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    La grazia della fede /4. La fede di Maria


    Roberto Carelli

    (NPG 2016-08-54)


    Non c’è niente di più bello, di più sicuro, di più incoraggiante per la nostra fede che contemplare la fede di Maria! Nella fede Ella ci è Madre e Maestra per aver creduto in maniera perfetta e perciò esemplare, pienamente personale e perciò massimamente autorevole, totalmente obbediente e perciò straordinariamente irradiante. È difficile minimizzare il contributo della fede di Maria alla fede cristiana. Pur nell’abissale differenza che intercorre fra il Creatore e la creatura, Gesù e Maria rappresentano un unico principio di salvezza: come Giovanni Paolo II ha ben espresso nell’Enciclica Redemptoris Mater, «il fiat di Maria ha deciso dal lato umano il compimento del mistero divino» (RM 13). Il rapporto fra il Figlio e la Madre, in subordine all’umano-divinità del Figlio, realizza il più perfetto accordo fra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo, fra l’iniziativa dell’una e la corrispondenza dell’altra: «“a Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede, per la quale l'uomo si abbandona a Dio tutto intero liberamente”, insegna il Concilio (DV 5). Questa descrizione della fede trovò una perfetta attuazione in Maria». Si tratta di qualcosa di molto concreto, perché «ella ha risposto con tutto il suo “io” umano, femminile, e in tale risposta di fede erano contenute una perfetta cooperazione con “la grazia di Dio che previene e soccorre” e una perfetta disponibilità all'azione dello Spirito Santo, il quale «perfeziona continuamente la fede mediante i suoi doni”» (RM 12).

    La fede di Maria è eminente quanto all’atto di fede e quanto ai suoi contenuti, per la decisione di fede e per il suo itinerario, nel dare risalto alla preziosità e al prezzo della fede. Qualche esempio. 1. Il Concilio ci ha insegnato che Maria, «per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce e riverbera i massimi dati della fede» (LG 65), diventando così al tempo stesso sostegno e difesa della fede; 2. Paolo VI, da parte sua, ha riconosciuto in Maria «la prima e più perfetta discepola» del suo Figlio (MC 35), alla cui scuola anche noi diventiamo veri discepoli di Cristo; 3. Giovanni Paolo II ci ha fatto contemplare la Chiesa nella luce di Maria «pellegrina della fede» (RM 25-37), illustrando nella fede della Madre gli inizi, la crescita e la maturità della fede; 4. Anche Benedetto XVI, facendo eco alla “galleria” dei grandi uomini e donne di fede presenti nelle Lettere ai Galati e agli Ebrei (Gal 3, Eb 11), ha messo in risalto come la storia di Maria coincida con il cammino della sua fede: «per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione. Visitando Elisabetta innalzò il suo canto di lode all’Altissimo per le meraviglie che compie in quanti si affidano a Lui… Confidando in Giuseppe suo sposo, portò Gesù in Egitto per salvarlo dalla persecuzione di Erode. Con la stessa fede seguì il Signore nella sua predicazione e rimase con Lui fin sul Golgota. Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore, lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito» (Porta fidei, 13); 5. Ma forse l’espressione che meglio riassume il vertice e la maturità del cammino di fede compiuto da Maria, quell’itinerario gioioso e doloroso che dopo averla resa Madre di Dio l’ha resa degna di essere Madre della Chiesa e di tutti gli uomini, è quella che riconosce nella fede di Maria il modello interiore della fede ecclesiale: «la Chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino procede ricalcando l’itinerario compiuto dalla Vergine Maria, “la quale avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da Lei generata” (LG 57)» (RM 2).
    Il tratto della fede di Maria a cui vogliamo dare qui maggior risalto è la gioia. Maria proclama con tutta la sua vita che il Vangelo è davvero lieta notizia, che la fede è fonte di gioia e di felicità, e non a motivo di meriti o successi personali, ma a motivo di Dio, della sua presenza e provvidenza, della sua benevolenza e misericordia. È notevole che tra le molte beatitudini disseminate in tutta la Scrittura, la prima beatitudine del Nuovo Testamento è la beatitudine della fede, che tra l’altro non viene proclamata in forma di sentenza generale, ma come riflesso di una relazione personale, come la beatitudine di Maria! Nel misterioso incontro fra il Messia e il suo precursore, Elisabetta saluta Maria esclamando «beata te che hai creduto nell’adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), e Maria stessa non solo conferma la sua gioia dicendo che il suo cuore «esulta in Dio», ma attesta anche che in futuro «tutte le generazioni la chiameranno beata» per le grandi cose che Dio ha operato in lei, grazie alla sua fede umile e obbediente (Lc 1,47-49),
    Questa prima beatitudine rimbalza a nostro favore al centro del Vangelo, nel bel mezzo della vita pubblica di Gesù, anche qui con doppio riferimento alla fede di Maria: «beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte», esclama una donna colpita dalla bellezza di Gesù; ma Gesù, da parte sua, estende a tutti i credenti quella gioia della fede che egli riconosceva nel volto e nella vita di sua Madre: «beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano» (Lc 11,27-28). Per questo la Chiesa riconosce in Maria «la Vergine in ascolto», il «modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri», il prototipo della «disposizione interiore con cui la Chiesa Sposa» si rivolge a Gesù suo Sposo contemplandone e comprendendone sempre più intimamente la bellezza della persona, la verità delle parole, l’amore presente nelle opere, la vita che sgorga dal dono dello Spirito (MC 16).
    La beatitudine della fede è talmente importante da essere presente, quasi a mo’ di programma generale della vita cristiana, all’inizio e alla fine della manifestazione pubblica di Gesù: all’inizio, nella prima beatitudine del Discorso della montagna, dove Gesù proclama beati «i poveri in spirito» (Mt 5,3), ossia coloro che non cercano sicurezza nei propri progetti, ma confidano nelle promesse di Dio; alla fine, nell’apparizione a Tommaso, quando il Signore Risorto chiama beati «coloro che senza aver visto crederanno» (Gv 20,29), cioè coloro che non cercano sicurezza nelle proprie verifiche, ma vivono totalmente appoggiati alla fedeltà di Dio.
    La beatitudine della fede che trova piena realizzazione in Maria e da lei passa ai cristiani per raggiungere ogni cuore è davvero consolante, perché ci assicura che la vera gioia sta proprio nella fede, non nella particolarità delle opere o nei risultati delle imprese: è la fede che genera le opere, ed è la fecondità della fede che genera la gioia! È fuori dalle nostre possibilità pensare di darci la gioia e di controllare le opere: la felicità e la fecondità sono doni di Dio e frutti della fede. Per questo, con la sua solita acutezza ed eleganza, mettendo a confronto il cuore verginale e il corpo materno di Maria, sant’Agostino sottolineò che Maria «partorì credendo, e credendo concepì» (Cit. in MC 16). Questo ci dice che se non possiamo imitare Maria nell’opera del tutto singolare della maternità divina, possiamo però imitarla nella fede, ed è bello sapere che anche per Maria vale ad ogni modo il primato della fede: «Maria santissima – spiega sempre Agostino – certamente ha fatto la volontà del Padre, e per lei è cosa più grande e più gioiosa essere stata discepola di Cristo che essere stata sua madre»[1]. Lo conferma la preghiera della Chiesa, che nella Messa espressamente dedicata a Maria «discepola del Signore», si esprime così: «tutte le genti la proclamano beata, perché nel suo grembo purissimo portò il tuo unigenito Figlio; e ancor più la esaltano, perché fedele discepola del Verbo fatto uomo, cercò costantemente il tuo volere e lo compì con amore» (Pref.). Il primato della fede celebrato in Maria si riflette poi nella vita cristiana: «Signore nostro Dio – recita l’orazione di Colletta della stessa Messa – che hai fatto della Vergine Maria il modello di chi accoglie la tua Parola e la mette in pratica, apri il nostro cuore alla beatitudine dell’ascolto, e con la forza del tuo Spirito fa’ che noi pure diventiamo luogo santo in cui la tua Parola di salvezza oggi si compie». Bellissima preghiera! Suggerisce che l’imitazione della fede di Maria porta ad assomigliarle in certa misura anche nella fecondità: in quel «luogo santo in cui la Parola si compie» è adombrata un’analogia fra la maternità di Maria e la forma pneumatica ed eucaristica della vita cristiana, per la quale i credenti sono tabernacolo di Cristo e tempio dello Spirito.
    Come accogliere l’invito ad essere partecipi della gioia di Maria? Osserviamo anzitutto che qui risiede il punto di miglior congiunzione di evangelizzazione e educazione. Quanto all’educazione, nel secondo anno di preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco, il Rettor Maggiore dei salesiani ha espressamente indicato il nesso profondo che intercorre fra «il Vangelo della gioia e la pedagogia della bontà»[2]. E quanto all’evangelizzazione, i Vescovi italiani, preparandosi al Sinodo sull’evangelizzazione, hanno evidenziato come sia necessario, per un’evangelizzazione efficace, superare il deficit di gioia che viene in fondo da una mancanza di fede nella destinazione universale del vangelo: «le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio. Proprio l’assenza di questa consapevolezza genera solitudine e sconforto. Tra gli ostacoli alla nuova evangelizzarne c’è proprio la mancanza di gioia e di speranza che simili situazioni creano e diffondono tra gli uomini del nostro tempo. Spesso questa mancanza di gioia e di speranza è così forte da intaccare lo stesso tessuto delle nostre comunità cristiane… Affrontiamo perciò la nuova evangelizzazione con entusiasmo. Impariamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando sembra che l’annuncio sia una semina nelle lacrime. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo»[3].


    NOTE

    [1] Discorso 25,7.
    [2] Strenna 2013.
    [3] Inst. Lab. Sinodo Nuova Evangelizzazione, 168.169.


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