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    Verso una proposta di animazione dei preadolescenti



    Mario Delpiano

    (NPG 1986-02-60)

    Le scienze umane ci hanno offerto diversi contributi sulla reale condizione dei preadolescenti odierni. E ciò a partire dalla ricerca promossa dai Centri di pastorale giovanile e presentata sulla rivista NPG nel 1985 e ora pubblicata a parte.[1]

    DALLA PROSPETTIVA DELL'ANIMAZIONE: PERCHÉ?

    L'approccio educativo è invece qualcosa di ulteriore e di originale: è come lo sguardo panoramico e creativo dell'artista sul mondo; uno sguardo diverso da quello analitico dell'uomo di « scienza».
    E l'animazione, come attività educativa, è appunto un'arte.
    In realtà anche i contributi offerti in precedenza avevano sottesa un'attenzione educativa, ma essa rimaneva implicita, non tematizzata. E' questa appunto che nel presente studio si intende esplicitare.

    Le condizioni per poter progettare

    Elaborare un progetto, definendo obiettivi e delineando sentieri preferenziali, predisporre un intervento per far evolvere la realtà, è cosa possibile soltanto dopo che della realtà (nel nostro caso la preadolescenza) si è tentato di cogliere non solo il «fatto» ma la «promessa» che contiene dopo cioè che se ne sono individuate anche «le possibilità di nuovo» che la complessa realtà umana si porta dentro.
    Ecco perché si legittima (e in certi casi viene esigita come prioritaria) una lettura in chiave educativa della condizione dei preadolescenti, che finora abbiamo studiato da altre prospettive.
    Rileggiamo allora il mondo della preadolescenza, per portare alla luce quei nodi - quasi punti nevralgici - che più di altri interpellano l'animazione e generano sfide a coloro che intendono agire sulla realtà per farla crescere.

    La domanda educativa

    Tutto ciò esige di specificare come si esprime e quale volto assume la «domanda educativa».
    Per domanda educativa indichiamo quella istanza di umanizzazione che l'educatore con la sua precomprensione riesce a cogliere nei preadolescenti, come appello a che venga promossa la loro vita nelle sue forme, e come richiesta di porsi al servizio di essa, della sua liberazione.
    Sono dunque da ricercare quegli aspetti peculiari della preadolescenza attuale carichi di potenziale vitale, capaci di lanciare i preadolescente oltre se stesso, oltre il suo presente.
    Per questo si guarderà con attenzione e simpatia al «nuovo» che si manifesta, a germi di futuro nascosti nelle pieghe dell'esistente, ai modi caratteristici attraverso cui i preadolescenti cercano la propria e comune realizzazione, nel momento in cui si liberano dal guscio di quel che sono e si proiettano verso ciò che saranno.[2] Lettura ingenua, sognatrice, dimentica del reale?
    Il limite, il negativo, lo scacco sono aspetti della realtà che non possono essere taciuti; l'animazione infatti coglie non solo i «segni di vita», bensì anche i «segni di morte», le minacce contenute nell'ambiente e quelle incorporate dagli stessi soggetti nella loro ambivalente realtà.
    L'attenzione alla domanda educativa costringe di conseguenza a ripensare l'offerta, a commisurarla alla domanda, a collocarsi in un rapporto comunicativo di sintonia con il destinatario.
    Ecco l'inevitabile punto di partenza: le domande di vita, per quanto povere ed inespresse appaiano. Esse tuttavia all'animatore appariranno infinitamente grandi e ricche, cariche di dignità, perché potenziali generatrici di nuove ed ulteriori domande.

    PREADOLESCENZA: MOMENTO ESPLOSIVO DELLA DOMANDA Dl VITA

    I preadolescenti si caratterizzano immediatamente per una intensa, esplosiva domanda di vita.
    Dove cogliere questa domanda e come essa si configura?

    Una pulsionalità erompente (la liberazione del desiderio)

    Chi vive a contatto coi preadolescenti rimane istantaneamente colpito, quando non anche spiazzato, da una vera e propria esplosione di pulsionalità.
    E' tutto un potenziale enorme di vita che rompe gli argini, che cerca nuove canalizzazioni e forme espressive, e sempre nel provvisorio e nel mutevole; un potenziale che sembra travolgere incontenibilmente modelli di comportamento propri dell'età precedente.
    Non sono solo i vestiti a divenire corti o stretti, ma anche i modelli di vita della fanciullezza.
    Siamo di fronte ad una fase nuova ed importante di emergenza del desiderio, nelle sue componenti bio-psicologiche individuali e collettive più profonde. L'inconscio riemerge nel tentativo di liberarsi dalle rimozioni che avevano caratterizzato la fanciullezza (periodo di latenza).
    E' questo il momento in cui affiora e bussa alle soglie della coscienza quello che è stato chiamato l'affascinante e minaccioso «mondo degli inferi».
    E' un desiderio però che sembra impigliato in forme espressive inadeguate, e che a stento sa darsi forme nuove; incapace di tradursi nella realtà, non sfugge alla tentazione di preferire vie facili e sostitutive come quelle della irrealtà e dell'immaginario.
    L'ottica dell'animazione comunque interpreta tutto ciò come la nascita di una domanda di vita qualitativamente nuova.

    Le caratteristiche della domanda di vita

    La domanda di vita del preadolescente presenta alcune caratteristiche ben definite.
    Le proviamo ad elencare senza la pretesa di esaurirle e con il rischio di rimanere nel generico circa l'approfondimento di ognuna.
    - Appare anzitutto esplosiva e disorganizzante, quasi una provocazione all'intenzionalità ordinatrice dell'educazione. L'esuberanza di questo momento evolutivo risulta disorganizzante anzitutto nell'esistenza stessa del preadolescente: egli vive una fase di confusione, quasi di disorganizzazione non solo «organismica» (come è stata anche definita) ma esperienziale ed esistenziale. In realtà, con uno sguardo globale, è anche possibile intuire l'esistenza di un processo germinale di ricostruzione e di riorganizzazione, che pone le fondamenta vere e proprie alla adolescenza successiva. La preadolescenza appare sconvolgere particolarmente il progetto e i piani d'intervento elaborati dagli adulti nell'ambiente educativo. Essa infatti richiede novità di progetto, ristrutturazione di ambiente, mutamento di relazione educativa: una evidente modificazione degli equilibri pacificamente instaurati nel corso della fanciullezza. In questo senso l'offerta educativa, quando si esprime in termini di aumento delle strategie di controllo o di allarmistico contenimento della vitalità, appare perdente e rivelatrice di una interpretazione errata della domanda dei soggetti.
    - Questa domanda si esprime in modo implicito ed inconsapevole: essa non sa «dirsi» in un linguaggio appropriato.
    Essa rimane perciò tutta da decodificare, poiché i preadolescenti si esprimono soprattutto col loro «fare», col loro corpo in movimento, e vivono il nuovo in maniera prevalentemente inconsapevole ed emotiva.
    Una domanda implicita ed inconsapevole che perciò rischia di essere manipolata dall'ambiente e legata a bisogni indotti.
    - E' una domanda accompagnata da profonde risonanze soggettive, che si esprime in un entusiastico, quasi euforico, gusto della vita.
    Il preadolescente non solo sta dilatando il proprio spazio di avventura, ma anche si appassiona alla vita in un modo globale e ingenuo, che lo coinvolge soprattutto nella sua emotività.
    - Una domanda di protagonismo. I preadolescenti cercano uno spazio più ampio di gestione della loro crescita: entro cui si sentano di vivere non più «gestiti», ma in prima persona. Essi chiedono di essere considerati finalmente soggetti nella elaborazione delle domande e delle offerte educative, anziché oggetti di un'azione unidirezionale. Ma di fatto questi spazi di protagonismo essi sembrano indotti a ricercarli lontano, quasi in alternativa di quelli istituzionali.
    - Infine una nota non trascurabile: la fragilità di questa domanda.
    Fattori personali ed ambientali (cultura educativa familiare di iperprotezione, sovrastimolazione consumistica) concorrono alla configurazione di un preadolescente passivo, facilmente arrendevole, impreparato a sostenere lo sforzo della crescita, debole davanti alla lotta necessaria per il conseguimento di mete e gratificazioni non immediatamente fruibili.
    Molte volte allora il confronto con l'adulto portatore della norma diventa poco gratificante; lo scontro con il reale troppo duro da sostenere; i costi richiesti di rinuncia troppo elevati: e la voglia di vivere, il gusto della vita, il protagonismo dei preadolescenti, sembrano stemperarsi con la facilità con cui sono sorti.

    Una domanda che sfida l'animazione

    L'animazione si sente provocata anzitutto da quei preadolescenti nei quali il gusto di vivere non sembra sbocciato, o appare sopito; da coloro la cui voglia di vivere si esprime attraverso meccanismi perversi di autodistruzione, o è orientata a saturarsi attraverso risposte alienanti.
    Tutte queste preadolescenze chiedono all'animazione di ripensarsi come forza di liberazione della vita, come fantasia capace di scorgere il fuoco anche sotto la cenere di sognare il possibile dentro il reale.
    La fragilità della domanda la provoca dunque ad inventarsi come relazione di aiuto, come presenza e compagnia che accoglie, rassicura, stimola all'ulteriore.
    L'esuberanza vitale invece la sollecita alla valorizzazione del potenziale esistente, perché la vita non ripieghi in forme distruttive o si cristallizzi nella rassegnazione autodistruttiva.
    Il «gusto di vivere in prima persona» inoltre chiede all'animazione di andare oltre la pura retorica sul protagonismo.
    Ai preadolescenti si riconosce spesso spazio di protagonismo soltanto nella gestione delle risposte, ma non nella definizione delle domande educative e nella loro interpretazione; essa rimane quasi monopolio delle agenzie educative, che sembrano riconoscere protagonismo, responsabilizzazione, coinvolgimento attivo dei soggetti solo «fino ad un certo punto».
    Ci sono inoltre reali difficoltà al coinvolgimento dei preadolescenti, soprattutto perché la loro riflessività critica, la loro capacità di autodefinirsi e valutarsi, risultano alquanto ridotte e poco sviluppate: come possono in tali condizioni divenire realmente dei protagonisti?
    La stessa domanda di protagonismo inoltre contiene elementi di ambiguità: l'istanza della soggettività protagonista, la voglia di vivere in prima persona, non appaiono anche connesse al riemergere di un tratto culturale alquanto problematico: un'autoaffermazione che si esprime nella ricerca del successo individuale, nella competitività e nella comparazione?
    Questa domanda di protagonismo suona perciò come una sfida all'animazione: essa deve rivelarsi capace di valorizzarla per la loro maturazione come individui responsabili e solidali, che non assolutizzano l'autorealizzazione collocandola al di fuori di un progetto di vita «insieme».

    COMPITO DELL'ANIMAZIONE: DECODIFICARE LA DOMANDA

    Una lettura educativa della domanda di vita deve procedere oltre: essa va colta in concreto, perché si esprime attraverso il manifestarsi di quei dinamismi che sono gli interessi e i bisogni reali dei preadolescenti.
    Tali dinamismi vanno identificati ed interpretati perché rivelino, oltre l'ambiguità della loro espressione culturale, quel potenziale capace di far maturare il preadolescente oltre il suo presente.

    L'importanza degli interessi

    Il maggior rispetto e la più attenta considerazione degli interessi dei preadolescenti esige che essi vengano assunti in tutta la loro serietà e valenza maturativa, perciò accolti, valorizzati, senza manipolazione: gli interessi non sono solo capricci o superficiale espressione dell'effimero.
    Ecco alcune motivazioni per tale esigenza di accoglienza e valorizzazione.
    - L'interesse, nel preadolescente, costituisce la traduzione immediata ed inconsapevole sul piano operativo (del «fare» ) e relazionale (del «fare insieme» ) di alcuni bisogni fondamentali che è importante identificare.
    Esso però rappresenta una modalità di risposta di determinati bisogni soggettivi, condizionata in maniera piuttosto massiccia da certe agenzie di colonizzazione culturale (quelle che veicolano la cultura del consumo).
    - L'interesse è sempre una struttura motivazionale che spinge all'azione, alla realizzazione pratica. Esso rivela l'ineludibile atteggiamento del soggetto verso qualcosa di «esterno a sé» e contemporaneamente profondamente «legato a se stesso» (anche se in maniera sconosciuta per il preadolescente).
    E' dunque il segno positivo dell'esistenza (o anche solo della sua possibilità) di un «ponte» gettato tra soggetto e mondo sociale e culturale.
    - L'interesse contiene in sé una ambiguità nascosta: in quanto modalità culturalmente orientata di canalizzazione del bisogno, esso è anche sempre modellato su «interessi di altri», misurato da soggettività ed intenzionalità estranee al soggetto direttamente «interessato».
    Nell'interesse concreto, dunque, è latente (soprattutto nella preadolescenza) il rischio della manipolazione e dell'inautenticità.
    Per riprendere l'immagine precedente: questo «ponte» tra soggettività e mondo non solo è «artefatto» (artificiale, modellato e legato cioè alla concreta cultura in cui il soggetto è collocato), ma può rivelarsi perfino «illusorio», mancare cioè di appoggio: un ponte sospeso per aria, sganciato dalle sue basi d'appoggio. Le fondamenta di questo ponte infatti sono da un lato i bisogni reali emergenti nel soggetto, dall'altro il mondo culturale e sociale verso cui l'interesse stesso è proteso.[3]

    L'interesse nell'ottica dell'animazione

    Tutto ciò chiama in causa la funzione dell'animazione.
    L'animatore viene a collocarsi tra il soggetto (coi suoi interessi e bisogni) e la realtà del mondo (natura, società, cultura).
    La sua funzione è di provocare l'interpretazione e l'autenticazione degli interessi, di condurre il preadolescente a «chiamare le cose per nome».
    Gli interessi, vissuti in maniera scarsamente consapevole, senza mediazione di progetto, devono essere fatti emergere alla consapevolezza dei preadolescenti stessi, collegati alla soggettività ed al mondo attraverso la parola, il linguaggio.
    Le agenzie educative molte volte invece si rivelano impreparate a tale compito, sottoposte anch'esse all'azione dei potenti mezzi di manipolazione e di omologazione degli interessi, e d'altra parte non riescono spesso ad offrire proposte significative, capaci di raggiungere i soggetti senza catturarli o senza lasciarli «disinteressati».
    L'interesse inoltre, s'è detto, è ciò che media il rapporto tra i bisogni vissuti, ma non riconosciuti, e le concrete possibilità di risposta dentro determinate forme culturali.
    Attraverso di essi l'animazione scorge una grande possibilità educativa: quella di far uscire il preadolescente dall'isolamento culturale e dalla chiusura narcisistica, di inventare forme di incontro/scontro con la realtà della cultura sociale.
    L'interesse porta dunque la dignità di una indiretta domanda di radicamento culturale, si rivela occasione per far incontrare i preadolescenti con le cose, gli altri, la natura; questo incontro progressivamente si condenserà in una rappresentazione ordinata e coerente del mondo del preadolescente: il «suo mondo».

    Verso il «principio di realtà»

    L'interesse offre ancora, dal punto di vista educativo, la preziosa possibilità di coniugare principio di realtà e principio del piacere, attraverso la rinuncia alla gratificazione immediata ma illusoria (secondo la logica della riduzione della tensione e dell'azzeramento di ogni attività simbolica), e la spinta verso l'elaborazione culturale, anche se inizialmente frammentaria e provvisoria.
    L'interesse allora diviene ciò che media e collega la soggettività, ancora prigioniera del sogno e dell'irrealtà, con quella oggettività del mondo reale che appare ancora lontana dal soggetto ed a lui estranea; esso ricrea quella zona temperata dove soltanto la vita diviene possibile; è la zona mediana tra il principio del piacere e il principio della realtà, che in qualche modo si regola sul principio nuovo: il principio del valore.[4] In questa prospettiva la ricerca dell'interesse può essere dunque la modalità attraverso cui il preadolescente si colloca sulla via della realizzazione del valore, di ciò che è «oltre» la soggettività, che ad essa si impone e chiede coinvolgimento e riconoscimento, pur essendo intimamente legato ad essa.
    Si realizza così nella preadolescenza una modalità «interessata» di cogliere ed affermare il valore. I preadolescenti cioè sperimentano a «valorizzare» e «relativizzare» (mettere in relazione con un bisogno soggettivo qualcosa della realtà che appare appunto «interessante» ) ciò che può servire la vita, la promozione attuale della loro vita, anche se ciò non si identifica con la pienezza di vita.

    Interessi e cultura: quale radicamento?

    Qui nasce un interrogativo: quanto risultano radicati gli interessi dei preadolescenti in un humus culturale? Di quale cultura sono espressione?
    Essi in realtà sembrano oscillare[5] all'interno del pendolarismo tra mondo vitale (un tessuto culturale sfibrato e debole: la famiglia, il gruppo dei coetanei, le relazioni amicali, un mondo sociale ristretto) e l'universalismo dei consumi di massa (un mondo culturale senza radici e senza memoria). Gli interessi manipolati dalla cultura consumistica vengono infatti svuotati della loro capacità di coinvolgere la soggettività del preadolescente; sembrano rinchiuderlo dentro il vorticoso circolo del consumo, in un mondo simbolico sganciato dallo spessore concreto delle cose. E' per questo che l'interesse per il motorino, il prototipo per eccellenza degli interessi del preadolescente (dal momento che rappresenta la conquista onnipotente della dimensione spaziale), come l'interesse per l'abbigliamento, l'uscita, la tv, sembrano risultare alla fine non più reali mediatori dell'incontro con la realtà, né coi bisogni soggettivi, ma un disancoramento dalla vita e dalle cose.

    IL LEGAME INTERESSE-BISOGNO

    E' importante a questo punto far luce sul nesso profondo che lega, soprattutto per i preadolescenti, l'interesse al bisogno: per una lettura educativa corretta, i bisogni necessitano di essere identificati e nominati, condotti alla consapevolezza dei soggetti e degli educatori, vagliati e accolti dentro un progetto.
    Ci soffermiamo su alcuni bisogni della preadolescenza odierna che sembrano emergere con più urgenza e che si rivelano nel contempo carichi di ambivalenza.

    I bisogni situati sulla dimensione della corporeità

    La vitalità esplosiva e pulsionale dei preadolescenti investe anzitutto il corpo, privilegiando appunto la dimensione fisico-corporea: il loro corpo (espressione della globalità della loro persona) cerca l'incontro con il «corpo» del mondo esterno, degli altri, delle cose, della natura.
    La ricerca del contatto fisico con l'ambiente, la penetrazione dello spazio, la conquista della territorialità, la misurazione e l'esplorazione insieme delle potenzialità proprie come di quelle dell'ambiente, rivelano quel bisogno più profondo di riappropriarsi di un corpo che cambia e nel quale essi stentano a riconoscersi.

    Il corpo per dirsi, il corpo per fare

    Si potrebbe affermare che l'urgenza di «dirsi forte», al di-fuori, di farsi presenti come soggetti, di rendere consapevole il mondo sociale che ci sono anche loro, viene gridata dai preadolescenti attraverso il linguaggio globale della corporeità. Un corpo che si muove, che urta le cose e che parla di sé, che cerca comunicazione, che ha qualcosa da dire agli altri e lo dice agendosi clamorosamente.
    La prevalenza delle istanze della corporeità si concretizza inoltre nella accentuazione quasi esasperata della componente operativa. Il preadolescente ha bisogno di «fare» per diventare, ed è proprio attraverso il fare attivo che egli fa esperienza della realtà (di sé come del mondo), la scopre, la comprende, la configura ordinatamente in «cosmo».

    L 'influsso della odierna cultura del corpo

    Questi bisogni però sono vissuti dentro quelle modalità particolari con cui la cultura attuale traduce le istanze della corporeità.
    E i preadolescenti sembrano cogliere, di questa accentuazione culturale, le istanze più immediate e superficiali, quelle meno elaborate culturalmente, quelle spesso più consumistiche.
    Non mancano perciò elementi di equivocità nella configurazione di questi bisogni. Ne evidenzieremo alcuni.
    La corporeità intesa anzitutto come luogo privilegiato della propria autorealizzazione ed autoaffermazione, che si esprime nella ricerca di rassicurazione di possedere una «buona forma» corporea. Essa è davvero un elemento fondamentale per lo sviluppo di una adeguata immagine corporea, ma può subire il condizionamento di una concezione distorta della corporeità: quando la ricerca di un «corpo sano, forte, bello» si assolutizza associandosi ad una cultura di potere, allora si può anche manifestare come dominio sul corpo dell'altro attraverso il proprio corpo. E la tentazione di soddisfare la fondamentale esigenza di possedere una adeguata immagine corporea e di realizzare un buon rapporto col proprio corpo e col mondo mediante le vie dell'aggressione fisica e della violenza o il rifiuto del riconoscimento del corpo dell'«altro», non sembra per nulla superata nel mondo della preadolescenza attuale.
    Connesso a ciò restano aperte le scorciatoie della esaltazione idealizzata del proprio corpo, col rifiuto e l'incapacità di accoglierlo nel suo «limite», insieme all'incapacità di accettare e riconoscere anche il «corpo debole, il corpo malato».

    Uno spazio di azione altamente educativo

    La ricerca positiva e soddisfacente del proprio essere-il-corpo apre la strada verso l'«oltre-il-proprio-corpo», quindi verso una incipiente esperienza di autotrascendenza, verso la scoperta dell'alterità e della diversità.
    L'accoglienza di questi bisogni collocati sulla dimensione della corporeità permette dunque di intravvedere possibili percorsi educativi, lungo la via della personalizzazione: un processo ininterrotto che nella preadolescenza prende avvio proprio dall'esperienza concreta e positiva di essere al mondo come «essere il proprio corpo».

    L'animazione e le istanze della corporeità

    Nella prospettiva dell'animazione culturale la vita può dirsi, nella sua ricchezza, grazie alla pluralità delle forme culturali e linguistiche.
    Il linguaggio del corpo per il preadolescente può rappresentare dunque (dal punto di vista dell'animazione) uno specifico «dirsi» del soggetto dentro la cultura: un modo operativo e globale, anche se per lo più inconsapevole. Un linguaggio ed una rivelazione di sé, da parte del preadolescente, che l'educatore oggi in gran parte misconosce e resta incapace di decodificare e di valorizzare.
    Col corpo infatti il preadolescente parla all'educatore di sé e del suo incontro col mondo.
    Ma la ricchezza e la novità del suo «dirsi» sfugge in gran parte anche al preadolescente stesso, soprattutto nei significati più veri.
    Il preadolescente perciò rivolge all'educatore una domanda: quella di capirsi attraverso l'esperienza dell'essere capito e correttamente interpretato; quella di divenire consapevole del suo dirsi implicito.

    Oltre l'espressione, un problema di comunicazione

    Un altro aspetto di ambiguità è legato al problema della comunicazione.
    L'irrequietezza che i preadolescenti traducono fisicamente può essere interpretata come indice rivelatore di una reale difficoltà a comunicare, soprattutto col mondo adulto, sul terreno della cultura, soprattutto dei linguaggi degli adulti.
    Essi privilegiano, come modalità di comunicazione, quella che prende forma nei linguaggi non verbali, quelli che investono la globalità del corpo: esprimono così l'indicibilità del loro io più sconosciuto, della loro esperienza, l'ineffabilità del loro desiderio. L'animazione si sente chiamata a decifrare questi linguaggi, a cogliere la sfida del comunicare sul loro stesso terreno linguistico, ma anche a condurli oltre, perché si dicano con linguaggi nuovi.

    Un nodo che resta problematico: la prevalenza dell'«operativo»

    Infine è ambivalente anche la componente operativa: quella modalità di contatto corporeo e di movimento nello spazio attraverso cui i preadolescenti vivono il rapporto con il mondo. Questa componente viene oggi vissuta in modo contraddittorio secondo i diversi momenti e tempi educativi, quasi in forma schizofrenica. Tempi di passività imposta a livello motorio-operativo e di forte inibizione e controllo sociale (basti pensare alle cinque ore di scuola in un'unica aula, dove lo spazio personale e di movimento è limitatissimo; ai tempi consumati immobili davanti al televisore) sembrano controbilanciati da tempi di esasperazione dell'attività (il tempo libero «occupato» dalle mille attività programmate loro dai grandi).
    Nascono di conseguenza per l'educatore alcuni problemi che esprimiamo nella forma di domande: le frenetiche attività, in buona parte confezionate sulla misura e sulle esigenze dell'adulto, sono davvero rispondenti alle esigenze profonde dei preadolescenti? La sovrastimolazione sensoriale e motoria non li lascia forse «desensibilizzati», impermeabili rispetto al vero «fare esperienza» col corpo? Non sono, anche nell'attività, dei consumatori? Quanto è coinvolta la totalità della loro persona attraverso questo «fare col corpo»? Come far cadere quelle barriere che ostacolano il vero «fare esperienza»? Al di là delle esasperazioni attivistiche, questa componente operativa alla fin fine dilata la soggettività o la fa smarrire?
    Eppure la vita dell'uomo, anche attivissima e produttiva, se non si espande attraverso la coscienza e non si radica dentro la cultura di coloro che «prima» hanno «fatto», non è ancora vita liberata.

    I bisogni affettivo-relazionali

    Un secondo grappolo di bisogni che configurano la domanda educativa nella preadolescenza, sono quelli affettivo-relazionali, connessi appunto all'emergere del desiderio e della corporeità.
    I preadolescenti esprimono una elevata domanda di vita affettiva, con modalità proprie: forte intensità, accentuatamente narcisistica, centrata dunque sulla propria figura e captativa dell'altro.
    Mentre ricercano nuovi «oggetti d'amore», hanno bisogno anzitutto della sicurezza di essere e di sentirsi amati.
    Le nuove vie di saturazione di questi bisogni privilegiano la modalità aggregativa nella ricerca del calore del gruppo, della sicurezza e dell'intimità dell'amico o dell'amica, senza tralasciare le fonti di affetto familiari.
    In questa domanda l'animazione scorge la potente forza maturativa che spinge, attraverso il processo di personalizzazione, alla socializzazione ed all'inserimento nel più ampio mondo sociale.
    La relazione sociale appare inoltre dominata principalmente dai bisogni affettivi, dall'emotività inconscia, carica dunque di ambivalenza, da riportare e gestire sul piano educativo.
    Tale intervento diviene ancor più problematico nel momento in cui sono immediatamente fruibili sul mercato modelli di affettività e di relazionalità caratterizzati da narcisismo, da dominanza, da utilitarismo, spesso anche altamente erotizzati.
    La domanda affettiva richiede con urgenza la definizione anche di un progetto di coeducazione che favorisca l'acquisizione di ruoli psico-sessuali flessibili, secondo le istanze più liberanti e anti-ideologiche della cultura attuale.

    Il bisogno di riconoscimento

    Connesso alla domanda affettiva è il bisogno di «riconoscimento».
    E' facile cogliere nei preadolescenti una urgente richiesta di stima, di valorizzazione di sé, di considerazione positiva, proprio come se essi vivessero un momento nel quale questo bisogno viene in continuazione minacciato.
    Il preadolescente chiede agli altri una conferma della dignità della propria vita al presente, la rassicurazione di «contare davanti agli altri», il riconoscimento del valore di quello che ora riesce ad essere.
    La gratificazione di questo bisogno trova come percorso privilegiato il gruppo, la relazione paritetica con i coetanei, quell'ambito insomma piuttosto informale e relativamente distante dalle istituzioni e dalle invadenze degli adulti.
    L'animazione si sente chiamata in causa da questa domanda. Per essa il gruppo e la comunicazione al suo interno sono i luoghi privilegiati del processo educativo.
    Ma occorrono alcune puntualizzazioni circa tale bisogno.
    Ci domandiamo: che cosa riconoscere e valorizzare? Ciò che del preadolescente rimane identico al suo passato e lo riallaccia all'immagine del «bravo fanciullo» dalla quale a fatica egli si distacca? O ciò che rinforza in lui l'immagine più funzionale all'istituzione o meno scomodante?
    I preadolescenti chiedono di essere riconosciuti per ciò che li rende diversi dal passato, per ciò che li fa nuovi nell'immagine che si costruiscono.
    Il preadolescente domanda tacitamente ad ogni figura educativa di adulto: «Mi accettate e mi considerate anche se cambio? Se non sarò più quel che ero prima? Anche se non so ancora con chiarezza chi sarò?».[6] E' dunque questa diversità che appella con più urgenza di essere riconosciuta.
    L'accettazione della personale e irriducibile originalità in divenire, sostenuta appunto dal riconoscimento degli altri significativi, offre la possibilità di far crescere il preadolescente verso l'accettazione globale di sé, e verso la capacità di sostenere anche la relazione di opposizione e di disconferma: elementi ineludibili in ogni relazione personalizzante.

    Il bisogno di relazionalità nuova

    L'ampliamento del mondo sociale, la ricerca dell'altro, con tutta la valenza emotiva che contiene, il sostegno al riconoscimento per la novità che scopre in se stesso, sono tutti elementi che orientano il preadolescente a rapportarsi in modo nuovo con l'altro generalizzato, anche se a partire dagli «altri vicini». Questa modalità di relazionarsi consiste nel tentativo di intessere un rapporto simmetrico nello scambio, un rapporto alla pari, caratterizzato dal massimo di reciprocità, invece della dominanza di uno dei due poli della relazione.
    Rapporto simmetrico e reciprocità sembrano trovare un ostacolo nel preadolescente stesso, incapace ancora di collocarsi al di fuori di una prospettiva proprio-centrica. Come far acquisire allora quella dimensione di alterità, di uscita dal proprio mondo verso il mondo dell'altro?
    Come controbilanciare la tendenza, più che reale, di costruire con l'altro un rapporto di dominanza e di potere, quale tentativo di rovesciamento in proprio favore del modello di dipendenza?
    Se si tiene conto ancora che le stesse proposte aggregative appaiono troppo centrate sull'acquisizione di competenze e poco centrate sulla qualità della relazione tra i soggetti, non si corre il rischio che in questi contesti venga a riprodursi la situazione scolastica, che per molti preadolescenti si rivela selettiva, discriminatoria, poco «paritaria»?
    Sono tutte situazioni insomma in cui il riconoscimento non ha possibilità di accadere.

    Il bisogno di autonomia

    Questo bisogno, oltre a manifestare l'esigenza del preadolescente di svincolarsi dalla dipendenza delle figure degli adulti «in autorità», indica esigenza di liberazione del desiderio, di gestione non più delegata della propria crescita e del cambiamento. Non è dunque solo autonomia dal mondo adulto, ma anche autonomia del desiderio.
    Guardando al mondo dei preadolescenti, ci si trova di fronte ad un dato di realtà contraddittorio: essi vivono di fatto in prevalenza situazioni di dipendenza e di iperprotezione da parte del mondo adulto, mentre tentano di ritagliare per sé spazi (più simbolici che reali) di autonomia; e dentro questi spazi alquanto ridotti di autonomia, conquistati a fatica, essi ricadono in nuove dipendenze.
    Mentre si sviluppa la capacità dei preadolescenti di autoespressione sempre più svincolata dai condizionamenti esterni (la famiglia, la scuola, gli adulti in genere), cresce contemporaneamente l'adeguamento agli stimoli dei nuovi sistemi ambientali (il gruppo, i coetanei, la cultura consumistica dei media, una certa cultura adolescenziale che li affascina particolarmente).
    Ma anche sul versante del sistema socioculturale la situazione appare contraddittoria. Esiste infatti la spinta della cultura del consumo, che sollecita a saturare i bisogni di autonomia verso direzioni impazzite, che esaltano l'illimitatezza del desiderio e allontanano il soggetto dalla realtà. Ma esiste nello stesso tempo la spinta del contesto di crisi che restringe i sogni di autonomia e di libera autorealizzazione.
    E' in questo contesto che l'animazione si lascia coinvolgere e provocare, per far emergere progressivamente dalla dipendenza e svelare le forme nuove di conformismo.
    L'animazione dunque opera su un doppio fronte per educare all'autonomia.
    In un contesto di inibizione e di allentamento dell'emancipazione, essa si riscopre come colei che sollecita il preadolescente a superare lo stato di dipendenza, per creare nuovi equilibri tra desiderio e regolazione sociale, tra possibilità e limite. L'animatore incoraggia l'avvio di esperienze e di comportamenti autonomamente motivati, spingendo verso l'ulteriore, oltre i binari securizzanti e senza rischio della fanciullezza, verso «l'uscita» (la «trasgressione»). In un contesto invece che incentiva l'espressione del desiderio in forme esaltate, onnipotenti e narcisistiche, egli richiama che solo nello scontro con il limite e nel «darsi i confini» nella realtà, il desiderio diventa spinta costruttiva, fattore di umanizzazione, anziché esplosione distruttiva: e solo divenendo «norma a se stesso» il preadolescente si riscoprirà «autonomo». Ancora una volta l'educatore riconosce l'importanza del gruppo, come luogo privilegiato di risposta a questa domanda educativa. Esso non potrebbe essere ripensato come un laboratorio in cui si sperimentano forme nuove al desiderio, e come stimolo all'esperienza della necessità della co-limitazione, quale via all'auto-limitazione?
    Inoltre, quale tipo di gruppo sarà da proporre, perché i preadolescenti non cadano nell'illusione dell'onnipotenza del desiderio senza limiti?

    Una conclusione provvisoria

    Accostarsi al mondo dei preadolescenti con sguardo educativo significa individuare, seppur in modo faticoso, una domanda di crescita e di umanizzazione (anche se contenuta in maniera più implicita che tematizzata).
    L'interpretazione di questa domanda esige che vengano problematizzati i bisogni connessi con i compiti evolutivi di questa età. Nei confronti di questi bisogni l'animazione si colloca come «offerta» di ambiente, di relazioni, di esperienze, di percorsi all'interno della cultura.
    Il contesto corretto non potrà che essere quello in cui è coltivata la capacità di chiamare per nome i bisogni, di riconoscerli, di autenticarli, prendendo coscienza del loro condizionamento e della loro manipolazione, ma anche della loro valenza educativa, perché acquisiscano la proprietà di suscitarne di nuovi, e perciò di scatenare sempre nuove domande.

    OLTRE LA DOMANDA EDUCATIVA IN SENSO IMMEDIATO

    Interrogando la memoria dell'animazione, in riferimento alle sue coordinate antropologiche, cioè al modello d'uomo che si porta dentro e verso cui tende, è importante sottolineare i problemi educativi che rimangono scoperti, e che ora richiamiamo.

    Il problema del «centro»

    Una modalità per esprimere il compito globale dell'animazione è quella espressa dal simbolismo del «centro».
    Cos'è l'arte educativa se non azione tesa ad unificare la dispersione delle esperienze di vita entro un universo che ruota attorno alla coscienza, come suo centro?
    Lo spazio e il tempo, dimensioni di fondo entro cui si svolge l'esistenza dell'uomo, diventano le coordinate di un «mondo» che si organizza e prende forma: quello dell'esperienza soggettiva.
    Spazio e tempo vengono riscattati dall'alienazione (cioè dalla pura ripetitività meccanica) quando appunto il soggetto trova in se stesso «uno spazio ed un tempo vivibili» entro cui la vita acquista sapore, il senso viene liberato e vi fiorisce; dove la vita trascende i livelli dell'utile, del consumo, della necessità e del bisogno.
    La condizione oggettiva della preadolescenza sembra escludere ogni possibilità di riferimento ad un «centro» di tal genere, soprattutto per motivi psicologici di ordine evolutivo. Infatti nel periodo delle identificazioni l'unità era garantita dai modelli esterni al soggetto che venivano ad assolvere la funzione di «centri unificatori»; nel momento dell'abbandono dei modelli e senza le premesse per l'elaborazione dell'identità, viene a mancare ogni possibile nucleo di riferimento e di unificazione, capace di salvare l'individuo dalla dispersione. Diversi sono gli elementi a comprova di questo limite: la prevalenza della componente corporea che si traduce nella dimensione del fare col corpo e nella esaltazione della dimensione spaziale su quella temporale; la molteplicità delle esperienze ed il fattore novità in esse contenuto; la modalità con cui vengono vissute: esse lasciano il preadolescente «fuori» di se stesso, smarrito, alla superficie della esperienza di contatto col mondo.
    Il preadolescente rimane fondamentalmente come una pellicola esposta in continuazione (sovraesposta appunto) e mai sviluppata.
    Sono le esperienze stesse che diventano, di volta in volta, il suo centro, senza alcuna riflessione all'interno, senza ritorno su di sé.
    Il preadolescente consuma esperienze, ma non riesce a «fare esperienza».

    Fare esperienza come elaborazione del «centro»

    «Fare esperienza» è rappresentare, in modo unificato, i significati dell'incontro con le cose: implica perciò continui processi di interiorizzazione e la coscienza del senso globale di ciò che si è vissuto, oltre le sensazioni e le impressioni puntuali. Ciò è possibile attraverso i linguaggi (le trame ordinatrici del vissuto) con la parola che narra ed elabora l'esperienza.
    E' questo il processo di elaborazione del centro, che resta perciò la cura prioritaria dell'animazione.
    Come giungere o almeno incamminarsi in direzione della formazione del «centro» nella preadolescenza?
    Indichiamo alcune piste percorribili, che svilupperemo successivamente:
    - la via del «noi », come progressiva elaborazione di un «centro collettivo» (il «villaggio») che diventi principio unificatore dell'esperienza di vita del preadolescente. Ciò avverrà principalmente nel gruppo.
    Con l'emergere della coscienza collettiva e di quella individuale da essa sollecitata, si elabora così un «centro esterno» al soggetto, che diviene momento di transazione all'elaborazione di un centro interno a loro stessi;
    - il corpo, come via di unificazione dell'esperienza di apertura sul mondo della presenza, e luogo di una prima esperienza (almeno potenziale) di unificazione di sé (soggettività psico-corporea);
    - il linguaggio, e soprattutto il racconto dell'esperienza, come sforzo di ricomposizione attorno ad un «centro di memoria» collettiva.

    La minaccia del mondo degli «inferi»

    Vi è ancora un secondo aspetto da evidenziare circa la problematica del «centro»: detto in linguaggio metaforico: la «terra» (il terreno della coscienza) come punto di unificazione di due mondi: gli «inferi» e il «cielo».[7]
    Ciò esprime il compito da parte dell'animazione di collocare l'uomo al centro dell'universo di cui fa esperienza.
    Il mondo degli inferi dice il mondo del desiderio, della pulsionalità, dell'inconscio, dell'energia vitale che cerca terreno sul quale radicarsi.
    Il mondo della terra è il mondo della sintesi sul piano della realtà (la natura, gli altri, le cose, la società) degli altri due mondi; è la realtà con cui il mondo degli inferi deve fare i conti, ma anche l'unica possibilità di accesso sul piano della realtà del mondo più sconosciuto all'uomo; è lo spazio della coscienza e della sapienza umana.
    Il mondo del cielo infine è ciò che si protende oltre la coscienza stessa, gli ideali, i valori, l'utopia, il sogno sulla realtà.
    Ora, la preadolescenza è un'età in cui il mondo del desiderio e della pulsionalità (gli «inferi») sembra prevalere e quasi minaccia di travolgere la coscienza, dopo una lunga fase di latenza, di compromesso pacifico con la realtà. Oltre che sentirsi costretto e minacciato, il mondo della coscienza (la zona temperata in cui unicamente la vita è possibile) si ritrova contemporaneamente schiacciato, nei preadolescenti, dal «cielo»: il mondo dei valori degli ideali, ma anche del super-io, cioè delle norme, dei doveri non ancora pienamente interiorizzati.
    L'animazione scorge in questa situazione la minaccia alla coscienza di svuotamento, di frantumazione di ogni possibile unità della persona; ma vi scorge anche un'occasione nuova per la crescita del soggetto, per dilatare attorno al mondo della «terra» l'universo della vita che si dispiega.
    Servire la vita in questa situazione vorrà dire individuare alcune direzioni di marcia, come:
    - creare le condizioni perché il mondo sconosciuto del desiderio affiori, venga liberato e prenda parola nel simbolico; e ciò affinché non sia vissuto come minaccia, ma venga accolto e trovi espressione, orientandosi verso la realtà, quale potenziale costruttivo;
    - estendere il mondo della coscienza attraverso il potenziamento della funzione razionale, critica, e ancorando il preadolescente all'esperienza della realtà concreta; sviluppare perciò l'universo della vita sul piano della realtà;
    - arricchire il mondo dei valori e degli ideali del preadolescente, evitando i cortocircuiti che pretendono di saldare l'immaginario con l'ideale, scavalcando la realtà stessa.

    La sfida della cultura dell'immaginario

    L'urgenza di radicare il preadolescente alla realtà concreta diventa ancora più evidente se analizziamo la cultura nella quale il preadolescente vive.[8] Si può affermare che la rappresentazione del mondo che il preadolescente elabora è piuttosto un collage di immagini svuotate ed impoverite di contenuto esperienziale, immagini che hanno perso quasi la traccia del rapporto concreto con le cose, perché forse non nascono da questo incontro. Si tratta di una cultura che si sviluppa piuttosto sulla linea dell'immaginario, o per lo meno tende a sovrapporre l'immaginario alla realtà. I linguaggi che il preadolescente utilizza non gli offrono una modalità di rapporto con le cose, non l'aiutano a familiarizzarsi con esse. Richiamano l'immagine delle cose, non l'incontro con le cose.
    Gli oggetti diventano portatori di significati simbolici, prima ancora di rivelarsi nella loro funzione d'uso. L'abbigliamento, per esempio, è anzitutto il simbolo di una appartenenza, veicola l'identificazione col personaggio, col modello.
    E' quasi come se i preadolescenti venissero sfiorati dalle cose, senza riceverne traccia. Lo stesso concreto, fatto di oggetti, è un concreto falsato, astratto: esso non rimanda all'utile, all'efficienza; è invece carico di bisogni di significati simbolici che si sovrappongono al reale.
    Tutto ciò, mentre rivela disponibilità alla elaborazione simbolica, viene colto dall'animazione come un appello al contatto reale con le cose, ad immergersi nel concreto da parte dei preadolescenti.
    Da ciò l'urgenza di «mettere pesi» alla preadolescenza odierna, attraverso l'incontro/scontro anche fisico con la resistenza delle cose, della natura, degli altri.
    Un rafforzamento del principio di realtà.

    La chiusura nel presente

    Vi è un'altra connotazione della preadolescenza odierna che non può essere accolta senza problematizzazione: la sua chiusura nel presente.
    I preadolescenti appaiono prigionieri del quotidiano, assorbiti dall'esperienza episodica del momento.
    La tensione verso il futuro, tradotta in progettualità, è piuttosto ridotta, vissuta implicitamente e trascritta nella direzione del «fare», più che in quella dell'«essere».
    Anche se provocato dall'adulto, il preadolescente si accontenta di un futuro che è la riproduzione identica e ripetitiva del presente.
    Questo appiattimento sul presente è accompagnato da uno scarso radicamento nel passato.
    La propria storia gli rimane sconosciuta, mentre ne resta fortemente condizionato; il legame col passato collettivo, con le radici culturali, è sostituito dall'universalismo dei consumi, che è cultura senza memoria e senza progetto.
    Di fronte a questo sradicamento l'animazione, oltre alla valorizzazione di quei germi di futuro e di quei frammenti di memoria che diventano i punti-forza per la sua azione, sviluppa la dimensione temporale nell'esperienza dei preadolescenti; riscopre la loro storia personale dentro l'alveo della memoria e della storia che li precede; in tal modo libera la progettualità e perciò la capacità di muoversi nel presente.
    Tutto ciò è però condizionato dalla possibilità di ricostruire, da parte dei preadolescenti, modalità di comunicazione adeguata con coloro che sono i portatori della memoria e del senso dell'esistenza, soprattutto in un momento in cui essi stessi riducono o interrompono lo scambio comunicativo intergenerazionale .
    L'animazione si assume anche questo compito.

    NOTE

    [1] Cf Associazione COSPES (a cura di), L'età negata. Ricerca sui preadolescenti in Italia, LDC Torino l986.
    [2] Cf C. NANNI, Alla scoperta dell'animazione n. 1 de «I quaderni dell'animatore» (LDC 1984).
    [3] Quali i motivi di tale carattere di «illusorietà» dell'interesse?
    Ne sottolineiamo due. Da un lato il fatto che la società distorce l'interpretazione autentica dei bisogni soggettivi attraverso il consumismo e l'induzione di falsi interessi e bisogni, per cui il preadolescente riesce con difficoltà a dar nome e discernere i bisogni autentici che in lui emergono. Dall'altro il fatto che quel mondo verso cui il soggetto si sente spinto perché ritenuto «interessante», è in realtà non-vero, apparente soltanto, immaginario, disegnato dai media e dalla fantasia del preadolescente, e non è invece quello reale, col suo spessore e il suo disincanto (Per questi temi cf NPG 1/86).
    [4] Cf L. CORRADINI, Educare nella scuola. Cultura-Comunità-Curricolo, La Scuola, Brescia 1983, pp. 22-23.
    [5] Cf M. POLLO, Preadolescenti: vivere il mondo come un eterno presente, in NPG 1/86.
    [6] Cf COSPES (a cura di), L'età negata, o.c., p.97-98.
    [7] Cf M. POLLO, L'animazione culturale nn. 5-6 de «I quaderni dell'animatore» (LDC 1984) e Id., Dizionario dell'animazione 2. Progetto d'uomo in NPG 9l85 pp. 65-69.
    [8]Cf M. POLLO, Preadolescenti: vivere il mondo come un eterno presente, in NPG 1/86.


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