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    Vogliono che il loro amore sia bello



    Giovanni Paolo II

    (NPG 1995-01-03)


    I giovani: sono tra i privilegiati dall'affettuosa attenzione del Santo Padre, il quale spesso ripete che la Chiesa guarda a loro con particolare speranza per il rilancio della evangelizzazione.
    Santità, sarà fondata questa speranza? O non saremo, purtroppo, di fronte alla sempre rinnovata illusione di noi adulti che la generazione nuova sarà migliore della nostra e di tutte quelle che l'hanno preceduta?
    Lei schiude un campo enorme per l'analisi e per la meditazione.

    I giovani di oggi come sono, che cosa cercano? Si potrebbe dire che sono quelli di sempre. C'è qualcosa nell'uomo che non subisce cambiamenti, come ha ricordato il Concilio nella Gaudium et spes (cfr. n. 10). Proprio nella giovinezza, forse più che nelle altre età, questo trova conferma. Ciò non toglie, tuttavia, che i giovani di oggi siano anche diversi da quelli che li hanno preceduti. In passato, le giovani generazioni si erano formate sulle dolorose esperienze della guerra, dei campi di concentramento, del costante pericolo. Tali esperienze liberavano pure, nei giovani - e penso a ogni parte del mondo, anche se ho nella mente la gioventù polacca -, i tratti di un grande eroismo.
    Basti ricordare l'insurrezione di Varsavia nel 1944: lo slancio disperato dei miei coetanei, che non si risparmiarono. Gettarono la loro giovane vita nel rogo che bruciava. Volevano dimostrare che si stavano maturando nel confronto con la grande e difficile eredità da loro ricevuta.
    Anch'io appartengo a quella generazione e penso che l'eroismo dei miei coetanei mi sia stato d'aiuto nel definire la mia personale vocazione. Padre Konstanty Michalski, uno dei grandi professori dell'Università Jagellonica di Cracovia, tornato dal campo di concentramento a Sachsenhausen scrisse il libro Tra eroismo e bestialità. Questo titolo rende bene il clima dell'epoca. Lo stesso Michalski, a proposito di fra' Alberto Chmielowsky, ricordava la frase evangelica secondo la quale «bisogna dare l'anima» (cfr. Gv 15,13). Proprio in quel periodo di terribile disprezzo per l'uomo, quando il prezzo della vita umana fu svilito come forse non era mai avvenuto, proprio allora la vita di ciascuno divenne preziosa, acquistò il valore di un dono gratuito.
    In questo, i giovani di oggi certamente crescono in un contesto diverso: non portano dentro le esperienze della seconda guerra mondiale Molti di loro, inoltre, non hanno conosciuto - o non ricordano - le lotte contro il sistema comunista, contro lo stato totalitario. Vivono nella libertà, conquistata per loro da altri, e hanno ceduto in grande misura alla civiltà dei consumi. Sono questi i parametri, ovviamente solo accennati, della situazione attuale.
    Nonostante ciò, è difficile dire che la gioventù respinga i valori tradizionali, che abbandoni la Chiesa. Le esperienze degli educatori e dei pastori confermano, oggi non meno di ieri, l'idealismo caratteristico di quest'età, anche se attualmente esso si esprime, forse, soprattutto sotto forma di critica, mentre un tempo si traduceva più semplicemente nell'impegno. In generale, si può affermare che le nuove generazioni crescono ora prevalentemente in un clima da nuova epoca positivistica, mentre, per esempio in Polonia, quando ero ragazzo dominavano tradizioni romantiche. I giovani con cui entrai in contatto appena fui consacrato sacerdote crebbero proprio in tale clima. Nella Chiesa e nel Vangelo vedevano un punto di riferimento intorno a cui concentrare lo sforzo interiore, per formare la propria vita in un modo che avesse senso. Ricordo ancora i colloqui con quei giovani, che esprimevano proprio così il loro rapporto con la fede.
    La principale esperienza di quel periodo, quando la mia azione pastorale si concentrava prima di tutto su di loro, fu la scoperta dell'importanza essenziale della giovinezza. Che cosa è la giovinezza? Non è soltanto un periodo della vita corrispondente a un determinato numero di anni, ma è, insieme, un tempo dato dalla Provvidenza a ogni uomo e dato a lui come compito. Durante il quale egli cerca, come il giovane del Vangelo, la risposta agli interrogativi fondamentali; non solo il senso della vita, ma anche un progetto concreto per iniziare a costruire la sua vita. È proprio questa la più essenziale caratteristica della giovinezza. Ogni educatore, a partire dai genitori, nonché ogni pastore, deve conoscere bene tale caratteristica e deve saperla identificare in ogni ragazzo o ragazza. Dico di più, deve amare ciò che è essenziale per la giovinezza.
    Se in ogni epoca della sua vita l'uomo desidera affermarsi, trovare l'amore, in questa lo desidera in modo ancor più forte. Il desiderio di affermazione, comunque, non deve essere inteso come una legittimazione di tutto, senza eccezioni. I giovani non lo vogliono affatto: sono disposti anche a essere ripresi, vogliono che si dica loro sì o no. Hanno bisogno di guide, e le vogliono molto vicine. Se ricorrono a persone autorevoli, lo fanno perché le avvertono ricche di calore umano e capaci di camminare insieme con loro lungo i percorsi che stanno seguendo.
    Appare chiaro, quindi, che il problema essenziale della giovinezza è profondamente personalistico. La giovinezza è proprio il periodo dela personalizzazione della vita umana. È anche il periodo della comunione. I giovani, sia ragazzi sia ragazze, sanno di dover vivere per gli altri e con gli altri, sanno che la loro vita ha senso in quanto diventa un dono gratuito per il prossimo. Di qui hanno origine tutte le vocazioni: sia quelle sacerdotali o religiose, sia le vocazioni al matrimonio e alla famiglia. Anche la chiamata al matrimonio è una vocazione, un dono di Dio. Mai dimenticherò un ragazzo, studente del politecnico a Cracovia, che tutti sapevano aspirare con decisione alla santità. Aveva questo programma di vita. Sapeva di essere' «creato per le cose più grandi», come si espresse una volta san Stanislao Kostka. E, al tempo stesso, non aveva alcun dubbio che la sua vocazione non fosse né il sacerdozio né la vita religiosa. Sapeva di dover essere un laico. Lo appassionava il lavoro professionale, gli studi di ingegneria. Cercava una compagna di vita e la cercava in ginocchio, nella preghiera. Non potrò scordare il colloquio in cui, dopo uno speciale giorno di ritiro, mi disse: «Penso che proprio questa ragazza debba essere mia moglie, che è Dio a darmela». Quasi non seguisse soltanto la voce dei propri gusti, ma prima di tutto la voce di Dio stesso. Sapeva che da Lui viene ogni bene, e fece una scelta buona. Sto parlando di Jerzy Ciesielski, scomparso in un tragico incidente in Sudan, dove venne invitato a insegnare all'università, e il cui processo di beatificazione è stato già iniziato.
    Questa vocazione all'amore è naturalmente l'elemento di più stretto contatto con i giovani. Da sacerdote mi resi conto di ciò molto spesso. Sentivo quasi una sollecitazione interiore in questa direzione. Bisogna preparare i giovani al matrimonio, bisogna insegnare loro l'amore. L'amore non è cosa che s'impari, e tuttavia non c'è cosa che sia così necessario imparare! Da giovane sacerdote imparai ad amare l'amore umano. Questo è uno dei temi fondamentali su cui concentrai il mio sacerdozio, il mio ministero sul pulpito, nel confessionale, e anche attraverso la parola scritta. Se si ama l'amore umano, nasce anche il vivo bisogno di impegnare tutte le forze a favore del «bell'amore».
    Poiché l'amore è bello. I giovani, in fondo, cercano sempre la bellezza nell'amore, vogliono che il loro amore sia bello. Se cedono alle debolezze, assecondando modelli di comportamento che ben possono qualificarsi come uno «scandalo nel mondo contemporaneo» (e sono modelli purtroppo molto diffusi), nel profondo del cuore desiderano un amore bello e puro. Questo vale tanto per i ragazzi quanto per le ragazze. In definitiva, sanno che nessuno può concedere loro un tale amore, all'infuori di Dio. E, pertanto, sono disposti a seguire Cristo, senza badare ai sacrifici che ciò può comportare.
    Negli anni in cui io stesso ero un giovane sacerdote e pastore mi sono fatto questa immagine dei giovani e della giovinezza, immagine che mi ha seguito lungo tutti gli anni successivi e che mi permette anche di incontrare i ragazzi in qualunque posto vada. Ogni parroco di Roma sa che la visita alla parrocchia deve concludersi con l'incontro del Vescovo di Roma con i giovani. E non soltanto a Roma, ma ovunque il Papa si rechi, cerca i giovani e ovunque dai giovani viene cercato. Anzi, in verità non è lui a essere cercato. Chi è cercato è il Cristo, il quale sa «quello che c'è in ogni uomo» (Gv 2,25), specialmente in un uomo giovane, e sa dare le vere risposte alle sue domande! E anche se sono risposte esigenti, i giovani non rifuggono affatto da esse; si direbbe, piuttosto, che le attendono.
    Si spiega così anche la genesi delle Giornate mondiali dei giovani. Dapprima, in occasione dell'Anno giubilare della redenzione e poi per l'Anno internazionale della gioventù, indetto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (1985), i giovani furono invitati a Roma. E questo fu l'inizio. Nessuno ha inventato le Giornate mondiali dei giovani. Furono proprio loro a crearle. Quelle Giornate, quegli incontri, divennero da allora un bisogno dei giovani in tutti i luoghi del mondo. Il più delle volte sono state una grande sorpresa per i pastori, e persino per i vescovi. Hanno superato quanto anch'essi si aspettavano.
    Queste Giornate mondiali sono diventate una grande e affascinante testimonianza che i giovani danno di loro stessi, sono diventate un mezzo potente d'evangelizzazione. Nei giovani c'è, infatti, un immenso potenziale di bene e di possibilità creative. Quando li incontro, in qualunque luogo del mondo, attendo prima di tutto ciò che vorranno dirmi di loro, della loro società, della loro Chiesa. E sempre li rendo consapevoli di questo: «Non è affatto più importante ciò che vi dirò: importante è ciò che mi direte voi. Me lo direte non necessariamente con le parole, lo direte con la vostra presenza, con il vostro canto, forse anche con la vostra danza, con le vostra rappresentazioni, infine con il vostro entusiasmo».
    Abbiamo bisogno dell'entusiasmo dei giovani. Abbiamo bisogno della gioia di vivere che hanno i giovani. In essa si riflette qualcosa della gioia originaria che Dio ebbe creando l'uomo. Proprio questa gioia i giovani sperimentano in loro stessi. È la medesima in ogni luogo, ma è anche sempre nuova, originale. I giovani la sanno esprimere a modo loro.
    Non è vero che è il Papa a condurre i giovani da un capo all'altro del globo terrestre. Sono loro a condurre lui. E anche se i suoi anni aumentano, essi lo esortano a essere giovane, non gli permettono di dimenticare la sua esperienza, la sua scoperta della giovinezza e della grande importanza che essa ha per la vita di ogni uomo. Penso che questo spieghi molto.
    Il giorno dell'inaugurazione del pontificato, il 22 ottobre 1978, dopo la conclusione della liturgia, dissi ai giovani in piazza San Pietro: «Voi siete la speranza della Chiesa e del mondo. Voi siete la mia speranza». Quelle parole vengono costantemente ricordate.
    I giovani e la Chiesa. Riassumendo, desidero sottolineare che i giovani cercano Dio, cercano il senso della vita, cercano le risposte definitive: «Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (Lc 10,25). In questa ricerca, non possono non incontrare la Chiesa. E anche la Chiesa non può non incontrare i giovani. Occorre soltanto che la Chiesa abbia una profonda comprensione di ciò che è la giovinezza, dell'importanza che riveste per ogni uomo. Occorre anche che i giovani conoscano la Chiesa, che scorgano in essa Cristo, il quale cammina attraverso i secoli con ogni generazione, con ogni uomo. Cammina con ciascuno come un amico. Importante nella vita di un giovane è il giorno in cui egli si convince che Questo è l'unico amico a non deludere, sul quale può sempre contare.

    (Varcare la soglia della speranza, pp. 134-140)


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