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    Quali esperienze nell'educazione ed evangelizzazione degli adolescenti?



    Franco Floris

    (NPG 1983-9-3)

    Di esperienze come luogo educativo e pastorale si è parlato spesso nelle pagine della rivista, sulla base del principio metodologico «fare proposte facendo fare esperienze». Ci riferiamo in particolare al dossier di R. Tonelli, «Un itinerario per educare alla fede i giovani di oggi», NPG febbraio 1981.
    Partendo da questo enunciato e dalle scelte operative che esso implica, ci chiediamo:
    - quali esperienze sono oggi luogo significativo di realizzazione per gli adolescenti (15-18 anni)?
    - a quali condizioni queste esperienze possono diventare educative, sul piano umano e cristiano?
    - quali esperienze gli adulti devono proporre agli adolescenti per un loro arricchimento culturale e religioso?
    Il dossier è diviso in tre parti.
    Il dossier anzitutto riprende gli interrogativi e li amplifica alla luce dell'attuale cultura giovanile e di quello che viene chiamato il «primato dell'esperienza» e alla luce delle perplessità e ombre che attraversano l'azione educativa e pastorale con gli adolescenti.
    In un secondo momento, a livello più prospettico, il dossier verifica l'importanza della via esperienziale nell'educazione ed evangelizzazione collegandosi alla ricerca adolescenziale di identità, la quale procede, per molti versi, attraverso una sorta di oscillazione esperienziale nello spazio e nel tempo.
    Il dossier concentra infine la sua attenzione sui vari tipi di esperienza educativa e arriva a individuare una sorta di itinerario di esperienze suddiviso in tre momenti o tappe:
    - le esperienze/desiderio che l'adolescente vive nella sua vita quotidiana come luogo di ricerca di identità;
    - le esperienze/proposta in cui l'adolescente incontra un mondo di valori, norme, progetti, proposte di vita (compresa quella cristiana) che lo provocano ad una scelta esistenziale che dovrà informare tutta la vita;
    - le esperienze/dono in cui l'adolescente, partendo dal concreto delle esperienze, si «genera» ad un nuovo modo di vivere, ispirato ai valori umani e religiosi che ha fatto suoi.
    Per ognuna delle tre tappe vengono offerti: il ruolo dell'esperienza nella costruzione dell'identità, orientamenti educativi per l'azione, brevi riflessioni sul ruolo dell'educatore, indicazione su esperienze significative per ogni tappa.


    ESPERIENZE CON GLI ADOLESCENTI: FATTI E PROBLEMI

    Diamo per acquisito il principio metodologico del «fare proposte facendo fare esperienze» che più volte è stato evidenziato nelle pagine di "Note di pastorale giovanile".
    Ci permettiamo solo qualche breve richiamo per poi passare all'analisi della situazione.
    Il principio «far fare esperienze» dice la necessità di operare con i giovani sempre in modo concreto e rispettoso della sperimentabilità delle proposte facendo quasi toccare con mano ciò a cui si sollecita educativamente.
    Il valore educativo dell'esperienza è dato dalla sua capacità di riprendere il vissuto giovanile e farlo entrare in contatto con la esperienza più vasta degli adulti, a livello di valori umani e di proposta di fede cristiana.
    Così facendo si vuole allora entrare in contatto con il linguaggio esperienziale delle nuove generazioni, ma soprattutto si vuole mediare le proposte educative e religiose non tanto attraverso concetti e informazioni astratte quanto attraverso esperienze e attraverso ciò che esse evocano nel profondo della coscienza giovanile.
    Questa «via esperienziale» è sempre affascinante e sollecita gli educatori alla fantasia e alla creatività, ma solleva diversi problemi, come ora vedremo.

    Il «primato dell'esperienza» nella cultura giovanile

    Una prima serie di fatti problematici si riscontra a livello di cultura giovanile, dove sembra imporsi un modello di vita centrato sulla «espansione» della propria soggettività, cioè sul soddisfacimento dei propri bisogni ed esigenze, sulla ricerca di condizioni soddisfacenti per il proprio io, con una attenzione particolare alla sfera dei sentimenti e dei desideri, dell'affettività e dell'eros, della riappropriazione del corpo e del divertimento.
    La centralità del soddisfacimento dei propri bisogni denuncia a sua volta un distacco dai modelli etici e culturali caratterizzati da forte progettualità e oggettività.
    Il clima in cui questo è vissuto sembra essere più un nichilismo di corto respiro, pratico, di debole intensità, che non il pessimismo irreversibile nei confronti della realtà che caratterizzava quello classico.
    La carenza di progettualità si affianca all'assunzione di criteri soggettivi di comportamento e porta il giovane al cosiddetto «primato dell'esperienza» nel suo orientarsi nella società.
    Il giovane d'oggi, più che dare importanza alle norme, ai progetti di vita, agli ideali, sembra orientato prevalentemente a vivere la propria vita, a fare esperienze e a verificare alla luce della propria esperienza la bontà e l'efficacia di proposte di vita e di modelli di comportamento.
    L'esito è la frammentarietà, propria di chi non si preoccupa di individuare un filo conduttore unitario alla propria esistenza dal momento che l'obiettivo che si pone è quello dell'autorealizzazione, non quello della congruenza dei comportamenti.
    Questa analisi della cultura giovanile pone alcuni interrogativi:
    - come conciliare la visione giovanile del fare esperienza con una concezione educativa e pastorale che si propone di «fare proposte facendo fare esperienze»?
    - il fare esperienza dei giovani è stato ora presentato dal punto di vista dei rischi che comporta oggi; ma è l'unica lettura? In altre parole: cosa si nasconde dietro l'esperienzialismo giovanile? Si può accoglierlo? E come educarlo?

    L'azione educativa tra proposte forti e abbandono all'esperienzialismo

    Il fare esperienza è problematico anche dal punto di vista dell'azione e proposta educativa oggi: vanno ricordati due atteggiamenti che, pur contrapposti, lasciano intravedere una identica visione autoritaria di educazione e di proposta cristiana.
    Il primo è l'atteggiamento di chi all'esperienzialismo reagisce usandolo come strumento di penetrazione più o meno violenta nel mondo adolescenziale. Avendo compreso la forza del «fare esperienza», dedicano le loro energie a far passare «proposte forti» che poco o nulla hanno a che vedere con l'esigenza degli adolescenti del fare esperienza. E così alla debole soggettività adolescenziale oppongono una forte soggettività adulta, velata magari da visioni oggettivistiche di crescita umana e cristiana.
    La proposta educativa mediata da esperienze forti può avvenire sia a livello di relazione che di contenuti educativi.
    Così, ad esempio, esperienze forti sul piano della relazione possono essere quelle che esprimono atteggiamento autoritario, magari basato sulla personale forza carismatica dell'educatore; esasperazione della pressione di conformità del gruppo; richiesta di identificazione totalizzante in una istituzione perdendo di vista il rapporto con altre istituzioni e quindi la possibilità di crearsi contrappesi per equilibrare la spinta e la proposta...
    Esperienze forti sul piano dei contenuti possono essere: una proposta di valori e di uno stile di vita da accettare passivamente nella sua globalità; una catechesi dottrinale sistematica di taglio deduttivo/oggettivista; una fede proposta come «lasciare o prendere» in blocco, senza possibilità di analisi critica dei contenuti e senza una loro gerarchizzazione in ordine di importanza; una insistenza unilaterale sul passato e sui suoi valori come fonte di vita per l'oggi...
    Non meno autoritario e deleterio è tuttavia l'abbandono all'esperienzialismo di troppi adolescenti in ambito familiare, sociale ed ecclesiale.
    Anche in questo caso prevale un atteggiamento negativo verso il fare esperienza dei giovani. Ma l'adulto rinuncia a fare proposte, e quindi al proprio bagaglio esperienziale. Ognuno va per la sua strada, ma in fondo l'adulto crede solo nella sua esperienza.
    Inutile insistere sui rischi di questa rinuncia educativa. La carenza di figure ed esperienze di adulti con cui confrontarsi e identificarsi anche se criticamente, la mancanza di spazi di accoglienza e animazione in campo ecclesiale, l'assenza di proposte di vita generano insicurezza, ansia, abbattimento e, per difendersi, qualunquismo quando non autodistruzione.

    Gli interrogativi di chi crede nelle esperienze educative

    Ci sono anche coloro, e sono in tanti, che in questi anni hanno percorso il cammino educativo e pastorale del «fare esperienza» con gli adolescenti e hanno elaborato un metodo educativo di scambio tra esperienza dei giovani ed esperienza degli adulti.
    Sorretti da una «scommessa», educativa e insieme credente, sia nei confronti della ricerca di una nuova qualità di vita che l'esperienzialismo degli adolescenti lascia intuire nonostante le perplessità a cui nelle righe precedenti si è accennato, sia nei confronti della possibilità di «fecondare» queste esperienze attraverso il confronto culturale e di fede con gli adulti, questi educatori sono approdati a uno stile educativo centrato sulla prassi e dunque sulla sequenza: fare esperienza - riflettere sull'esperienza da uomini e da credenti - in vista di una nuova esperienza.
    Condividiamo quest'orientamento educativo e pastorale, ma non possiamo dimenticare alcuni dati problematici da parte degli adolescenti e degli educatori.
    Da parte degli adolescenti si nota: una certa sazietà di fronte alle esperienze proposte dai gruppi ecclesiali con eccessiva fretta e impossibilità di interiorizzazione; il rifiuto del gruppo istituzionale (quello del catechismo per la cresima, per intendersi) a favore di un gruppo più spontaneo e quindi a un fare esperienze fuori del gruppo; il giudizio a volte aspro sul come le esperienze vengono condotte (non rispondono più alle loro esigenze di soggettività)...
    Da parte degli educatori si nota: ansia e stanchezza nella ricerca di sempre nuove esperienze da far consumare al gruppo; un ritorno ed una chiusura in esperienze a specifica identità religiosa (incontri cosiddetti spirituali e di preghiera) a scapito di esperienze più globali (attente cioè al consolidamento dell'identità personale, sociale e culturale dell'adolescente).
    Di fronte alle difficoltà di una educazione esperienziale alla fede qualche operatore pastorale è perplesso e qualche altro ha già fatto marcia indietro a favore di una «catechesi di contenuti» sistematica, scolastica, di taglio apologetico.

    La riflessione sui vari generi di esperienza educativa

    Passiamo dai «fatti» ad alcune indicazioni su come è impostato il lavoro.
    Nel riflettere sulla dimensione educativa del «fare esperienza» con gli adolescenti veniamo a ritagliare, in modo forzato, un momento dell'intero processo educativo. Questo comporta degli scompensi. Ha il vantaggio tuttavia di provare a far passare al rallentatore il principio metodologico alla base di queste pagine e le sue implicanze teorico-pratiche.
    Il termine esperienza viene inteso in senso globale, in quanto vuole fare riferimento sia alla dimensione culturale che alla dimensione religiosa (e cristiana) della maturazione degli adolescenti. Più avanti si rifletterà sui tratti caratteristici che permettono di dire: «siamo di fronte ad una esperienza».
    La riflessione delle pagine seguenti è divisa in due parti, breve la prima (una premessa), più articolata la seconda, che costituisce il corpo centrale dell'articolo.
    La premessa iniziale riguarda:
    - il rapporto tra «fare esperienza» e maturazione della identità personale;
    - il contenuto del termine «fare esperienza»: quando si è di fronte ad una esperienza? La parte centrale riguarda invece i vari tipi di esperienze educative, la loro concatenazione in un itinerario educativo e religioso, gli orientamenti metodologici per una loro utilizzazione con i giovani.
    L'itinerario educativo che si delinea è ritmato da tre tempi: il tempo del desiderio e della sua liberazione; il tempo della proposta e dell'incontro/scontro tra desiderio e coscienza morale/religiosa sollecitata dalla proposta culturale e cristiana; il tempo del dono in cui l'adolescente si genera ad una vita nuova.
    Sull'itinerario e sul senso dei vari termini si veda più avanti; per ora basta sottolineare che si porta l'attenzione non sul fare esperienza in genere ma su tre grandi modalità esperienziali.
    In sintesi diciamo che per una azione educativo/pastorale attenta a tutta la crescita dell'adolescente si deve tener conto di tre tipi di esperienze: le esperienze della vita quotidiana; le esperienze «proposte» dagli educatori agli adolescenti; le esperienze «nuove» decise dagli stessi adolescenti.
    - Le esperienze di vita quotidiana: la vita ordinaria, giorno dopo giorno, con i suoi momenti alterni; è il luogo in cui l'adolescente «ricerca» una sua identità ed esprime il suo «desiderio». Fanno parte di queste esperienze: il gioco e lo sport, la prima cotta adolescenziale, il gruppo degli amici, la noia di certi pomeriggi al bar, lo studio e il lavoro...
    - Le esperienze «proposte» dagli educatori: sono gli «stimoli» che gli educatori offrono agli adolescenti per un salto qualitativo alla scoperta della coscienza morale e religiosa e alla costruzione dell'identità personale. Ne fanno parte: gli incontri formativi di gruppo, un campeggio o una settimana di campo scuola, la preparazione di un recital, un'esperienza di deserto e preghiera, una scuola di preghiera, momenti di dialogo alla scoperta della coscienza morale presente in ogni uomo, l'incontro con leaders culturali e religiosi...
    - Le esperienze che anticipano la maturità: sono le esperienze a cui gli adolescenti si orientano per esprimere i poli attorno a cui intendono costruire il loro «futuro d'uomo» e dunque il loro «dono». Possono essere esperienze di servizio e volontariato, assunzione di nuove responsabilità nella vita del gruppo, impegno in un rapporto di coppia, fedeltà a un momento di preghiera personale o di gruppo...

    FARE ESPERIENZA PER DARSI UN'IDENTITÀ PERSONALE

    Per comprendere il ruolo educativo delle esperienze occorre ripensarle nel quadro più generale della ricerca di identità personale durante l'adolescenza.
    L'identità personale è «l'insieme delle caratteristiche e modalità di comportamento individuale che, nella organizzazione e strutturazione, spiegano l'adattamento unico dell'individuo al suo ambiente nella totalità» (Hilgard).

    La costruzione dell'identità personale e le esperienze

    Per sua natura l'identità è una realtà dinamica: implica la progressiva capacità di differenziarsi dagli altri, ma restando identico a se stesso nel tempo, sfuggendo alle variazioni dell'ambiente che si situano oltre una certa soglia.
    La formazione dell'identità individuale si presenta come un processo di apprendimento, che, attraverso fasi irreversibili di complessità crescente, porta all'autonomizzazione del soggetto, cioè alla capacità di affrontare e risolvere i problemi che la vita presenta, alla indipendenza crescente nelle relazioni, all'esperienza della responsabilità che non nasce da imposizioni esterne ma nell'intimità della propria coscienza morale, alla originalità nel riconoscere e dare un senso alla vita.
    Perché l'autonomizzazione possa avere luogo, al singolo vengono richieste da una parte l'interiorizzazione dell'universo simbolico della cultura in cui vive (= processo di identificazione) e dall'altra l'indipendenza crescente dal sistema sociale e culturale e la capacità di produrre, in modo autonomo e cioè a partire dalla propria coscienza morale, ciò che prima ha subito come esperienza passiva (= processo di identificazione).
    Per questa strada si arriva alla identità adulta, cioè alla capacità di produrre nuove azioni e rappresentazioni del vissuto, integrando passato e presente, e anche i molteplici elementi del presente, nell'unità e nella continuità di una coscienza e «biografia individuale».
    La costruzione dell'identità è un processo per tentativi che segue la logica dell'oscillazione del pendolo. L'adolescente non è in grado di articolare di colpo la sua identità. Per farlo ha bisogno di «oscillare», senza disintegrarsi e disperdersi nella direzione dello spazio e del tempo, della interiorità e della socialità, alla ricerca del senso etico, esistenziale e religioso della vita personale e collettiva.
    Il fare esperienza è la strategia principale attraverso cui l'adolescente ricerca e costruisce la sua identità.
    L'esperienza nuova funziona, nella sua ricerca, come elemento perturbatore e/o conflittuale. Quando la situazione personale e ambientale si evolve l'adolescente elabora nuove attese, nuovi bisogni, nuove domande. A tutto ciò risponde destrutturando la sua personalità e attivando una nuova ricerca, mediata anzitutto dall'azione (e dalla riflessione che questa si porta dentro) e quindi da nuove esperienze. Ma l'esito non è scontato. Dall'esperienza conflittuale/perturbatrice l'adolescente può uscire ristrutturando la sua identità; oppure rifugiandosi, come si è visto, nella frammentazione, attraverso la segmentazione delle varie sfere di vita per mantenere un minimo di consistenza, almeno all'interno di ogni segmento.

    Verso una «coscienza esperienziale» dell'identità

    L'esigenza di oscillazione esperienziale porta a pensare ad una educazione (ed evangelizzazione) degli adolescenti in termini di «asistematicità sistematica» per giungere ad una «consapevolezza esperienziale» della propria esistenza e fede. Spieghiamo.
    L'adolescente è per natura asistematico: è mutevole, spazia in più direzioni con forti scompensi, ha bisogno di stimoli educativi continui. L'educatore, proprio per questo non è preoccupato che l'adolescente viva delle sintesi, ma che quanto viene scambiato con l'ambiente nel fare esperienze sia «lievito» che trasformi lentamente la personalità.
    La sistematicità la vive invece l'educatore, se ha presente il quadro globale di crescita umana e cristiana e nei suoi interventi ha a cuore tutta la crescita dell'adolescente, soprattutto la condensazione del nucleo di coscienza attorno a cui lentamente tutta l'identità verrà ad organizzarsi.
    Il punto di arrivo del fare esperienza giocato tra sistematicità e asistematicità è, per l'adolescente, la consapevolezza esperienziale della propria identità.
    La maturità umana implica sempre un certo grado di «riflessione» sull'esperienza fino a porsi in modo esplicito l'interrogativo sull'identità personale. Ora nell'adolescenza questo si verifica, ma non attraverso la coscienza logico-razionale, ma attraverso una consapevolezza esperienziale: l'adolescente percepisce se stesso come insieme delle esperienze positive o problematiche che ha vissuto fino a quel momento. In effetti l'evoluzione dell'adolescente non si produce anzitutto sulla base della modificazione delle idee, ma su quella di un vissuto sperimentato che rimodella l'esperienza prima che essa abbia una formalizzazione intellettuale.
    Sarà nella giovinezza che la consapevolezza esperienziale maturerà in una coscienza logico-riflessa della propria identità.

    I tratti fondamentali del fare esperienza

    Cosa intendere a questo punto per esperienza?
    La domanda è importante perché si tratta di individuare dei parametri su cui misurare in modo scientifico quelle che nel linguaggio comune vengono appunto dette esperienze.
    L'esperienza implica, per essere educativa, alcune componenti essenziali, riducibili a quattro: il contatto immediato, il rapporto con il mondo storico culturale attraverso il linguaggio, la riflessione, la trasformazione del soggetto.

    1. L'esperienza è anzitutto qualcosa di immediato, che si tocca con mano. Ciò che si è sperimentato si mostra, è evidente a chi ne fa l'esperienza. Ci sono naturalmente diversi gradi di immediatezza e di consapevolezza del contatto che si ha con un qualcosa. Non sempre, ad esempio, l'adolescente è direttamente consapevole di quel che succede nell'esperienza, anche se influisce su di lui. A volte l'esperienza passa inosservata, forse persino bloccata o repressa. Solo un intervento educativo permette di riprenderla, liberarla e portarla alla coscienza.
    Non si deve confondere tuttavia esperienza con materialità. Il dato immediato di ciò che è stato sperimentato non deve essere affatto ridotto a dato puramente sensibile (un vedere, un toccare, un udire...). Il rendersi conto di vedere, toccare, udire è già una «elaborazione» astratta dell'esperienza che per se stessa è un evento che colpisce il soggetto come insieme. L'esperienza ha un carattere complessivo. Essa coinvolge in modo immediato l'adolescente come totalità.

    2. Non esiste esperienza se non esiste un linguaggio che permetta di dirla, rappresentarla, interpretarla. Soltanto nel linguaggio le nostre esperienze si manifestano.
    Il fatto che il linguaggio sia sempre il mediatore tra noi e la nostra esperienza non annulla l'immediatezza del fare esperienza, ma la qualifica dandole un orientamento, un senso. La presenza del linguaggio permette al fare esperienza di assurgere dalla semplice sensibilità e materialità, per manifestarsi come evento che viene a fare parte di un dato contesto storico-culturale. Nel fare esperienza l'adolescente si radica, attraverso il gioco fra contatto immediato e linguaggio che lo manifesta, in una data cultura e ambiente.
    In questa direzione si deve dire che c'è esperienza solo se l'adolescente oltre che sperimentare se stesso entra in contatto con la «memoria culturale», contatto con un segmento o frammento di memoria culturale (e religiosa) delle generazioni che l'hanno preceduto.
    Si deve anche aggiungere che senza l'arricchimento del lessico personale e di gruppo il fare esperienza risulta per l'adolescente un materiale grezzo e forse inutilizzabile.
    Questa osservazione ne introduce un'altra. Se il linguaggio viene a costituire l'esperienza, è anche possibile che il linguaggio veli e nasconda il contatto immediato fino a non percepire che in modo stravolto la realtà. Un certo linguaggio tecnologico, ad esempio, restringe la possibilità di portare a consapevolezza la dimensione religiosa di certe esperienze. Viceversa il linguaggio religioso dilata un certo modo di entrare in contatto con il reale.

    3. La presenza del linguaggio introduce una terza dimensione dell'esperienza: la riflessione e interpretazione del vissuto. Secondo la concezione comune del termine, la riflessione sembra diametralmente opposta alla immediatezza dell'esperienza, perché mediante la riflessione cerchiamo di raggiungere proprio ciò che non ci è dato in senso immediato. Non è in questo modo che si vuol parlare di riflessione sull'esperienza.
    C'è un altro modo in cui la riflessione può essere intesa: scoprire in ciò che è già dato, e quindi nella sua immediatezza, qualcosa dell'esperienza originaria che era già dato; cioè di liberarlo anzitutto del suo stato di esser nascosto e di esser represso.
    Così intesa la riflessione è per l'adolescente un'azione di disvelamento e di illuminazione di ciò che è dato nella esperienza immediata. Senza la riflessione non esiste «fare esperienza». Essa permette infatti non di sostituire gli anelli mancanti ai messaggi della immediatezza, ma a scoprire l'immediatezza bloccata, repressa o confusa, a distinguerla e a renderla visibile dietro le nebbie delle incertezze quotidiane.
    La riflessione a cui dunque l'adolescente va abilitato è una riflessione sul vissuto, sulle cose e sui fatti, sulle motivazioni e sulle attese, sui risultati e sulla responsabilità personale...

    4. Infine, ciò che si è sperimentato non diventa esperienza reale nel senso pieno del termine nel momento in cui appare e in cui si apre alla riflessione/scoprimento, ma solo nel momento in cui ciò che si è sperimentato colpisce nel suo intimo l'adolescente che fa esperienza e lo trasforma, in modo che da allora comincia a vivere ed esistere in questo mondo in maniera diversa. Solo un'esperienza coinvolgente e trasformante è autentica.
    L'adolescente che ha fatto esperienza comincia a diventare un altro rispetto a quello che era prima e comincia a considerare il suo mondo e si comporta verso il suo mondo in modo diverso da quello precedente.
    Questa trasformazione comporta due movimenti: uno negativo ed uno positivo. Dopo la trasformazione attraverso l'esperienza le cose non stanno più come stavano prima. L'adolescente percepisce che non si può più essere come prima. Ma da questa negatività sorge una nuova positività: tutto è nuovo e diverso in un modo forse inaspettato. Si dice che è un soggetto ricco di esperienza.
    Val la pena di aggiungere che la capacità trasformativa della esperienza, anche nella adolescenza, può compiersi lentamente nel corso di un lungo spazio di tempo, ma può anche compiersi completamente entro un breve tempo, a volte in un attimo. Si compie lentamente frequentando per anni un ambiente educativo; in breve tempo in una giornata di ritiro spirituale o nell'incontro con una situazione di povertà e miseria.

    Un itinerario di esperienze in tre tappe

    Veniamo ora alla trattazione educativa delle esperienze.
    Esse sono organizzate, come già si diceva, in un itinerario educativo e pastorale suddiviso in tre tappe:
    - prima tappa: l'educazione degli adolescenti attraverso le esperienze quotidiane, quelle che gli adolescenti vivono giorno per giorno e che l'educatore è chiamato ad accogliere, condividere, educare per liberare il desiderio e la domanda esistenziale e religiosa;
    - seconda tappa: l'educazione degli adolescenti attraverso esperienze/proposta che accolgano il desiderio e la domanda, facendone percepire ricchezza e limiti, e li «fecondino» attraverso la scoperta della coscienza morale e l'incontro con una proposta di vita rappresentata dagli educatori e dalla memoria culturale (e religiosa) di cui sono espressione;
    - terza tappa: l'educazione degli adolescenti attraverso le esperienze/dono che questi inventano in risposta alle provocazioni delle esperienze del secondo tipo e attraverso cui si generano, in modo sempre più consapevole, critico, impegnato, ad uno stile di vita cosciente, responsabile, credente.
    Nelle pagine che seguono vengono riprese al rallentatore le tre tappe precisando per ognuna il senso e l'obiettivo, alcune linee educative, le possibili esperienze.

    PARTE PRIMA: EDUCARE LE ESPERIENZE QUOTIDIANE PER RISCOPRIRE IL DESIDERIO

    Le primordiali esperienze educative sono per l'adolescente quelle della vita di ogni giorno: lo studio e gli amici, le prime cotte e l'ultimo disco, la noia della domenica pomeriggio e l'esplodere improvviso della festa...
    Se si vuole cercare un denominatore comune a queste esperienze si può dire che esse sono il luogo del desiderio e della domanda.
    Per desiderio si intende il movimento, cosciente o inconscio, verso le cose, le situazioni o le persone, determinato da una mancanza o assenza che l'adolescente sperimenta dentro di sé. Il desiderio è alla base non solo dell'azione verso le cose o le persone, ma anche delle rappresentazioni mentali che in modi diversi accompagnano l'azione.
    Il desiderio non va pensato come deterministico gioco di domanda e risposta. Man mano che l'uomo matura apprende che la pretesa di qualche oggetto o soggetto di soddisfare il desiderio è illusoria. L'uomo adulto si riconosce finito nella possibilità di esaudire il desiderio e si accoglie come «essere desiderante».
    Per domanda invece si intende il desiderio nel momento in cui si rivolge ad un altro per essere soddisfatto. Ogni domanda all'altro, secondo Lacan, è nella sua sostanza domanda di amore, espressione di un desiderio di essere desiderato.

    Il desiderio soffocato da un nichilismo morbido

    Il modo con cui il desiderio viene vissuto cambia con l'età, con l'ambiente culturale, con la psicologia del soggetto.
    Come il desiderio viene vissuto dall'adolescente oggi?
    Prevale tra gli adolescenti, come si accennava nelle pagine precedenti, un nichilismo che può essere definito morbido, rispetto a quello rigido e assoluto che nasce dalle speculazioni filosofiche sul senso della vita. Questo nichilismo morbido si nutre dell'attuale crisi culturale e quindi della coscienza, spesso non riflessa, che non esiste più un fondamento o un senso che la realtà si porta dentro di sé. Il mondo è visto come un bazar di cose, un ripostiglio, un serbatoio di materia; la società è un insieme di pulsioni contrastanti; il soggetto umano è libertà sperduta che si chiede «cosa posso fare? come combinare le cose?».
    A questa situazione l'uomo non sembra rispondere con l'angoscia paralizzante che tutto blocca (lo dimostra per l'adolescente il moltiplicarsi delle esperienze) né con una esaltazione vitalistica della libertà («è sensato ciò che io faccio; purché riesca»), ma con un sobrio realismo che abbassa le attese, soffoca il desiderio e quindi il gusto adolescenziale per la vita e lo incanala, più o meno docilmente, verso il consumo esperienziale che diventa emblema del desiderio frustrato.
    Non si vuole quindi parlare di morte del desiderio ma solo di un suo soffocamento da parte del clima culturale che conduce l'adolescente ad abbandonarsi alla vita quotidiana senza mete precise, girovagando di esperienza in esperienza.
    Tipico, per fare un esempio, è il rifugiarsi nel gruppo come luogo caldo in cui il desiderio può essere soddisfatto, lontano dalla società. Quelli adolescenziali sono gruppi che non si pongono obiettivi esterni da raggiungere. Non sono gruppi di azione, ma di solidarietà e identità passiva. Si vive spesso in apatia, si limitano le aspettative, si abbassano le attese. Il gruppo stesso, se alimenta il desiderio, concentra l'interesse su di sé: l'essere in gruppo, senza altra attesa, diventa l'oggetto del desiderio.
    Con il gruppo ci si identifica passivamente, fino a sacrificare i propri desideri. Esso si presenta come una «madre buona», gratificatrice, opposta alla società (e alla comunità ecclesiale: gruppo sì, chiesa no!) vista come «madre cattiva», frustrante, corrotta e persecutrice. Visto che non la si può combattere, la società, la si ignora disinteressandosene. «Per serbare l'illusione di un seno materno paradisiaco si è pronti a consentire al sacrificio di tutti i desideri, perché lasciarli esprimere esigerebbe necessariamente ammettere gli ostacoli che si frappongono alla loro soddisfazione» (Le Du).

    Sollecitare esperienze/desiderio contro il nichilismo e l'apatia

    Veniamo ad alcuni interventi educativi per liberare il desiderio e la domanda di vita.
    L'itinerario educativo deve anzitutto farsi carico del risveglio del desiderio negli adolescenti. Per essere liberato, il desiderio deve anzitutto «avere cittadinanza», cioè essere riconosciuto in modo consapevole, accettato e praticato.
    La liberazione comporta allora due dimensioni che si richiamano reciprocamente: l'esperienza immediata e la consapevolezza più o meno cosciente «dentro» la stessa esperienza. Dal punto di vista educativo si possono ipotizzare tre passaggi o fasi.

    Le crisi rivelatrici

    Una prima fase educativa prevede di far «esplodere» il desiderio nascosto ed insoddisfatto di tante pratiche della vita quotidiana: l'amicizia, il gioco, il gruppo, l'innamoramento, lo studio, la situazione di marginalità... Queste esperienze quotidiane sono il primordiale luogo educativo. L'animatore vi si inserisce e nei momenti di «rottura» del clima di apatia, a causa della sofferenza e dell'angoscia oppure a causa della gioia e dell'esaltazione che la situazione provoca, aiuta l'adolescente a «toccare con mano» la crisi del desiderio.
    In questo modo l'animatore provoca una destrutturazione del soggetto (o del gruppo) che a sua volta lascia emergere impulsi, attese, rappresentazioni immaginarie.

    Il disgelo della parola

    Del desiderio non basta far esperienza immediata. Occorre passare ad una seconda fase educativa che con una immagine può essere detta: «il disgelo della parola».
    Attraverso la liberazione della parola nelle esperienze quotidiane il desiderio, fino allora taciuto e ignorato, comincia concretamente ad esistere.
    Si aprono a ventaglio le «cose da fare»:
    - coscientizzare i soggetti sulla concretezza del desiderio nascosto;
    - svelare i risvolti negativi del condizionamento interno (la propria personalità) ed esterno (l'ambiente sociale);
    - collegare le esperienze in una «immagine globale» di desiderio.
    In questa fase tuttavia la parola non ha un compito organizzativo, ma un compito di scatenamento e potenziamento ulteriore delle aspettative.
    Attraverso la parola lo stesso desiderio, inoltre, si trasforma e si fa «domanda» di vita. Una domanda di vita sottesa alle esperienze e che, di volta in volta, è domanda di affetto e amore, domanda di riconoscimento e di felicità...
    Indirettamente, o meglio dal di dentro, questa domanda raggiunge livelli profondi di esistenza fino a esprimersi come radicale anche se grossolana, domanda di senso e domanda religiosa.

    L'esplorazione e l'effervescenza del desiderio

    Una terza fase si ha quando il desiderio, stimolato da nuove situazioni e liberato dalla paura attraverso la parola, non meraviglia più, anzi diventa soggetto di rivendicazione. Il desiderio tende a manifestarsi con spontaneità, spesso senza inibizioni e senza confini.
    A questo punto l'esigenza di «far esperienza», che è in fondo la caratteristica dell'adolescente, si consolida e può iniziare un tempo più o meno lungo di «esplorazione» in più direzioni. Ne indichiamo tre.
    Si può parlare anzitutto di una esplorazione spaziale, come incontro dell'adolescente da una parte con la propria soggettività e corporeità, sia ai livelli della coscienza che a quelli dell'inconscio, e dall'altra con il territorio, cioè con l'ambiente e la cultura.
    In secondo luogo si può parlare di una esplorazione temporale, come progressivo radicamento e collegamento dell'adolescente con il passato fino a sviluppare una «memoria» personale e culturale, e dall'altra con il futuro fino ad elaborare una personale immagine di futuro, di utopia, di speranza.
    In terzo luogo si può parlare di una esplorazione sociale, come sperimentazione, magari caotica, di sempre nuove identificazioni con persone, gruppi, ambienti che conducono alla socializzazione e inculturazione dell'adolescente.
    Non si possono negare i rischi di questa «effervescenza» del desiderio.
    Le esperienze si accumulano, più o meno caoticamente. Non sembrano più esistere norme, divieti, tradizioni, appartenenze, confini, responsabili e leaders di gruppo... Non per questo l'educatore deve aver paura, proprio per il fatto che si devono educare soggetti e gruppi finora apatici e privi di iniziativa. Ciò che è decisivo è che questa spontaneità liberata incontri, come vedremo, delle proposte.

    Il ruolo dell'educatore nella liberazione del desiderio

    Tipico della fase passiva del gruppo degli adolescenti è il tentativo di catturare l'animatore e ridurlo alla morte del desiderio. Il rischio è che l'animatore si lasci catturare e prendere in ostaggio. L'animatore, preso in questo gioco, è tollerato solo a condizione di condividere l'illusione del gruppo. Egli però non è educatore se non è testimone di qualcosa di diverso dal nichilismo e dalla passività e apatia come pure del manifestarsi spontaneo del desiderio e se non mostra chiaramente che il suo sguardo è attratto dalla società reale, buona e cattiva insieme, in cui agisce. Egli non può concorrere alla ristrutturazione dell'adolescente e del suo gruppo come soggetto del desiderio se non testimoniando qualcosa che non sia l'immediata passività o il desiderio negativo del gruppo.
    Egli deve contribuire a rendere consapevole l'individuo e il gruppo in un primo tempo del fatto che rischiano di lasciar morire il desiderio ed in un secondo tempo della insoddisfazione del desiderio.
    Autonomia dell'animatore non vuol dire distacco, anzi. Un atteggiamento che l'animatore deve fare suo in questa fase del gruppo è proprio la partecipazione alle esperienze che gli adolescenti conducono, personalmente e come gruppo, accogliendo e valorizzando, senza pregiudizi, quello che sperimentano. Più che un abile organizzatore di attività è un attento partecipe del vissuto degli adolescenti. Il trasformare le esperienze di vita quotidiana in esperienze/desiderio comporta nell'animatore anche una estrema disponibilità al dialogo. L'adolescente è imprevedibile, alterno e bisognoso di un animatore che lo sappia accogliere al momento giusto. Sapendo che, a volte, sono sufficienti pochi, ma significativi dialoghi per orientarlo nelle sue scelte per molto tempo.
    Infine l'elasticità. Un animatore di adolescenti è, in questa fase del cammino, sufficientemente elastico, nel senso che segue le vicende del singolo e del gruppo con un distacco tale che gli permette di non preoccuparsi oltre misura per alcuni momenti di sbandamento, o anche per settimane di crisi e insofferenza.

    PARTE SECONDA: ESPERIENZA MORALE E DI FEDE PER SUPERARE IL NARCISISMO

    Dalla liberazione del desiderio al rischio del narcisismo

    La liberazione del desiderio porta ad una accentuazione della spontaneità, del fare esperienza come tale, del soggettivismo fino al rischio di trasformare l'individuo in fonte di ogni legge. In una parola può condurre ad un narcisismo idealizzante, cioè ad un desiderio che il soggetto investe su di sé, sulle proprie possibilità. Una forma di esaltazione suprema dell'uomo e dei suoi diritti.
    La liberazione del desiderio elabora in effetti «sogni» e «immagini» attraverso cui si designa un luogo, un modo di essere diverso da quello della difficile condizione dell'adolescente. Immagini e sogni che colmano tutti i desideri e aspirazioni nel nome di una «onnipotenza» narcisista.
    È il momento in cui nell'adolescente nascono i miti del «tutto e subito», «tutto o niente», «il padrone e lo sfruttato», «il bene e il male», «il bianco e il nero».
    Questa fase è dunque diversa da quella precedente, anche se spesso gli adolescenti le vivono contemporaneamente. Mentre però nella fase nichilista niente aveva senso, ora ha senso solo ciò che il soggetto elabora e produce. Se l'individuo è il produttore di senso, realizzarsi è esprimersi, fare esperienza di tutto, inventare senza paura e senza norma. Non esiste legge alcuna fuori dal soggetto.
    I miti e le immagini narcisiste possono portare a due concezioni di vita solo apparentemente diverse e che rispondono alle due immagini dell'homo faber e dell'homo religiosus (cf A. Rizzi, Differenza e responsabilità. Saggi di antropologia teologica, Marietti 1983, pp. 3-9).
    La concezione dell'homo faber è sottostante all'adolescente che si pensa radicalmente autoproduttore del senso; che a partire dalla consapevolezza del non-senso della vita si erge, senza altra norma che la libertà, per costruire mondi di relazioni e di valori con cui popolare il vuoto della sua esistenza. Egli si considera padrone del mondo e della vita. Tutto dipende da lui e dalla sua responsabilità.
    La seconda concezione è alla base dell'«adolescente religioso» che elabora immagini di onnipotenza e pienezza, ci si affida, le fa sue e pensa il mondo e la stessa divinità in funzione del suo desiderio di onnipotenza, in funzione quindi della sua pienezza e autoaffermazione.
    In effetti la fase narcisista dell'adolescenza può essere terreno favorevole per la efflorescenza di miti, immagini e desideri religiosi che evocano le grandi figure mitiche del paradiso perduto, della possibilità di innocenza e trasparenza, della comunione assoluta tra le persone. E così vi può essere una formidabile collusione tra desiderio narcisista dell'adolescente e assunzione di miti e immagini religiose. Ci si può chiedere subito che ne sarà di queste immagini religiose in cui l'adolescente si identifica intensamente, appena usciti, magari duramente, dal narcisismo. E fino a che punto la fede cristiana si fa garante di immagini narcisiste?

    L'esperienza della «coscienza morale» e della sua trascendenza

    Se nella fase nichilista l'educatore si impegnava per far esplodere il desiderio, ora l'obiettivo è far incontrare il desiderio con proposte ed esperienze che gli diano senso in chiave etica e religiosa. L'adolescente narcisista rischia di vivere in un mondo che non esiste. Occorre che si incontri con il reale. Evitando però il ritorno ad atteggiamenti di passività e angoscia.
    In quale direzione?
    Si intravede una fase distruttiva ed una costruttiva.
    La fase distruttiva è data dall'esigenza, per l'educatore, di rompere il bel giocattolo del narcisismo facendo scontrare l'adolescente con una realtà che non è manipolabile fino infondo dal singolo e neppure, come vedremo, dall'uomo in quanto tale.
    Il desiderio liberato deve scontrarsi con la realtà per porre fine allo spontaneismo, soggettivismo, sentimento di onnipotenza. Va rotto l'incantesimo della pura spontaneità come luogo del senso, delle immagini seduttrici del narcisismo, per aprirsi al senso nascosto nel reale.
    Il secondo momento del cammino educativo si caratterizza invece per il fatto che l'adolescente è sollecitato a incontrare esperienze/proposte etiche ed esistenziali da parte di uomini e donne che vivono in prima persona una proposta di responsabilità morale e religiosa. Siamo alla fase costruttiva. In sintesi si può dire che questa fase consiste nella maturazione della coscienza («tu devi») contro la spontaneità del desiderio («io posso»).
    Spontaneità è la coscienza in quanto principio del proprio sviluppo: l'adolescente si percepisce come ragione ultima delle proprie decisioni e scelte in un processo di espansione indefinita del proprio io.
    L'esperienza di «coscienza spontanea» deve scontrarsi con la coscienza morale che rappresenta una «rottura» nella impostazione che finora l'adolescente ha dato alla sua vita. La crescita della coscienza morale passa attraverso l'incontro con un «imperativo incondizionato che si oppone alla spontaneità e si pretende motivo ultimo, autofondantesi della decisione del soggetto. La coscienza morale si arroga il diritto a comandare, senza possibilità di appello, il muoversi dell'esistenza» (A. Rizzi, o.c., p. 226).
    La coscienza morale non uccide il desiderio, ma lo declassa: non è più misura di se stesso, ma viene sottoposto a una misura che lo sovrasta e lo giudica.
    Man mano che l'adolescente accede alla coscienza, entra nel mondo nuovo e sconosciuto del senso della vita che non è dato dall'armonico espandersi personale ma dal «fare il bene», un bene che non è misurato dal soggetto ma che è anzi, a questo punto, la misura del soggetto. Il desiderio e l'imperativo etico si combattono frontalmente: il «tu devi» si impone come l'anti-io, come alterità senza possibilità di replica, come esigenza assoluta. Nel momento in cui l'adolescente arriva alla esperienza della coscienza morale, questa non lo incanta, ma piuttosto lo sconcerta e lo disorienta. La coscienza infatti chiede un consenso assoluto al livello più intimo della persona. Il simbolo di questa coscienza può essere colui che muore per una causa giusta, il passante che annega nel tentativo di salvare un bambino dall'acqua...
    L'«alterità» che la coscienza morale esprime è anche il luogo primordiale e originale in cui l'adolescente fa esperienza della trascendenza e quindi dell'Alterità. La coscienza morale diventa il luogo della maturazione del desiderio e della domanda religiosa.
    Ma la coscienza morale diventa prima di tutto il luogo in cui nasce per l'adolescente una nuova e assoluta solidarietà sociale e interpersonale. Non è più il desiderio spontaneo a portarlo verso l'altro, la società e il mondo, ma l'esperienza diretta della coscienza e della conseguente responsabilità morale. Il fine della storia personale diventa 1'instaurazione di una società giusta.

    Verso una esperienza religiosa e cristiana

    Non possiamo affrontare un argomento vasto come quello dell'educazione alla fede nel giro di poche pagine.
    Ci limitiamo a indicare alcune linee nella direzione del superamento sia del nichilismo che del narcisismo spontaneista a partire da una riflessione sulla Rivelazione storica di Dio nell'esperienza di Israele e soprattutto nell'esperienza degli apostoli che in Gesù di Nazareth hanno riconosciuto la presenza di Dio a fianco dell'uomo.
    In vista dell'educazione cristiana dell'adolescente sottolineiamo due aspetti:
    - l'iniziativa di Dio che facendosi presente nella storia sconvolge (senza travolgerli) il desiderio e la ricerca di senso dell'uomo e li immerge in un amore che precede e costituisce (come possibilità) lo stesso cammino dell'uomo verso Dio;
    - l'Incarnazione di Dio in un determinato punto della storia (il qui-ora di Gesù di Nazaret) che fa di ogni momento della vita personale un luogo in cui il singolo è chiamato a «rispondere» della sua esistenza trasformandola in «dono».

    Il punto di partenza: il desiderio religioso e la coscienza morale

    Il punto di partenza per l'educazione cristiana dell'adolescente rimane il desiderio narcisista e la sua liberazione/trasformazione per l'imporsi della coscienza morale.
    Si aprono due strade verso l'educazione cristiana: la strada del desiderio e la strada della coscienza morale.
    In che senso il desiderio può aprirsi all'esperienza cristiana?
    Il desiderio ha per oggetto cose, persone, situazioni diverse dentro la vita quotidiana. È il denominatore comune delle tendenze di oggetti svariati che realizzerebbero l'uomo.
    L'esperienza non lascia tuttavia intravedere solo questo desiderio, ma anche un «desiderio di salvezza», un «bisogno di senso» che non è dato dalla semplice somma dei desideri parziali, ma di una figura particolare di uomo come «essere desiderante».
    Nell'adolescente può esprimersi in modi diversi: bisogno sofferto di ricomposizione interiore (ricerca di identità), anelito alla purezza e alla perfezione morale, sentimento di integrazione nel cosmo, sogno di un'umanità giusta e felice, nostalgia di un mondo perduto...
    I diversi modi di esprimersi non vanno intesi in un modo puramente oggettivo e letterale, né in modo puramente metaforico, ma in modo essenzialmente «simbolico». Nei desideri quotidiani l'adolescente può scoprire un desiderio nuovo, «simbolo» di ogni altro desiderio: il desiderio reale di salvezza. Non è soltanto un desiderio di espansione soggettiva (e quindi di utilizzazione di Dio a proprio piacimento), ma è insieme confessione della povertà di fatto e della situazione oggettivamente problematica in cui l'uomo vive. Il desiderio soggettivo porta sempre traccia del desiderio di salvezza che viene da Dio. Una volta libero e consapevole questo desiderio permette un itinerario cristiano verso Dio.
    C'è una seconda strada, peraltro non separata dalla prima, che apre all'esperienza religiosa ed è quella della coscienza morale e del suo fondamento ultimo. Nel momento in cui l'adolescente sperimenta un «tu devi» come imperativo incondizionato, la coscienza morale entra in contatto con un senso nuovo dell'esistere il cui fondamento «è la deposizione del proprio progetto di senso ai piedi dell'Alterità e accettazione di quell'orizzonte di senso che non si può possedere, in cui solo si può entrare» (A. Rizzi, o.c., p. 228).
    Visto alla luce della coscienza morale, il ripiegarsi dell'uomo sull'uomo si spezza e appare un altro, che costringe al dialogo e apre al qualitativamente nuovo.
    E così l'esperienza della responsabilità morale si apre alla esperienza di Dio o per lo meno del divino. In ogni esperienza morale, anche rozza e inficiata di paura e autogratificazione, albeggia l'obbedienza a Dio, quell'obbedienza che trova nel martire per una causa giusta la sua più alta espressione e che anche l'adolescente è in grado di sperimentare nella sua vita.

    Il desiderio religioso e l'iniziativa di Dio in Gesù di Nazaret

    Il cristianesimo rappresenta un capovolgimento e una liberazione dalla logica nichilista del non-senso e dalla logica narcisista del desiderio.
    Rispetto al desiderio, Gesù di Nazaret si pone come colui che lo accoglie e lo supera. Da parte di Gesù non c'è anzitutto rifiuto del desiderio visto come ricerca di senso dell'uomo, attraverso la confessione della sua povertà. Gesù di Nazareth è l'accoglienza suprema di Dio verso il povero, verso il «desiderio di salvezza», pur camuffato dentro i vari desideri della vita quotidiana.
    Tuttavia in Gesù il desiderio viene superato nella sua componente narcisista, quindi nella sua visione dell'uomo come espansione spontanea e di Dio che viene raggiunto dall'iniziativa dell'uomo.
    Per un cristiano il desiderio religioso naturale, senza essere disprezzato, viene preceduto dalla iniziativa di Dio: è credente non tanto l'uomo che vuole amare Dio ma l'uomo che confessa di essere avvolto dall'amore di Dio in Gesù Cristo pone questo amore a fondamento di un nuovo stile di vita. L'uomo del desiderio e dell'amore che «sale» a Dio scopre che essere credenti è arrendersi all'amore che «scende» da Dio.
    In questa prospettiva Gesù non si presenta come colui che esaudisce il desiderio narcisista: non è a disposizione dell'adolescente, anzi gli si oppone ristabilendo distanza e separazione, mettendo fine alle illusioni seduttrici di autorealizzazione. Attraverso Gesù l'adolescente impara a non confondersi più con Dio e si pone a disposizione di Dio e del suo amore che avvolge il mondo e la storia.
    Il desiderio stesso viene rigenerato. Ha diritto di esistere, ma viene convogliato in una nuova direzione: l'adolescente apprende ad essere responsabile della vita davanti a Dio per gli altri.
    Nella rigenerazione del desiderio attraverso la scoperta della coscienza morale e della responsabilità della propria vita davanti a Dio per metterla a servizio di ogni uomo viene superato lo stesso nichilismo che soffocava il desiderio.
    In che senso?
    Gesù salva dal nichilismo nel momento in cui rende l'adolescente consapevole di essere già in un mondo nuovo in cui la novità è dono gratuito di Dio. Ma lo stesso Gesù lo ributterebbe nell'angoscia se il dono fosse semplicemente da accogliere, senza che a lui tocchi «creare» qualcosa. Ora Gesù mentre rivela che «questo mondo» non è insensato, rivela anche che il senso è dato come seme, come lievito, come tesoro nascosto in un campo, come talento da far fruttare affidato alla coscienza e alla responsabilità personale.
    Ancora un'osservazione importante per l'educazione dell'adolescente. L'Incarnazione di Dio proclama non un Dio astratto e astorico, ma un Dio presente in quest'uomo-Gesù, dunque in un segmento di spazio e di tempo, di corporeità e di cultura ben precisi. Non c'è altro spazio di responsabilità, anche per l'adolescente, se non nel segmento di spazio e di tempo, di corporeità e di cultura che riesce ad abbracciare. È lì che è chiamato ad accogliere il dono come seme da far fruttificare. L'adolescente sa che in quel contesto deve «rispondere» a Dio, attraverso quel luogo originario della sua presenza che è la coscienza. La vita si fa compito qui-ora, senza possibilità di abbandonarsi ad altri mondi, spazi, tempi, ambienti.

    Alcuni atteggiamenti per la vita quotidiana

    Il ritorno alla vita quotidiana dopo l'incontro con l'esperienza di Gesù Cristo avviene all'insegna di alcuni atteggiamenti che tratteggiano un identikit del giovane credente:
    - superamento di visioni nichiliste, ma anche rinuncia ad ogni idealizzazione narcisista;
    - accettazione di un «dato», l'esperienza storica di Gesù Cristo, che diventa punto di riferimento e norma nel mondo con cui accogliere/costruire un senso alla vita;
    - rifiuto di rivolgersi alla fede per cercarvi formule o energie di onnipotenza, per aprirsi invece all'energia e alla ricchezza che nascono dentro la vita quotidiana;
    - disponibilità al dialogo, alla ricerca con tutti per individuare i frammenti di senso diffusi nella realtà;
    - capacità di ascolto e di «lasciarsi misurare da»: Gesù Cristo e la sua Parola, l'adulto, il reale, il gruppo...;
    - capacità di impegnarsi e sentirsi realizzato quando si vive il quotidiano nell'etica del «dono»: un dono che viene accolto e che chiede fantasia e creatività;
    - ottimismo e serenità nella propria finitudine, capace di «godere» ciò che vive giorno dopo giorno: il credente sa «vivere il giorno».

    Il ruolo dell'educatore

    Fare l'educatore nella seconda fase educativa è andare oltre il partecipare alla vita degli adolescenti per dedicarsi alla «proposta». Sono richieste due condizioni preliminari. La prima è che personalmente viva una esperienza umana e cristiana tale da renderlo consapevole di poter assumere un particolare ruolo: aiutare l'adolescente a fare esperienze che lo abilitino a prendere una decisione, critica e responsabile, sulla sua esistenza.
    La preoccupazione dell'educatore non è di fare in modo che l'adolescente aderisca alla sua proposta, ma che scelga.
    La seconda condizione è che l'educatore riconosca l'«asimmetria educativa», cioè il bagaglio culturale e religioso che lo rende diverso dall'adolescente. Un bagaglio che non gli dà il diritto di travasarlo in modo meccanico, ma che lo sollecita ad uno scambio con l'adolescente.
    Egli si trova davanti un adolescente che l'effervescenza del desiderio fa sentire onnipotente e sa di doverlo far impattare con il bagaglio culturale e religioso di cui è mediatore. E questo non per uccidere il desiderio, ma per offrirgli la possibilità di canalizzarsi, di liberarsi dalle immagini illusorie e plasmarsi a contatto con la realtà.
    L'educatore quindi è l'adulto che accetta di entrare nella dialettica, tutt'altro che priva di tensioni, tra il desiderio rappresentato dall'adolescente e il limite, il confine, la legge rappresentata dall'adulto e dalla tradizione. Egli si offre come «contenitore» del desiderio in modo che l'adolescente rinunci alle idealizzazioni narcisiste e apprenda a decidersi per la responsabilità.
    Non è un processo facile, né indolore. L'educatore è chiamato per spezzare l'isolamento narcisista a porsi come «altro» dall'adolescente, come soggetto di un desiderio autonomo e vissuto/realizzato in modo originale, come luogo di senso.
    Il desiderio dell'adolescente viene così a scontrarsi con l'esperienza dell'educatore: si crea un conflitto che porta però ad ammettere che la realtà «può avere senso»: il senso, prima che frutto di elaborazione soggettiva è già «donato» allo stato nascente. L'educatore dunque si oppone al non-senso, e si oppone al senso visto come pura produzione del soggetto o come produzione che accade in un posto precostituito piuttosto che in un altro.
    Il conflitto che sostiene la relazione educativa conduce in conclusione l'adolescente ad abbandonare il «senso dell'onnipotenza» per dedicarsi al senso qui-ora che può essere accolto e liberato da ogni uomo nella sua situazione.
    Nasce un modello di «adolescente della vita quotidiana» che ha la consapevolezza della propria finitudine, ma non per questo si arrende perché sa che il senso può darsi per intero proprio nelle azioni finite e concrete. Un adolescente che sa di dover accogliere la differenza, di dover decidere sapendo di non essere infallibile, di dover fare i conti con ciò che è altro da lui, di non dover contare su soluzioni ideali, di dover esercitare il potere senza essere onnipotente.

    Verso esperienze/proposta: alcuni orientamenti

    L'offerta di esperienze/proposta (e di offerta si tratta perché sono l'educatore e l'istituzione educativa ed ecclesiale a farle), può e deve essere diversificata. In un tempo di frammentarietà e soggettività la proposta deve rispettare il principio della significatività, cioè della possibilità di interessare il soggetto perché ci si rivolge al suo desiderio e alla sua domanda di vita.
    All'adolescente deve essere data, nel giro di pochi anni, la possibilità di identificarsi in alcune esperienze/proposta che gli permettano di pronunciare quei «tre o quattro sì tra i 16 e i 20 anni» che stabiliscono i confini della sua nuova identità.
    Tali esperienze devono rispettare alcuni orientamenti derivanti dal principio della significatività.
    - In primo luogo devono rispondere all'esigenza di dare senso alla vita quotidiana. Le esperienze proposte si rivolgono all'adolescente sfidandolo, a volte duramente, a incontrare situazioni, persone, messaggi che ribaltano il quadro teorico-pratico al cui interno fino allora ha vissuto fino a costringerlo a nuove decisioni, o, se si vuole, fino a sollecitarlo alla «conversione», ad intraprendere una nuova strada.
    - Queste esperienze dunque devono fargli toccare con mano la vacuità esistenziale del nichilismo e del narcisismo e fargli intravedere una «terza via», quella del senso come realtà che da una parte è già data/donata, e quindi chiama alla accoglienza, e dall'altra è solo germe, e quindi sollecita alla crescita, alla maturazione, alla creatività.
    - Un terzo orientamento riguarda le modalità concrete. Non si può formalizzarsi. È richiesta adattabilità, fantasia per intuire quando la proposta può «fecondare» una esistenza. Il resto diventa secondario. È secondario che sia un incontro di preghiera o un dialogo tra adulto e giovane, una giornata di ritiro o una festa di gruppo, un campo-scuola o un campo di lavoro. Alcuni adolescenti troveranno significativo «fare cose concrete» e poi rifletterci sopra; altri si apriranno alla proposta in una giornata di catechesi o nel pregare in gruppo «ruminando» una pagina di Vangelo.
    Da questo punto di vista si può riprendere l'espressione di chi parla di tener conto dell'imprevedibile. Non basta certo attendere immobili che l'adolescente si decida, ma non si può neppure sapere con quante probabilità un adolescente si identificherà in una scelta che per l'educatore è decisiva.

    Quali esperienze?

    Indichiamo alcune aree esperienziali. Sono di tre tipi: le prime aiutano l'adolescente a scendere nel profondo (fino alla coscienza morale) del suo vissuto; le seconde e le terze sono le «proposte» culturali e religiose rivolte agli adolescenti dai loro educatori.
    Esperienze alla scoperta della coscienza morale e del suo fondamento trascendente
    Una serie di esperienze che l'adolescente deve essere aiutato a fare riguarda la riflessione fenomenologica sulla coscienza morale con cui si scontra nell'intimità della persona e del suo fondamento trascendente.
    Cosa si intende per riflessione fenomenologica?
    Riflessione fenomenologica è una riflessione «dentro» le esperienze, al contrario della riflessione metafisica che predilige l'astrazione. La riflessione fenomenologica parte da fatti e situazioni e cerca di coglierne il significato facendo riferimento al concreto.
    Indichiamo alcune possibili esperienze per una riflessione alla scoperta della coscienza morale: l'esperienza del «tu devi», il senso di vertigine di fronte a certe scelte, l'indignazione morale di fronte alle assurdità e atrocità (es.: la morte violenta di un bambino), l'obiezione di coscienza, la responsabilità verso l'assistenza degli altri...).
    Come riflettervi? Indichiamo alcune tappe:
    - le esperienze personali del «dover essere» che si offrono immediatamente a uno sguardo o ascolto fenomenologico;
    - il collegamento di queste esperienze in un centro o luogo che chiamiamo coscienza morale;
    - l'oggetto della coscienza morale: il bene da fare o il male da evitare, non in astratto ma «qui-ora»;
    - la coscienza morale come «rottura» di uno stile di vita basato sullo spontaneismo soggettivo e come conflitto tra «tu devi» e desiderio spontaneista;
    - la coscienza morale non indica solo «oggetti» di bene/male ma soprattutto «motivi» per cui fare/non fare: è a questo livello che il desiderio si scontra con l'imperativo morale;
    - a partire dall'esperienza morale il «senso» dell'esistenza non si realizza più sul versante della pienezza o armonioso espandersi, ma nel dedicarsi al «bene»;
    - in questo dedicarsi al bene l'uomo si sente obbediente e creatura più che creatore: appare un Altro che costringe al consenso ed a una nuova qualità di vita;
    - il simbolo della responsabilità morale è chi, pur riluttante, muore per una causa giusta, ma il luogo della responsabilità è la vita quotidiana come deposizione del proprio progetto di senso ai piedi dell'Alterità, e dell'altro davanti-a-me come presenza che mi giudica che ne è il volto concreto;
    - la persona alla luce dell'imperativo, continua a disporre delle cose; ma vi immette la direzione del dono. «Esse sono per l'altro; il banchetto resta, ma commensale è il prossimo e io lo servo» (A. Rizzi., o.c., p. 229).

    Esperienze di coinvolgimento nel dono

    Un secondo tipo di esperienze sono, in questa fase della proposta, le esperienze che sottolineino la priorità del dono, cioè dell'essere gratuitamente coinvolti nel «dono». All'adolescente la vita non va presentata anzitutto come un compito da realizzare, ma come un dono da accogliere e in grado di trasformare dal di dentro.
    Sono esperienze in cui qualcosa ti si offre, ti si impone, ti convoca togliendoti contemporaneamente la paura e l'illusione. L'uscita dal narcisismo e l'entrata nel reale si compiono quando si afferra che qualcosa ti precede, è già dato, anche se allo stato germinale.
    In questa direzione si può parlare dell'accoglienza che l'animatore e l'istituzione riservano all'adolescente, come del silenzio e del deserto in cui rendersi conto di essere immersi in un Dio che è essenzialmente «donarsi», e ancora del gruppo che ti sostiene e ti accompagna senza ricattarti minacciando di cacciarti via...
    Gli strumenti attraverso cui realizzare queste esperienze possono essere diversi: la presenza dell'animatore nel gruppo, una giornata di ritiro spirituale, la lettura personale del Vangelo, una festa di gruppo, gli esercizi spirituali, l'incontro con un leader-testimone, un corso biblico...

    Esperienze centrate sulla proposta di vita e di spiritualità

    Una terza area di esperienze è quella che sottolinea l'offerta di una possibilità e, di conseguenza, di un compito.
    Fare esperienze/proposte significa aiutare ad entrare nella prospettiva del «potersi realizzare», perché realizzarsi è possibile. Ma questo esige esperienze che permettano di afferrare più da vicino in che senso è possibile realizzarsi.
    Come? In primo luogo si tratta di fare proposte di vita e di spiritualità, attraverso incontri, dialoghi, campeggi, ritiri..., centrate sulla vita quotidiana e sul suo senso.
    In secondo luogo si tratta di entrare in contatto con realizzazioni di questo stile di vita: persone, gruppi, comunità che concretamente, pagandone il prezzo, dimostrano che è possibile vivere la vita quotidiana, riconoscendola e conferendole senso; esperienze di dedizione/dono a livello di coppia, microrealizzazioni di volontariato e servizio sociale; comunità che si pongono al servizio dell'uomo e della pienezza di vita nel nome del Signore Gesù; uomini e donne che nel lavoro e nella professione riescono a dare un senso alla loro esistenza...

    PARTE TERZA: FAVORIRE E CONSOLIDARE ESPERIENZE/DONO

    Il desiderio si apre al dono

    La terza fase educativa inizia quando il desiderio, rotti i confini dell'apatia e del narcisismo, si rende disponibile allo «scambio gratuito». Si attua, in altre parole, una trasformazione interna al desiderio umano.
    Il desiderio che si è venuto a scontrare con la «proposta» umana e cristiana, si trova ora ad una scelta decisiva. Strappato all'apatia e al narcisismo deve fare i conti con i propri bisogni e quelli degli altri. Portato alla coscienza si è per lo più trasformato in «domanda» e sa identificarsi nella provocazione morale e religiosa che sono gli altri con la loro esistenza non più manipolabile e strumentalizzabile.
    La terza fase educativa è allora quella in cui l'adolescente si apre al dono e alla sua logica. Il cammino è, anche qui, tutt'altro che semplice.
    È possibile, ad esempio, che l'adolescente si apra all'altro come subdola possibilità di saziare il desiderio. Può avvenire o annegando se stesso nell'altro, nullificando la propria autonomia e vivendo di dipendenza, oppure riducendo l'altro a prolungamento della propria vita, ad appendice attraverso cui credere di esprimere il dono mentre si continua a soddisfare il bisogno di affermazione e amore. Il dono è invece reale solo se nasce da una dura ascesi centrata sull'autonomia reciproca fra i partner del dono e sulla gratuità con cui lo scambio avviene. Esige che ci si riconosca reciprocamente e che si confessi il proprio desiderio di vita, di scambio, di dono, di amore.
    La pratica del dono non è un idealistico «sacrificarsi per», ma la capacità di «accogliere il dono» in se stessi e farlo fruttificare. L'esperienza del dono ricevuto libera il soggetto verso un consapevole e gratuito scambio.
    Anche la reciprocità è faticosa da raggiungere: perché si instauri è necessario che uno dei partner, ad esempio nella coppia o nel gruppo o nella famiglia, prenda l'iniziativa del dono per il quale impegnarsi e rischiare, riconoscendo l'altro (gli altri) come altro, suo eguale, soggetto di desiderio e libertà.
    Nell'educazione dell'adolescente colui che per primo rischia, si impegna e dona, è certamente l'adulto, l'educatore. È il suo dono libero e gratuito che si fa «proposta» di rinuncia al narcisismo e attivazione di uno scambio reciproco.
    Ritorneremo più avanti sul ruolo dell'educatore. Preme per ora approfondire come può farsi strada nell'adolescente la logica del dono.

    Dalle esperienze generatrici alla coscienza critica del dono

    Il passaggio alla terza fase educativa avviene in modo concreto e frammentario.
    In modo concreto: l'adolescente alla ricerca di un modo di vivere che lo realizzi dentro il finito (di cui ora non ha più paura) intravede esperienze che hanno il sapore del nuovo perché esprimono la decisione, magari ancora allo stato fluido, di entrare nella logica del dono. Egli ha appreso a conoscersi, ha fatto i conti con le proposte di vita e ora cerca esperienze concrete in cui generarsi al dono.
    Un esempio può chiarire in che senso si parla di generarsi al dono nelle esperienze.
    Nel momento in cui l'adolescente non cerca più il gruppo per soddisfare il suo bisogno di affermazione e riconoscimento, ma vi partecipa lasciandosi ben-volere (= amare) dagli altri e rischiando di persona per il bene di tutti, comincia ad entrare nella logica del dono che si concretizza in gesti/esperienze non più comandati dall'esterno (paura dell'autorità) o dall'interno (paura di essere espulso...), ma motivati dalla coscienza morale e dalla scelta cristiana.
    In conclusione l'adolescente entra nella logica di dono, quando si orienta autonomamente e gratuitamente, e non per questo senza fatica, verso esperienze che lo generano al dono, perché, teso nello sforzo di darsi una identità, egli sa di dover procedere sul terreno non più delle idealizzazioni, ma delle realizzazioni.
    Le nuove esperienze costituiscono la trama, i piloni di base, della sua costruzione dell'identità.
    Certo queste esperienze generatrici rimangono sotto il segno della frammentarietà, confusione, contraddizione a volte, anche se possiedono i germi di un modo nuovo di scandire il desiderio e l'amore alla vita.
    Più avanti, cioè dopo aver accumulato «esperienze aurorali» di dono, gli si imporranno altri compiti.
    Due in particolare.
    Dovrà, in primo luogo, consolidare i legami tra le varie esperienze generatrici per arrivare alla «coscienza esperienziale» di vivere nella logica del dono proprio in un insieme di azioni a prima vista caotiche.
    Dovrà, in secondo luogo, passare dalla «coscienza esperienziale» alla «coscienza critica e riflessa» dell'indirizzo che sta dando alla sua vita e giungere ad un'esperienza globale della propria esistenza come gioia di vivere, consapevolezza di essere amato, possibilità di essere se stesso in modo creativo. E tutto questo nel limite del concreto che è la vita quotidiana e la stessa esistenza.

    Il dono come «sacramento» dell'incontro con Dio

    L'esperienza del dono è anche il luogo che genera l'adolescente alla vita di credente.
    Credere non è anzitutto conoscere ed aderire ad alcune informazioni su Dio e Gesù Cristo. Credere non è neppure il ricevere, magari in modo che affascina, proposte di vita come si è indicato nella seconda fase.
    Il credere comincia nel momento in cui il soggetto, anche se con modalità frammentate e senza averne immediata e critica consapevolezza, entra esperienzialmente nella logica del dono.
    Occorre esplicitare attraverso un esempio.
    Credente è l'adolescente che nel gruppo accoglie il dono che è la presenza benevola degli altri, si apre liberamente in uno scambio e sa riconoscervi un evento della presenza di Dio nell'uomo.
    L'esperienza di Dio nella vita quotidiana è dunque mediata dal «sacramento» che è il dono reciproco. La vita quotidiana è un terreno a prima vista opaco ma in cui, allo stato germinale, è offerta la comunione con Dio e dunque la salvezza. E si entra in questa comunione non attraverso il «sapere», ma attraverso il proprio generarsi, nel concreto delle esperienze, alla responsabilità e al dono. La vita diventa reale sacramento di incontro con Dio quando, come ricorda Mt 25, si fa servizio a chi ha fame e sete e a chi è solo o carcerato.

    Il ruolo dell'educatore

    Si è già detto dell'educatore, il quale abilita gli adolescenti al dono solo se egli stesso vive tale logica.
    Possono essere aggiunte altre annotazioni.
    Egli deve anzitutto essere attento a scoprire e riconoscere, valorizzare e consolidare i frammenti di dono che l'adolescente genera. La decisione di dono dell'adolescente si esprime in esperienze che, anche se povere e confuse, non devono sfuggire all'educatore. Egli è anzi un uomo che si appassiona nel cogliere questi germi di vita e nell'aiutarli a crescere. In qualche modo entra nel ruolo, per dirla con un'immagine, del giardiniere che individua la nuova piantina non appena questa comincia a sollevare e rompere la zolla di terra .
    Da questo compito di giardiniere discendono gli altri impegni.
    Li riconduciamo a quattro.
    - In primo luogo è suo compito rassicurare l'adolescente, il quale mentre in alcune esperienze nasce al dono, in altre può abbandonarsi ad atteggiamenti ancora nichilisti e narcisisti. L'educatore lo rende consapevole che in esperienze a prima vista povere sta gettando le basi della sua nuova identità.
    - In secondo luogo l'educatore aiuta l'adolescente a purificare le motivazioni che mette in gioco nelle esperienze/dono. Esse non esistono, né d'altra parte potrebbero esistere, allo stato puro. Eppure il soggetto può arrivare a chiarificarle, pena il rischio di abbandonarsi a nuove immagini illusorie di un'onnipotenza che avrebbe solo cambiato nome.
    - In terzo luogo l'educatore sollecita l'adolescente alla coerenza del dono attraverso l'ascesi personale in modo da allargare nello spazio (nuove esperienze di dono) e nel tempo (coerenza e continuità) il nuovo stile di vita.
    - In quarto luogo l'educatore opera per salvaguardare il ruolo educativo delle esperienze/dono. Che significa? L'adolescente, nel suo girovagare alla ricerca della identità personale, si realizza in esperienze che vanno accolte dall'educatore con un certo distacco, disinteresse, cura protettiva. Oltre che esperienze infatti sono «esperimenti» di collaudo di se stesso e delle proprie forze.
    Proprio per questo l'educatore, mentre sollecita alla coerenza, protegge l'esperimento dalle invadenze dell'ambiente che vuole subito utilizzare, ai propri fini, le forze che l'adolescente dimostra di avere nel servizio agli anziani, nell'animazione dei più piccoli, e così via. In realtà è necessario un periodo più o meno lungo di assestamento.
    Le stesse istituzioni devono pazientare, se non vogliono bruciare le forze e la fantasia dell'adolescente.

    Quali esperienze/dono?

    Veniamo ad indicare alcune esperienze/dono significative per l'adolescente oggi.
    L'esperienza/dono ha la caratteristica dell'imprevedibile. È un germe che cresce da qualche parte di un campo arato e seminato, ma senza poter pretendere che germini «qua» oppure «là». Non c'è neppure un tempo preciso per la nascita di questo seme. Si entra nel mistero della persona e dei suoi dinamismi decisionali.
    Si danno tuttavia alcune aree privilegiate in cui l'adolescente esprime la decisione autonoma di entrare nella logica del dono.
    Le indichiamo a titolo esemplificativo:
    - la decisione di iniziare un'esperienza di volontariato e di servizio: con gli anziani, con i piccoli, con gli ammalati; come animatore, come allenatore, come responsabile di una qualche attività nel gruppo e fuori...;
    - l'esperienza dell'innamoramento e della coppia, come decisione non solo di essere gratificati dal «donarsi» (fino ad usare dell'altro per essere gratificati), ma dell'accettare uno «scambio» alla pari riconoscendosi reciprocamente;
    - la decisione di far parte del gruppo adolescenti o della classe non più in forma passiva ma attiva, come profezia di un modo nuovo di stare insieme e come possibilità di cambiare il piccolo mondo in cui si vive;
    - l'orientamento verso tempi e spazi di preghiera personale, fatti di silenzio e deserto, bisogno di porsi responsabilmente davanti ad un Dio che si dona gratuitamente e in tal modo sollecita al dono gratuito;
    - il gusto per la cultura umana e religiosa, come luogo in cui si è depositata la ricerca sul senso della vita e non per il gusto di sentirsi di altri tempi e uscire dal presente, ma perché «senza passato non c'è presente e non c'è futuro».
    Volutamente sono stati fatti esempi di aree e momenti di vita diversi tra loro. L'adolescente è imprevedibile e in fondo è secondario il luogo in cui si auto-genera al dono perché questo luogo, con l'aiuto dell'educatore, può consolidarsi fino a permeare tutta la personalità.

    Conclusione

    Come conclusione offriamo velocemente alcune condizioni di insieme che vanno tenute presenti nel momento in cui si «programmano» le esperienze.
    - Contestualità e realismo. Sono esperienze educative quelle effettivamente a portata di mano, praticabili e sopportabili dagli adolescenti qui-ora. Le esperienze vanno quindi misurate sulle persone, sulla storia del gruppo, sulla cultura della zona.
    Contestualità vuole dire, allo stesso tempo, valorizzazione delle occasioni, istituzioni, testimoni che l'ambiente offre.
    - Significatività, ma non enfantizzazione. Uno dei criteri nel proporre le esperienze è la significatività, cioè la capacità di interessare l'adolescente nel profondo, rispondendo ai suoi bisogni, desideri, domande.
    Dire significatività non è dire tuttavia emozionalità ed enfatizzazione, le quali se da una parte sono necessarie per scatenare processi di apprendimento, dall'altra, una volta esasperate, impediscono la interiorizzazione e il ritorno, al termine dell'esperienza, alla vita quotidiana.
    - In gruppo, ma valorizzando la solitudine. Il gruppo è il luogo più adatto per fare esperienze durante l'adolescenza, in quanto attraverso la sua forza di coesione e la pressione di conformità permette al singolo di fare i conti con le proposte che circolano nel gruppo e con le esperienze che coinvolgono il gruppo come entità diversa dalla somma dei singoli.
    D'altra parte oggi sembra importante ritrovare lo spazio del singolo nel fare esperienze in gruppo: momenti di solitudine, di silenzio e di presa di coscienza personale; momenti di responsabilità personale e di chiamata personale al dono.
    In ogni caso le esperienze devono aprire alla autonomia, alla libertà di scelta, alla responsabilizzazione e collaborazione.
    - Con un linguaggio globale. L'esperienza è un evento globale che coinvolge la persona in tutte le sue componenti intellettive, affettive, corporee... È importante, di conseguenza, che anche il linguaggio con cui se ne parla sia di tipo globale: che non si riduca ai linguaggi informativi ma utilizzi anche quelli evocativo-narrativi, che non si limiti ai linguaggi verbali ma includa anche quelli non verbali.
    - Una spontaneità organizzata? L'intero articolo ha indicato come fare esperienze con gli adolescenti sia tutt'altro che abbandonarsi all'esperienzialismo. Alla base del fare esperienza in termini educativi ed evangelizzatori sta una accurata programmazione degli obiettivi, e prima ancora dell'orizzonte culturale e religioso in cui l'esperienza si colloca. E sta anche una attenta organizzazione. La spontaneità esperienziale non è sinonimo di caos, ma di organizzazione che attiva la possibilità di esprimersi per tutti. La verifica al termine di ogni esperienza è il momento in cui misurare il livello reale di spontaneità.


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