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    La scelta dei giovani poveri



    Elio Scotti

    (NPG 1977-03-2)


    La parola «povero» è stata utilizzata e abusata in tutti i sensi, ma poche sono state le scelte concrete che i gruppi o le istituzioni hanno fatte.
    Trarre dalla scelta dei giovani poveri una pastorale, di conseguenza ha sconvolto molti nostri piani tradizionali, ha posto associazioni o istituti educativi di fronte a vere rotture, per creare un rimodernamento di strutture duttili al servizio dei veri poveri. I poveri sono per l'educatore quei giovani che hanno bisogno di comprensione umana, di aiuto promozionale e di annuncio di speranza, quelli ai quali proprio nessuno pensa, perché la loro non è una povertà che colpisce, quelli che non hanno modo e capacità di esprimere ad alcuno la propria esigenza di ricchezze e valori spirituali, umani e cristiani. Se «tutti i giovani d'oggi sono poveri di ideali e di valori», come afferma il card. Garrone, è pur vero che c'è, al di là di alcuni nostri ambienti tradizionali, una gran massa di adolescenti, che è gregge senza pastore, che non sa a chi chiedere aiuto, per orientare la propria vita e le proprie idee. Sono pochi, statisticamente, i giovani collegati ad una buona e moderna tradizione familiare ed inseriti, con cosciente accettazione, in un istituto educativo o associati, con possibilità di compartecipazione, a gruppi istituzionali, costruttivi e liberanti.

    Disorientati nella vita

    La maggioranza dei giovani che incontriamo nella strada, nei luoghi di divertimento, nelle stesse scuole superiori, sono interiormente insicuri, incerti, poveri di valori e di ideali. La scuola sovente agnostica di fronte al fatto educativo, non fa chiare proposte di vita, non educa alla criticità, né aiuta di fronte alle manipolazioni dei mass-media a prendere coscienza delle necessità della propria umanizzazione, della fatica di diventare uomo, dell'impegno per la costruzione della propria maturazione.
    Un falso concetto di libertà e di pluralismo, ed il timore delle reazioni di difesa dei giovani ad ogni pressione, tiene gli educatori distaccati e ciò sottopone i giovani ai giochi dell'istintività o dello spontaneismo di gruppo, alla esperienza delle più disparate idee e proposte ideologiche o vitalizie, senza che la loro capacità scientifica e dí raziocinio e la prudenza di vita diano loro tempo o possibilità di vagliare, confrontare, scegliere. E sono ogni giorno allo sbaraglio.
    Così le miriadi di gruppi giovanili spontanei diventano, giorno per giorno, luogo di consumo di qualsiasi valore e disvalore, dalla cultura scolastica alle esperienze ideologiche, all'agonismo sportivo, dal passatempo ozioso alla ricerca di esperienze vitalistiche nei bar, nei dancing, per le strade. In questi gruppi si trasmette una sottocultura propria, fatta di pregiudizi, di scelte, di gerghi banali e anarchici.
    Difficilmente diventano gruppi creativi di valori umani, di amicizia, di personalizzazione, di crescita.

    Una pastorale da inventare: incarnarsi

    Se crediamo che questa è la massa dei giovani poveri nello spirito, che attende l'educatore d'oggi, si rompe di incanto tutta la struttura di una pastorale centrata sull'attesa che i giovani vengano nelle nostre opere; cadono i nostri schemi di dialogo catechistico o formativo, da impartire. Non sono cercati, né attesi, né graditi.
    C'è da incarnarsi, da innestarsi nella loro vita, e nei loro luoghi di vita, e con amicizia ed ascolto, comprendere i loro gusti primari, assecondando ciò che è buono e piace loro, per aiutarli a trovare nel desiderio profondo del loro essere il problema del senso della vita, il gusto di doversi costruire uomini, il bisogno di una liberazione e di una salvezza.
    Ma a questa massa, a questi nuclei di giovani, poveri perché incapaci di ricerca di verità, non può giungere il prete o un adulto, ma solo il giovane amico, compagno di lavoro, di gioco e di scuola.
    Questo giovane leader che sa e vuole costruirsi con gli altri, non potrà creare con essi un gruppo ecclesiale o d'impegno, ma solo un clima di amicizia e d'incontro, in cui la coesione sia soprattutto il volere il bene l'uno dell'altro.
    Con pazienza e lentezza questi gruppi maturano, diffidenti di ogni protezione o freno dall'esterno, attenti a non legarsi ad alcuna associazione o istituzione. I ritmi di proposta, l'azione di conquista nei loro riguardi, le forzature della loro collaborazione, sono occasione per distacchi definitivi da enti educativi o politici. E ciò rimane vero per la massa, nonostante il risveglio associativo attuale.

    Il rinnovamento delle associazioni

    Quale il compito delle associazioni e istituzioni educative e dei giovani che al loro interno sentono di essere portatori di qualche dono di verità e di luce?
    Dalla massa di questi giovani la loro presenza è giudicata formale, costituita da giovani non liberi, fissati in alcune idee e ben guidati e plasmati da adulti, per cui il servizio anche più disinteressato, fatto da un gruppo istituzionale, viene sospettato. C'è la persona del singolo, che può agganciare, proprio in quanto si presenta come amico e non come conquistatore di adepti. L'associazione diventa in questo caso il luogo di appartenenza personale per la formazione individuale dei membri, suo luogo di riferimento, a cui e da cui confluiscono e partono giovani che maturano nel testimoniare i loro valori là dove vivono e agiscono con i loro gruppi giovanili spontanei, o le cricche di passatempo, o le squadre sportive, o i gruppi culturali.
    Tutto ciò significa l'esplosione delle strutture associative rigide, più in funzione della formazione dei propri membri, che del lavoro disseminato nelle onde grigie delle masse giovanili. Hanno le istituzioni giovanili cattoliche la forza e il coraggio di espandersi come lievito nella pasta, rompendo il ghetto del lievito insaccato, che si contrappone ad una pasta non lievitata? Eppure questa è la via evangelica, apostolica, della Chiesa in diaspora.

    Giovani inventori di vie nuove

    Ciò significa una reinvenzione di molti metodi pastorali, che adeguandosi ambiente per ambiente alla massa giovanile amorfa, sia capace di offrire un servizio accetto, gradito e maturato. E non sarà il parroco, o l'educatore adulto, o l'istituzione, a inventare queste nuove vie. Saranno i migliori giovani di oggi stimolati alla solidarietà fraterna e all'ansia apostolica, lasciati liberi di esprimersi con forme nuove, sicuri della fiducia altrui e del risultato finale, nonostante le sconfitte e le esasperazioni occasionali.
    Gli adulti debbono accettare la sussidiarietà della responsabilità dei giovani impegnati, accettare il loro ritmo, aiutare, compatire e sostenere... e attendere.
    Educatori impazienti, pronti a correggere ogni passo non conforme al loro modo di vedere, facili a giudicare, nel non credere alla novità di un mondo nuovo, non prepareranno mai il futuro migliore dell'umanità. È la morte della propria certezza esperienziale che dona la vita a nuove vie di recupero e di annuncio delle masse giovanili, povere di umanità e povere di vangelo.


    T e r z a
    p a g i n A


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