Virginia Di Cicco
(NPG 2000-09-2)
La storia comincia una notte di luglio in un paese in guerra: la Francia. Il vicario della cattedrale di Grenoble, padre Henry Groués, cerca con la solita difficoltà di riposare quando forti colpi alla porta lo scuotono. Ebrei cercano rifugio e lui li accoglie. Inizia la Resistenza. Nasce l’Abbé Pierre.
Da allora non tornerà più ad essere padre Henry, un segno tra tanti per intendere che la Resistenza non può terminare se il nemico non è stato sradicato: e la povertà è ancora lì.
L’Abbé Pierre ha un sorriso lento. Un leggero sussurrare che la barba a tratti nasconde. Insiste ed insiste in un caparbio conversare che dura da ottanta anni e più.
L’Abbé Pierre da sempre racconta una fiaba e da sempre la sua malattia è lì che lo ascolta. La storia è di quelle impossibili, alle quali anche i bambini con più fantasia credono a stento: una vita compromessa dall’estrema fragilità del corpo e un uomo che non ci sta e decide di camminare comunque, di cadere, di rialzarsi e di camminare ancora.
Durante la seconda guerra mondiale una violenta pleurite quasi lo uccide e l’Abbé Pierre racconta ai propri polmoni la fiaba di un prete che guida per le montagne cordate di ebrei fino alla salvezza in Svizzera. Freddo, fame, fatica.
Dopo il conflitto accetta di farsi eleggere deputato. Non che la politica gli piaccia, ma nessuna strada va lasciata intentata. Quando si accorge che quel mondo vischioso rischia di immobilizzarlo, prende alla lettera se stesso e comincia «a costruire» con le mani, concretamente, senza più indugiare a discorsi.
Comincia dalle rovine di una grande casa appena fuori Parigi, le famiglie povere si accalcano alla porta. Entrano tutti e tutti subito cominciano a lavorare per aiutare questo progetto straordinario. Saranno i giovani a dargli un nome: EMMAUS, il villaggio dove i discepoli incontrarono Cristo risorto.
Oggi, a guardare EMMAUS, si rischia di non crederci: 350 comunità in 32 paesi del mondo: dal Bangladesh alla Danimarca, dal Cile alla Polonia, Uruguay, Camerun e così via.
Ogni comunità vive indipendente e lavora per la propria autosufficienza economica. Al centro del progetto c’è la realizzazione in pienezza della dignità della persona umana che trova la massima espressione di sé nella possibilità di costruire il proprio avvenire con il proprio lavoro.
La cosa straordinaria di EMMAUS è scritta nella sua carta: «A tutto cerchiamo di ridare valore». Non soltanto alle persone che il mondo ha stritolato e travolto nei suoi folli ingranaggi, ma anche nelle cose che la società dei consumi getta via perché già annoiata di loro. Nelle mani di questi amorevoli artigiani le cose riprendono vita, bellezza e signità. Già, la dignità delle cose.
Le comunità EMMAUS sono un mondo fuori dal mondo.
Quando vai a visitarne una, così solo per capire o magari per curiosità, tutti ti accolgono con un sorriso di tenerezza perché l’odore della tua paura si è sentito prima che tu arrivassi. Cercano di tranquillizzarti, ma tu sei troppo preso a combattere con la vergogna. Nel tentativo di consolarti qualcuno ti dice che sei stato gentile ad interessarti a loro, perché l’essenziale è non rimanere indifferenti ma farsi pervadere dalla «collera dell’amore».
La dignità delle cose. La collera dell’amore.
La comunità di EMMAUS sono un mondo fuori dal mondo. O forse sono semplicemente come il mondo dovrebbe essere.