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    Diventare cristiani: (non) tutte le strade conducono a Roma


    Giovani e fede. La ricerca "Toniolo" /2

    Cristina Pasqualini *

    (NPG 2016-03-36)

    Quella dei Millennials – coloro che hanno raggiunto la maggiore età nel XXI secolo – è una generazione interessante, definita non a caso “generazione di mezzo”, in quanto collocabile storicamente tra un modello culturale tradizionale di matrice cattolica, a cui la maggioranza degli individui in età evolutiva è stata, volente o nolente, socializzata e un modello emergente che si sta progressivamente affermando in questi ultimi anni, in cui sembra venir meno la tenuta e la forza della tradizione a favore di una maggiore libertà individuale, che consente di sperimentare percorsi di fede più personali, ma non per questo meno consapevoli e maturi. Detto fuori metafora, “(non) tutte le strade conducono a Roma” significa che assistiamo oggi tra i giovani al proliferare di percorsi di fede differenti. Il percorso di fede lineare-tradizionale-istituzionale tipico del passato non è più il prevalente, cede il passo a un nuovo percorso standard e a percorsi che si avvicinano più o meno al nuovo standard. Una cosa sembra tuttavia valere per tutti: sono giovani e la fede è un elemento della propria esistenza, che cambia e cresce con loro, che sperimentano e incontrano nel quotidiano all’interno dei vari ambiti di vita, dalla scuola alla famiglia, dal lavoro al tempo libero, dall’associazionismo all’impegno sociale. Alcuni profili sono più definiti, altri appena abbozzati, ancora da scrivere. Tra la fede e la vita esiste un rapporto profondo, che muta con il passare del tempo.

    Età della vita - età della fede

    Nella nostra cultura, quando pensiamo al corso di vita di un essere umano, siamo soliti rappresentarlo convenzionalmente come la successione lineare di una serie di tappe temporali in cui gli individui sono chiamati a fare i conti con determinati compiti di sviluppo ed esperienze culturali e sociali specifiche. Prima l’infanzia, poi la pre-adolescenza, l’adolescenza, la giovinezza e, infine, l’età adulta. Tappa, quest’ultima, che dovrebbe corrispondere “sulla carta” alla piena autonomia dell’individuo, in realtà sempre più difficile da raggiungere, soprattutto nel nostro Paese, per ragioni sia economiche che culturali. Ogni età della vita presenta caratteristiche proprie, che la rendono peculiare rispetto alle altre e facilmente identificabile. L’infanzia (0-10 anni) è per definizione il tempo dell’eteronomia, della dipendenza dai genitori, della centralità della famiglia, oltre che di agenzie educative e di socializzazione formali. La pre-adolescenza (11-13 anni) è l’età delle prime turbolenze, della presa di coscienza del proprio corpo che cambia e di gusti e attitudini personali che pian piano prendono forma, della ricerca dell’informalità, ma anche della noia, delle prime crisi identitarie, in cui la compagnia degli amici diventa un riferimento importante, decisamente più della famiglia. L’adolescenza (14-18 anni), una tappa sempre più anticipata nella nostra società, coincide con l’inizio delle scuole medie superiori, con l’ampliamento dei gradi di libertà rispetto ai genitori, con la ricerca del partner, con il passaggio definitivo per molti dalla formalità all’informalità, che non è autonomia ancora. Autonomia che si conquista man mano nella fase della giovinezza, che nel tempo si è protratta a dismisura, tanto che siamo oramai abituati a distinguere tra giovani (19-24 anni) e giovani-adulti (25-29 anni), ossia tra una prima e una seconda giovinezza. La maggioranza dei più giovani è ancora impegnata negli studi, universitari o professionalizzanti, e spesso alla compagnia di amici si preferisce la compagnia del partner. Da parte loro i più grandi, sebbene siano biologicamente “maturi”, sono ancora lontani dall’acquisizione dei ruoli sociali adulti. Questa sconnessione tra piano biologico e sociale crea un profondo senso di frustrazione nei giovani, che vorrebbero ma non possono, che rinunciano talvolta a progettare il loro futuro. La principale preoccupazione dei giovani-adulti è quella di diventare economicamente autonomi, provando ad inserirsi nel mercato del lavoro, impresa tutt’altro che semplice. Non stupisce infatti che non ci sia ancora traccia di indipendenza abitativa nei loro percorsi biografici, se escludiamo coloro che escono temporaneamente di casa per motivi di studio. I giovani-adulti vivono ancora sotto lo stesso tetto con i genitori e mancano di progettualità generativa, nei termini di creare una famiglia propria.
    Ciascun individuo, per il fatto di essere inserito in una determinata cultura e società, riceve dalla tradizione un bagaglio culturale impegnativo, che comprende norme, valori, segni e simboli. Mentre è impegnato a farlo proprio, a interiorizzarlo, lo innova, lo modifica, lo mette a tacere, talvolta. La fede fa parte del bagaglio che le persone ricevono sin dalla prima infanzia e che via via rielaborano in maniera personale nelle fasi di vita successive. Se è vero che tra la vita e la fede c’è un rapporto molto stretto, è interessante osservare come il corso di vita e anche il percorso di fede seguano solitamente la stessa traiettoria, ovvero si snodino attraverso delle tappe contrassegnate inizialmente da un elevata eteronomia, che lascia progressivamente spazio all’autonomia. Durante l’infanzia gli individui vivono tante esperienze diverse, tra cui anche quella della fede, a cui sono introdotti dalle agenzie di socializzazione preposte (la famiglia, la scuola, la Chiesa, ecc.), esperienze che vengono percepite come imposte e non scelte. Un esempio sono i sacramenti. A partire dalla pre-adolescenza e adolescenza la formalità cede il passo all’informalità. Alcune agenzie di socializzazione perdono la loro centralità, a cui si affiancano nuove realtà, nuovi soggetti, tra cui il gruppo dei pari, la compagnia di amici, il partner. Questa è l’età della sperimentazione, in cui si verifica il distacco fisiologico dalla fede, che resta latente, sullo sfondo. Non si registra tanto un rifiuto, piuttosto una mancanza di interesse. A partire dalla prima giovinezza, ovvero intorno ai 19 anni, gli individui iniziano a godere di ampia libertà e di una maggiore fiducia da parte dei genitori, infatti le pressioni familiari e l’ansia di controllo si attenuano. Le personalità dei giovani si delineano sempre di più, iniziano a ragionare su quello che vorranno fare da grandi, su cosa significa per loro diventare adulti, su alcune domande di senso. È a partire da questo momento che i giovani riprendono eventualmente in mano la propria fede e ne fanno quello che vogliono, le danno la forma che preferiscono, solitamente personale, autentica e consapevole. Quello appena descritto è il percorso di fede più ricorrente tra i giovani di oggi, che abbiamo definito pertanto standard, in cui il distacco dalla fede c’è ed è fisiologico. In ultima analisi, nel nuovo percorso di fede standard, a una prima iniziazione etero-diretta simile nei tempi e nelle modalità per la maggioranza, segue un calo di potenza fisiologico registrabile negli anni della pre-adolescenza e adolescenza e un successivo recupero auto-diretto e personale a partire dalla prima giovinezza.

    Distacchi dalla fede e riavvicinamenti

    Sono tante le ragioni per cui ci si distacca dalla fede. Distacchi diversi originano percorsi differenti. Oltre al percorso standard, in cui il distacco è fisiologico e i giovani si auto-definiscono “Cattolici in ricerca”, esistono almeno altri tre tipi di distacchi che generano percorsi di fede non standard, poco diffusi a ben vedere. Il primo, il distacco traumatico, è causato dalla perdita di una persona cara, da una esperienza vissuta come ingiusta e dolorosa o da un evento spiacevole che ha coinvolto una figura religiosa. Questo distacco contraddistingue i percorsi dei giovani che si definiscono “Atei-non credenti”, per i quali il riavvicinamento alla fede è ritenuto impossibile e il rapporto con Dio e la Chiesa inesistente. Il secondo, il distacco intellettuale, deriva solitamente dalla curiositas, caratteristica tipica dei giovani che si fanno domande, che interrogano la propria religione e la confrontano con le altre. Questi giovani si definiscono “Critici in ricerca - Agnostici”, hanno un rapporto con Dio e con la Chiesa aperto e non esclusivo e considerano il riavvicinamento come possibile. Infine, il terzo, il distacco non restitutivo, caratterizza i percorsi di quei giovani che hanno ricevuto una iniziazione alla fede debole, poco incisiva, godendo talvolta di eccessiva libertà, che non sono poi stati capaci di gestire. Sono pertanto disinteressati e hanno un atteggiamento blasé nei confronti della fede, non hanno un rapporto con Dio e con la Chiesa, non ricercano un riavvicinamento e si autodefiniscono “Atei - Non credenti”.
    A prescindere dal distacco, che cosa porta i giovani a riavvicinarsi alla fede? Ciascuno ha la sua esperienza a riguardo. In generale, i Millennials sottolineano l’importanza di figure guida, di maestri, di adulti significativi, autorevoli e amorevoli, che siano capaci di testimoniare la fede con il fare, con l’esempio. Perché, come è emerso dalle testimonianze raccolte, è la Chiesa del fare, tra le persone, vicina agli ultimi, che piace alle giovani generazioni, per la quale potrebbero prendere in considerazione l’ipotesi di un riavvicinamento.
    Infine, per completezza di informazione, va detto che non tutti i giovani hanno vissuto un distacco dalla fede. Ci sono anche coloro che non sanno che cosa sia un distacco, sono i “Cattolici convinti”, che presentano percorsi senza cedimenti, in cui il loro rapporto con Dio e con la Chiesa è continuativo e in crescita. Questo percorso, oramai poco diffuso tra i giovani, rappresentava lo standard del passato, mentre oggi rientra tra i percorsi non standard e residuali. Sono giovani che appaiono “fuori dal tempo”, inseriti saldamente in una tradizione, talvolta poco aperti a uscire dai confini delle proprie certezze. Tanto che quando lo fanno risultano pesci fuor d’acqua. Quello dei “Cattolici convinti”, senza strappi, è un percorso ancora possibile per le nuove generazioni che si affacciano alla fede? Questo percorso di fede “tipico della tradizione” può tornare ad essere un profilo standard in futuro, un profilo diffuso, o è destinato a restare residuale, un profilo del passato?
    Se questo è lo scenario, la Pastorale giovanile si trova di fronte a sfide non da poco. Da un lato, l’urgenza di agganciare e coinvolgere le nuove generazioni assicurando loro la possibilità di fare esperienza di Dio, di essere socializzati alla fede, attività in cui le famiglie sono sempre più fragili, disarmate e impreparate. Nella attività di socializzazione-restituzione dei più giovani sarà pertanto fondamentale ri-coinvolgere le stesse famiglie, ri-motivandole con nuovi stimoli e linguaggi. Dall’altro, la necessità di recuperare in corsa ed eventualmente ri-accogliere i giovani che nel frattempo si sono allontanati, che hanno fatto esperienza di distacchi diversi, provando a farli riflettere sul significato di questo ritorno, che quando è ricercato in maniera autonoma, quindi maturo e consapevole, non può che essere rigenerante e generativo.

    Riferimenti bibliografici

    C. PASQUALINI, I percorsi di fede dei giovani (di) oggi, in R. BICHI e P. BIGNARDI (a cura di), Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2015, pp. 15-25.
    F. STOPPA, La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano 2011.

    * Ricercatrice di Sociologia generale, Facoltà di Scienze politiche e sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano)


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