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    Memorie di

    un periodo "ruggente"

    Franco Garelli


     

    1. Confesso di aver vissuto con grande intensità la collaborazione con la rivista “Note di Pastorale Giovanile”. Era l’inizio degli anni ’70, un periodo ruggente, ricco di fermenti e di grandi tensioni, frutto sia delle speranze del Concilio Vaticano II sia di una contestazione studentesca che stava rivoluzionando un mondo. Allora frequentavo l’università e come tanti miei amici credenti ero alla ricerca di un ‘luogo’ fecondo in cui riflettere su che cosa stava succedendo, a livello personale, ecclesiale e nella più ampia società. Ecco il retroterra umano in cui mi è giunto l’invito da parte del prete-amico Riccardo Tonelli a dedicare un po’ del mio tempo alla redazione di NPG.
    La rivista stava prendendo quota (dopo gli anni iniziali), all’interno di un humus salesiano particolarmente effervescente a Valdocco. Si lavorava fianco a fianco con don Carlo Fiore, grande ideatore della rivista Dimensioni Oggi (poi Dimensioni Nuove), che ha rappresentato – anche negli anni più caldi della contestazione politica ed ecclesiale – il mondo visto dai giovani. Una rivista modernissima, libera e liberante, non clericale; una vera e propria “agorà” per giovani che intendono essere protagonisti del loro tempo, vogliosi di dire la loro anche in campo religioso. Sempre a Valdocco, erano gli anni clou di don Francesco Meotto, famoso direttore editoriale della SEI, che pubblicava nel periodo libri di grande successo: da Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori a Viaggio intorno all´uomo di Sergio Zavoli, Testimone del tempo di Enzo Biagi, Dio esiste io l´ho incontrato di André Frossard, La forza di amare di Martin Luther King, Cristo è vivo di Michel Quoist.
    Ma oltre all’effervescenza culturale, la Torino salesiana del tempo era ricca di vitalità associativa. Gli oratori di don Bosco, ben sparsi nella periferia, erano ancora assai affollati; l’Operazione Mato Grosso si stava radicando anche nel nostro territorio (grazie ad alcuni preti di vivace temperamento umano e spirituale) e ci immetteva in un orizzonte più ampio e globale di liberazione; mentre la Comunità di Taizé esercitava un grande fascino per i gruppi ecclesiali locali, era il luogo prezioso di un confronto generazionale ‘senza confini’ che scopriva il “dinamismo del provvisorio”. Insomma, non si può proprio dire che quella non fosse una stagione per giovani.

    2. I fermenti del periodo erano ben avvertiti da don Tonelli e dalla sua rivista NPG. In una situazione in gran movimento occorreva superare una pastorale tesa a conservare l’esistente, dare più spessore alla riflessione e alle convinzioni religiose, connettere maggiormente la proposta al vissuto delle persone e ai cambiamenti in atto nella società. Non vi era chiusura o un pregiudizio negativo nei confronti della cultura dell’epoca, ma si avvertiva l’urgenza di operare – diremmo oggi – un profondo discernimento, per cogliere le sfide (dall’esito incerto) che essa portava alla coscienza credente. I gruppi ecclesiali stavano entrando in una fase di fibrillazione, a fronte di una contestazione operaia e studentesca che metteva in discussione l’ordine esistente, indeboliva il concetto di autorità (anche religiosa), considerava il cambio delle strutture come propedeutico ad attuare un diverso modo di vivere. Soprattutto si coglievano i sintomi di uno stile giovanile (particolarmente incline alla ricerca della felicità qui e ora e ad una prospettiva immanente di realizzazione) che poteva depotenziare i riferimenti religiosi. Tutti tratti di una controcultura che nel breve periodo avrebbe posto i gruppi ecclesiali di fronte al dilemma di dove si stesse di fatto ‘scrivendo’ la storia: se nel recinto degli ambienti religiosi, ancorati alle attività formative e solidaristiche (che erano vissute quasi come una supplenza sociale), oppure nella società più ampia e più laica, dove prevaleva l’impegno politico vero e proprio (nei quartieri, nel sindacato, nella controcultura, nella lotta contro le istituzioni). Di qui la diaspora dai luoghi ecclesiali che poi ha coinvolto molti giovani credenti (e non pochi preti), a seguito della sensazione diffusa che i credenti stessero scivolando ai margini delle dinamiche che contano.

    3. La riflessione a Note di Pastorale Giovanile su questi temi (che si è sviluppata nel tempo in modo più ondivago rispetto a questa mia ricostruzione ex-post) è stata resa possibile grazie all’ingresso in redazione di alcune figure di preti e di laici particolarmente sensibili alle sfide culturali e religiose del periodo. È stato questo un indubbio merito di don Tonelli, che all’inizio degli anni ’70 ha creato un gruppo interno ricco di presenze significative, invitando inoltre altre figure di rilievo a interagire di volta in volta su temi specifici e a collaborare alle varie iniziative. Tra il nucleo base della redazione ricordo in particolare il prof. Mario Pollo, esperto appassionato di animazione giovanile; i coniugi Castellani (lui docente al Politecnico di Torino, che diventerà poi sindaco di Torino negli anni ’90; lei psicologa nei servizi pubblici) esponenti di un laicato dalla fede adulta e costruttiva; e don Bartolino Bartolini, sacerdote aperto ed entusiasta, filosofo di formazione e responsabile dei progetti audiovisivi di tipo catechistico ed educativo dell’Elledici. In parallelo, tra gli esterni, cito don Fiore, Giancarlo Negri e don Claudio Bucciarelli (docenti di catechetica), don Guido Gatti e Giannino Piana (docenti di morale), il grafico Guerrino Pera; solo per ricordare le figure di maggior rilievo. Quella di NPG, dunque, era una redazione a geometria variabile, con un gruppo sufficientemente stabile di persone (tra cui appunto qualche giovane come me) che interagiva con esperti di competenze diverse che condividevano e arricchivano il progetto della rivista.

    4. La redazione di NPG degli anni ’70 ha avuto senza dubbio una funzione pensante, perlopiù intesa come accompagnamento e reazione alle intuizioni pastorali via via avanzate da don Tonelli, che è stato in questo campo un vero e proprio apripista teorico-progettuale a livello nazionale. Si è trattato comunque di un disegno progettuale sempre verificato nella sfera del possibile e del praticabile, tipico di una proposta che non rinuncia ai grandi principi ma che nello stesso tempo si interroga su come essi possano agire nelle situazioni date. In questo quadro, era forte l’esigenza di individuare delle linee di pastorale giovanile capaci di rispondere alle sfide culturali e religiose più rilevanti del periodo, nel doppio tentativo di evitare da un lato una progettualità asettica e astratta e dall’altro un’idea di pastorale priva di riferimenti portanti.
    L’importanza attribuita ai contenuti si coglie dai temi via via trattati nei numeri della rivista, da cui emerge il radicamento cristiano/teologico dell’animazione giovanile, una proposta pastorale che mira a integrare fede e vita, la necessità di educare alla fede dentro una dinamica di umanizzazione ecc. Ma oltre a questi principi ispiratori, vi è stato un grande investimento da parte della rivista nel cercare di cogliere il vissuto dei giovani (quelli che allora erano considerati ‘i destinatari’), le loro attese e difficoltà rispetto ad un orizzonte di fede, il loro contenzioso con la chiesa, gli ambiti di impegno sociale e religioso più in grado di attivare il protagonismo giovanile dell’epoca.

    5. Emerge così l’altra faccia della redazione della rivista, la sua vocazione ad essere in quel periodo non soltanto un gruppo “pensatoio” (come si ironizzava allora), ma anche un polo di riferimento per i gruppi ecclesiali in ricerca e un laboratorio di strumenti atti a rendere comprensibile e applicabile la proposta.
    Grazie alla diffusione della rivista, siamo entrati in quegli anni in contatto con quasi quaranta gruppi ecclesiali sparsi sul territorio nazionale (alcuni di matrice salesiana, altri di parrocchie diocesane), dando vita ad uno scambio comunicativo e formativo di grande rilievo, il cui culmine si è avuto nella partecipazione ogni anno di alcune centinaia di giovani di provenienza diversa a due campi scuola organizzati da NPG nell’alta Val di Susa, uno invernale e l’altro estivo. Erano esperienze ad alto tasso di coinvolgimento riflessivo ed emotivo, scandite da momenti di preghiera/silenzio e di confronto umano e associativo, anche di studio teologico. La nostra Bibbia del periodo era il libro di Philippe Roqueplo: Esperienza del mondo: esperienza di Dio?.
    In parallelo ai campi scuola, insieme a don Tonelli alcuni di noi hanno attraversato in lungo e in largo il Belpaese, sia per mantenere i legami con i diversi gruppi (o per rispondere a loro richieste), sia per raccogliere le esperienze più significative di pastorale giovanile (o di impegno dei giovani nel vari settori della società) presenti nei diversi territori. Così sono nati i più interessanti casi studio di cui si è occupata la rivista in quegli anni, rappresentati dal coinvolgimento di vari gruppi ecclesiali nelle lotte di quartiere degli anni ’70 (quando si proponeva e praticava una democrazia di base); dall’esperienza di un impegno educativo (a scuola e nei doposcuola) caratterizzato in senso più politico rispetto al passato, teso cioè a ridurre le diseguaglianze e a denunciare i limiti del sistema; dalle difficoltà che incontra un credente nel coniugare fede e impegno politico in un’epoca di disincanto nei confronti delle istituzioni.
    Inoltre, sempre in quegli anni vi è stata un’intensa attività di produzione di strumenti e sussidi (a quel tempo in formato perlopiù cartaceo e con ampio uso del ciclostile) per tradurre in immagini e riflessioni una proposta formativa capace di far breccia sugli adolescenti e sui giovani. Sussidi realizzati con mezzi poveri, ma ricchi di fantasia e di passione, i cui titoli e le cui tematiche rendono l’idea dei nodi critici del periodo. Tra questi, Ecco l’Uomo. Alla scoperta dell’identità cristiana, La società in cui viviamo, Pregare o agire? L’impegno politico del cristiano, Il Regno di Dio non si esaurisce nella liberazione politica, Progetto uomo, ecc.

    6. La proposta formativa di NPG era incentrata su alcuni imperativi culturali e religiosi degni di grande considerazione, cui in parte ho già accennato.
    Anzitutto l’idea che nell’educazione alla fede (in questo caso alla fede cristiana) occorra dare ampio spazio ai contenuti religiosi, a quell’annuncio esplicito che già di per sé è in grado di muovere le coscienze; anche se in una società in cui il cristianesimo non ha più l’evidenza collettiva del passato può essere fecondo far sperimentare ai giovani la bellezza della proposta cristiana, traducendo dunque i valori in pratiche di vita significative e coinvolgenti.
    In linea con questa prospettiva, si sottolineava l’importanza della costruzione degli atteggiamenti nella dinamica educativa. Come a dire che l’educare ha un suo linguaggio specifico, fatto di proposte e di esperienze vissute, di “abitudini del cuore” da coltivare nel corso degli anni, di adulti ‘riusciti’ che si impegnano in un’azione faticosa e nascosta. Ecco il volto e la scommessa dell’educazione.
    Era poi forte il richiamo ad uno stile associativo armonico che da un lato chiede ai giovani di coniugare fede e vita nella realtà di tutti i giorni, in quella situazione ordinaria che mette a dura prova le convinzioni e scelte di ognuno; ma che dall’altro prevede anche momenti straordinari, grandi incontri ed esperienze rigeneranti, che ampliano gli orizzonti dei soggetti e offrono loro nuovi impulsi e motivazioni. Dunque, per dirla con un linguaggio aggiornato, né una pastorale che si nutre solo di grandi eventi, né una pastorale soltanto di tipo feriale; perché i gruppi più sfidanti sono quelli che meglio riescono a tenere insieme i grandi slanci e i momenti ordinari di un impegno associativo.
    La formazione degli animatori (e l’attenzione alle loro esigenze e dinamiche di vita) è un altro aspetto rilevante della proposta NPG del periodo. Ciò per evitare che chi svolge questo importante ruolo si senta a lungo di andare svuotato di energie o in difficoltà propositiva, perché l’impegno educativo richiede serenità d’animo e una verifica costante delle proprie motivazioni e convinzioni.
    Ecco alcuni punti chiave di un discorso educativo che sembra resistere alla prova del tempo e del succedersi delle generazioni.


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