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    Da massa e classe a gruppo mentre si cerca una compagnia


    Il metodo nell'animazione dei preadolescenti /2

    Domenico Sigalini

    (NPG 1987-05-68)


    Aver scelto il gruppo come ele- mento fondamentale del metodo nella animazione dei preadolescenti, è un contenuto serio, una scelta circostanziata; non è pensare ad una qualsiasi aggregazione, a un modo collettivo di accostarli, a una facilitazione nel comunicare informazioni, a una occasione per dire in una volta sola a tutti quello che si dovrebbe dire a ciascuno.

    QUATTRO FUNZIONI DEL GRUPPO

    Il gruppo è caratterizzato da quattro aspetti fondamentali, quattro funzioni che, a seconda di come vengono esplicitate, colorano un certo tipo di gruppo anziché un altro.
    - La relazione. È il tipo di rapporto che si stabilisce tra le persone, il modo di parlarsi, di comunicare, di stare assieme, di rendere comprensibile o contorta la propria «anima» per gli altri.
    È quella immediata, non riflessa, che si instaura anche senza volerlo, ma anche quella esplicitamente voluta, frutto di scelte di condivisione, di appartenenza, di partecipazione. La prima è spontanea, legata al carattere, all'ambiente, è un dato quasi precostituito; la seconda è punto di arrivo, frutto di impegno e attenzione vicendevole.
    - La struttura. Ogni gruppo, per quanto addomesticato, si dà una organizzazione interna. Spesso ciò avviene automaticamente in base alle dinamiche che vi si scatenano, spesso vi si arriva dopo tentativi, successi, piccole o grosse schermaglie. Nascono allora i leaders, i gregari, i capri espiatori, il burlone di turno, il «rompi», ecc. In un gruppo come si deve, i ruoli che caratterizzano la struttura sono mete educative frutto di attenzione dell'animatore, studio della realtà, disponibilità di fronte ai bisogni e ai fini.
    - La dinamica. È la capacità del gruppo di canalizzare coscientemente o inconsciamente le energie verso una crescita o un equilibrio, un rinforzo o una pressione. Ogni ragazzo arriva al gruppo con un suo mondo, con sue doti, con particolari personalissime energie, e lì le può mettere a disposizione. La dinamica di gruppo le orienta, le esalta o le mortifica, le confronta con norme più o meno scritte, le organizza o le disperde, le finalizza o le fa scatenare senza obiettivi precisi.
    - La finalità. Un gruppo viene definito anche dall'obiettivo che ci si propone, dalle attività che si vogliono compiere, dalle iniziative o dai compiti che gli sono assegnati. Le finalità di un gruppo determinano la sua collocazione, sia nella vita di chi lo forma, sia nell'ambiente in cui si trova a vivere. Sono nello stesso tempo la faccia del gruppo verso i componenti e la fotografia del gruppo verso l'esterno. Non sempre la finalità è interiorizzata o consapevole, spesso la conosce solo l'animatore o qualcuno. È in genere una buona spia per vedere se il gruppo è condotto o no democraticamene dall'animatore. Un animatore autoritario in genere cela le finalità del lavoro di gruppo: le deve sapere solo lui.

    L'ESPERIENZA DI MASSA E DI CLASSE

    Il titolo di questo lavoro già in sintesi fa cogliere quali sono le principali aggregazioni di cui è popolata la vita di un preadolescente. Il preadolescente è visto come massa più o meno influenzabile (vedi gioco, celebrazioni parrocchiali, incontri, vita scolastica...). È inquadrato a classi, è cioè servito da quella particolare aggregazione che si chiama classe e che quasi ovunque, anche nelle nostre istituzioni formative, è la proposta educativa più gettonata. Lui, il preadolescente preferisce ritagliarsi la sua compagnia o per strada o su campi da gioco o nel caseggiato, ma noi gli vogliamo proporre il gruppo.

    La massa

    La configurazione sociologica dei preadolescenti, la loro «facile manovrabilità», una certa leggerezza educativa, spesso portano ad utilizzare l'esperienza di massa come esperienza di crescita.
    La massa ha una strutturazione molto debole, è standardizzata, non ci sono in essa ruoli o incarichi, si è tutti uguali.
    La relazione tra le persone è legata al fatto di essere in tanti, di fare rumore, di costituire una forza di pressione. Quello che vi conta di più come relazione è il contagio emotivo.
    La dinamica che la caratterizza è lo scatenamento delle energie con qualche forma di parossismo. In genere le energie sono scatenate o incanalate dopo una esplosione momentanea da un influsso pilotato.
    La consapevolezza dell'obiettivo o del fine la conoscono solo i capi, e ai livelli bassi è percepita come competitività o coreografia o funzionalità.
    Talora gli unici interventi educativi per i preadolescenti sono gli incontri di massa: grandi feste, concentrazioni di cresimandi o comunicandi, intruppamenti liturgici o i famosi grandi giochi.
    Le riunioni di massa hanno una loro utilità e dei pregevoli obiettivi (non sempre!), ma non possono essere ritenute come l'unica attività o scelta educativa, soprattutto per un preadolescente che si pensa sia tranquillo, disponibile, credente e praticante, ma che invece per i problemi di fede e le domande che ha (cf «L'età negata»), ha urgenza di approfondire, di personalizzare, di domandarsi e di domandare, non di fare da materasso.

    La classe

    È la «proposta» educativa più gettonata. La possiamo definire quella aggregazione cui un preadolescente appartiene non per sua scelta personale, ma per un obiettivo che gli viene imposto (vedi scuola) o, anche se un po' forzatamente, «proposto» (vedi preparazione alla cresima). Non è lui a scegliersi gli amici, ma li trova; non si sceglie gli obiettivi, ma ci sono già.
    La strutturazione non è così debole come in una massa di persone. Esistono dei ruoli piuttosto affibbiati che maturati: il pierino, il cretino, il copione, il secchione, la «bella e oca», l'«alto e basta»... Sono spesso figure legate al merito o alla funzionalità. Sono incarichi e accomodamenti che si creano per poter sopravvivere e per difendersi o dagli insegnanti o dalla istituzione.
    Le relazioni sono superficiali. Ciascuno nella sua classe trova il suo modus vivendi senza metterci troppo della sua vita. Anche se per qualcuno esiste l'amico del cuore, la globalità esprime relazioni utilitaristiche. Gli altri sono dati per scontati. Sono così nelle classi della scuola media, ma spesso ripetono e peggiorano lo stesso comportamento al «catechismo».
    Da bambini venivano al catechismo con la sportiva di plastica con dentro il libro. Ora continuano ancora per qualche anno così, ma non sono disposti a mettere in comune niente di quello che essi sono, con l'amico di classe.
    Come arrivano, così partono. Sono abituati all'orario: puntuali nell'iniziare, ma soprattutto nell'andarsene.
    La dinamica: le energie di cui tutti dispongono sono canalizzate verso il mantenimento. Ognuno si mantiene in uno stato di «difesa» più che di cambiamento, di evoluzione. Le interazioni sono spesso solo orientate a qualche obiettivo che non riesce a scalfire se non alcune posizioni razionali. Altra dinamica, soprattutto nelle classi di catechismo, è la sopraffazione dei maschi sulle ragazze o dei piccoli «bulli» sui quieti e ordinati.
    La coscienza delle finalità è piuttosto scarsa. Se devono fare la cresima è chiaro che sanno di doverla fare, ma il che cosa significhi per loro, per la loro vita, può darsi che non sia così preciso.
    Da qui deriva anche la difficoltà a programmare attività verso le quali si oppone sempre una resistenza passiva. Quando si decide di far qualcosa, ci sono i soliti entusiasti che dicono subito di sì, ma che non vi parteciperanno. Gli altri hanno «mangiato la foglia», fanno silenzio e lasciano cadere. Qualche attività limitata è pure possibile realizzarla, purché esprima un alto gradiente di utilità.

    Un ambiguo trapianto

    Questa aggregazione, anche se è la più diffusa e la più comoda, va assolutamente superata. In alcune unità sociologiche di popolazione, come i paesi o qualche quartiere, spesso si prendono gli elenchi o le sezioni della scuola media e li si trapianta nella catechesi o nell'oratorio. Si trasforma così una istituzione educativa ecclesiale in una funzionale scuola media con tanto di preside (il direttore, il prete) e di insegnanti (i catechisti), con tanto di registri di presenza e (perché no?) compi-ti in classe ed esami, mesi di frequenza suppletiva per chi è stato troppo assente. Non sto esagerando. Accenno solo a situazioni che scorgo girando per l'Italia.
    Mi piacerebbe vedere con quale entusiasmo dopo la terza media un ragazzo o una ragazza saprà accogliere una proposta di attività formativa!
    Il famoso «effetto elastico» che si manifesta dopo la cresima per i preadolescenti non dipende anche da questa esperienza negativa di una aggregazione come la classe che è incapace, per come è strutturata, di far maturare o indurre voglia di crescere e senso di appartenenza? Se è vero che i preadolescenti a 12 anni sono già in crisi, come può rispondere a tutto ciò questo intruppamento?
    Questo è un rischio che corrono anche le scuole cattoliche nelle loro attività formative extrascolastiche, nelle stesse esperienze forti programmate per le varie classi.
    A mio avviso oggi occorre avere il coraggio di cambiare. Le associazioni (vedi Acr) hanno tentato di rompere questa uniformità; non sempre ci sono riuscite, anche per la mancanza di pluralità di cammini consentiti in preparazione ai sacramenti. Non può essere una scelta solo dell'animatore o del viceparroco, ma di tutta una comunità, da fare con gradualità e con decisione. Bisogna passare alla proposta di una molteplicità di gruppi, dove perlomeno i ragazzi si possono scegliere, dove si orientano con libertà verso alcuni interessi, attività, luoghi e metodi di aggregazione.

    LA COMPAGNIA O GRUPPO SPONTANEO

    Prima di parlare del gruppo, è utile fotografare un'altra aggregazione che ha un alto indice di gradimento per i preadolescenti: la compagnia. È quel gruppo spontaneo che si fa a cavallo di qualche bicicletta o motorino all'angolo della strada e, soprattutto per i preadolescenti, in qualche luogo, strada o piazza o prato, in cui si gioca lontano dal controllo di chicchessia. È una aggregazione naturale, muro del pianto per le ragazze, palco-scenico di smargiassate per i ragazzi, per gli uni e le altre valvola di sfogo, voglia di appartenenza spontanea e autogestita.
    La struttura di questa forma di gruppo è debole, nel senso che quando i ruoli assegnati non sono graditi, si cambia compagnia. Non è ancora una banda organizzata, al massimo prevale il bullo o la civetta o quello che sa l'ultima. Si rischia sempre l'appiattimento. Non ci si qualifica né in bene né in male.
    Le relazioni sono impostate sulla ricerca di chi assomiglia, di chi fa da specchio, di chi la pensa allo stesso modo, di chi tifa per la stessa squadra, di chi ha gli stessi gusti punk, paninaro o metallaro o dark. Aggregazioni di questo tipo sono più dell'età adolescenziale, ma lo stile è lo stesso.
    La dinamica prevalente è il rinforzo. Si va alla compagnia per trovare conferma delle proprie scelte, posizioni o contrapposizioni. La coesione, molte forte come dinamica della compagnia, nasce perché ci si dà ragione. La canali7727ione delle energie è verso la esaltazione più che verso la riflessione. Il rinforzo ha per lo meno il vantaggio di far superare gli immancabili stati ansiosi o di conflitto.
    La finalità della compagnia, fatta da consapevolezza dell'obiettivo e da azioni comuni, non è molto chiara. È percepita come esperienza positiva globalmente, ma non così da programmare delle attività. Si gioca, si fa qualcosa assieme, ma la compagnia non si qualifica per quello che si fa in questa o quella via, in quel prato o in quella piazza. È una aggregazione molto interessante, è un ottimo punto di partenza, permette il nascere e lo svilupparsi di amicizie, di abilità, di fantasie; può convivere con attività educative; favorisce la socializzazione e l'identificazione del ragazzo o della ragazza, ma non offre le stesse possibilità a tutti, le manca un progetto anche debole ma pur sempre capace di far camminare.

    IL GRUPPO COME PUNTO DI ARRIVO

    È lo strumento o la mediazione che ci pare necessario proporre come struttura portante dell'animazione dei preadolescenti.
    In esso il grado di organizzazione interna è elevato. C'è un animatore preciso, ci sono dei leaders, nascono dei ruoli diversificati. Ciascuno è messo in grado (in questa opera l'animatore è determinante) di sviluppare le sue capacità confrontandole con i bisogni del gruppo, con le domande e le proposte presenti. Assumere uh ruolo è ricerca di identificazione e sviluppo di vocazionalità. Il rischio è che l'animatore voglia fare da «mamma», che assommi in sé tutti i ruoli, così da non far crescere mai nessuno.
    La relazione tra le persone è ricca, basata sulla stima reciproca. Gli altri diventano significativi per me. C'è una conoscenza più profonda delle persone, uno scambio di informazioni e di amicizia, una capacità di rapportarsi non superficiale o utilitaristica. È in parte spontanea, in parte frutto di una serena consuetudine. È facilitata dal fatto che il gruppo non è imposto, ma scelto; gli stessi componenti del gruppo non sono appena accostati, ma ricercati e voluti.
    La dinamica si condensa nel favorire una costante volontà di crescita e di cambio. Le energie sono messe a disposizionesia del clima che dell'attività, ma soprattutto per una continuità di cammino, per una comunicazione e una interiorizzazione più profonda. Certo è bello appartenere a un gruppo in cui ci si sente rinforzati, appoggiati, protetti, ma è un vero gruppo educativo se ciascuno è aiutato a camminare con le sue gambe. Sarebbe pericoloso un gruppo che puntasse sul rinforzo o peggio ancora sul consenso, anche se entusiasmo e armonia non guastano mai, soprattutto tra i preadolescenti.
    La finalità del gruppo, se il gruppo è vero, è ben percepita da tutti. Non è perdere tempo aiutare a capire verso quali mete si cammina, scavare nella vita il posto per un'obiettivo, minimale in cui tutti si riconoscono. Non c'è nessuno incaricato di pensare per tutti. C'è un livello di finalità educativa che deve essere patrimonio di tutti. Senza coscienza dell'obiettivo il fare è fine a se stesso e non fa maturare le persone. Una aggregazione così fatta è un punto di arrivo, è frutto di sforzo educativo. Si parte da dove ci si trova, dalla classe, dalla compagnia o dalla massa, non si snobbano queste altre forme di aggregazione; anche perché non tutti i preadolescenti avranno la possibilità o l'opportunità di un gruppo, e lo stesso gruppo ben fatto non è esente da rischi.

    1987-05-72


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