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    Giornata mondiale della gioventù: occasione o tentazione?



    In dialogo con Michele Falabretti, Samuele Marelli, Renato Cursi

    A cura di Rossano Sala

    (NPG 2016-06-5)


    Si è appena conclusa l’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù, che ha radunato a Cracovia per circa una settimana giovani provenienti da tutto il mondo e in particolare dall’Europa e dall’Italia. Chi vi ha partecipato porta ancora con sé la freschezza dei dialoghi con il santo Padre e il senso di universalità della Chiesa respirato nei momenti di grande convocazione, le forti emozioni vissute e gli indimenticabili incontri avuti, le grandi fatiche e le profonde gioie. Qualcosa che certamente ha lasciato il segno e resterà per tanti giovani un momento memorabile per il loro cammino di fede.

    Effettivamente, non si può non ammetterlo, l’invenzione delle Giornate Mondiali della Gioventù ha permesso alla pastorale giovanile di avere una sollecitazione e una visibilità particolarmente efficaci, insieme ad un beneficio generalizzato per il cammino di tutta la Chiesa.
    Il 15 aprile 1984, domenica delle Palme, più di 300.000 giovani provenienti da tutte le parti del mondo giunsero a Roma per partecipare al “Giubileo internazionale della Gioventù”, dove Giovanni Paolo II affidò loro una croce di legno che li avrebbe poi accompagnati per tutte le GMG in ogni parte del mondo: «Carissimi giovani, al termine dell’Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest’Anno Giubilare: la “Croce di Cristo”! Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità, e annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione»[1].
    L’anno seguente fu proclamato dall’Onu “Anno internazionale della Gioventù”. Il 31 marzo, domenica delle Palme, 350.000 giovani si riunirono in Piazza San Pietro. Fu il primo di una lunga serie di appuntamenti tra i giovani e il successore dell’apostolo Pietro, il quale si rivolse ai giovani di tutto il mondo dando poi loro appuntamento per l’anno successivo a Buenos Aires. Da allora la Giornata Mondiale della Gioventù viene celebrata ogni anno, il giorno della domenica delle Palme, in tutte le diocesi. Ogni due anni, anche se a volte con scansioni diverse, questo appuntamento viene realizzato a livello internazionale: giovani di tutto il mondo si riuniscono nella città indicata dal Santo Padre, per confrontarsi sulla loro fede e dare il proprio contributo nella costruzione del regno di Dio.
    La nostra rivista ha sempre avuto a cuore il momento intenso e importante della GMG: la sua preparazione, il suo svolgimento, la sua ripresa e il suo rilancio. È quindi per noi importante, anche questa volta, riflettere insieme sul rapporto che questo evento privilegiato di pastorale giovanile intrattiene con la quotidianità della nostra pastorale ordinaria nelle nostre Diocesi, congregazioni, movimenti. Quindi non solo fermarci all’evento, ma pensarlo a dovere in vista di una sempre migliore qualificazione della nostra cura educativa per i giovani che ci sono affidati.
    Per dialogare e confrontarci su tutto ciò abbiamo chiesto la collaborazione a tre persone di spessore nel panorama della pastorale giovanile, su tre diversi livelli: quello del coordinamento nazionale, quello dell’animazione diocesana e infine quello di una Congregazione religiosa dedicata alla gioventù.
    Per il livello nazionale abbiamo chiesto a don Michele Falabretti, sacerdote della diocesi di Bergamo dal 1993, per undici anni ha diretto l’oratorio di Osio Sotto (BG); è poi stato chiamato dal suo Vescovo come direttore della Pastorale giovanile della sua diocesi e ha coordinato per 2 anni il gruppo Oratori Diocesi Lombarde (ODL). Oggi dirige il Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile della Conferenza Episcopale Italiana ed è stato il coordinatore della presenza di tutti gli italiani a Cracovia.
    Per il livello diocesano risponderà alle nostre sollecitazioni don Samuele Marelli, prete della diocesi di Milano dal 2002 e fino al 2008 incaricato della pastorale giovanile locale e insegnante di religione alla scuola secondaria di 2° grado. Dal 2008 direttore della Fondazione Oratori Milanesi e responsabile del Servizio ragazzi adolescenti e oratorio e dal 2013 incaricato regionale di pastorale giovanile per la Lombardia (gruppo ODL) e consulente ecclesiastico del Centro Sportivo Italiano (CSI) di Milano.
    Infine, per l’ottica di una Congregazione religiosa di respiro mondiale, abbiamo chiesto la disponibilità al dott. Renato Cursi, membro del Dicastero di Pastorale Giovanile dei Salesiani di Don Bosco, incaricato per l’animazione e il coordinamento internazionale del Movimento Giovanile Salesiano. Salesiano cooperatore, sposato, già coordinatore nazionale del Movimento Giovanile Salesiano (MGS) italiano nel triennio 2012-2015). Laurea magistrale in Relazioni Internazionali (2012), già Officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (2014), è animatore, con la moglie, di un gruppo di giovani (18-22 anni) nell’oratorio del Borgo Ragazzi Don Bosco di Roma.
    Utilizzando la intrigante e provocatoria espressione di Silvano Fausti a proposito del discernimento[2], ci chiediamo se lo “strumento pastorale” GMG sia un’occasione o una tentazione, convinti che in questo evento importante vi sono senz’altro dei punti di forza, ci possono però essere dei punti critici e sicuramente è chiesto a ciascuno di noi, in quanto operatori e animatori di pastorale giovanile, di mettere in atto strategie operative capacio di rendere la GMG sempre più una possibilità per dare qualità ai nostri cammini locali, diocesani e nazionali.
    Questo contributo sulla rivista, organizzato secondo il genere letterario dell’intervista, tipico anche delle “tavole rotonde”, vuole proporsi come contributo al discernimento in vista di decisioni pratiche per tutti e per ciascuno, partendo dal presupposto che la GMG presenta in sé un duplice volto: può essere vissuto e ripreso come opportunità provvidenziale per ridefinire, migliorare e rilanciare i cammini in atto, oppure può essere un evento isolato e autoreferenziale vissuto passivamente dalla realtà diocesana o locale.

    Un evento evasivo o una tappa significativa?

    Sappiamo che papa Francesco pone il principio per cui «il tempo è superiore allo spazio»[3]: è quindi più importante iniziare processi a lungo termine piuttosto che occupare spazi in forma dominante o autoreferenziale.
    L’evento GMG è corto, concentrato, impegna per anni sul piano organizzativo e molto su quello economico: perché vale la pena organizzare e partecipare alla GMG? Non rischia di essere un elefante che partorisce un topolino?
    La GMG tra evento, vita quotidiana e itinerari: in che modo la GMG può essere una tappa di un itinerario educativo-pastorale e non un evento isolato di pastorale giovanile, che rischia di farci evadere dalla responsabilità del quotidiano?
    La vera fatica della pastorale giovanile è la cura educativa nel quotidiano (basti pensare alla proposta di R. Tonelli, accolta e diffusa dalla nostra rivista, centrata sulla vita quotidiana come luogo teologale decisivo): non è che per alcune nazioni, per qualche Diocesi e per certe Congregazioni o movimenti la GMG è utilizzata come la “foglia di fico” per coprire l’inconsistenza o l’inesistenza della propria PG locale?

    Michele Falabretti
    Sicuramente la GMG rischia di essere il più classico degli elefanti che partorisce il topolino: succede quando si pensa che le cose si fanno da sole, che ci si può affidare al corso degli eventi senza doverli preparare. È il pericolo di molte cose, oggi. Ricordo con un certo fastidio la coda per vedere la salma di Giovanni Paolo II, arrivare davanti e (invece dell’atteso momento di raccoglimento e preghiera) vedere la gente… scattare una fotografia con il telefono. Tutto questo oggi si trasforma nel selfie: moderni Narcisi, ci preoccupiamo di conservare una pur effimera testimonianza di “esserci stati” piuttosto che ricuperare la memoria sapiente che rilegge la vita.
    È un grande pericolo che corriamo anche nella pastorale giovanile, quando mettiamo in gioco un certo “consumismo” nelle attività. Non si tratta – tanto – di prendersela con la forma dell’evento (spesso tanto vituperata, nel senso che le si attribuisce il potere di illuminare che si può chiedere a un fuoco d’artificio), quanto piuttosto di non saltare da un’attività all’altra senza preparazione, senza accompagnamento, senza verifica e ripresa che consenta ai giovani di “legare” i loro passi di vita trasformandoli in una biografia personale ispirata dallo Spirito. Perché questo accada, c’è bisogno di cura: nel pensare e progettare, nel preparare e accompagnare; un’arte che nessuno possiede di suo, ma che nasce da una passione umile e sincera per il Vangelo e la vita delle persone.
    Questo, in qualche modo, risolverebbe davvero la questione: poiché la responsabilità è appello nel quotidiano, nei luoghi e nei tempi della vita di ciascuno, non ha senso inventarsi una forma che faccia soltanto “evadere” portando lontano da se stessi. Anche la GMG non è un assoluto. Persino la GMG potrebbe finire, a un certo punto. Le persone resteranno, così come l’appello di Gesù perché il Vangelo continui a essere luce di vita: dunque l’istanza missionaria (che normalmente definiamo “pastorale”) rimane con tutta la sua complessità.
    D’altra parte non si può dimenticare che la GMG è un momento che offre grandi opportunità. Anzitutto ha un forte carattere di convocazione: oggi non sono molte le occasioni per potere raccogliere le persone facendo fare loro un’esperienza forte di Chiesa, un’esperienza dove si possa percepire un senso universale di condivisione della fede, soprattutto con i giovani. Far toccare loro con mano che non sono soli nel loro percorso di ricerca, nelle loro domande, nei loro dubbi che li animano come i discepoli sulla strada di Emmaus.
    La convocazione, poi, è fatta dal Papa attorno alla Croce di Gesù: segno inequivocabile che questa è un’esperienza di Chiesa. Viviamo nel tempo dell’individualismo, dove tutto è ricondotto a sè: poter sperimentare di essere una comunità, chiamati a diventare un popolo in cammino è importante perché le scelte di fede escano dagli stretti recinti del relativo e del personale.
    E, infine, tutto questo dà alla GMG il carattere di un pellegrinaggio, dove l’uscire dalla città e dal quotidiano permette di creare uno spazio/tempo che aiuta a vivere una sorta di ritiro/deserto che prepara a riprendere in mano il quotidiano.
    Le opportunità che la GMG offre non sono cosa da poco: lasciarle cadere significa perdere l’occasione di costruire, seriamente, un percorso pastorale da offrire a chi è in cammino con gli altri e aiuta a integrare chi si fa compagno lungo la strada. Lo snodo e il futuro sono gli educatori: se ne prenderanno coscienza, sapranno anche trovare il modo di essere significativi nella vita dei ragazzi.

    Samuele Marelli
    Di fronte ad ogni iniziativa pastorale credo sia sempre giusto domandarsi se il gioco vale la candela, ovvero porsi la questione del reale valore di ciò che si propone, anche a partire dal rapporto tra gli sforzi necessari e i risultati effettivi. Tutto questo è ancor più vero per l’esperienza della GMG, con il suo lungo e pesante carico organizzativo.
    A tal proposito va subito rilevato che i giudizi circa l’opportunità e il reale valore di questo evento ecclesiale sono non solo molto disparati ma persino antitetici. Così si passa da un’assolutizzazione quasi sacrale, all’irrilevanza e, talvolta, persino alla demonizzazione.
    Credo vada anzitutto precisata la natura della GMG. Essa, come del resto ogni iniziativa pastorale o evento ecclesiale, non vuole e non deve essere il fine ma semplicemente uno strumento. A partire da ciò è facile intuire come la verifica non proceda dunque solo da come è stata vissuta, ma debba necessariamente includere il che cosa ha generato. In altre parole, non è possibile elaborare un giudizio positivo a partire dal fatto che è stata una bella esperienza, ma bisogna andare oltre, verificando che cosa è stata capace di far nascere e alimentare. Ciò che non genera, non nutre, dunque è inutile. Certo, anche il cibo viene scelto per il sapore e il gusto, ma oltre a questo, deve possedere un valore nutrizionale. Non si vuole dunque dire che non conti l’aspetto della percezione emotiva, ma che certamente non ci si può ridurre a questo. Una seria verifica dovrebbe dunque procedere non semplicemente da come sono stati vissuti quei giorni, ma anche da che cosa hanno generato: da quali pensieri e intuizioni hanno suggerito, da quali scelte hanno propiziato, da che conversioni hanno indicato. Una tale capacità di verifica non è sempre alla portata dei giovani, che spesso si fermano all’aspetto della fruizione estetica dell’esperienza mediante il godimento istantaneo. È dunque compito degli educatori indicare questa strada, certamente più faticosa ma indubbiamente più feconda.
    In quanto strumento, la bontà della GMG dipende in larga parte da chi la vive e forse ancor di più da coloro che accompagnano i giovani in questa esperienza. Lo stesso strumento può essere infatti depotenziato oppure esaltato in tutte le sue potenzialità. Per questo non ci si può fermare ad un discorso astratto e generico, perché molto spesso la capacità generativa dipende in larga parte dalle attenzioni educative di chi è chiamato ad introdurre e ad accompagnare i giovani in questo percorso.
    In linea generale, in un’epoca di cristianesimo di minoranza, non è inutile la logica del raduno che aiuta i giovani, attraverso la testimonianza di altri, a confermare la loro fede. Inoltre, il grande evento può contribuire a contrastare il clima di individualismo che imperversa soprattutto tra i giovani e nel loro modo di vivere la fede.
    Certamente, affinché l’esperienza porti frutto, e non si risolva in un fuoco d’artificio, è necessario che ci sia una preparazione previa, un accompagnamento effettivo e una ripresa successiva, a livello tanto comunitario quanto personale.
    La GMG si pone sempre e comunque come un’esperienza forte che non vuole sostituire la quotidianità ma semplicemente integrarla. Queste due dinamiche dell’evento e del quotidiano non sono dunque in alternativa ma vivono in profonda simbiosi.

    Renato Cursi
    Se la poniamo al centro o al culmine della pastorale giovanile, la GMG rischia certamente di farci evadere dal quotidiano. Vale la pena “investirvi risorse” nella misura in cui siamo in grado di proporre la GMG come offerta di uno spazio allargato, un’opportunità per i giovani di respirare un’aria di universalità, di “cattolicità”, tra pari.
    La GMG diventa una “foglia di fico” se la poniamo come “carota” o mèta illusoria del cammino della pastorale giovanile. La mèta della pastorale giovanile è invece quella di iniziare i giovani al discepolato cristiano e alla corresponsabilità apostolica. Questo deve avvenire in maniera dinamica, all’interno di un percorso (nel quale la GMG può essere una tappa) che aiuta il giovane a fare sintesi nella propria vita quotidiana. Davvero il “tempo” di questo processo di maturazione è superiore alla preoccupazione per lo “spazio” occupato dalle GMG nei media[4].
    Da un punto di vista salesiano, la GMG è ora citata esplicitamente anche nella terza edizione del Quadro di Riferimento della Pastorale Giovanile Salesiana (2014), laddove si parla del Movimento Giovanile Salesiano (MGS): «Sono due gli elementi di identità che caratterizzano il MGS: da una parte, il riferimento alla Spiritualità Giovanile Salesiana (SGS) e alla pedagogia salesiana; dall’altra il collegamento tra i gruppi e associazioni per cooperare vicendevolmente nel proprio impegno di formazione secondo la proposta educativo-pastorale salesiana»[5].
    Il coordinamento dei gruppi, questo secondo elemento costitutivo-formale del Movimento, è infatti reso visibile a livello mondiale da incontri come quelli che da qualche anno ormai il MGS celebra in occasione delle GMG: «Il MGS è un movimento giovanile, educativo, mondiale. […] Il MGS si rende visibile attraverso le differenti équipes di coordinamento locale, ispettoriale, nazionale e dei vari continenti; attraverso la partecipazione comunitaria alle differenti convocazioni eccclesiali di ordine diocesano, nazionale o mondiale, come può essere la Giornata Mondiale della Gioventù»[6].
    Infine, per formulare adeguatamente un giudizio da un punto di vista salesiano, occorre guardare alla GMG con le lenti della Spiritualità Giovanile Salesiano, che è sostenuta da cinque precisi e solidi pilastri:
    Una spiritualità che considera la vita quotidiana come luogo dell’incontro con Dio. Appare questo il punto più critico: per non creare schizofrenia tra GMG e vita quotidiana, il giovane deve essere preparato e accompagnato alla GMG da chi lo anima nel luogo di pastorale giovanile quotidiano, cioè dalle stesse persone che poi lo aiuteranno ad incarnare nella sua vita le nuove convinzioni e i propositi maturati in seno a quell’esperienza.
    Una spiritualità pasquale della gioia e dell’ottimismo. La GMG esalta e fortifica gioia e ottimismo, radicandolo nella fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Dalla Via Crucis guidata dal Papa il venerdì, passando per la veglia di preghiera e adorazione del sabato e la celebrazione eucaristica della domenica, la GMG evoca con forza il triduo pasquale.
    Una spiritualità dell’amicizia e della relazione personale con il Signore Gesù. La GMG fonda la sua proposta sull’incontro personale con Gesù attraverso l’eucarestia, la riconciliazione, adorazione eucaristica, preghiera personale.
    Una spiritualità ecclesiale e mariana. La GMG propone insieme la partecipazione consapevole rispettivamente alla Chiesa universale, nazionale e diocesana. Il legame con il successore di Pietro è centrale nel carisma salesiano. La GMG rinsalda il legame tra giovani e Papa in quanto pastore della Chiesa universale: è espressione visibile di unità nella Chiesa, non è mai da intendersi come “papolatria”.
    Una spiritualità del servizio responsabile. La GMG consente di rafforzare o ritrovare le motivazioni per il servizio al ritorno dal pellegrinaggio o di vivere direttamente, durante l’esperienza, il servizio come Volontario agli altri pellegrini. Esiste inoltre la possibilità di vivere in senso missionario la settimana che precede il programma strettamente inteso della GMG.

    Un avvenimento autoreferenziale o missionario?

    Francesco continua a sognare una Chiesa missionaria, una Chiesa capace di uscire e che rifiuta di rimanere chiusa in se stessa[7].
    Parliamo adesso dei destinatari della GMG: non c’è il rischio di pensare e realizzare la GMG per i “nostri”, per quelli che già ci stanno, escludendo quelli che appaiono “distanti” da noi?
    Per venire alla GMG bisogna avere risorse, anche economiche, e sappiamo che non tutti se le possono permettere: vi pare che la GMG sia un’espressione di una “Chiesa povera per i poveri” o di una elitaria, una “Chiesa ricca per i ricchi”?
    Non rischia di essere un evento organizzato da noi e per noi, cioè un evento di una Chiesa ancora autoreferenziale e ripiegata su se stessa: in che modo la GMG è un’iniziativa di una Chiesa missionaria o potrebbe avere ricadute “missionarie” sui giovani che vi partecipano?

    Michele Falabretti
    Quando si avvicina un raduno mondiale per la GMG, accade sempre che esca una domanda: “dove sarà la prossima”? Ho sempre guardato con curiosità a questa domanda: ma come, non abbiamo ancora finito di pensare a ciò che ci aspetta, non l’abbiamo ancora vissuto e già ci si chiede dove ci porterà il prossimo viaggio? Ultimamente credo di aver scoperto una cosa: la domanda ne sottintende un’altra che in qualche modo si ritiene inconfessabile perché nasconde uno smarrimento possibile. La domanda nascosta è: ci sarà ancora? Ci sarà una prossima volta?
    Per certi versi la GMG è ritenuta una formula inossidabile e immutabile ma io credo che proprio questa convinzione potrebbe essere fatale. Considerare la GMG come una formula “vincente” e quindi – secondo il più classico degli adagi calcistici – pensare che “squadra che vince non si cambia”, significa dare corpo allo smarrimento di cui sopra. Cioè essere egoisti, pensando che tutti debbano vivere le proprie emozioni e le proprie esperienze. Quando la GMG è ripiegata sulle forme, cioè su se stessa, e viene considerata un “rito” immutabile, comincia ad assumere anche la forma di qualcosa di antipatico. Dà l’idea di un club esclusivo a cui pochi (rispetto ai giovani del pianeta) fortunati hanno il privilegio di poter partecipare. Ho sempre vissuto con un certo fastidio tutte le esperienze che tendevano a far sentire chi non c’era come un povero stupido: è quasi come dire all’altro “sei senza speranza, non sai cosa ti sei perso; comunque ne sei fuori”.
    La GMG sarà una buona esperienza se saprà formare testimoni del Vangelo. E questo ci chiede, anzitutto, di credere che questo (la vita di ciascuno) è tempo di Grazia e che il Signore raggiunge tutti là dove si trovano. È giusto che dei giovani vivano con entusiasmo un viaggio e una condivisione planetaria come è quella della GMG: si incontrano lingue, culture, modi e stili di vita diversi che si traducono in parole, gesti e danze che (proprio perché appartengono al mondo giovanile) hanno il carattere di una gioia profonda. Ma questa gioia deve essere anche condivisione quotidiana una volta tornati a casa: tornare alle esperienze per “escludere” chi non vi ha partecipato è un esito sicuramente pessimo e da evitare. Possiamo anche non essere particolarmente “missionari” durante la GMG, ma non possiamo non esserlo una volta tornati a casa: questo dà un senso al ritrovarsi di quei giorni. E soprattutto dà della GMG l’idea non di un’esperienza esclusiva per pochi, ma di un’esperienza/segno per tutti, perché lo stile che lì viene offerto a tutti, si trasformi in vita per tutti.

    Samuele Marelli
    Per quanto potenzialmente l’esperienza della GMG sia aperta a tutti i giovani, non si può non registrare il fatto che, in realtà, la stragrande maggioranza dei partecipanti sia rappresentata da coloro che già vivono un cammino di fede. Tutto questo deve certamente interrogarci. D’altra parte però una tale dinamica, almeno in parte, è inevitabile se si considera la natura stessa dell’evento, che richiede una motivazione alta e uno sforzo significativo in riferimento alla partecipazione. Anche i linguaggi devono essere calibrati necessariamente su una tipologia di giovani: sarebbe bello poter parlare a tutti, ma spesso l’esito di un tale tentativo è quello di non riuscire ad intercettare nessuno. Non credo dunque che sia problematico il fatto che la GMG non rappresenti anzitutto un evento missionario, almeno in riferimento alla partecipazione diretta, a meno che non la si consideri il perno della proposta di pastorale giovanile. Se, al contrario, essa rimane una delle proposte e delle esperienze, credo si possa riconoscere, con onestà e serenità, che non tutti gli strumenti possono servire per ogni cosa. L’importante è che nella progettazione pastorale con i giovani vi siano una pluralità di strumenti, linguaggi ed esperienze.
    Nonostante quanto detto, non ritengo neppure corretto affermare che l’esperienza della GMG non possa avere alcun risvolto missionario. Un’esperienza, normalmente, è fatta anche per essere raccontata. Questo è esattamente il valore della testimonianza, che riporta ad altri ciò che si è vissuto. Mi viene in mente a tal proposito una frase del biblista Bruno Maggioni: «Quando t’imbatti in una cosa bella, la racconti. E quando t’imbatti in una cosa vera, la dici. E se hai capito che la storia di Gesù ha illuminato il cammino del mondo e dell’uomo dandogli senso, allora lo racconti. Non puoi farne a meno. E se l’incontro con Gesù ha cambiato la tua esistenza dandole forza, direzione, senso, allora inviti gli amici a condividerla».
    Per quanto riguarda invece la questione economica, convengo sul fatto che la possibilità di partecipare purtroppo non sia data a tutti. Limitandomi al contesto italiano mi sentirei di dire che comunque, almeno per le edizioni europee, l’esperienza possa essere accessibile a molti, anche in considerazione del fatto che è possibile ricorrere a forme comunitarie di autofinanziamento, attraverso le diocesi e le parrocchie. Paradossalmente, almeno per alcuni dei nostri giovani, scegliere la GMG costituisce una scelta se non proprio di povertà, quantomeno di sobrietà. Oggigiorno molti giovani hanno la possibilità di viaggiare in Europa senza molte difficoltà e non c’è certamente bisogno di un’occasione quale la GMG per legittimare davanti ai genitori il loro desiderio di viaggiare. Chi sceglie oggi la GMG, nella maggior parte dei casi, lo fa consapevole di rinunciare agli agi di un altro tipo di vacanza, percependo la bellezza e l’importanza di un’esperienza simile.

    Renato Cursi
    La GMG può essere vissuta in modo autoreferenziale e come un evento da consumare, è vero. Se, però, è parte di un cammino di pastorale giovanile, questa esperienza conferma quanto in esso c’è di buono: si tratta di favorire la conversione del pellegrino in missionario. Se la GMG è l’«istituzionalizzazione della pratica del pellegrino» e una «gestione istituzionale del pluralismo»[8], occorre allora una conversione missionaria che, pur mantenendo il pluralismo del poliedro vinca, però, l’autoreferenzialità del pellegrino intermittente e disimpegnato.
    Da chi/cosa dipende questa conversione? Effettivamente, se la generazione dei discepoli del Signore è compito insostituibile della grazia – e ciò avviene in primo luogo mediante l’azione sacramentale – lo sviluppo, la crescita e l’accompagnamento per una sempre più piena accoglienza di questo dono è compito dell’azione pastorale della Chiesa nel suo insieme. Siamo tutti corresponsabili di questo compito e della testimonianza resa ai “lontani”, anche se da un punto di vista esterno, a proposito della GMG, i pareri saranno forse sempre contrastanti[9].
    Alcune scelte di impegno possono maturare proprio grazie alla partecipazione alle GMG: il MGS Australia si è costituito per la prima volta come gruppo giovanile per organizzare la partecipazione alla GMG del 2011. Da Madrid, in particolare alla luce di quanto hanno vissuto nella giornata salesiana mondiale nella casa salesiana di Atocha, sono ripartiti con la voglia di lanciare in Australia un coordinamento MGS dei gruppi giovanili delle opere salesiane. Per il “SYM Don Bosco 2015”, incontro mondiale dei giovani del MGS celebrato in occasione del bicentenario della nascita di Don Bosco, la rete e i social network hanno consentito di condividere proposte che fossero replicabili nel proprio contesto locale/nazionale. Dalle GMG e da questi raduni si deve ripartire con un nuovo bagaglio di esperienze e con un fuoco missionario verso i giovani rimasti a casa!
    Un’ulteriore via per riscoprire la missionarietà è offerta dalla proposta di vivere nelle diocesi del Paese ospitante la settimana che precede il “programma ufficiale” delle GMG. La pastorale giovanile francese in generale, e quindi anche il MGS Francia – Belgio Sud, puntano molto su questa “settimana pre-GMG”.
    La tentazione di costruire una GMG “per i ricchi” è forte. Esiste, però, la possibilità di vivere la GMG nell’essenzialità. Per molti giovani è una forte testimonianza di fraternità vedere tanti religiosi dormire all’aperto con loro dopo la veglia di preghiera del sabato sera. Sempre con sobrietà e fraternità bisogna saper rispondere alla crescente domanda dei giovani per una maggiore coerenza tra le proposte di pastorale giovanile e la custodia del creato. Il desiderio di fare proposte di qualità e attraenti per i giovani non deve piegarci ad un certo efficientismo che immagina la GMG come una macchina che deve girare in maniera perfetta in quei pochi giorni in cui, in una città a volte piccola, si riversano milioni di giovani da tutto il mondo. Seguendo il pressante invito di papa Francesco, non dobbiamo avere paura di ripensare il modello attuale della nostra pastorale e quindi, di conseguenza, anche quello della pastorale giovanile!
    Quanto al costo significativo di questi viaggi, le comunità ecclesiali locali, le famiglie, gli adulti, dovrebbero muoversi per inviare (sì, in senso missionario) i propri giovani. Quando un giovane si sente inviato e poi chiamato a testimoniare ad una comunità cui sente di appartenere, vive queste esperienze in modo radicalmente diverso. Ai giovani non manca la creatività: mesi prima della celebrazione del “SYM Don Bosco 2015”, un Salesiano missionario in Angola mi parlò di un giovane del MGS locale, che stava impegnandosi già da settimane come sminatore per raccogliere fondi in vista della partecipazione a questo incontro mondiale!
    I poveri sono al centro del Vangelo: in quale modo i poveri potrebbero recuperare questa centralità nelle GMG senza essere trasformati in uno spot pubblicitario di pochi secondi? La sfida è quella di consegnare le motivazioni per un’opzione preferenziale, una spiritualità che i giovani possano assumere e incarnare nel sevizio con e per i poveri della propria città, nel quotidiano.

    Espressione di una chiesa eurocentrica o interculturale?

    Francesco chiede alla Chiesa di essere inclusiva, capace di trovare il posto per ciascuno e in grado di creare le condizioni perché nessuno si senta da essa escluso[10].
    Una delle attenzioni di questi ultimi decenni di rapida globalizzazione è l’opzione per una pastorale giovanile “interculturale”, critica verso un modello “occidentalistico” e aperta agli apporti culturali di una Chiesa che è sempre più universale e ricca di diverse prospettive: in che modo la GMG è un incontro della Chiesa universale?
    L’organizzazione dei vari momenti della GMG molte volte segue uno schema molto strutturato: incontri con il santo Padre, catechesi per nazioni o per lingue, momenti di aggregazione varia: non è che la GMG è ancora pensata in forma “eurocentrica”, cioè da una Chiesa europea per giovanie europei?
    Tutti siamo chiamati all’accoglienza dell’alterità per la comunione: in che modo la GMG aiuta coloro che partecipano (nazioni, diocesi e congregazioni/movimenti) ad entrare in uno stile “inclusivo” di fare PG?

    Michele Falabretti
    A me fa una certa tenerezza quando chi gli era vicino, ricorda Giovanni Paolo II che decise di incontrare i giovani a partire dalla sua esperienza di prete e di vescovo: lo capisco davvero bene. Chi è stato per molto tempo a contatto con loro, se ne è preso cura, li ha serviti, ha cercato di educarli e farli crescere, si porta dentro una nostalgia capace di tramutarsi nella creatività di forme nuove pur di riuscire a incontrarli di nuovo.
    Secondo me non è un caso che Giovanni Paolo II si guarda attorno negli ambienti vaticani e dice (più o meno): “dove sono i giovani”? Le fotografie della fine degli anni ’70 non ci mostrano molti giovani in Piazza san Pietro; e d’altronde questo si spiega: erano altre le piazze allora frequentate. Dunque la GMG fu una scelta pastorale fatta per tornare a incrociare il mondo giovanile. Ma la frase che tutti hanno in mente (e che in qualche modo è di congedo da loro) è quella della notte di Tor Vergata: “Se tu starai con i giovani, dovrai diventare giovane anche tu”! Mi sembra che in questi due punti stia la parabola di un Papa che inventa uno strumento pastorale per avvicinare i giovani: la ricerca di un contatto con loro, perché l’adulto cristiano non può essere se stesso se non ha qualcuno a cui consegnare il Vangelo. E, dall’altra parte, la rivelazione che questa operazione fa scoprire la giovinezza profonda che abita ogni vita quando è offerta per amore.
    È importante considerare la GMG uno strumento pastorale: come ogni attività della Chiesa, ha a che fare con le persone. Ma questo vorrà dire che non è giusto mettere al centro la forma: sono le persone a costituire il gioco decisivo. E che bisogna guardare ai giovani che cambiano dentro un mondo che cambia ancor più rapidamente di loro. Basta pensare alla differenza fra l’Europa della GMG di Czestochowa del 1991 e quella di Cracovia venticinque anni dopo: là piena di speranze per un futuro che sembrava aprirsi come lungo e radioso; qui appesantita da stanchezze e fatiche che non promettono così bene… La storia della GMG dice che è fatta anche dai Papi, perché ciascuno la vive a modo suo, ma soprattutto perché (se strumento pastorale deve essere) ciascuno lo utilizza secondo le proprie finalità e intenzioni.
    Trent’anni fa è iniziata un’avventura che – semplicemente – cercava di portare il Vangelo dentro alla vita dei giovani. Il bene che ha fatto questo percorso è sotto gli occhi di tutti. Ma è altrettanto evidente il bisogno di non rinchiudersi in ciò che è sempre stato.
    Perché la GMG non è la massa o la mèta indicata dalla sede dove avviene il raduno. Non è nemmeno (soltanto) il Papa e le sue parole. È un movimento di vite, di cuori, di domande e di ricerca di senso. Non possiamo delegare tutto questo al Papa o a pochi soggetti organizzatori. Il compito di chi accompagna (preti, religiosi e laici) è fondamentale. Per questa ragione sarebbe utile e preziosa la rilettura delle esperienze fatte: nella narrazione di ciò che è accaduto, possiamo trovare la libertà di cambiare le forme della GMG (quelle che saranno più adatte) per far sì che la GMG in qualche modo possa “inculturarsi” nell’emisfero in cui viene svolta.
    Io mi auguro che questo avvenga a partire dalle catechesi. È forte, oggi, la necessità di utilizzare linguaggi e stili diversi; è forte il bisogno di far sentire più voci. Certo, i Vescovi sono i maestri più titolati della fede, ma non sono gli unici testimoni dell’esperienza del Vangelo. Sarebbe bello che – accanto a loro e con forme nuove – si potesse percepire come il cristianesimo può diventare luce per la vita di tutti. Sarebbe bello, anche, che le catechesi non fossero solo una “lezione dentro un’aula”: forse bisognerebbe avere il coraggio di andare sulla piazza e di viverla come incrocio e passaggio di esistenze. Lasciandosi sostenere dal desiderio di annunciare, ma non rinunciando – prima – a dialogare e a interloquire. Da questo punto di vista molto ancora deve essere fatto, ma i tempi sembrano maturare in fretta.

    Samuele Marelli
    Va anzitutto detto che la dinamica dell’universalità pone evidentemente diverse problematiche, di ordine organizzativo ed economico. Nonostante la maggior parte dei cattolici viva nel Sud del mondo, solo quattro edizioni della GMG su tredici hanno toccato quelle terre. Per non dire poi che nessuna GMG si è svolta nel continente africano. A partire forse anche da queste osservazioni sono nate così le esperienze dei raduni continentali dei giovani, soprattutto in Asia.
    La GMG risente certamente del fatto di essere nata in Occidente e di aver visto proprio in Occidente il numero maggiore di incontri. Tuttavia la prospettiva universale risulta sicuramente carica di stimoli per i giovani, in primo luogo per quanto riguarda il rapporto tra fede e cultura. In tal senso, può essere davvero di grande utilità per i giovani, un evento che aiuti a comprendere la fede al netto delle dinamiche culturali. Se è vero che la fede deve necessariamente darsi e dirsi in una cultura, è altrettanto vero che non deve lasciarsi ingabbiare. L’aumento esponenziale della possibilità di viaggiare e comunicare, soprattutto per i giovani, chiede anche un allargamento degli orizzonti ecclesiali e un più ampio confronto a partire dalla modalità di vivere la fede in contesti diversi. Soprattutto in Italia, credo si risenta di un certo provincialismo religioso che non favorisce l’allargamento degli orizzonti.
    L’esperienza della GMG, come è stata pensata fino ad ora, d’altra parte non favorisce lo scambio reale. Nonostante in ambito giovanile tendono sempre più ad essere superate le difficoltà linguistiche, la struttura dell’evento non permette un confronto concreto e personale tra i giovani. Credo che questo sia il limite più visibile della GMG che, con il passare degli anni, si è fatto più evidente, proprio a motivo della prospettiva del “villaggio globale” in cui viviamo. Il creare le condizioni concrete affinché si possa realizzare realmente uno scambio tra i giovani rappresenta dunque una grande opportunità e insieme una sfida per il futuro di quest’esperienza.

    Renato Cursi
    La GMG è il «cenacolo della cattolicità»[11] in cui i giovani possono allargare gli orizzonti della propria idea di Chiesa oltre i confini del gruppo locale o del movimento, comunità o associazione ecclesiale cui appartengono. In futuro forse sarà difficile parlare di una GMG “eurocentrica”: la Chiesa cattolica sarà “giovane” soprattutto negli altri continenti, e nulla esclude che l’attuale tendenza a celebrare una GMG ogni due in Europa venga presto sovvertita. In questo senso è fondamentale dare spazio e tempo per esprimersi ai giovani dei Paesi di più recente evangelizzazione: al già citato “SYM Don Bosco 2015” uno dei momenti più apprezzati da questi giovani è stata la serata animata dai gruppi di tutto il mondo con i loro costumi, danze e altre espressioni tradizionali.
    In una GMG i giovani captano la cattolicità della Chiesa e ascoltano la voce del Papa, chiamato a guidare questo popolo universale. D’altra parte, però, quanto la Chiesa “adulta” si serve di queste occasioni per ascoltare i giovani? Le scienze delle comunicazioni e pedagogiche ci mettono in guardia tanto da uno stile pastorale unidirezionale (o, peggio ancora, “top-down”), quanto dalla tentazione di un ascolto “di facciata” o troppo “costruito”. La “realtà” dei giovani è più importante dell’“idea” che ci fabbrichiamo di loro[12].
    La GMG è inoltre un sistema educativo complesso, che coinvolge una molteplicità di agenti e di linguaggi formativi. Va dato atto che la metodologia dei grandi raduni della GMG ha arricchito la proposta dei grandi incontri di tante realtà ecclesiali, incluso il MGS. C’è ora da auspicare che le buone pratiche “dal basso”, o “dalle periferie” della Chiesa universale, rinnovino anche i linguaggi e le metodologie delle proposte “centrali”.
    Si è insistito molto sull’analogia tra GMG e Oratorio: da una parte, la GMG può essere definita come un “oratorio globale” in quanto va incontro, anzi, fa incontrare i giovani di tutto il mondo. Costituisce un “ponte” tra la Chiesa-istituzione e la gioventù reale, dove tra gioco e impegno si realizza l’incontro dei giovani di ogni dove e condizione con Cristo e con la “Chiesa giovane” di Cristo. Allo stesso tempo però, per la PG salesiana l’invito a partecipare alla GMG non equivale ad aprire le porte di un oratorio internazionale, dove entra chiunque, come nell’oratorio locale: nell’esperienza dei gruppi MGS, la proposta “GMG” è accolta e accettata da chi è disposto ad impegnarsi, mettendosi in gioco in prima persona. La maggior parte dei giovani che decidono di parteciparvi sono alla ricerca di un salto di qualità nel percorso di fede.
    Ai giovani dei gruppi salesiani di tutto il mondo che partecipano alla GMG il MGS propone soltanto una giornata salesiana, come segno visibile di comunione del Movimento[13], all’interno della quale proporre paradigmi di PG e un modello di celebrazione salesiani. Il luogo stesso dell’incontro viene pensato e trasfigurato in “ambiente educativo”. A differenza di altre iniziative, come il MAGIS proposto dai Gesuiti[14], questa giornata si celebra all’interno del programma ufficiale “in senso stretto” della GMG: non comporta costi eccessivi per i giovani e soprattutto non ostacola la partecipazione dei gruppi MGS alle iniziative missionarie e ai gemellaggi con le diocesi del Paese ospitante. Per partecipare a questo incontro mondiale si deve essere parte di un gruppo, e quindi di un cammino che guardi a questa giornata come a una tappa posta all’interno di un processo più grande. Un cammino di crescita che non si esaurisce o interrompe lì nel mezzo di una giornata estiva di festa, ma prosegue, senza schizofrenie, preparandosi con rinnovato entusiasmo e consapevolezza ad un nuovo anno pastorale di impegno nel locale e nel quotidiano.

    Quali punti fermi per non perderci per strada?

    Dopo questo impegnativo triplice giro di domande, chiediamo ai nostri tre intelocutori di offrirci una visione sintetica sulla GMG, chiedendo loro di esprimere, in modo quasi telegrafico, alcune convinzioni.
    Potresti esprimere alcuni punti di forza della GMG, che quindi vanno rafforzati?
    Secondo te, quali sono alcuni problemi aperti nella GMG che vanno o andranno affrontati?
    A tuo parere quali sono le migliori strategie operative da perseguire perché la GMG sia sempre più una occasione e sempre meno una tentazione per la pastorale giovanile?

    Michele Falabretti
    Se devo essere sincero, io credo che bisognerebbe avere il coraggio di fermarsi con umiltà e pazienza cercando di rileggere a fondo l’esperienza. Sono in difficoltà a indicare punti di forza o strategie operative. Nell’insieme la GMG può anche funzionare, ma credo che l’attenzione sia troppo rivolta all’esperienza in sé e alla sua organizzazione.
    Il punto di partenza vero, la strategia più decisiva è ripartire dai giovani e dal concreto delle loro esistenze; è rileggere la situazione della nostra Chiesa per tornare a chiederci dove vogliamo andare. Tutto questo potrebbe riassumersi in una grande domanda che si fa punto di ri-partenza: perché facciamo la GMG?
    Se avremo il coraggio di ricominciare da qui, con un grande spirito di libertà interiore, credo che lo Spirito – di nuovo – ci indicherà le strade da percorrere. E sarà un nuovo inizio.

    Samuele Marelli
    Per ciò che concerne i punti di forza ne indicherei due o tre. Il primo è certamente la possibilità di vivere un’esperienza di Chiesa singolare e molto intensa. Non dobbiamo sottovalutare il rischio di un cristianesimo individualista, incapace di cogliere la necessità del riferimento ecclesiale. Un secondo punto di forza è certamente la capacità di smuovere qualcosa. Molti giovani raccontano che la partecipazione alla GMG ha suscitato qualcosa: talvolta ha propiziato delle domande, altre volte ha fatto intuire le risposte, altre volte ancora ha portato a delle decisioni. Da ultimo, direi che un altro punto di forza risiede nel fatto che una simile esperienza permette di sperimentare la bellezza del vivere e condividere la fede.
    Questi punti di forza non eliminano alcune criticità. Anzitutto il fatto che alla GMG tutti parlano tranne i giovani. Essi non vengono ascoltati, almeno durante l’evento, ma sono chiamati solamente ad ascoltare. La struttura attuale non permette loro neppure di ascoltarsi reciprocamente. Un secondo problema si riferisce alla mancanza di ripresa dell’esperienza personale al termine dell’esperienza, che non riesce così a diventare nutrimento per la vita quotidiana. Infine, rimane il problema del coinvolgimento dei lontani e dell’apertura missionaria di un gesto ecclesiale di tale portata.
    Le strategie operative che suggerirei vanno invece nella linea di un più consapevole e maturo accompagnamento educativo, tanto durante i giorni dell’esperienza, quanto nel periodo della preparazione e in quello della ripresa.

    Renato Cursi
    Giovanni Paolo II ha inaugurato questo cammino, Benedetto XVI e Francesco lo hanno ereditato, ma la Chiesa dovrà sempre vincere la tentazione di una “ricezione acritica” dell’eredità delle GMG. La ripetizione dell’uguale, il motto pastorale per cui “si è sempre fatto così” non un’automatica garanzia dell’apertura allo Spirito, che invece rinnova incessantemente tutte le cose.
    In maniera telegrafica, comincio da tre punti di forza: la GMG è proposta di fede aperta, pur essendo di alto profilo; è un’esperienza missionaria nelle diocesi; infine è una proposta solida, fondata sull’incontro tra il giovane e Gesù attraverso Parola, Eucarestia, Riconciliazione.
    Questi mi paiono invece i problemi paerti: c’è poco ascolto dei giovani; la testimonianza ai lontani e impegno per i più poveri non sono visibili; vanno trovati percorsi di passaggio dall’essere pellegrini al divenire missionari, uscendo così dal circolo del godimento narcisistico per esntrare sempre più nel ritmo della generosità del dono di sé, cuore della proposta di vita cristiana.
    Infine indico tre strategie operative: la necessità di un accompagnamento dei giovani che vi partecipano (prima, durante, dopo); il ricentramento dell’esperienza sulla missionarietà; l’allungamento della frequenza delle GMG, dando più respiro a iniziative PG locali, regionali, nazionali, continentali. Celebrare le GMG ogni 3 anni o ogni 4 anni? Il criterio dovrebbe essere quello di far “respirare” la PG ordinaria e consentirle di preparare meglio i cammini verso (e dopo) la GMG.


    NOTE

    [1] Dal discorso di Giovanni Paolo II ai giovani durante la consegna della croce il 22 aprile 1984.
    [2] S. Fausti, Occasione o tentazione? Arte di discernere e decidere, Àncora, Milano 2001.
    [3] Cfr. Evangelii Gaudium, nn. 222-225.
    [4] La vera GMG? Prima o poi qualcuno ne parlerà. Come è stata raccontata negli anni sulla stampa internazionale, in “L’Osservatore Romano”, 20 agosto 2011.
    [5] Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, SDB, Roma 32014, 166.
    [6] Ivi, 167-168.
    [7] Cfr. Evangelii Gaudium, 20-24.
    [8] Cfr. D. Hervieu-Léger, Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento, Il Mulino, Bologna 2003, 86-93.
    [9] Si vedano, a mo’ di esempio, i pareri opposti di due intellettuali di livello internazionale su due recenti GMG: S. Romano nell’intervista in “Il Giornale”, 21 agosto 2000, 5; M. Vargas Llosa, Dio a Madrid, in “L’Osservatore Romano”, 30 agosto 2011.
    [10] Cfr. Evangelii Gaudium, 186-216.
    [11] Cfr. F. Attard, Ripensare la Pastorale Giovanile, LAS, Roma, 2013, 73-75.
    [12] Cfr. Evangelii Gaudium, 231-233. Cfr. anche Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, SDB, Roma 32014, 21-36.
    [13] Cfr., per l’ultima GMG, il sito https://krakow2016sym.pl/it/festa-mgs/
    [14] Cfr. https://news.gesuiti.it/polonia-magis-2016-verso-la-gmg-di-cracovia/


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