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    Virginia Di Cicco

    (NPG 2000-01-04)


    Non ho timore del tempo che passa perché ho una memoria forte, che non mi abbandona. Un archivio infinito dove ho riposto con cura meticolosa le immagini degli eventi e delle persone che hanno lasciato il segno nel millennio e nella mia sensibilità che cresceva.
    Per questo ho comperato un album di fotografie, uno di quelli tradizionali dove le fotografie hanno bisogno degli angolini adesivi e non vengono incollate da una orribile pellicola, che le ruba per sempre ad ogni carezza e che le abbandona inesorabilmente quando con il passare degli anni perde aderenza.
    Ho comprato un album e su ogni foglio c’è una sola foto, un primo piano nitido nei tratti e ben definito nei colori, scattato proprio da me o ritagliato da un giornale, bello.
    Ho deciso di regalarlo a mio figlio. È la prima cosa che sto facendo per lui da quando ho saputo di aspettarlo. E sorrido all’idea che il figlio che sto aspettando ora lo sfoglierà tra una ventina di anni, più o meno. Spero di essere lì per raccontargli il suo passato. Questo, sono certa, lo renderà più forte.
    L’album ha un titolo, lo stesso di questa rubrica: PRIMO PIANO.
    Tutto inizia con la foto di una sinagoga. A Praga il quartiere ebraico è composto e struggente. Quando arriviamo alla sinagoga Pinkas, un uomo ci invita ad osservare silenzio perché questa sinagoga non è solo un luogo di culto. Così la guida ci suggerisce che all’interno c’è una lapide dove sono riportati i nomi degli ebrei cecoslovacchi assassinati nel lager di Terezin, settantasettemiladuecentonovantasette! La guida parla in inglese, con molta probabilità avrò capito male il numero, penso tra me. Che lapide deve mai essere per contenere tanti nomi. E poi, davvero tutta questa gente?!
    Entro in silenzio e cerco questa lapide per renderle omaggio con una preghiera. Mi ci vuole qualche secondo, il tempo di alzare la testa, lasciare andare lo sguardo intorno e realizzare che non c’è una lapide nella sinagoga, piuttosto la sinagoga è per intero una lapide. Lapidi le sue pareti, lapide il soffitto, ovunque nomi e nomi e nomi. Settantasettemiladuecentonovantasette! Qualcuno cade in ginocchio.
    Sfogliando ancora, appare il primo piano di un uomo di colore, la bocca aperta mentre grida al mondo di avere un sogno. Dalla pagina accanto gli sorride paffuto il Papa contadino che mandava carezze ai bambini.
    Poi, un ometto con baffetti buffi e sguardo inquietante che grida al mondo i suoi incubi. Accanto a una foto dove sembra che lo stesso ometto giochi con un mappamondo tirandolo in aria come fosse un pallone. A guardar bene lo sguardo è diverso.
    In bianco e nero, un giovane piccolo e solo, capelli scuri e camicia chiara, fermo davanti ad un carro armato. Quando il blindato si sposta leggermente da un lato, anche lui si sposta. Sembra una danza, invece è una rivoluzione.
    Accanto a un grande muro che sta cadendo un uomo suona il violoncello. Un aereo molto vecchio che si chiama Enola Gay.
    Un ometto col volto da scienziato pazzo che fa la linguaccia. Un guard-rail dipinto di rosso sull’autostrada per Palermo. Un giudice sorride sornione. Il suo migliore amico accanto a lui nell’androne di un Palazzo di Giustizia.
    Uno sguardo pallido, una polaroid scolorita, un drappo rosso con una stella a cinque punte. Un vecchio ritaglio di giornale dove un giovane uomo su un palco di fortuna a Piazza Duomo, Milano appena liberata, parla di giustizia e uguaglianza. Cinquanta anni dopo, con la pipa in bocca è il Presidente di quella Repubblica che aveva contribuito a costruire.
    Insomma, le foto sono tante. Tanti i primi piani. C’è anche mia madre, bella, giovane e forte che mi ha insegnato ad essere bella, giovane e forte.
    C’è un uomo dagli occhi blu, brizzolato e per sempre sorridente, che mi ha insegnato la «decenza quotidiana», come diceva Montale del suo maestro.
    Un album di foto è il dovere di quanti trattano con i giovani, che non possono e non devono crescere senza passato. Spiegamogli quanto sia naturale e per nulla vergognoso che loro abbiano paura, e raccontiamogli che piccoli uomini impauriti hanno spinto il mondo nel nuovo millennio, con la loro vita. E a volte con la morte.


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