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    Giovani, sessualità, amore



    Intervista a Xavier Thèvenot

    (NPG 1992-03-40)


    Domanda. Qual è la sua opinione sui giovani di oggi? Secondo lei, vivono una fase di disorientamento o esprimono uno stile di vita nuovo? Sono superficiali o sanno anche interessarsi alle cose e ai problemi?
    Risposta. Nei confronti dei giovani credo che occorre avere lo stesso atteggiamento di quel grande educatore che fu Don Bosco. Egli soleva dire: «Non bisogna lagnarsi dei tempi in cui si vive; occorre invece individuare in essi i punti di possibile aggancio col Vangelo». Non credo che i giovani di oggi siano peggiori di quelli di una volta. Semplicemente hanno dei valori di riferimento diversi, che si sono andati via via modificando. Quello che era importante per le generazioni precedenti, come la fedeltà coniugale, il «sì» per tutta la vita, il lavoro ben fatto, la coscienza professionale, l'onestà personale... è ormai passato in secondo piano per i giovani di oggi. Ma ci sono altri valori: grande apertura, una ancor più grande tolleranza nei confronti del pluralismo, dell'accoglienza dell'altro, una certa sensibilità all'accoglienza dello straniero, del diverso, una certa volontà di creare, sovente serietà nel lavoro nonostante una piccola frangia di giovani un po' asociali. Trovo allora che ci sono molti valori nei giovani di oggi. Non sono affatto pessimista.

    Giovani e vita di coppia

    D. È cambiato il modo in cui i giovani vivono il rapporto di coppia? Vi è stata un'evoluzione che ha modificato il loro modo di agire?
    R. Credo sia più o meno uguale in Italia, comunque in Francia quello che mi sembra caratteristico dei giovani di oggi è che capiscono molto bene il ruolo dell'istituzione in molti dei settori della vita. Il lavoro intellettuale, per esem pio, capiscono che deve essere regolato da un'istituzione «scolastica», da esami; ritengono giusto che ci sia un'istituzione «medica» a proteggere la salute; che ci sia una protezione sociale. Per quello invece che riguarda la vita di relazione di coppia, è curioso notare che i giovani la considerano sotto un aspetto puramente intimista e non comprendono affatto che ci possa essere una regolazione istituzionale della vita amorosa.
    Orbene, al giorno d'oggi tutti gli studiosi, cristiani e non, non cessano di affermare che la relazione sessuale, la relazione amorosa, è indiscutibilmente una realtà che tocca l'individuo nella sua intimità più profonda (non esiste niente di più intimo della sessualità), ma che la sessualità è al tempo stesso una realtà senza dubbio tra le più sociali dell'esistenza umana. Anzitutto perché essa origina, attraverso la funzione della procreazione, la società, e in secondo luogo perché il rapporto uomo-donna attraversa tutta l'organizzazione sociale.
    Inoltre, antropologi e specialisti ci insegnano che la sessualità è sempre intimamente legata alla violenza, come mostrano per esempio il tema della gelosia (così spesso presente nei romanzi e nei film), e le perversioni sessuali. Di conseguenza, la sessualità è, per certi versi, pericolosa e necessita di una regolamentazione sociale.
    Mi sembra invece che i giovani non colgano affatto questa necessità, ed è compito degli adulti far comprendere come la sessualità e la vita amorosa abbiano bisogno dell'aiuto dell'istituzione. £ vero che l'istituzione sovente viene percepita come una madre cattiva o come una «matrigna», che frustra l'individuo e gli impedisce di vivere la sua spontaneità. Ma è ancor più vero il fatto che quando l'istituzione funziona come dovrebbe, essa è un reale, efficace aiuto per iscrivere i nostri desideri nel tempo, nella trama sociale, e per evitare che ci si accontenti di vivere gli stati d'animo del momento, i sentimenti puramente immediati.
    Questa mi sembra la prima caratteristica dei giovani di oggi: quella d'aver privatizzato (o di aver reso troppo privata) la vita amorosa e sessuale.
    Una seconda caratteristica importante: direi che molti giovani hanno un cattivo rapporto col tempo. In Francia d'altronde - non so se lo stesso vale anche per l'Italia - si è notata una crisi nell'insegnamento della storia. Non si sa più bene come insegnarla: non si sa più bene come ridare ai giovani il senso della durata. Sono molti i giovani che vivono senza memoria, senza capacità di anticipare in termini adeguati il futuro, dal momento che esso appare loro troppo incerto, per la carenza di lavoro, la crisi economica, e anche perché abitano una società nella quale si vive l'immediato come assoluto. Per esempio, viviamo in una società dove la televisione occupa un posto molto grande. C'è una specie di «pratica» televisiva da parte dell'utente, lo «zapping», che consiste nel cambiare da un canale all'altro senza sosta per tentare di vivere il più intensamente possibile le immagini, senza un solo attimo di tregua: non si accetta di vivere una caduta di intensità del momento presente.
    Mi pare che molti giovani fanno dello «zapping» con la loro esistenza: cambiano da una sequenza all'altra, e quando una sequenza esistenziale perde di interesse, la sostituiscono con un'altra. Si rendono conto che la vita affettiva spesso è frammentata e che non riescono a protrarla, a esprimerla adeguatamente nel tempo. È come se i giovani pensassero che la durata è unicamente degradazione delle esperienze gratificanti della scoperta amorosa.
    Ma se è vero che la durata è in parte qualcosa che infrange le illusioni degli inizi della relazione amorosa, è altrettanto vero che è soltanto la durata che permette, nel lento scorrere del tempo, di scoprire la verità del nostro desiderio, di scoprire il mistero dell'altro, di comprendere dal di dentro ciò che significa amare, credere nell'altro, scoprire il perdono.
    C'è una terza caratteristica che vorrei aggiungere: si proiettano nel campo della vita affettiva comportamenti tipici del mondo dell'economia. Quello che intendo dire è che la nostra società è organizzata anzitutto per far marciare l'economia. È l'economia che diventa oggi la regola di qualità di una vita sociale. Orbene, in una prospettiva economica bisogna mettere il proprio capitale nel posto di maggior rendimento, e quando il capitale non rende più, allora si disinveste il denaro per reinvestirlo altrove.
    Ho la sensazione che oggi la gente vive spesso la sua affettività allo stesso modo di un capitale economico. D'altronde si usa dire : «Ho investito la mia affettività in una vita di coppia, in una relazione». E se, in un momento di crisi, l'affettività non sembra più rendere e produrre quei frutti attesi, allora si ritira il proprio capitale affettivo e lo si investe altrove.
    Si assiste così nella nostra società ad una sorta di poligamia nel tempo. Questo termine non è eccessivo perché, a conti fatti, si tratta proprio di poligamia: si ha una sola moglie, un solo marito alla volta, ma allo stesso tempo si vive insieme per qualche anno, e poi si cambia partner.
    Ma occorre rendersi conto che l'affettività non è un capitale che si possiede; è piuttosto una dimensione della persona che coinvolge tutta la nostra esperienza umana.
    Ed è questo che quel santo educatore dei giovani che fu Don Bosco aveva compreso così bene quando mise nel cuore del suo sistema educativo l'amorevolezza, questa qualità relazionale che coinvolge l'affettività tra il giovane e l'educatore, per far crescere in umanità sia il giovane che l'educatore stesso. E Don Bosco aveva anche compreso che l'educazione non avviene che in un lento confronto col tempo, con la fedeltà. È per questo che egli offriva ai suoi giovani il senso e la possibilità di un impegno, e a certuni di loro anche un impegno religioso. E per finire, egli aveva capito che è capace di strutturare una personalità solo una vita che si iscrive all'interno di una istituzione. È per questo che tutta l'istituzione salesiana, e non semplicemente alcune relazioni individuali, era educatrice dell'affettività.

    Troppo «fusi» ai genitori

    D. Sono questi i fattori che fanno sì che i giovani non desiderano sposarsi, o che fanno rimandare il matrimonio il più tardi possibile; o ci sono ancora altre ragioni per cui essi restano così a lungo in famiglia e decidono di sposarsi tardi, quando lo fanno?
    R. Gli psicologi oggi affermano che in molte famiglie esiste una carenza educativa che consiste nel non insegnare sufficientemente presto al bambino quello che si chiama «la legge», e cioè nell'aver troppo separato l'affettività e la legge, la fede e l'amore verso il bambino e la legge.
    E tutti gli psicologi, soprattutto gli psicanalisti, ci insegnano che la strutturazione della personalità del bambino avviene solo se egli si scontra con divieti chiari, netti, come per esempio il divieto di rimanere troppo «fusi», attaccati alle proprie origini, ai genitori, e il divieto di continuare a ripetere le prime esperienze.
    Molti genitori oggi hanno paura di dare dei punti di riferimento sicuri, dei divieti chiari, e allora il giovane che non ha potuto trovare il modo di maturare la sua aggressività e la sua sessualità, si ritrova rinchiuso all'interno del proprio ambiente familiare di origine. È questo il motivo per cui molti giovani oggi vivono quelle che si chiamano patologie del narcisismo: sono cioè incapaci di trovare una loro propria identità interiore e vivono appoggiati a genitori forti che vedono come meravigliosi. Ed è precisamente al momento di lasciare il loro mondo paren tale che questa sembra un'impresa troppo difficile.
    Questo fatto invita i genitori di oggi a tenere bene in conto ciò che gli psicanalisti chiamano le due rocce della realtà, sulle quali si fonda la realtà umana. La prima è la roccia della differenza dei sessi: i genitori devono mostrare chiaramente che un uomo non è una donna, e che una donna non è un uomo; che il padre non è la madre e che la madre non è il padre. La seconda roccia è la differenza delle generazioni: un adulto non è un bambino, un bambino non è un adulto. In nessun caso bisogna trattare il bambino come un amico, un compagno, ma si deve, in quanto genitori, agire come un genitore nei confronti di una persona che da loro è stato generato, accettando la differenza di generazioni.
    Ancora una volta, guardando Don Bosco, ci si rende conto di quanto, con l'amorevolezza, sapeva avvicinarsi ai giovani nel loro sconforto, nelle loro difficoltà, e sapeva come provocare delle risposte di amicizia. Ma proprio mentre viveva questa amicizia con i giovani, restava sempre un adulto preoccupato e attento per la loro educazione, e che, per farli maturare nella loro personalità, sapeva sia dire parole di incoraggiamento all'orecchio, sia far rispettare la regolamentazione istituzionale e la ragione. Don Bosco non giocava mai a far la parte dell'adolescente, pur stando loro molto vicino. Non è a caso se la Chiesa ha dato a Don Bosco il titolo non di «compagno» dei giovani, ma di loro «padre e maestro». Credo che bisogna ritrovare tutto questo; e mi sembra un preciso indirizzo educativo saper collegare e articolare sempre l'affetto, l'amorevolezza, alla ragione (e cioè la razionalità, l'intelligenza presa sul serio, che tiene conto della realtà), e alla fede, che permette ai giovani di vivere la loro affettività non solamente all'interno delle emozioni, ma di confrontarle con la realtà di una Chiesa, delle Scritture, della Bibbia, e di altre che sono leggi «strutturanti».

    Quale coeducazione?

    D. Oggi la coeducazione è un fatto, e sembra accettato in modo pacifico, sia da genitori che da educatori. La considera come un fattore ancora positivo? Che cosa dire a genitori e educatori a riguardo del fatto che ragazzi e ragazze vivono insieme, vanno a scuola insieme e si divertono insieme?
    R. Globalmente la coeducazione la considero un fatto positivo, perché la vedo come l'occasione per i giovani di «addomesticarsi» un po' alla volta all'estraneità dell'altro sesso, di scoprire la complessità del mistero dell'uomo e della donna, di vivere relazioni umane più nel reale e meno nell'immaginario e nella fantasia, di scoprire che non è poi così facile incontrare l'altro sesso, poter stabilire dei legami sufficientemente profondi e rispettosi: sono aspetti del tutto positivi.
    Detto questo, tutto ciò resta positivo se questa coeducazione è regolata da un'etica ben definita, un'etica che si preoccupa di far riflettere i giovani su ciascuna delle tre dimensioni della sessualità.
    La sessualità in effetti possiede sempre tre dimensioni:
    - una dimensione relazionale, attraverso la quale si esprime l'amore, l'amicizia, l'affetto, la tenerezza;
    - una dimensione erotica, che dona al corpo una dimensione di piacere;
    - e una dimensione di fecondità, che si può dispiegare nella fecondità carnale o nella fecondità educativa.
    La coeducazione è un fattore positivo nella misura in cui da un lato si invitano i giovani a riflettere su ciò che significa ognuna di queste dimensioni della sessualità nella loro vita di adolescenti, e su come, a mano a mano che invecchieranno, saranno in grado di comporre ognuna di queste dimensioni in rapporto alle altre due: cosa vuol dire essere fedeli? cosa vuol dire integrare il piacere nella relazione di amore? cosa significa diventare padre o madre?
    Tutto questo non avviene spontaneamente: non esiste una spontaneità «buona» della coeducazione. La coeducazione ha bisogno di essere regolamentata da un'etica.
    Credo che soprattutto nella scuola gli educatori devono riflettere a lungo e con attenzione sulle regole etiche da porre per la coeducazione.
    D'altro canto, si deve essere anche consapevoli di quella tentazione propria della coeducazione di voler anticipare troppo presto la completa esperienza della vita amorosa. Ed è qui che le relazioni sessuali sono troppo precoci, che certi legami amorosi che si dichiarano definiti per tutta una vita benché carichi di troppa immaturità, rischiano di proiettare i giovani in un mondo irreale. Ecco allora l'importanza del ruolo dell'adulto: intervenire per rimettere le illusioni al loro giusto posto.
    Aggiungerei infine che si scopre sempre più che la coeducazione deve essere diversificata. Perché le ragazze non maturano con gli stessi ritmi nei diversi settori della loro vita. A seconda dell'età, le ragazze sono più mature in un settore, meno mature in un altro; e sempre più oggi giustamente si ritiene che parte delle attività educative devono essere svolte da ragazzi, altre da ragazze, e certe attivitè in comune. Penso dunque che si debba incominciare a pensare la coeducazione in modo molto più complesso di come è stata pensata fino ad oggi.

    Un cammino di amore maturo

    D. Come bisogna considerare l'amore che vivono i giovani di oggi? Qualche cosa in proposito l'ha già accennata. Ma bisogna forse considerarlo con preoccupazione, come un momento di rischio, di pericolo, oppure come una maturità che si incammina per la sua strada, come un avanzare verso il diventare adulto?
    R. Per un adolescente, la nascita di un sentimento d'amore è sempre simultaneamente accompagnato da rischi e da nuove possibilità. Tutto dipende più precisamente dai riscontri educativi che avrà: che gli permetteranno di far aumentare le potenzialità iscritte nella sua scoperta dell'amore, oppure al contrario, se l'educazione è sbagliata, lo porteranno a ripiegarsi, a regredire nel vivere la sessualità in modo malsano.
    In effetti il sentimento d'amore ha sempre una componente di sogno, di illusione. Ma in parte solamente. Come diceva Freud con una formula che suona bene in francese, e che non è traducibile letteralmente in italiano: «toute trouvaille amoureuse est une retrouvalle» (ogni incontro d'amore è una ri-scoperta). Vale a dire che ogni volta che un essere umano incontra qualcuno che l'ama, ripete, «ritrova» qualche cosa del proprio passato. È come dire che nelle prime emozioni, nelle prime relazioni d'amore, si ritrova sovente più o meno il proprio padre o la propria madre: si trasferiscono nel presente sentimenti dell'infanzia.
    Ma se è vero che questo sentimento amoroso è carico in parte di illusione, non vuol dire che sia senza valori. Perché il sogno, l'illusione permette al giovane di imparare l'introspezione, di comprendere meglio quello che gli accade dentro, e soprattutto gli permette di prendere confidenza con l'estraneità dell'altro sesso. Avvicinare la donna per un uomo non è qualcosa che va da sé, come per una donna lasciarsi avvicinare da un uomo. E allora la parte di sogno che accompagna il sentimento d'amore permette a poco a poco di affrontare l'altro sesso senza troppa paura e insieme con molta speranza, e di scoprire progressivamente ciò che è la realtà, al di là delle immaginazioni e fantasie.
    Tanto più che l'adolescente vive sovente momenti neri, di vuoto: qualche volta persino gli vengono anche pensieri di suicidio: sente che la vita è dura; e dunque con la nascita di un sentimento d'amore ritrova entusiasmo, gusto per la vita, che gli ridanno speranza. Proprio per questo è importante fare attenzione e non «infrangere» sconsideratamente tali sentimenti e non prenderli in giro. Un corretto atteggiamento educativo è quello di aiutare l'adolescente a rileggere quello che gli sta capitando, a permettergli di discernere quello che è l'ordine del reale da quello che è ancora parte del mondo infantile, ripetizione del passato.
    Ecco perché è importante per l'adolescente trovare un educatore con cui parlare. Di solito, in grado di aiutare meglio non sono le persone più vicine, come i genitori, appunto perché sono troppo vicini all'adolescente: si dice difatti che l'adolescente, un po' alla volta, deve «portare il lutto» dei genitori, distanziarsi da loro. Di fatto è cosa piuttosto rara che gli adolescenti possano avere scambi approfonditi coi genitori sui loro primi incontri amorosi. Anche in questo Don Bosco ha mostrato una via possibile: egli voleva che tutti i giovani dei suoi collegi avessero la possibilità di avere un educatore con cui parlare. L'ideale per un adolescente è di trovare un educatore che si collochi a una giusta distanza: né troppo vicino come i genitori, e neanche troppo lontano, come lo possono essere i suoi professori.
    Un secondo punto di riferimento: è importante che l'adolescente trovi sulla sua strada dei divieti ben chiari. Che sappia, per esempio, che quindici anni non è un'età giusta per un'esperienza sessuale e che quindi non glielo si può permettere.
    Sono cose queste che spesso non si ha il coraggio sufficiente di dire con chiarezza. Anche se l'adolescente è scontento di sentirsi dire queste cose, sono sicuro che invece, in fondo, dentro di sé, è contento di trovare delle regole di questo tipo, perché sente che contengono del vero. E questo gli permette di «parlare» con le sue angosce, di non essere messo troppo in fretta di fronte alla realizzazione dei suoi fantasmi e dei suoi sogni, che rappresentano per lui una sorta di emorragia psichica, attraverso la quale l'energia se ne va.


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