quindi anche di proposta cristiana.
    3. La programmazione articolata di strutture a servizio dei giovani (cf oratori, centri giovanili…) nel territorio. In qualche città gli oratori o i centri giovanili, le associazioni e i movimenti non hanno la pretesa di coprire ciascuno da solo tutte le esigenze, ma ciascuno si specializza in un proprio peculiare servizio, in base alle possibilità e ai bisogni concreti. In una città non possono esserci cinque oratori che offrono tutti le stesse proposte in maniera approssimata, ma ciascuno può offrirne una o l’altra di qualità collegandosi con gli altri.
    4. Le associazioni di evangelizzazione si costituiscono come filiere di intervento in cui assieme formulano proposte formative distribuite nel territorio. Le associazioni sono ancor più facilitate in questo campo, per la loro esperienza già sovrapparrocchiale e qualificazione specializzata.

    3.2. I luoghi informali della vita quotidiana come nuovi spazi di pastorale giovanile

    I giovani che accostano la comunità cristiana, anche aperta sulla loro vita con spazi, come li abbiamo descritti sopra, non sono la maggioranza. Questo fuga è ancora più consistente per altre istituzioni non obbligatorie, come la scuola o, una volta, l’esercito. Si può ben dire che la comunità cristiana aggrega molto più di qualsiasi altra realtà istituzionale. I giovani la vedono positivamente e non la rifuggono se ne vengono incontrati con amore. Oggi, però, la sfida più vera e originale che viene rivolta alla pastorale giovanile è quella di abitare i nuovi spazi in cui i giovani vivono la loro vita.

    3.2.1. Il nuovo fenomeno giovanile: la vita parallela

    Da alcuni anni, da quando cioè nelle civiltà occidentali si è allungato il tempo della giovinezza triplicandosi rispetto agli anni 1960, i giovani sono andati via via scavandosi spazi propri di gestione del tempo libero e di tutto quello che esso contiene: relazioni, sport, gioco, musica, creatività, slanci rivoluzionari, involuzioni razziste, delusioni e esaltazioni.
    I ragazzi e i giovani sono disposti a concedere all’adulto e alle sue istituzioni, inventate per farli crescere e inserire nella vita pubblica come scuola, parrocchia, catechismo, famiglia, parte della loro vita, spesso in forma un po’ passiva, tutto il tempo richiesto, ma non certo tutto il loro sentire e la loro carica di energie necessarie per decidersi. Queste energie e questo feeling vengono spostati quasi con una operazione di bonifico bancario sulla vita parallela che si ritagliano nei loro spazi: gruppi, muretti, pub, corsi, spiagge, discoteche, centri commerciali, pizzerie, ville comunali, corridoi delle scuole, cancelli degli oratori, gite scolastiche… A dare modernità e personalizzazione estrema al parallelismo entra di forza tutto il vasto mondo virtuale fatto di musica, di concerti, di playstation, di internet, di mailing list, di chat. Qui vengono collocate tutte le energie necessarie per decidersi, tutti i tentativi di trovare felicità, tutte le stesse domande di ulteriorità e di religiosità.
    La casa del senso è la vita quotidiana con il suo insieme di relazioni, esperienze affettive, attività del tempo libero. Il senso lo va scoprendo entro i luoghi dell’invenzione della speranza e della constatazione delle delusioni, nel ricamo di percorsi che inventa con la sua motoretta o la sua macchina, nella progettazione delle risposte alle sue aspirazioni che avviene spesso nel gruppo del muretto, nella passeggiata sul corso, ai bordi dei campi da gioco o nei parchi, sui tediosissimi spostamenti in bus per andare a scuola o al lavoro, nelle amicizie di una stagione... Qui nascono e si formulano le ricerche e i primi tentativi di risposta al vivere. Qui affondano in strati impensati della coscienza individuale i perché della vita che non risparmiano nemmeno i più superficiali e distratti. Qui, tra la sopportazione del caos del traffico e la fuga nel proprio mondo veicolato dalle cuffie si affacciano le inevitabili domande di ulteriorità.
    Due luoghi in particolare caratterizzano questo mondo parallelo. L’universo virtuale e la notte.

    3.2.2. Il vasto mondo virtuale

    I luoghi in cui i giovani piantano le loro tende non sono necessariamente fisici o geografici, possono essere anche virtuali. L’esposizione dei giovani a questi luoghi è altissima. Si direbbe che ne fanno una atmosfera in cui vivono, come l’aria per gli uomini o l’acqua per i pesci, per cui non sono nemmeno percepiti per quello che sono, ma per quello che permettono di vivere. In essi acquisiscono capacità manipolatorie velocissime, facilità di uso, creatività di modi nuovi di comunicare, non necessariamente dipendenza.
    E sono gli stessi luoghi virtuali che spesso creano i luoghi fisici.
    La musica crea la discoteca e il concerto; ogni giovane ha la sua discoteca privata di MP3, compra e vende, ascolta, scarica e cancella, si abbona a riviste e le passa...
    Il fumetto crea la compagnia; biblioteche di Dylan Dog sono custodite gelosamente, prestate e fatte circolare, raccontate tra amici. All’eroe si scrivono lettere struggenti e ci si aspetta una risposta.
    Il giornale crea il circolo culturale e viceversa; è un circolo difficile da sostenere, ma capace di far vibrare per qualche utopia alcuni giovani.
    La radio crea riconoscimento tra gli amici, forme di linguaggio uguali, capacità di raccontarsi, di sentirsi interpretati, di uscire dall’isolamento.
    Internet crea città virtuali in cui vivere e news group che si danno appuntamento via Internet in luoghi fisici per vedersi e uscire dalle proprie solitudini. Questo esige un approfondimento perché è una vera novità, l’innesco di un cambiamento di cui non sappiamo la portata, ma che sicuramente determinerà la comunicazione tra i giovani e dei giovani.
    Le playstation creano veri e propri piccoli stadi in cui ci si immerge con creatività, si fa amicizia, ci si isola completamente dal tempo e dallo spazio per entrare in un mondo fantastico, stimolante, spesso anche creativo.

    3.2.3. La notte

    Oggi le statistiche di molti paesi occidentali, ma è sotto gli occhi di tutti, dicono che almeno un buon 80% di giovani oltre i 18 anni, in una almeno delle notti di un week end non torna a casa prima delle tre di notte. Facciamo qualche tara al dato, aggiungiamo pure che tale abitudine un giovane non la mantiene per tutto il periodo della giovinezza e altre considerazioni di realismo. Sta di fatto, però, che la notte sta diventando sempre più, per i giovani, il tempo in cui si scatenano, esprimono libertà, ricerca di amicizia, relazioni e divertimento, voglia di vivere e desiderio di contare. Non si tratta di migliaia, ma di milioni di giovani che vivono questa esperienza. Sono lontani dal mondo degli adulti, si ritagliano luoghi e spazi in cui vivono solo loro, si sentono di potersi esprimere con maggiore libertà. Di giorno puoi vedere tanti giovani con le cuffie per estraniarsi da tutto quello che capita, di notte non ne vedi uno che le porta, perché sono nel loro mondo.
    Che cosa offre la comunità civile? Che cosa offre la comunità cristiana? La notte in termini diretti non vede nessun ambiente educativo anche cristiano a disposizione. Il mondo dei profitti si fa in quattro per offrire ai giovani riposte alle loro domande, non curandosi eccessivamente della qualità umana delle proposte e proponendosi spesso un guadagno economico senza scrupoli. Avviene così che si esaltano le tendenze anche più negative, che si danno risposte false a problemi veri, che si sfruttano i giovani nelle loro pur ragionevoli ricerche e domande.

    3.3. Come risponde la pastorale giovanile a questo nuovo fenomeno?

    Siamo tutti convinti che il gruppo parrocchiale o associativo si è fatto eccessivamente selettivo per poter essere l’unico strumento formativo, si sono frantumate le pressioni di conformità, ha perso la sua pretesa di essere l’appartenenza assoluta e onnicomprensiva del giovane. Occorre allora tentare nuove strade. Molti adolescenti e giovani, infatti, non riescono a passare dai nostri gruppi formativi e questo non perché non hanno domande religiose o voglia di rispondere generosamente, ma perché provengono da altre impostazioni di vita, hanno un altro modo di sentire, di vivere, di riflettere.
    Non abbiamo la pretesa di risolvere il problema, ma vogliamo mostrare che è possibile offrire alla pastorale giovanile nuovi spazi, nuovi areopaghi appunto, e contribuire alla formazione delle giovani generazioni con nuovi strumenti. Entrare in questi nuovi areopaghi ci permetterà anche di superare quella esagerata intellettualizzazione della fede, che ha tenuto lontano dalle nostre comunità molti adolescenti lavoratori o gente del popolo, mentre sappiamo bene che Dio si scava i suoi figli anche dalle pietre, oltre ogni nostra fantasia di pastorale giovanile.
    Possono diventare luoghi di pastorale giovanile il bar, la sala giochi, la festa, la gita-pellegrinaggio, la gita nella natura, il club degli scalatori, la compagnia delle varie feste della lumaca, della vongola, della birra, delle salsicce..., la squadra sportiva (calcio, arti marziali, pallavolo, body building...), la «golf» degli spostamenti in cerca di..., il coro giovanile, la compagnia teatrale, le cooperative di animazione, l’associazione che si dedica alla strada, la banda di adolescenti che si mobilita per il Grest, la compagnia che regge una radio o Tv locale, il pool di persone che tengono attiva una pagina Internet, la stanza di quelli che si trovano ad ascoltare musica, i duri e decisi delle comunità di recupero, il quartetto di registi che si interessano di riprese e di videocassette, gli obiettori in partenza, in servizio e in congedo, la band musicale rockhard, la curva dello stadio, la redazione di un giornalino, la banda che fa attività da guiness dei primati (scalate, sfaticate a piedi, attraversate di stretti), il comitato di quartiere per le feste patronali, la confraternita, i filatelici, il terzetto di comici che gira per le feste di paese, il cast di un recital, il servizio d’ordine per il pellegrinaggio a San Rocco, la mailing list, il mondo delle chat, il vasto mondo della sofferenza degli ospedali e del volontariato, della croce rossa, le caserme, le comunità di ricupero...
    L’elenco va ampliato in base alle esperienze molteplici che continuano a crescere, a susseguirsi e in cui i giovani ricamano la loro vita e esprimono i loro gusti. Alcune di queste aggregazioni vitali sono coesistenti, altre sono assolutizzanti almeno per qualche stagione.
    Le domande che ci poniamo sono due: è possibile in questi luoghi fare una annuncio coinvolgente? E l’altra: questi spazi possono essere luogo di crescita anche nella fede? Spazio per una vita più umana, luoghi di confronto per giungere al Signore della vita? Possono diventare tirocini di crescita, oltre che umana spirituale, anche di fede?

    3.3.1. L’annuncio

    I nuovi areopaghi sono chiamati a diventare luoghi di annuncio della esperienza della fede. I giovani che in essi vivono spesso non hanno idea di chi è Gesù, non ne conoscono la forza, non sanno che cosa è il vangelo, ma soprattutto che cosa può offrire alla loro sete di vita, alla loro domanda di senso e di religiosità. Molti hanno abbandonato la vita della comunità cristiana prima di incontrare veramente Gesù; altri non sono riusciti a far crescere l’esperienza spirituale sul ritmo della crescita culturale e umana; molti sono stati allontanati dalla inadeguatezza di educatori, genitori, presbiteri; molti sono stati vittima di esperienze negative, di scandali o di manipolazioni culturali della scuola. Il mondo giovanile, che pure ha una alta domanda religiosa, purtroppo fa fatica a incontrare la Chiesa che si trova sempre su piani sghembi rispetto alla sua vita. Voglia di fede c’è, voglia di essere comunità cristiana convinta per il bene dei giovani pure, ma impossibilità di incontro e di comunicazione da ambedue le parti. In quelle poche occasioni che ho avuto di fare qualche incursione in discoteca, in abito evidente da prete, ho sempre trovato giovani disposti e desiderosi di dialogare sulla fede, su Dio, sul senso della vita e questa è esperienza comune di molte persone e di luoghi in cui è impossibile trovare un segno di fede. Vale la pena di ricordare ancora ciò che dice Andreoli [2]. I giovani sono in «crisi di astinenza da fede…è necessario spacciare la fede». Lo spaccio non avviene agli occhi di tutti, nei luoghi solenni della vita istituzionale, ma nei meandri della realtà. La fede deve abitare lì e deve lasciarsi incontrare proprio lì. Non è opera solo del prete, ma della comunità cristiana.
    In genere, le esperienze di missione in questi ambienti sono condotte in gruppo. In questi anni si sono fatte esperienze molteplici di annuncio nei nuovi areopaghi elencate qui seguito.
    1. Missioni popolari condotte da giovani che vanno a incontrare personalmente gli amici in spiaggia, nei pub, nelle discoteche, nelle case, nelle piazze.
    2. Spettacoli musicali condotti nei luoghi di tutti su tematiche religiose e con capacità di dialogo.
    3. Annunci espliciti in discoteca di qualche prete o laico conosciuto come testimone della fede.
    4. Opere teatrali o musicali nei pub con comunicazione spontanea dell’esperienza di fede che ha motivato l’opera.
    5. Provocazioni e inviti esplicitamente religiosi durante le partite di calcio nelle curve.
    6. Marce e proposte esplicite di vita cristiana nei luoghi più malfamati, attraverso, per esempio, la Croce delle Giornate mondiali.
    Si potrebbe continuare l’elenco delle iniziative. A me preme far notare alcune scelte.
    1. La necessità che alle spalle di queste esperienze ci sia una comunità che sostiene gli annunciatori (i quali non devono mai sentrisi degli outsider) e che diventa sempre più accogliente di coloro che ascoltano l’annuncio. Purtroppo, spesso la comunità è talmente chiusa su di sé da deludere i neofiti, che giustamente hanno qualche pretesa di troppo, ma sicuramente hanno bisogno di una casa accogliente.
    2. La programmazione dei luoghi e spazi di crescita offerti dalla comunità, orientati a preparare annunciatori coraggiosi. La formazione alla missionarietà è uno stile di Chiesa, non la preparazione di venditori porta a porta; è fatta di tirocini formativi esigenti, di educatori che sanno stare in ombra e che sanno promuovere soprattutto il laicato. Occorre che siano grandi crocevia in entrata e in uscita.
    3. La consapevolezza che c’è un annuncio della fede che è fatto di condivisione della vita di tutti, entro i luoghi della vita quotidiana, scuola, lavoro, tempo libero, in cui ogni cristiano non può non essere quello che è per vocazione. L’annuncio non è una predica, ma una solidarietà di vita, una decisione di andare contro i disvalori e il coraggio di rispondere con gioia alla domanda: in nome di chi ti appassioni alla mia vita, alla vita di tutti, all’ambiente in cui vivi o lavori? E questo è di ogni cristiano ancor prima di pensare a progetti pastorali.

    3.3.2. Negli spazi informali dei giovani è possibile un percorso educativo oltre all’annuncio?

    Detto della missionarietà e dell’annuncio che non è questione di facciata o di buona azione estemporanea, ma di un atteggiamento costante e una dimensione necessaria della fede della comunità cristiana, ora, proprio per essere fedeli alla concezione sottesa alla nostra visione della pastorale giovanile che è quella della integrazione fede e vita, ci poniamo un’altra questione che riguarda i luoghi della pastorale giovanile. I nuovi areopaghi, quei luoghi «profani», vivi, necessari, laici, vivaci della vita del giovane sono solo terra di missione, cioè, luoghi in cui si va da cristiani a fare l’annuncio, in cui si porta del bene, ci si carica la responsabilità di inscrivervi valori oppure hanno essi stessi dentro le possibilità di diventare cammini di crescita in umanità e in esperienza credente?
    Per fare un cammino di fede occorre sempre uscire dalle relazioni quotidiane e inventarne di nuove nei nostri ambienti o è possibile dall’interno di esse scavare tutta quella parola di salvezza che dentro la storia è stata depositata dall’Incarnazione?
    Il giovane potrebbe essere aiutato ad esprimere la fede con criteri e modalità nuove, non ancora «benedette»? Le realtà temporali hanno in sé dei valori autonomi o debbono essere sempre benedetti per diventare cammini di crescita nella fede?
    Dobbiamo valutare se questi areopaghi (luoghi di aggregazione degli adolescenti e dei giovani, mondi vitali, spazi di grande comunicazione, luoghi di ritrovo, occasioni di incontro e di vita…) possono essere in se stessi spazi di educazione alla fede, oserei dire catechesi, se la parola non fosse troppo impegnativa e non evocasse immediatamente più gli strumenti che si utilizzano per proporla che il significato in sé? Oppure sono destinati a restare solo eventuali occasioni per invitare i giovani a una catechesi in parrocchia o nel movimento o luoghi in cui si può dire sempre una buona parola, che non fa mai male a nessuno, o in cui si può fare pastorale giovanile, nel senso di intrattenimento buonista e alla fine non all’altezza di un cammino di fede?
    L’idea e la pretesa che ci guida è che non ci accontentiamo di leggere negli areopaghi alcune vaghe possibilità di intrattenimento, innocuo dal punto di vista morale, quasi che un percorso di fede sia qualcosa che esige strutture appropriate, modalità univoche e gli areopaghi siano solo strumentali all’indice di gradimento dei giovani verso la religione, il prete, la parrocchia o il catechista, ma vogliamo scrivere seriamente entro la vita di questi mondi vitali la bellezza di un cammino di crescita nella fede. Altrimenti, abbandoniamo il lavoro e diciamo che si possono fare percorsi di crescita nella fede solo nelle associazioni, nei movimenti, con quei giovani che vengono nelle stanze della parrocchia, con i figli fortunati di genitori cristiani, che hanno momenti espliciti di riflessione sul vangelo e sulla fede in casa. Gli areopaghi nel caso diventano solo luoghi per accalappiare e vedere se possiamo dire il verbo «venite».
    Per semplificare il discorso mi immagino che per fare un cammino di fede degno di tale nome sia almeno necessario che ci siano tre elementi: l’annuncio della fede in Gesù o proposta esplicita, una continuità di riflessione, e una possibilità di sintesi sia cognitiva che celebrativa. Riguardo a questi tre elementi come si presentano i luoghi di vita dei giovani che abbiamo chiamato areopaghi?

    1. Riguardo alla proposta. Si tratta di vedere quali sono gli elementi che nell’areopago che vogliamo analizzare si prestano a fare un annuncio esplicito dell’evento di fede, della persona di Gesù, della salvezza. Infatti, in molti di questi ambienti di vita dei giovani esistono non poche domande, interrogativi, bisogni che offrono la «carne» in cui può prendere corpo una esperienza religiosa. Si passa dalla necessità di uscire dalla solitudine, al desiderio di essere accolti, alla attrazione determinante di modelli, alla voglia di vivere, alla solidarietà, al bisogno dell’altro, all’esigenza di libertà oltre ogni controllo, al desiderio di sperimentare gioco, amicizia, protagonismo, valorizzazione, attività concreta. Potremmo allungare l’elenco e prendere, quindi, coscienza come in ogni areopago, proprio perché è un tipico ambiente vitale dell’adolescente e del giovane ci si va proprio per trovare risposte a una vita aperta a tutto.
    La nostra domanda è: come queste attese possono approdare a una risposta di salvezza? È possibile facendo attenzione a non strumentalizzarli, ma coglierli per quello che sono, per i valori che hanno e a non affittare tutto a un eventuale animatore carismatico che risolve il problema. Per alcuni areopaghi esiste maggior facilità, forse dovuta al fatto che sono più vicini ai nostri modelli classici di catechesi (cf squadra sportiva, gruppo della sacra rappresentazione, piazzetta…); per altri sembra assolutamente impossibile (cf curva sud, sala giochi, band musicale, banda dei motorini…). Il segreto è nel modo di responsabilizzare i ragazzi rispetto alla loro vita, alla loro ricerca di felicità, all’attenzione alle domande profonde.
    Si tratta spesso soprattutto di ridare in mano ai giovani la propria esistenza perché non la subiscano, ma la vivano in prima persona. Esistono esempi di giovani della curva Nord che dal tifo per la squadra del cuore sono arrivati a una autentica professione di fede, dopo essere passati attraverso aggregazione, solidarietà, servizio. Il cammino può essere lungo, ma il sapore della vita alla fine compare. È possibile in tutti gli areopaghi fare un annuncio esplicito, purché dentro una relazione e condivisione profonda, una accettazione e stima dell’esperienza in atto, dentro una lettura cristiana della realtà. L’annuncio non deve essere un francobollo, ma una interpretazione nuova di quello che si vive, un suo approfondimento, una sua domanda, che trova in Cristo una proposta sorprendente (Ad esempio: in una squadra o in una curva Sud nella solidarietà o nell’amicizia si può arrivare a scorgere la presenza di una amicizia più grande, di una solidarietà senza defezioni come è quella di chi dà la vita per i suoi amici, la stessa solidarietà di squadra diventa solidarietà di aiuto a situazioni di emergenza, immagine concreta della solidarietà di Dio con l’uomo…).
    L’annuncio è non solo o soprattutto verbale, anche se deve essere percepito in maniera cosciente. A questo riguardo vanno approfonditi i diversi linguaggi utilizzati nell’areopago: corporeità, musica, solidarietà, fascino esercitato dai modelli, gioco… Le domande da farsi allora sono: quando una esperienza positiva di corporeità, quando una espressione musicale è vero annuncio di Gesù e di salvezza? Va pure approfondito che cosa significa annuncio di salvezza e come deve risuonare in me per essere salvifico (ad esempio: nella banda dei motorini, può essere decisiva una esperienza di gioia o di dolore in cui si fa riferimento esplicito a una pagina di vangelo).

    2. Circa la continuità. Si tratta di vedere se nella esperienza di questo luogo di vita quotidiana o areopago, nei momenti che la compongono, nelle iniziative e esperienze che la caratterizzano, si può riuscire a tenere un filo conduttore che fa da collegamento a approdi semplici e sporadici alla fede, a esperienze significative di salvezza incontrata. Il filo conduttore serve a costruire nell’adolescente e nel giovane un cammino, a dotarlo di atteggiamenti e non solo di comportamenti. La continuità è data spesso dal tipo di areopago, dalla sua vita naturale (cf una compagnia del muretto, una band musicale, una tifoseria…), dalla presenza costante di un giovane asimmetrico che vi si pone come educatore, all’amicizia che vi si sviluppa, alla solidarietà che vi viene esplicitata.
    Esistono degli adulti in questi areopaghi che possono fare da memoria storica, che possono mettere in fila le varie azioni compiute, le conquiste fatte, le involuzioni subite e far emergere un minimo di storia. Diceva Coupland[3] «o le nostre vite diventano storie, o altrimenti non c’è modo al mondo di viverle». Così è della vita di una aggregazione anche spontanea di giovani. La continuità è l’arte di fare una collana di momenti di fede, di risposte all’annuncio. È data da una progettualità minima di attività positive e di esperienze significative connaturali al tipo di areopago (ad esempio: nella curva sud, può essere una attività caritativa che nasce dalla solidarietà sperimentata nella tifoseria; nel gruppo della sacra rappresentazione la tensione spirituale della recita sacra, i dialoghi di camerino che traducono nella vita i sentimenti proposti nella rappresentazione…).

    3. Rispetto a una sintesi cognitivo-esperienziale. Si tratta di vedere se nell’areopago esiste qualche momento significativo che aiuta l’adolescente e il giovane a rendersi conto globalmente, coscientemente del cammino fatto. Può essere un momento che funge quasi da celebrazione e da elemento unificatore dell’esperienza. In molti luoghi di vita quotidiana esistono momenti di festa per una vittoria o per un risultato ottenuto, momenti di lutto inevitabili per qualche disgrazia che capita, momenti che fissano il tempo in una ricorrenza importante: il matrimonio, la nascita di un bambino, la conquista di una meta, il primo CD, la «prima» in un posto importante, la tensione per uno sforzo straordinario comune…
    Anche qui l’adulto asimmetrico o l’educatore è capace di far scattare quella molla che permette di dare un nome più profondo a ciò che si raggiunge, di celebrare anche quella ricerca difficile di fede che sta sempre sottesa e che in questi casi viene a galla quasi necessariamente. La sintesi può essere anche un momento esterno all’areopago, ma soprattutto deve aiutare l’adolescente e il giovane a percepire il bisogno di ulteriorità, di Dio e di una sua presenza nell’areopago e negli atteggiamenti che in esso si vivono.
    L’importanza dell’animatore o di un gruppo di animatori per favorire questi affondi nell’esperienza della vita quotidiana è fuori discussione, ma prima occorre trovare elementi che la realtà stessa mette a disposizione, che proprio perché sono tali hanno la possibilità di esprimere la carica potente di salvezza del vangelo e far parte di una sequenza di crescita. Solo in seguito si fa appello alla professionalità dell’animatore.
    Forse quello che abbiamo descritto è troppo debole rispetto a un percorso di fede. Per questo dobbiamo concludere che per fare educazione alla fede occorre riportarci nella «normalità» del gruppo parrocchiale? Che eravamo solo dei sognatori a pensare gli areopaghi luoghi di crescita anche nella fede? Che ci si deve spendere negli areopaghi solo per offrire un desiderio di ulteriorità che va cercata e incontrata, celebrata e vissuta altrove, in luoghi sacri, riparati dalla consuetudine con la vita quotidiana? Che le esperienze della vita sono solo occasioni e non luoghi di santità?
    Se chi fa vita di gruppo associativo o parrocchiale in Italia è solo il 5-10 % dei giovani, significa che gli altri non sono riusciti a crescere anche minimamente nella fede? La vita non è stata per loro strada di santità, palestra di crescita motivata, banco di prova? Grazie a Dio, questo è avvenuto con immani sforzi dei giovani, da soli, senza aiuto perché le nostre pastorali stavano comode nei loro luoghi chiusi a coltivare la pecorella rimasta, mentre le 99 erano fuori. Ha pensato Dio a saltare gli steccati e a chiamare i giovani alla fede in discoteca, sul posto di lavoro, nei ristoranti, nei pub, nelle squadre di calcio, nelle palestre, negli stadi, per le strade del mondo…
    Per chiarezza di esposizione si sono distinti molto bene i luoghi della comunità cristiana dagli areopaghi, ma la vita è un intreccio interessantissimo di tutto. I giovani sono per natura nomadi se non randagi e spesso passano da un ambiente, da una domanda all’altra, coniugano celebrazioni e preghiere intense a momenti di grande criticità e lontananza, sanno esprimere una fede profonda oggi e domani sentirsi smarriti e senza bussola. Alternano diffidenza e non conoscenza a intuizioni e decisioni radicali di sequela.

    3.4. L’animatore o educatore alla fede in questi nuovi spazi della pastorale giovanile

    I soggetti, gli operatori di una pastorale che si spende in questi luoghi non sono gli addetti ai lavori, ma un popolo di credenti, una rete di comunità interagenti e nuove figure educative. Tale scelta esige che la comunità cristiana, il popolo dei credenti e non i soliti quattro a cui si affitta il mondo giovanile, per avere la coscienza in pace, divengano responsabili della crescita nella fede dei giovani. I destinatari dei corsi per animatori di pastorale giovanile devono essere molto più eterogenei di quanto lo siano i giovani volonterosi che danno un po’ del loro tempo per tenere a bada un gruppetto o una classe di catechismo.
    Se i giovani che si vogliono incontrare non sono solo nei gruppi e nelle associazioni, ma sono anche quelli delle piazze e dei pub, della strada e del muretto, della festa e dell’incontro straordinario, dello spazio di aggregazione (leggi: oratorio o centro giovanile) e dello sport, del giorno e della notte, se si è allargata l’esperienza di contatto deve moltiplicarsi anche la figura dell’animatore.
    Occorre andare in cerca di una nuova generazione di animatori che non sognano immediatamente di «finire» in un gruppo, ma che devono star vivi su tutto il territorio, se vogliono intercettare i giovani e offrire loro ragioni di vita. Si tratta allora di genitori, di professori, di professionisti (baristi, musicisti, cantautori, gestori di discoteca, giornalai), di religiosi e religiose, di presbiteri che vogliono riprendere a dialogare coi giovani, di assessori alle politiche giovanili, di datori di lavoro, di responsabili di associazioni professionali, di allenatori sportivi, di proprietari di palestre, di personale scolastico non docente, di operatori nel settore non profit, di conduttori di consultori
    La vita del giovane deve essere popolata di figure educative, che hanno alcune caratteristiche che provo semplicemente ad elencare:
    Sono animatori destrutturati, veri missionari, che non vogliono ingrossare le fila di una qualsiasi organizzazione, fosse anche la Chiesa come istituzione, ma che vogliono spendersi perché la vita di tutti i giorni canti la salvezza a cui è chiamata in quanto tale e che, quindi, riescano a dare a queste piccole comunità di senso che sono gli areopaghi giovanili la possibilità di dirsi e di riversarsi nella comunità di tutti.
    Sono animatori soprattutto aperti, cioè, persone che sanno stare là dove sono i giovani, nei luoghi informali di mediazione, nei «corridoi», con l’atteggiamento dell’ascolto che definisce l’attività educativa come un lavoro di scenografia piuttosto che di regia. Sono degli incaricati dei consensi, operatori di mediazioni che hanno la possibilità di contattare risorse e favorire sintesi. Hanno in mente, con la loro presenza, di offrire condizioni per costruire possibili cammini di felicità per i giovani.
    Sono animatori che intervengono sui meccanismi di transazione dal mondo vitale (il gruppo, l’appartenenza calda e intimista, l’areopago stesso spesso chiuso su di sè) al sistema sociale e che fanno del lavoro in rete una professionalità. La transazione è attuata col codice dell’alterità, con la scoperta dell’altro da me, che ti aiuta a trovare i sistemi di valore e a manifestare l’adesione ad essi. È un codice potente che scatta quando si creano le condizioni del confronto tra progetti di vita. L’educazione in rete, in modo integrato non è portare alla omogeneità, ma individuare alcuni obiettivi da condividere con tutti.
    Sono animatori ricchi di verità più che di certezze, entro una spiritualità centrata su Cristo vivo nella propria umanità, meno prodotti confezionati pronti all’uso (magari con marchio d. o. c.), ma più capaci di mettersi in discussione e in relazione per creare collaborazione, meno competenti («quando sei pronto parti»), ma più itineranti: si fanno accompagnare e crescono con gli altri, più disponibili al confronto, perché consapevoli di non possedere tutta la verità, umili compagni di viaggio.
    Sono una domanda pressante e progettuale all’apertura dell’oratorio, della parrocchia o della zona pastorale, della scuola cattolica, dell’associazione o movimento, della comunità cristiana in genere a queste differenti modi di vivere dei giovani.
    Sono nuove figure educative, che permettono a molti giovani e adulti non specializzati in particolari discipline religiose di essere educatori-animatori, con gusti, attitudini, passioni, professionalità, abilità e, in ultima analisi, vocazioni diverse, per poter offrire alla comunità cristiana e ai giovani prospettive educative al di fuori del solito giro.

    3.5. Un compito da continuare

    A conclusione provo a offrire un elenco di areopaghi, alcuni dei quali sono stati da me affrontati in una serie di articoli pubblicati su Note di Pastorale Giovanile [4] o su il Gabbiano [5]per i quali ho già offerto alcune riflessioni e che possono diventare un campo di lavoro per proseguire in questa direzione.
    Educare i giovani alla fede nel bar, con il pellegrinaggio, in una radio locale, nei divertimentifici (spiagge, centri commerciali, aquasplash…), in una compagnia popolare di drammatizzazioni sacre, in un coro o complesso musicale parrocchiale e no, in una confraternita, in una banda del muretto, in una squadra sportiva, in un nuovo modello di camposcuola, in una aggregazione casuale o continuata per gite, trekking, turismo, ecologia, in una banda di supporter di una squadra di calcio, in un sezione della protezione civile, in una mailing list
    Alcuni di questi sono ancora gravitanti attorno alla parrocchia o alla comunità cristiana, ma non per questo sono sempre laboratori della fede, anzi sono a mio avviso, per noi educatori, una sorta di «coscienza sporca», perché i giovani che vivono in queste aggregazioni gravitano attorno ai nostri ambienti, vivono nei nostri oratori, ma non hanno nessuno che li faccia incontrare con Cristo. Se ne andranno via dalla comunità cristiana, senza aver potuto conoscere il suo centro e la sua ragione d’essere, ma soprattutto senza aver scoperto la vera felicità.
    Uno schema utile per trattare gli argomenti può essere quello qui descritto telegraficamente.

    3.5.1. La conoscenza dell’areopago

    Il fenomeno: descrizione dell’areopago fatta dall’interno in termini sociologici, antropologici, psicologici e culturali.
    Le motivazioni: lettura delle ragioni della presenza dei giovani e dell’importanza che assume per loro, del posto che gli offrono nella loro vita o nella stagione che stanno vivendo.
    Le energie che si sprigionano nel contesto creato dall’ambiente, dal rapporto tra loro, dall’obiettivo dell’areopago.
    Le difficoltà e le risorse che si incontrano nel condurlo in termini antropologicamente rilevanti e nel trovare spazi di ricerca religiosa.

    3.5.2. L’intervento progettuale formativo e il percorso possibile di fede

    L’obiettivo: definire dove si vuol arrivare in una meta possibile e definita già in se stessa dal tipo di areopago che si accosta.
    La valenza educativa: conoscenza di tutte le istanze educative che si porta naturalmente dentro e che possono essere messe in circolo.
    Le iniziative possibili da fare, tenendo conto delle collaborazioni da trovare in parrocchia o nella società civile.
    Le sfide da affrontare, le derive possibili, l’abbassamento di ideale che l’areopago porta naturalmente con sé, le semplificazioni antropologiche e affettive.
    La solidarietà, il dialogo che vi si sviluppano, i valori caratteristici, le aperture alla esperienza esplicita di fede.
    La figura dell’animatore, le caratteristiche professionali o spontanee che deve possedere per frequentare da presenza simmetrica l’areopago.
    Uno schema siffatto può sembrare astratto perché è uno schema, ma diventa immediatamente più concreto quando si analizza un areopago ben definito, che immediatamente apre interrogativi e possibilità che altri non hanno.


    4. L’INTERAZIONE CON IL TERRITORIO

    Non si può impostare una pastorale di questo genere se non si interagisce, non solo all’interno della comunità cristiana, la qual cosa è di una evidenza solare anche se non è attuata perfettamente(!?), ma anche con la realtà pubblica. Nessuno è autosufficiente nell’educare i giovani, anche alla fede. Non lo è la famiglia, non lo è l’oratorio, non lo è la scuola, nemmeno l’amministrazione pubblica o l’ASL.
    Occorre una sorta di costituente educativa, un tavolo attorno a cui ci si siede pariteticamente, giovani ed educatori, e ciascuno mette a disposizione le sue qualità, le sue risorse, le sue domande e i suoi progetti. I giovani sceglieranno i percorsi. L’educazione alla fede ha il suo diritto di proporsi per quello che è, anzi, spesso a una amministrazione pubblica manca proprio un punto di vista nuovo da cui guardare la realtà e che permette di approfondire e affrontare più positivamente le innumerevoli problematiche e crisi di astinenza del mondo giovanile. La fede è un dono gratuito, non è funzionale a niente, vale per la scelta libera e il dono che è, ma sa dare senso alla vita e ha sempre dimostrato grande capacità nel costruire uomini e donne, cittadini responsabili.


    Note
    1 Cf dossier di Orientamenti Pastorali, n. 7-8 del 2001.
    2 V. ANDREOLI, Giovani, Rizzoli, Milano, 1995.
    3 Cf D. COUPLAND, Generazione X, Oscar Mondadori, Milano, 1996.
    4 Cf la rivista del Centro Salesiano di Pastorale Giovanile nella serie di articoli, almeno 6, «Oltre la pastorale del bonsai» fine anni 1990.
    5 Quindicinale del Segretariato Oratori della diocesi di Brescia, un’altra serie di articoli della serie nuovi areopaghi, fine anni 1990.


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