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    La liturgia tra
    teologia e pastorale

    Giorgio Bonaccorso

    Il movimento liturgico e la riforma conciliare hanno riscoperto un'antica verità, ossia la dignità teologica della liturgia; hanno riscoperto che il «mistero creduto» dalla fede è il «mistero celebrato» dalla liturgia, che la presenza di Cristo nella storia è indissociabile dalla presenza di Cristo nel culto, che la salvezza di Dio trova una sua prima realizzazione nella lode e nell'adorazione della comunità celebrante. La dimensione teologica della liturgia, fondata su questi e altri elementi messi in evidenza dal documento conciliare Sacrosanctum concilium, viene inoltre associata, da questo medesimo documento, con quell'esigenza più pastorale che si preoccupa della effettiva partecipazione dei fedeli ai riti cristiani. Il mistero creduto e celebrato, infatti, non è un «oggetto» a cui aderire, ma un'esperienza in cui esser coinvolti; non è dissociabile dalla comunità che crede e celebra.
    La liturgia, la teologia e la pastorale intrecciano relazioni così profonde che, a ben vedere, risulta difficile trattare dell'una senza coinvolgere le altre. Se si osservano quelle relazioni dal punto di vista della celebrazione cristiana, si deve riconoscere che la liturgia è attraversata sia dalla dimensione «teologica» sia dalla dimensione «pastorale». Si deve però riconoscere, anche, che la teologia e la pastorale sono attraversate dalla dimensione «liturgica». Termini come «liturgia teologica», «teologia liturgica», «liturgia pastorale» e «pastorale liturgica» dipendono, spesso, dalla sottolineatura di questa o quella prospettiva. Altre volte, quei termini e la scelta di prospettiva indicano veri e propri modelli di scienza liturgica.

    La liturgia e la teologia

    La relazione tra la teologia e la liturgia è stata spesso debitrice della nozione di «luogo teologico» attribuito alla seconda. La manualistica, legata ai formulari dogmatici, ricorreva ai testi liturgici per confermare alcune affermazioni teologiche che nascevano in altri contesti; la teologia di quei manuali decideva i propri contenuti «prima» e «indipendentemente» dalle celebrazioni della chiesa, e, successivamente, cercava nella liturgia la conferma («luogo teologico») di ciò che aveva già deciso. La debolezza di questa prospettiva stava nel fatto che assumeva come secondario ciò che appartiene alla vita più intima della chiesa e all'origine della fede. Se si vuol fare ricorso alla nozione di «luogo teologico» occorre intenderlo in modo più originario e profondo, considerando la liturgia come «luogo» da cui prende avvio la riflessione «teologica» [1]. Questa soluzione, però, investe diverse questioni che sono state dibattute nell'ambito degli studi liturgici, soprattutto dopo la vicenda conciliare, e che qui sintetizziamo attraverso una doppia polarità: quella tra liturgia teologica e teologia liturgica, e quella tra teologia «della» e teologia «dalla» liturgia.

    La liturgia teologica e la teologia liturgica

    La doppia formulazione, di liturgia teologica e di teologia liturgica, risale al confronto tra C. Vagaggini [2] e S. Marsili [3], e, soprattutto, all'interpretazione che quest'ultimo fa del pensiero di entrambi. La posizione scontata, che Marsili attribuisce a Vagaggini, è quella della liturgia teologica, in cui sembra prevalere l'ottica del confronto: la liturgia è teologica perché da un attento confronto emerge che la prima ha le medesime caratteristiche della seconda. Al centro, ovviamente, è la fede nella rivelazione di Dio avvenuta attraverso la storia della salvezza: la teologia rileva gli elementi portanti della rivelazione storico-salvifica, e la liturgia scopre la propria connaturalità con quegli elementi. Da questo punto di vista, la dignità teologica della celebrazione cristiana dipende dal fatto che questa assomiglia a ciò che la teologia sa «già» della fede cristiana.
    L'obiezione marsiliana riguarda proprio questo sapere teologico; come fa, infatti, la teologia a conoscere le caratteristiche della fede, le caratteristiche della rivelazione storico-salvifica, se non attinge, oltre alla sacra Scrittura che narra gli eventi salvifici del passato, alla «celebrazione liturgica» in cui avviene l'attualizzazione di quegli eventi nel presente? Marsili sostiene che è la teologia ad aver bisogno della liturgia, intesa come fonte da cui attingere la propria dottrina. Più che la liturgia a essere teologica, dunque, è la teologia a essere liturgica, o, almeno, anche liturgica. Da questo punto di vista, la teologia liturgica rovescia la liturgia teologica, appellandosi al primato della celebrazione.
    Si rende però necessaria subito una precisazione. Questo primato della liturgia sulla teologia non è da intendersi come dipendenza della riflessione teologica dai testi liturgici; per quanto questi ultimi siano importanti, non esauriscono la realtà della celebrazione cristiana, la quale è, anzitutto, azione rituale in cui si rende presente «sacramentalmente» il mistero pasquale. L'«azione rituale», in quanto «presenza sacramentale», riveste il valore di fondamento della riflessione teologica. Il legame più immediato, ovviamente, è tra la liturgia e la teologia sacramentaria. Per questo motivo, soprattutto a partire dagli anni '70, si è fatta sempre più viva la consapevolezza che non è possibile condurre una corretta riflessione liturgica senza fare ricorso alla teologia sacramentaria, ma soprattutto risulterebbe anomalo costruire una riflessione sui sacramenti prescindendo dal luogo in cui essi vengono celebrati [4].
    La teologia liturgica, intesa come «scienza», realizza in modo consapevole ciò che è implicito in quel nodo tra liturgia e teologia che è il sacramento. E lo realizza avvalendosi di una polarità fondamentale: quella tra l'esperienza storica e la riflessione teorica. La celebrazione sacramentaria è il luogo dell'esperienza storico-salvifica, dato che in essa si rende presente l'intera storia della salvezza e, in particolare, la pasqua di Cristo; la teologia interviene come riflessione su questa esperienza. Se vi è una teologia della liturgia, vi è dunque, anche una teologia dalla liturgia.

    La teologia «della» liturgia e la teologia «dalla» liturgia

    La teologia liturgica si dibatte tra il tentativo di intendere «teologicamente» la liturgia e il tentativo di intendere «liturgicamente» la teologia. Questo dibattito, come è stato giustamente segnalato, può venire tradotto nell'alternativa tra una teologia del culto e una teologia dal culto [5]. È incontestabile, e ormai abbastanza scontata, la possibilità di considerare le celebrazioni della chiesa da un punto di vista teologico (una teologia del culto). Più rimarchevole, e anche discutibile, risulta la tesi secondo la quale la teologia, nel suo insieme, viene dalla celebrazione o, più esattamente, dalla dinamica che caratterizza la liturgia (una teologia dal culto). In questo versante troviamo un interessante lavoro di G. Wainwright [6]. Se la teologia riflette sulla relazione tra Dio e l'uomo, e il modo originario di questa relazione è costituito dal dialogo orante con cui il credente si rivolge al suo Signore, ossia dall'atteggiamento dossologico e adorante della creatura verso il Creatore, si deve riconoscere che la teologia deve fondarsi e costruirsi su questo dialogo orante e adorante: la teologia deve essere pensata «dossologicamente».
    La teologia liturgica, anche quando non si spinge fino a questa ambiziosa prospettiva, rimane interessata alla capacità del culto cristiano di condizionare il pensare teologico; essa, anzi, può esistere solo grazie a questo condizionamento che, tra l'altro, le consente di tornare al suo oggetto, ossia la celebrazione, con occhio critico ma non esterno. Qui emerge un fatto importante: la liturgia, per un verso, è fonte della teologia e, per un altro verso, si lascia esaminare criticamente dalla teologia. Un recente saggio di teologia liturgica ha evidenziato questa dinamica, riconducendola al gioco tra testo e contesto [7]. Tutto il saggio è costruito sulla doppia tesi, secondo cui: a) «il contesto liturgico è il testo» e, sul versante della riflessione, la teologia si costruisce a partire dalla liturgia (prima parte); b) «il testo modella il contesto» e, sempre sul versante della riflessione, la teologia svolge un ruolo critico sulla liturgia (seconda parte).
    Il presupposto che tiene aperto il dibattito tra teologia e liturgia, in quest'ultima formulazione, come nelle precedenti, è costituito dalla specificità del fatto liturgico. Se questa specificità esiste, e ha un valore originario e irrinunciabile per la fede, la teologia deve renderne conto, non costruendo una legittimazione astratta del culto, ma esibendo le ragioni del perché la fede debba essere vissuta nella forma della celebrazione, nella forma del rito. Ogni «perché» autentico, però, risiede in una «domanda» originaria sull'uomo. È l'uomo, prima ancora del cristiano, che esige di celebrare ciò in cui crede; ed è per questo, in primo luogo, che il cristiano esige di celebrare il mistero della propria fede. Questa rivisitazione della fede in ordine all'esperienza umana, scaturita dal percorso teologico-liturgico, ci colloca già al centro della preoccupazione pastorale, che riguarda appunto la relazione tra la fede e l'uomo chiamato ad abbracciarla.

    La liturgia e la pastorale

    L'interesse pastorale per la liturgia è nato molto prima del «perché» di cui si è parlato sopra; negli anni precedenti il concilio Vaticano II, esso si è configurato prevalentemente come tentativo di rendere comprensibili quei riti i cui contenuti, per la maggior parte dei cristiani, erano diventati estranei all'intelligenza della fede. L'affermazione di tanti che pur professandosi cristiani (fede) non sentivano e non sentono la necessità di andare a messa (liturgia), costituiva e costituisce un segnale abbastanza evidente di quella estraneità. Le prime risposte, però, si sono mosse troppo affrettatamente sul versante della «spiegazione» delle singole parti della celebrazione [8] e troppo poco verso la «comprensione» del fatto celebrativo nel suo complesso. Lo stesso concilio Vaticano II si presta a molteplici interpretazioni [9].
    L'interesse centrale, che emerge fin dall'inizio del rapporto tra pastorale e liturgia, è rappresentato dalla comunità celebrante [10]. Un interesse che può essere considerato secondo prospettive pastorali diverse e che porterebbero a parlare, in parallelo col paragrafo precedente, di liturgia pastorale e di pastorale liturgica. Si tratterebbe, però, di una scelta infelice, data l'ambiguità d'uso delle due diciture. Ciò che riguarda la «comunità celebrante» dovrebbe rientrare entro il più vasto ambito pastorale della vita della chiesa, e, quindi, bisognerebbe parlare di liturgia pastorale, anche là dove questo o quello studioso utilizza la versione opposta di «pastorale liturgica» [11]. In altri casi, è la pastorale a essere condizionata dalla specificità della liturgia, o almeno dalla dimensione rituale dell'uomo, e, quindi, bisognerebbe parlare di pastorale liturgica, anche se gli autori che si muovono in questa prospettiva ricorrono all'espressione «liturgia pastorale» [12].
    Per questi motivi si è preferito adottare un'altra terminologia che coinvolge il termine «cultura», dato che il problema della pastorale, per tutte le attività della chiesa, è sempre quello del rapporto della fede, e della sua celebrazione, col mondo culturale a cui appartiene questa o quella comunità cristiana. Si farà, quindi, ricorso al culto, alla cultura, e alla loro relazione bidirezionale [13].

    Dal culto alla cultura: la qualifica pastorale della liturgia

    Come è stato giustamente osservato, vi è tanto una qualificazione pastorale della liturgia quanto una qualificazione liturgica dell'attività pastorale della chiesa [14]. Anzitutto, si ha il movimento più ovvio, che riguarda l'apertura del culto alla cultura, e che privilegia la qualifica pastorale della liturgia. Afferma giustamente J. Gélineau che la pastorale liturgica non limita «il proprio oggetto al solo momento della celebrazione, ma si occupa di tutta la vita del cristiano per educarlo a saper comunicare con Dio attraverso i segni sacri» [15]; e «tutta la vita del cristiano» non è disgiungibile dai modelli culturali che la società di appartenenza gli ha trasmesso [16].
    Vi è anche una famosa tesi storica, sostenuta da J. Jungmann, secondo la quale proprio la preoccupazione pastorale della chiesa costituirebbe la chiave per comprendere le vicende, talvolta insolite, che sono alla base delle diverse forme liturgiche presenti nel bimillenario cammino della comunità cristiana [17]. La storia, quindi, avvalora la qualifica «pastorale» della liturgia. Ma la storia è, anzitutto, un variegato percorso culturale, anzi multiculturale; la preoccupazione pastorale della chiesa è stimolata, spesso, dal succedersi delle epoche [18], e questo, per la liturgia, implica l'apertura del culto alla cultura. Un'apertura sollecitata anche dalla prospettiva più «sociale». E stato infatti osservato che la liturgia è azione, non nel senso di «pratica» puramente ripetitiva, ma nel significato più profondo di «prassi» critico-trasformativa; ciò impedisce al culto di rimanere indifferente all'ambiente socio-culturale che la circonda [19].
    La conseguenza più rilevante è l'apertura della pastorale liturgica alle discipline antropologiche che esaminano il vissuto umano e la cultura di appartenenza di tale vissuto [20]. A questo proposito si è parlato anche di antropologia della liturgia e di antropologia liturgica [21]. La sottolineatura va posta sul fatto che, in tale prospettiva, la componente «umana» non viene trattata come esterna e successiva alla definizione del culto, ma come interna e indispensabile alla corretta comprensione della celebrazione. In altri termini, la pastorale liturgica garantisce quel polo umano che risponde alla logica del sacramento (umano e divino) e senza il quale non esiste la realtà liturgica. Prende, così, sempre più forza il principio secondo il quale la comunità celebrante è parte integrante del mistero celebrato.
    La conseguenza epistemologica è evidente: la teologia liturgica, interessata al mistero celebrato, non può più procedere legittimamente nel proprio percorso di ricerca e di riflessione, senza incontrare e interagire con la pastorale liturgica, interessata alla comunità celebrante. Le scienze umane, che fanno della pastorale un elemento irrinunciabile della teologia, non sono però in grado di sostenere questo loro ruolo se si limitano a esaminare le culture e le società nelle loro diverse e complesse dinamiche interne. La liturgia, infatti, rimane una realtà che, anche dal punto di vista antropologico, non si lascia omologare alle altre componenti sociali e culturali.
    Su questo punto emerge il limite di alcune posizioni esaminate sopra. In esse, infatti, si individuano le ragioni che rendono rilevante la cultura per il culto, ma non ci si interroga sul perché la celebrazione cristiana interagisca con la società e con la storia, invece di esserne assorbita; non ci si interroga sul perché il culto sia rilevante per la cultura proprio in quanto «culto», ossia in quanto fenomeno umano e culturale specificamente diverso dagli altri fenomeni umani e culturali. Ora, una pastorale liturgica che ricorra alle discipline antropologiche in modo adeguato al proprio intento, che è sempre la celebrazione, non può sottrarsi a quell'interrogativo. Da questo punto di vista, l'approccio pastorale dovrà esibire la propria qualifica specificamente «liturgica», non rimettendosi, però, a considerazioni teologiche, ma rimanendo entro le coordinate antropologiche.

    Dalla cultura al culto: la qualifica liturgica della pastorale

    L'interesse centrale della pastorale liturgica è, indubbiamente, la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni della chiesa; si tratta, però, di precisare che tipo di partecipazione esiga quel contesto particolare che è la celebrazione. I riti religiosi in genere e quelli cristiani in particolare richiedono sempre un processo di iniziazione, a causa della loro natura specifica; è evidente che anche il modo della loro partecipazione sia qualcosa di specifico e non omologabile ad altri contesti sociali. Per questo motivo, risulta preziosa l'osservazione di D. Sarto-re, secondo il quale l'oggetto formale della pastorale liturgica è costituito da «tutto ciò che nell'esistenza cristiana e nell'attività ecclesiale emerge come espressione ritualizzata» [22]. L'attenzione alla cultura, quindi, non potrà andare disgiunta dalla preoccupazione di cogliere ciò che nell'esistenza quotidiana dell'uomo favorisce quel momento particolare che è il culto rituale.
    In questa prospettiva, le discipline antropologiche vengono interpellate soprattutto in riferimento all'esperienza religiosa e alle sue mediazioni simbolico-rituali, così come emergono dall'esame delle società e delle culture, antiche e recenti [23]. Il passaggio dalla cultura al culto, quindi, non significa l'abbandono della prima, ma un più maturo coinvolgimento della prima in ordine alla specificità del secondo. La pastorale liturgica che nasce da questa nuova formula, consente di evitare la dicotomia tra culto e cultura, che spesso finisce per risolversi nella supremazia di uno dei due poli: o la chiusura della liturgia rispetto a qualsiasi provocazione culturale, o il suo assorbimento nei problemi sociali attuali.
    Il superamento di tale dicotomia consente anche di riconsiderare la questione centrale della formazione liturgica, ossia dell'educazione alla «forma liturgica» della fede [24]. Il simbolo e il rito emergenti dalle trame antropologiche della cultura (delle culture) consentono di rivitalizzare quegli atteggiamenti che abilitano il credente a celebrare ciò in cui crede. La dimensione liturgica della fede nasce in quella dinamica secondo la quale gli eventi più rilevanti e fondamentali dell'esistenza umana vengono rivissuti negli atti simbolici che li celebrano. In tale prospettiva si dischiude anche un via risolutiva alla domanda teologico-liturgica sul perché la fede si esprime necessariamente in azioni simbolico-rituali. In altri termini, si ottiene un singolare incontro tra la prospettiva pastorale della liturgia, rivolta al perché nelle diverse culture emerge il fenomeno cultuale, e la prospettiva teologica della liturgia, interessata al perché la fede ha bisogno del culto.
    Questo incontro consente di riformulare l'impianto globale della scienza liturgica [25].
    L'approccio teologico e l'approccio pastorale alla liturgia si coniugano proprio là dove traspare la specificità «antropologica» del culto all'interno della cultura, là dove non si cede né alla forza centripeta della cultura né alla forza centrifuga del culto, ma si ascolta l'uomo nella sua qualità di creatura disponibile al mistero. È così che la liturgia, come vuole il concilio Vaticano II (in Sacrosanctum concilium, 2) «contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera chiesa, che ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia, pellegrina».

    NOTE

    1 Per questo dibattito cf. A. STENZEL, La liturgia come luogo teologico, in Mysterium salutis. Nuovo corso di dogmatica come teologia della storia della salvezza, II, ed. J. FEINER-M. LOHRER, Queriniana, Brescia 1968, 145-165; G. LUKKEN, La liturgie comme lieu théologique irremplagable, «Questions liturgiques», 56 (1975) 97-112.
    2 Cf. Il senso teologico della liturgia. Saggio di liturgia teologica generale, Paoline, Roma 1957.
    3 Cf. soprattutto Teologia liturgica, in Nuovo dizionario di liturgia, ed. D. SARTORE-A.M. TRIACCA, Paoline, Roma 1984, 1508-1525.
    4 Si pensi alla programmazione dell'Institut Supérieur de Liturgie di Parigi, cf. Théologie des sacrements et sciences humaines. Le travail de l'Institut Supérieur de Liturgie de Paris, «La Maison-Dieu», 28 (2/1972) 154-155. Cf. anche P.-M. GY, Problèmes de théologie sacramentaire, «La Maison-Dieu», 28 (2/1972) 129-142; E. RUFFINI-E. LODI, «Mysterion» e «Sacramentum». La sacramentalità negli scritti dei Padri e nei testi liturgici primitivi, Dehoniane, Bologna 1987; S. UBBIALI, Liturgia e sacramento, «Rivista liturgica», 75 (1988) 297-320.
    5 Cf. D.W. FAGEBERG, What is Liturgical Theology? A Study in Methodology, The Liturgical Press, Collegeville 1992, 23-142.
    6 Si veda il lavoro di G. WAINWRIGHT, Doxology. The Praise of God in Worship, Doctrine and Life, Epworth Press, London 1980.
    7 Cf. K.W. IRWIN, Context and Text. Method in Liturgical Theology, The Liturgical Press, Collegeville 1994.
    8 Si pensi agli «apostolati liturgici», cf. L. DELLA TORRE, Liturgia pastorale e pastorale liturgica nella costituzione conciliare «De sacra liturgia», «Rivista liturgica», 51 (1964) 64.
    9 Cf. R. TAGLIAFERRI, Quale modello di pastorale emerge dal concilio? Riflessione di «ermeneutica» conciliare, «Rivista liturgica», 79 (1992) 25-38.
    10 Qui vale quanto, in altro contesto, ha affermato E. RUFFINI: «Non basta moltiplicare i brani di lettura, non basta annunciare la parola di Dio in lingua parlata, non basta neppure attualizzarla mediante intelligenti commenti omiletici; occorre trovare delle forme celebrative che consentano alla parola di Dio di agganciare l'assemblea, di giudicarla e di scuoterla nel momento stesso della celebrazione», Teologia dei sacramenti e liturgia, in Teologia e liturgia. Rapporti interdisciplinari e metodologici, Dehoniane, Bologna 1974, 115.
    11 Si pensi a A.-M. ROGUET, La pastorale liturgica, in La chiesa in preghiera. Introduzione alla liturgia, ed. A.G. MARTIMORT, Desclée, Roma 1963, 246-261.
    12 È il caso di quell'indirizzo di pensiero teso a sottolineare le caratteristiche del «mistero» e della sua forma espressiva più adeguata, come emerge in diversi punti della miscellanea curata da P. VISENTIN-A.N. TERRIN-R. CECOLIN, Una liturgia per l'uomo. La liturgia pastorale e i suoi compiti, Messaggero-Abbazia di S. Giustina, Padova, 1986.
    13 Cf. D. POWER, Cult to Culture: The Liturgica! Foundation of Theology, «Worship», 54 (1980) 482-495.
    14 Cf. L. DELLA TORRE, Pastorale liturgica, in Nuovo dizionario di liturgia, ed. D. SARTORE-A.M. TRIACCA, Paoline, Roma 1984, 1047-1051.
    15 La pastorale liturgica, in Nelle vostre assemblee. Teologia pastorale delle celebrazioni liturgiche, ed. J. GELINEAU, Queriniana, Brescia 1970, 39.
    16 Cf. J. GÉLINEAU, La liturgia, domani. L'evoluzione delle assemblee cristiane, Queriniana, Brescia 1976, 18.
    17 Cf. Eredità liturgica e attualità pastorale, Paoline, Roma 1962, 557.
    18 Per questo motivo, si può scrivere, come ha fatto B. NEUNHEUSER, una Storia della liturgia attraverso le epoche culturali, C.L.V.-Edizioni Liturgiche, Roma 1977.
    19 Cf. C. FLORISTAN, Pastorale liturgica, in La celebrazione nella chiesa: I. Liturgia e sacramentaria fondamentale, Elle Di Ci, Leumann 1992, 567-614.
    20 Cf. A. HAUSSLING, Die kritische Funktion der Liturgiewissenschaft, in Liturgie und Gesellschaft, ed. H.B. MEYER, Tyrolia Verlag, Innsbruck-Wien-München 1970, 125-126.
    21 Così Marsili definisce la posizione di E. Ruffini, cf. S. MARSILI, Teologia liturgica, cit., 15-22. Si veda anche M.-D. CHENU, Anthropologie de la liturgie, in La liturgie après Vatican Bilans, études, perspectives, ed. J-P. JOSSUA-Y. CONGAR, du Cerf, Paris 1967, 159-177.
    22 Concetto di pastorale liturgica. Riflessione epistemologica a partire dal dibattito contemporaneo, «Rivista liturgica», 79 (1992) 22.
    23 La pastorale liturgica può ottenere ottimi risultati, anche sotto il profilo epistemologico, dal confronto con discipline come la fenomenologia della religione e l'antropologia del simbolo e del rito; cf. A.N. TERRIN, Per un apporto delle scienze umane alla fondazione della liturgia pastorale, in Una liturgia per l'uomo. La liturgia pastorale e i suoi compiti, ed. P. VISENTIN-A.N. TERRIN-R. CECOLIN, Messaggero-Abbazia di S. Giustina, Padova 1986, 132-155.
    24 Cf. R. GUARDINI, Formazione liturgica. Saggi, O.R., Milano 1988. In questa linea si pone anche un recente sussidio, curato dall'Associazione professori e cultori di liturgia: Celebrare in spirito e verità. Sussidio teologico-pastorale per la formazione liturgica, C.L.V.Edizioni Liturgiche, Roma 1992.90/65
    25 Un modello segnalato in alcuni lavori abbastanza recenti; cf., per es., G. BONACCORSO, Introduzione allo studio della liturgia, Messaggero-Abbazia di S. Giustina, Padova 1990; Celebrare il Mistero di Cristo: I. La celebrazione: introduzione alla liturgia cristiana, ed. Associazione professori di liturgia, C.L.V.-Edizioni Liturgiche, Roma 1993.


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