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    Buon Sinodo a tutti. Tempo di conversione spirituale, pastorale e missionaria


     

    Rossano Sala

    (NPG 2018-06-2)


    Dopo due anni di intensa preparazione e di grandi attese, eccoci finalmente al Sinodo! Di certo un momento straordinario per la pastorale giovanile, per tutti coloro che a vario titolo sono impegnati nel mondo giovanile e per la Chiesa stessa. Anche e soprattutto per i giovani.

    Camminiamo con i giovani

    Questo editoriale vuole essere prima di tutto un invito serio a prepararsi al Sinodo nello stesso modo in cui lo stanno facendo i padri sinodali in questi mesi: studiando con attenzione lo Strumento di lavoro. Questo documento è in un certo senso l’“agenda dei lavori sinodali”, perché raccoglie in maniera sintetica ciò che emerso dai vari contributi pervenuti alla Segreteria del Sinodo. È un documento riflessivo, perché ordina i vari temi in modo che possano assumere una forma unitaria e logica; è anche vivace, perché lascia la parola molte volte alle Conferenze Episcopali interpellate e in special modo ai giovani.
    Si può notare che in ognuna delle tre parti vi è la ripresa da punti di vista diversi del racconto evangelico di Emmaus. Fin dall’inizio della prima parte si dice che, «come il Signore Gesù ha camminato con i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35), anche la Chiesa è invitata ad accompagnare tutti i giovani, nessuno escluso, verso la gioia dell’amore» (n. 1). Poi ancora, all’inizio della seconda parte, si afferma che «Gesù dunque, “giovane tra i giovani”, vuole incontrarli camminando con loro, così come fece con i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35)» (n. 75). Infine, nella terza parte, quando si affronta il tema della comunità cristiana, si introducono i diversi temi trattati con la seguente affermazione: «Anche la comunità dei credenti è chiamata ad uscire e ad incontrare i giovani lì dove sono, riaccendendo i loro cuori e camminando con loro (cfr. Lc 24,13-35)» (n. 175).
    Direi con certezza che qui c’è un’intenzionalità chiara, un tono autorevole, una volontà decisa e uno stile specifico che vengono attestati: non si tratta semplicemente di far camminare i giovani, ma di camminare con loro, perché Gesù è già misteriosamente ed efficacemente in cammino con ogni giovane!

    Una Chiesa in discernimento vocazionale

    Secondo il “metodo del discernimento”, la divisione tripartita dello Strumento di lavoro ci aiuta ad inserirci nel giusto clima spirituale: i verbi di riferimento proposti per ognuna delle tre parti – riconoscere, interpretare e scegliere – sono i tre verbi del discernimento vocazionale. Perché accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale presume che la Chiesa stessa sia disponibile a compiere un cammino di discernimento vocazionale a proposito della propria forma, della propria identità, della propria posizione e del proprio compito nel “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo oggi. Alla Chiesa nel suo insieme è quindi richiesta una vera e propria revisione di vita e un cambio di mentalità: non per nulla si parla di conversione spirituale, pastorale e missionaria. Risulta centrale, a questo proposito, la riflessione offerta nel n. 139 del Documento in oggetto:
    «In questa prospettiva, “scegliere” non significa dare risposte una volta per tutte ai problemi incontrati, ma innanzi tutto individuare passi concreti per crescere nella capacità di compiere come comunità ecclesiale processi di discernimento in vista della missione. Del resto, non possiamo pensare che la nostra offerta di accompagnamento al discernimento vocazionale risulti credibile per i giovani a cui è diretta se non mostreremo di saper praticare il discernimento nella vita ordinaria della Chiesa, facendone uno stile comunitario prima che uno strumento operativo».

    Le giuste disposizioni del cuore

    Per vivere bene il Sinodo è dunque necessario entrarvi con l’atteggiamento giusto. L’atteggiamento, lo sappiamo, è il modo intimo di porsi di fronte alle cose, lo stile con cui ci si mette davanti al mondo, la postura relazionale che caratterizza il nostro modo di vivere con gli altri. Dal mio osservatorio specifico di “Segretario speciale” ho potuto notare che ci sono stati sostanzialmente due atteggiamenti diversi nei confronti del cammino in atto, da cui germogliano anche alcuni comportamenti concreti.
    Il primo lo definirei “reattivo”, e in sostanza consiste nel cercare di far passare in ogni modo le proprie posizioni, influenzando il cammino che si sta facendo con i propri punti di vista, le proprie prassi e le proprie convinzioni. Nella certezza che quello che si sta facendo nella propria realtà, nella propria Diocesi o nazione, oppure nella propria congregazione o movimento, sia la cosa corretta che tutti dovrebbero fare. Sostanzialmente in questo modo si chiede alla Chiesa di cambiare, ma nell’ottica dell’abbracciare i nostri punti di vista, sia teorici che pratici, senza mettersi minimamente in discussione. È una posizione di chi chiede agli altri il cambiamento, rimanendo indisponibile ad esso. È in genere un atteggiamento di presunzione e supponenza, di chi è convinto di avere il punto di vista giusto e di doverlo imporre agli altri in un modo o nell’altro. A volte in forma arrogante e poco rispettosa, se necessario. In fondo chi coltiva tale atteggiamento ha più o meno questo pensiero intimo, più o meno tematizzato: “La Chiesa sta sbagliando; io ho la risposta giusta; la Chiesa deve fare come dico io”.
    Il secondo atteggiamento invece lo definirei “proattivo” e consiste prima di tutto nel mettersi in gioco con umiltà e disponibilità, sapendo che il percorso sinodale è un cammino di conversione spirituale, pastorale e missionaria, che ha come primo scopo quello di cambiare il cuore, la mente e la vita di coloro che lo stanno percorrendo. Nella certezza che si tratta di verificare con verità, rinnovare con creatività e rilanciare con entusiasmo il nostro modo di pensare e di agire. È un atteggiamento semplice, mite e dialogante di chi non presume di avere la soluzione in tasca, ma è convinto che solo insieme – cioè nella forma della sinfonia sinodale – è possibile arrivare a qualcosa di buono e di valido per tutti. Devo attestare che la maggior parte delle persone che ho incontrato durante questi ultimi due anni sta affrontando le cose in questo modo propositivo e ricettivo: molti sono davvero convinti che nessuno in questo tempo ha la soluzione perfetta o preconfezionata alla questione giovanile, e che quindi bisogna cercare insieme con pazienza e prudenza le giuste vie da intraprendere. Anche qui si potrebbe sintetizzare nel seguente modo: “La Chiesa è in cammino di conversione; io sono parte della Chiesa; io sono chiamato in prima persona alla conversione insieme con gli altri”.
    Mi sembra importante leggere lo Strumento di lavoro nella seconda modalità, lasciando che la sintesi proposta parli al nostro cuore e alla nostra mente e li disponga ad essere recettivi all’azione dello Spirito, che solo può fare nuove tutte le cose. Per meno di questo sarà difficile aiutare la Chiesa a percorrere vie di rinnovamento convincenti e feconde.

    Tre suggestioni per incominciare

    Di indicazioni per intraprendere cammini di conversione spirituale, pastorale e missionaria lo Strumento di lavoro ne offre moltissime. Mi limito qui a tre indicazioni, che mi paiono però esemplari e determinanti.

    La vita umana nell’orizzonte vocazionale

    La prima riguarda l’orizzonte vocazionale dell’esistenza umana e di tutta l’azione pastorale della Chiesa, compresa quella giovanile. Alcuni passaggi sono decisivi, sia nella seconda che nella terza parte del Documento in oggetto: nella seconda parte i numeri che vanno dall’87 al 90 sono preziosissimi, perché rendono conto con precisione che «solo un’antropologia vocazionale sembra essere adeguata per comprendere l’umano in tutta la sua verità e pienezza» (n. 88) e che questa prospettiva dovrebbe orientare l’esistenza di tutti gli uomini e le donne:
    «Parlare della vita come vocazione consente di evidenziare alcuni elementi che sono molto importanti per la crescita di un giovane: significa escludere che essa sia determinata dal destino o frutto del caso, come anche che sia un bene privato che si può gestire in proprio. […] Positivamente la concezione della vita come vocazione invita l’essere umano a rinunciare alla menzogna dell’autofondazione e all’illusione dell’autorealizzazione narcisistica, per lasciarsi interpellare attraverso la storia dal disegno con cui Dio ci destina gli uni al bene degli altri e dando origine ad una rinnovata cultura vocazionale, che è sempre legata alla gioia della comunione d’amore che genera vita e speranza (n. 89.90)».
    Nella terza parte, quando si parla della necessità di consolidare e incrementare l’idea e la pratica della “pastorale integrata” (nn. 209-210), si conferma che la «la chiave di volta per raggiungere questa unità integrata è per molti l’orizzonte vocazionale dell’esistenza» (n. 210).

    La centralità della comunità cristiana

    La seconda indicazione che mi sembra degna di attenzione è la centralità della comunità cristiana come orizzonte della nostra azione pastorale. In un mondo che spinge verso l’isolamento la profezia della fraternità rimane un traguardo necessario per inserire la pastorale dei giovani dentro il suo grembo comunitario naturale. Tutto il capitolo terzo della terza parte è dedicato a mettere a nudo risorse e debolezze della comunità dei credenti perché, come si dice all’inizio del capitolo, «l’esperienza comunitaria rimane essenziale per i giovani: se da una parte hanno “allergia alle istituzioni”, è altrettanto vero che sono alla ricerca di relazioni significative in “comunità autentiche” e di contatti personali con “testimoni luminosi e coerenti”» (n. 175). Questo vale anche per le strutture, e qui conviene risentire un passaggio per intero:
    «Per accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale non servono solo persone competenti, ma anche strutture adeguate di animazione non solo efficienti ed efficaci, ma soprattutto attrattive e luminose per lo stile relazionale e le dinamiche fraterne che generano. Alcune Conferenze Episcopali sentono il bisogno di una “conversione istituzionale”. Rispettando e integrando le nostre legittime differenze, riconosciamo nella comunione la via privilegiata per la missione, senza la quale è impossibile sia educare che evangelizzare. Diventa sempre più importante quindi verificare, come Chiesa, non solo “che cosa” stiamo facendo per e con i giovani, ma anche “in che modo” lo stiamo facendo (n. 198)».

    Il primato della vita quotidiana

    La terza e ultima indicazione riguarda il primato indiscusso e indiscutibile della vita quotidiana che emerge in molti passaggi dello Strumento di lavoro. Tante sono le tracce che portano in questa direzione, ma soprattutto compare, oltre alle tante analisi condotte nella prima parte, il capitolo secondo della terza parte che porta un titolo quanto mai suggestivo: Immersi nel tessuto della vita quotidiana (nn. 144-174). Non a caso è il capitolo più esteso di tutto il Documento e chiede alla Chiesa di essere lì dove sono i giovani e soprattutto di «guardarsi dal colpevolizzare i giovani per la loro lontananza dalla Chiesa, o a lamentarsene, per parlare invece, come fanno alcune Conferenze Episcopali, di una “Chiesa lontana dai giovani” chiamata a intraprendere cammini di conversione, senza far ricadere su altri le proprie mancanze di slancio educativo e di timidezza apostolica» (n. 174). La pastorale giovanile ha estrema necessità di abitare i luoghi di vita dei giovani, altrimenti sarà simile ad uno spot forse anche suggestivo e grazioso, ma estemporaneo rispetto all’esistenza feriale dei giovani. In maniera paradigmatica, nel quarto capitolo della terza parte, si fa riferimento al rapporto tra eventi straordinari e vita quotidiana, e ad un certo punto si dice che
    «alcune Conferenze Episcopali mettono in guardia dall’illusione che alcuni eventi straordinari risolvano il cammino di fede e la vita cristiana dei giovani: in questo senso l’attenzione ai processi virtuosi, ai percorsi educativi e agli itinerari di fede appare decisamente necessaria. Perché, come dice una Conferenze Episcopali, “il modo migliore di proclamare il Vangelo in questa nostra epoca è di viverlo nel quotidiano con semplicità e saggezza”, mostrando così che il Vangelo è sale, luce e lievito di ogni giorno (n. 208)».
    Bastano solo queste tre suggestioni per comprendere la ricchezza, la profondità e la posta in gioco del cammino che stiamo precorrendo che però, non dimentichiamocelo, dobbiamo affrontare con la giusta disposizione del cuore.
    Che sia dunque un buon Sinodo per tutti e per ciascuno!
    Ovvero un tempo favorevole di conversione spirituale, pastorale e missionaria!


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