Attesi dal suo amore
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    Virginia Di Cicco

    (NPG 2006-03-2)


    È incredibile, ma si infiltra davvero ovunque.
    Tra le grate. Lungo i marciapiedi della stazione, lì dove esce aria calda, l’unico conforto alle temperature di questo gelido inverno. Soffio gentile che si insinua sotto i vestiti e fa sentire più leggeri.
    Sotto i ponti. Voli di cemento in mezzo alle metropoli, senza inizio e senza fine, ma soprattutto ponti che sembrano non unire nulla ma riparano dalla pioggia, almeno quella. Nulla si può però contro il vento e contro il velo di freddo che si abbassa col buio e invischia tutto.
    A farsi spazio tra i cartoni, che servono a isolare dall’umidità che piove, acqua continua, inzuppa e marcisce le ossa. A riparare qualche coperta portata da chissà chi o trovata chissà dove. Preziosa. Un tesoro.
    Scioglie via la colla vischiosa della solitudine, del silenzio, quando la bocca non c’è motivo di aprirla per tutta la giornata. E giornata dopo giornata, arriva un punto che non ricordi più neanche il suono della tua voce; non ricordi più neanche se una voce ce l’hai.
    Si insinua tra le bottiglie di alcool e la droga, e spesso vince le debolezze e libera dagli incubi, dalle siringhe e dai bicchieri pieni fino all’orlo, vino e lacrime, per annegarci dentro tutto. Niente escluso, tranne lui: l’amore.
    Sergio ha un cappellino di lana calato a coprire tutta la fronte, occhialetti e barba incolta. Un giaccone troppo grande, pantaloni troppo corti, una maglia troppo leggera. Quell’angolo della stazione è casa sua. Ci sono le sue poche cose, uno zaino le raccoglie tutte, poi il suo giaciglio, più grande del solito perché deve accogliere anche Anna, la sua Anna.
    Io li guardo e un turbinio di pensieri svolazza nella mia testa. Sono la spettatrice di un evento d’amore incredibile. Seduti per terra, come dire – a casa loro – avvoltolati in quegli abiti usati, come se davvero pareti, solo a loro visibili, li isolassero da tutti gli altri e gli garantissero una privacy come in qualunque tinello di una casa borghese. Seduti per terra, Sergio sta tagliando le unghie alle mani di Anna, perché a lei tremano le mani e rischierebbe di ferirsi, mi spiega con dolcezza. Non so se ridere o piangere, quello che è certo è che questa volta l’ho davvero riconosciuto: l’amore. L’ho trovato dove nessuno penserebbe di trovarlo. Dove i nostri pregiudizi e i nostri rigidi schemi mentali non ci permettono di fare la giusta attenzione: per strada, tra la gente senza dimora, quella che non vediamo anche passandogli davanti, la gente invisibile perché non esiste, non può esistere così diversa da noi, eppure nel nostro mondo, senza le nostre regole, come seguendo un’altra musica, un altro ritmo, ballando un altro ballo.
    Perché anche se tutto all’apparenza è diverso, il cuore resiste e batte come qualunque cuore che ami.
    L’amore per strada, forte e essenziale, senza involuzioni o masochismi, duro e testardo. Non c’è tempo né modo per screzi o musi tenuti con capriccio. C’è solo da abbracciarsi, stretti fino alle ossa, cercarsi le mani e farsi calore mentre la gente passa e magari lascia cadere pure qualche smorfia di disgusto. Questi corpi che si cercano, così al pubblico, che ansia, che disagio.
    Poveri noi. Che mondo di ciechi, che non scorge più niente oltre la propria immagine compiaciuta. Non scorge più niente, neanche l’amore.


    T e r z a
    p a g i n A


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