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    Una scuola itinerante di vita cristiana


    I CAMMINI /5

    Il Cammino di San Benedetto da Norcia a Montecassino

    (NPG 2018-02-64)

    La nostra vita è un pellegrinaggio. Del cielo siamo fatti.
    Ci soffermiamo un poco qui e poi riprendiamo il nostro cammino”
    (San Giovanni XXIII)

    1. Il percorso

    Papa Francesco, nella Bolla d’indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia del 2016, ricorda ai fedeli che “il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata”. In tale spirito s’inserisce anche il Cammino di San Benedetto, un percorso che, partendo da Norcia, tocca Subiaco e da lì raggiunge Montecassino, portando il pellegrino nelle località che sono state teatro dell’esistenza del creatore della Regula Monachorum. Ideatore e promotore del Cammino di San Benedetto è Simone Frignani, insegnante di religione presso una scuola secondaria di Modena che, preso in mano il secondo libro de I Dialoghi di papa Gregorio Magno, dedicato a san Benedetto, si è innamorato della figura del Santo patrono d’Europa, e ha deciso di approfondirne lo studio. Ma non si è limitato a leggere di più. Cresciuto nel movimento scout, ha imparato come l’idea di Cammino non sia solo un’esperienza fisica, ma anche e soprattutto spirituale di “deserto interiore” e di condivisione. Per questo motivo, dopo aver dato vita al Cammino, lo ha condiviso con gli altri scrivendo un libro-guida (Il Cammino di San Benedetto, edizioni Terre di mezzo) e creando un sito internet (www.camminodibenedetto.it).
    Il Cammino di San Benedetto si snoda per 300 km tra Umbria e Lazio, al di fuori dei flussi turistici tradizionali, lontano dal traffico e quindi più vicino ad una dimensione spirituale. Camminare su sentieri, carrarecce, sterrati e tratturi, permette al pellegrino di conoscere un Centro Italia insolito, che ha tanto da offrire sotto vari punti di vista: spirituale, naturalistico, storico e culturale. Una tappa dopo l’altra (16 giorni a piedi e 7 in bicicletta), il Cammino di San Benedetto è un viaggio non soltanto nel mondo benedettino, ma anche un pellegrinaggio sui luoghi di santi popolarissimi, come Rita da Cascia e Francesco d'Assisi; o meno noti, come Giuseppe da Leonessa o Agostina Pietrantoni. Il Cammino inizia a Norcia, dove il Santo nacque intorno all’anno 480. La deliziosa cittadina umbra, ai piedi dei monti Sibillini, sta cercando di risollevarsi dopo il grave colpo subito un anno fa, in seguito al terremoto che ha quasi completamente raso al suolo la basilica di San Benedetto, costruita sulla casa natale del Santo. Provvidenzialmente, il flusso dei pellegrini-camminatori non è venuto meno, nemmeno subito dopo il sisma: al contrario, nei mesi successivi sono stati organizzati dei “Cammini della solidarietà” che hanno contribuito in modo significativo a far ripartire l’economia locale. Il Cammino prosegue per Cascia, dove visse Rita, la "Santa degli impossibili"; e per l’affascinante borgo medievale di Monteleone di Spoleto. Entrato nel Lazio, ai piedi dei monti Reatini fa tappa a Leonessa, dove si fondono medioevo e rinascimento; e a Poggio Bustone incrocia il Cammino di Francesco. Oltre Rieti, tocca il pittoresco lago del Turano e i piccoli borghi dei monti Lucretili; poi punta a Subiaco, importantissimo luogo benedettino con il monastero del Sacro Speco (dove nel 1223 si recò pellegrino Francesco d’Assisi) e quello di Santa Scolastica. A Trevi nel Lazio entra in Ciociaria, accolto dalla magnifica cornice dei monti Simbruini; poi passa ai monti Ernici, ai cui piedi sorge l’incantevole Certosa di Trisulti tra boschi millenari. Dopo aver fatto tappa all’abbazia cistercense di Casamari, prosegue per Arpino, che diede i natali a Cicerone, e attraverso le gole del fiume Melfa, luogo di eremiti fin dai primi secoli, raggiunge Roccasecca, patria di san Tommaso d’Aquino. Ripercorrendo i passi di monaci e pellegrini, raggiunge infine la sua meta: quell’abbazia di Montecassino che forse più di ogni altra ha contribuito alla nascita di una cultura cristiana europea. Il luogo più adatto per concludere un pellegrinaggio che permette di conoscere la vita e le opere di San Benedetto, insieme ad arte, cultura, storia del “Bel Paese”.

    2. La proposta pastorale
    Una scuola itinerante di vita cristiana
    Ab. Donato Ogliari O.S.B.

    Il beato John Henry Newman descriveva le abbazie come dimore che “avvincono lo spirito con la loro dignità e con la dolcezza intrinseca al loro essere”, dimore che “si ergono pregne di un significato accumulato nel tempo, che non troviamo in alcun altro tipo di monumento storico”.
    Per chi giunge a Montecassino dopo aver percorso il Cammino di San Benedetto, il modo migliore per comprendere questo “significato accumulato nel tempo” è quello di coglierlo nella vita monastica stessa. Tenendo dunque lo sguardo fisso su Montecassino – tappa finale di un cammino che disegna la geografia biografica di San Benedetto, che ha in Norcia (la città che gli ha dato i natali) il suo inizio e in Subiaco (il luogo dove ha iniziato la sua vita monastica, prima eremitica e poi cenobitica) il suo punto intermedio – possiamo lasciarci avvincere dalla bellezza del luogo e lasciar parlare la struttura architettonica dell’abbazia nella quale i monaci, ancora oggi, seguono quotidianamente Gesù alla scuola di San Benedetto.
    Prima però di trarre qualche insegnamento per la nostra vita cristiana dalla struttura stessa dell’edificio monastico, vorrei soffermarmi su tre osservazioni generali che pure toccano la nostra vita di fede.
    La prima riguarda la convinzione che l’ultima tappa della vita di San Benedetto – quella determinata dal suo spostamento dalla valle di Subiaco a Montecassino – può essere compresa come una metafora del cammino spirituale del cristiano, aperto alla trascendenza di Dio. Il promontorio su cui sorge l’abbazia di Montecassino – una sorta di terrazza naturale che domina la pianura sottostante – può, infatti, essere assurto a simbolo dell’ascesa che il credente compie nella sua ricerca di Dio, ricerca che caratterizza in maniera particolare la vocazione monastica e che può essere appunto descritta simbolicamente come un procedere dal basso verso l’alto, un ascendere progressivo nella conoscenza di Dio e nella comunione di amore con Lui.
    La seconda osservazione – sempre dettata dall’ubicazione di Montecassino che consente allo sguardo di individuare nel suo preciso contesto ciò che ricade sotto il suo raggio visivo – riguarda il richiamo ad un’esistenza nella quale la ricerca di Dio non si astrae dal confronto con le realtà terrene, ma si interseca con esse in maniera vitale e feconda. Mettere Dio al centro della propria vita ha necessariamente una ricaduta sul modo di guardare al mondo e di muoversi in esso, perché è lì, nel cammino spesso zigzagato dell’umanità e nei solchi della storia, che siamo chiamati a scoprire le tracce della sua presenza che sempre ci accompagna.
    La terza osservazione, infine, riguarda la vastità e l’amenità del paesaggio che, sempre da Montecassino, si può ammirare. Esse sono di sprone a riconoscere la nostra creaturalità. Pur al centro dell’universo, perché creato a immagine e somiglianza di Dio stesso (cf. Gn 1,26), l’essere umano è chiamato ad inserirsi in maniera armonica nella totalità della creazione che lo circonda. Di qui l’importanza che la fede cristiana sproni i credenti a rendere la propria vita un riflesso sempre più autentico di quella Bellezza che il Creatore ha voluto rivelare anche attraverso il “libro della natura”, e che ad essi è chiesto di accogliere come un dono da custodire e da coltivare.
    Detto questo, volgiamo ora lo sguardo all’edificio monastico. Essendo il risultato di una particolare interazione, tra essere umano e spazio, esso racchiude in sé, all’interno di una logica di fede, quell’anima che lo vivifica e che gli dona quella dignità, quella dolcezza e quel significato di cui parlava il beato John Henry Newman. Vediamone alcuni aspetti, così come essi sono mutuati dai diversi elementi architettonici che compongono l’abbazia.

    Le mura perimetrali
    Le mura massicce di Montecassino ci rammentano innanzitutto la solidità e, per analogia, la stabilità interiore o del cuore. Quanto di tale stabilità abbiano un rinnovato bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo, così segnato dalla “liquidità”, credo sia evidente a tutti.
    Le possenti mura dell’abbazia, poi, più che una linea di demarcazione che separa ed esclude, devono essere viste come una linea di contatto, di relazione e di interazione con l’ambiente circostante, ambiente col quale il monastero è sempre entrato in profonda simbiosi e che ha influenzato profondamente lungo i secoli. Tale interazione è intessuta non solo con quanti abitano il territorio circostante (la cosiddetta “Terra S. Benedicti”), ma anche con tutti quelli che giungono al monastero e che – come esorta la Regola – “devono essere accolti come Cristo stesso” (RB 53,1).
    Infine, mentre le aperture orizzontali, in particolare gli accessi all’abbazia, richiamano l’accoglienza e l’incontro con l’altro – e nello stesso tempo la consapevolezza di non doverlo trattenere, ma di lasciarlo ritornare, interiormente arricchito, ai suoi quotidiani percorsi esistenziali – le aperture verso l’alto, ossia i chiostri e i cortili, rimandano nuovamente alla dimensione trascendente dell’esistenza, chiamata ad aprirsi a Dio per trovare in Lui un senso luminoso e duraturo al cammino di quaggiù.

    La scalea
    L’ampia e alta scalinata che congiunge i chiostri inferiori con quello superiore, attiguo alla chiesa abbaziale, è – analogamente al percorso in salita che conduce a Montecassino – una metafora della vita cristiana chiamata ad ascendere umilmente, nella gioia e nella fatica quotidiana, verso le vette del comandamento nuovo insegnatoci da Gesù, ossia verso l’apice del nostro impegno ecclesiale e sociale che è rappresentato dal dono di noi stessi. Ogni giorno, infatti, ci è richiesto di salire uno scalino in più nel nostro cammino di adesione e di conformazione a quell’amore gratuito che Gesù ci ha mostrato sulla croce. Consci delle prospettive inedite su cui tale amore si apre continuamente, i monaci sono chiamati ad essere sentinelle umili e vigilanti, che annunciano, oltre la notte della paura, dell’incertezza e dell’egoismo, l’alba luminosa e raggiante della vita buona del Vangelo e la civiltà dell’amore che da esso promana.

    I chiostri
    I chiostri che alleggeriscono la possente struttura muraria dell’abbazia, sintetizzano simbolicamente l’anelito all’unificazione del proprio io. I quattro lati richiamano, infatti, l’homo quadratus degli antichi, ossia l’essere umano come microcosmo. La sua unificazione avviene innanzitutto attraverso il riconoscimento di sé che si declina in un movimento di ri-descrizione della propria storia (chi si è stati), di ri-definizione di sé (chi si è) e di ri-collocazione o progettazione di sé (chi si sarà). Il chiostro diventa, dunque, il simbolo del dipanarsi del senso dell’esistenza umana e cristiana e, di conseguenza, del proprio interagire con gli altri, con le cose e con Dio.
    Dal punto di vista della sua soluzione architettonica, il chiostro è anche simbolo del cammino di conversione. Il deambulatorio che corre sui quattro lati è, infatti, metafora di un cammino libero e infinito, com’è appunto l’itinerario di conformazione a Cristo, un percorso mai concluso e che troverà la sua piena attuazione solo nel ricongiungimento finale con Dio.
    Al chiostro, infine, è intimamente collegata la metafora del claustrum animae, il “chiostro dell’anima”. In tal modo, il chiostro diventa simbolicamente quello spazio interiore nel quale ogni credente è chiamato ad operare le sue scelte di fondo e a declinare quotidianamente il suo impegno umile e gioioso a seguire Cristo, al di là dell’eccitazione, del frastuono, della frenesia e della rapidazione a cui vanno soggette le nostre società occidentali.

    La chiesa abbaziale
    La basilica cattedrale, o chiesa abbaziale di Montecassino, rappresenta, infine, il cuore pulsante del monastero, il luogo in cui il primato di Dio e la sua signoria sulla vita dei singoli e della comunità monastica sono scanditi attraverso la gratuità del tempo a Lui quotidianamente dedicato, tempo nel quale i monaci sono plasmati dal mistero divino che li raggiunge attraverso la preghiera corale (la Liturgia delle Ore), la proclamazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia.
    Ritrovandosi in chiesa più volte al giorno, il cammino umano e spirituale di ciascun monaco s’incontra e si fonde con quello degli altri fratelli in una condivisione sempre più stretta. Questa convergenza – esteriore e interiore insieme – che si attua nelle celebrazioni liturgiche, rappresenta la prima forma di comunione e di carità che i monaci esercitano tra di loro e che, inevitabilmente, è destinata ad avere una ricaduta sul mondo esterno, a cominciare dagli ospiti e dai pellegrini che – come afferma S. Benedetto – “non mancano mai in monastero” (RB 53,16).
    Non va dimenticato, infine, che sotto l’altare maggiore della basilica cattedrale di Montecassino sono custoditi i resti mortali dei Santi Benedetto e Scolastica. La presenza del loro sepolcro nella “casa di Dio” nella quale la comunità monastica si raduna per le celebrazioni liturgiche, fa sì che la chiesa abbaziale sia anche il luogo della memoria. I resti del santo Fondatore costituiscono, infatti, un costante rinvio – per utilizzare un’espressione del profeta Isaia (cf. Is 51,1) – alla “roccia” dalla quale il monachesimo occidentale è stato tagliato. La chiesa di Montecassino è, dunque, anche il luogo delle radici alle quali il tronco ultra millenario del monachesimo benedettino continua ad attingere la sua linfa vitale che poi ridona in varie forme alla Chiesa e al mondo.
    Anche il continente europeo, dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia, ha largamente beneficiato lungo i secoli di queste radici. Le sue popolazioni sono state, infatti, evangelizzate e civilizzate dal monachesimo scaturito dall’intuizione di S. Benedetto. Per questo motivo il Beato Paolo VI, il 24 ottobre 1964, lo ha proclamato “patrono primario d’Europa”.

    3. La testimonianza

    L’idea di partire per un pellegrinaggio mi attraeva da un po’ di tempo. Avevo sentito parlare spesso del Cammino di Santiago e della Via Francigena, ma io ero alla ricerca di un cammino più vicino a quello che sto vivendo. Insieme ad altri, infatti, sto compiendo un percorso formativo legato alla Regola benedettina, come riferimento sia nel mondo del lavoro che personale. Fu così che quando m’imbattei nella guida Il Cammino di San Benedetto, a decidere di partire bastò un attimo: insieme agli amici Piero e Maurizio, il 24 maggio partivamo da Norcia, e il 5 giugno arrivavamo a Montecassino, stanchi ma col cuore felice per il percorso compiuto.
    L’esperienza di un pellegrinaggio difficilmente può essere raccontata. Per chi, come me, ama andare a camminare, verrebbe immediato fare riferimento all’ambiente dell’escursionismo: il grado di difficoltà, le emozioni provate, la bellezza della natura, la gioia dello stare insieme. Ma il pellegrinaggio è qualcosa di più: è un’esperienza unica, che fa bene al fisico, alla mente e allo spirito. Ore e ore passate camminando in silenzio, con gioie e difficoltà più o meno forti da superare, ti liberano la mente dai pensieri e lasci spazio ad altro. Quando la meta è chiara, il tuo cuore si trova già al punto d’arrivo; portare il resto del corpo non è poi così difficile.
    Il pellegrinaggio è personale: pur camminando e condividendo con altri il percorso, ognuno lo vive a modo suo. Il pellegrinaggio è comunitario: mai avrei pensato di trovarmi per strada con i miei compagni di viaggio a recitare il rosario due volte al giorno. Il pellegrinaggio è incontri: tanti incontri provvidenziali con religiosi, ma anche persone “della strada”. Il pellegrinaggio è fatica e superamento delle difficoltà incontrate: lungo un cammino puoi trovare pioggia, neve, grandine, fango o rovi; ma se l’obiettivo è chiaro, prosegui con pazienza, e riesci anche a godere di tanti “imprevisti”. Il pellegrinaggio è gioia: gioia di vivere, di condividere, di superare le difficoltà, gioia per l’esperienza vissuta che ti porti nel cuore.
    Auguro a tutti di vivere prima o poi quest’esperienza, ringrazio di cuore tutte le persone che hanno pregato per noi e che ci sono state vicine.
    Severino

    4. Informazioni aggiuntive

    - Simone Frignani ha 46 anni e vive in Emilia, dove è insegnante di religione cattolica. Cresciuto nel movimento scout, segue studi classici; dopo una laurea in biologia si trasferisce in Spagna, e lì conosce il mondo dei pellegrinaggi. Nel 2008 è a Monte Athos, dove incontra il monachesimo ortodosso; poi intraprende studi religiosi. Dal 2012 realizza e promuove cammini di pellegrinaggio, come il Cammino di San Benedetto, Italia Coast to Coast, la Via Romea Germanica, dei quali ha scritto e pubblicato guide per l’editore Terre di mezzo.
    - Donato Ogliari, lombardo di nascita, è dal 2014 Abate di Montecassino, 192° successore di San Benedetto. È sacerdote dal 1982, monaco benedettino dal 1987. I suoi studi teologici lo conducono prima a Torino, poi a Londra, infine in Belgio, dove consegue il dottorato presso la Katholieke Universiteit di Lovanio. Nel 2006 venne eletto abate di Noci. Dal 2008 è vice-presidente della Conferenza Monastica Italiana e dal 2012 al 2016 è stato visitatore dei monasteri italiani della Congregazione Benedettina Sublacense Cassinese. Ha al suo attivo la pubblicazione di alcuni libri e di numerosi articoli, soprattutto di carattere teologico e spirituale.


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