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    Spunti per una catechesi sull'«al di là»



    (NPG 1983-03-21)

    L'approfondimento teologico non può limitarsi ad una maggior comprensione intellettuale di certi aspetti che della fede fanno problema: rimandano alla prassi rinnovata, come ogni discorso che non vuole solo essere informativo, ma performativo. Spunti per una nuova prassi possono essere già raccolti nel primo articolo «L'al di là comincia nella vita», nel prendere sul serio la continuità tra al di qua e al di là senza interruzioni o motivi alienanti, la prassi messianica di vita per il Regno iniziata da Gesù e continuata nella comunità dei cristiani, la vita nello Spirito.
    Come sussidio per ulteriori approfondimenti soprattutto nei gruppi giovanili, presentiamo due tracce.
    La prima è per una catechesi che non si risolva in timidi silenzi o in una riproposizione di vecchi schemi, ma che accentui la centralità della vita quotidiana e della storia intessuta di segni di speranza, e il mistero di Cristo come portatore di una vita nuova.
    La seconda è per un più globale discorso educativo ai giovani, nella riaffermazione del senso della vita, nel rapporto ultimo/penultimo, al di là/al di qua, nella ricerca di esperienze che indichino un germe di al di là.

    Una proposta di riflessione sul tema della speranza e dell'al di là ai giovani deve tenere conto, in questi anni, di un clima tipico che presenta più o meno queste componenti:
    – uno sfondo psicologico di rassegnazione alla mancanza di sicurezze e di certezze assolute;
    – una curiosità iniziale che tende a prendere delle direzioni diffluenti e marginali rispetto al problema dell'orizzonte ultimo e accenna ad attenuarsi non appena ci si accorge che l'al di là «non si può provare» in modo scientifico;
    – carenza del senso della storia e difficoltà a superare il valore «intimistico» della persona di Gesù e del suo messaggio e quindi del valore storico-cosmico della risurrezione;
    – ignoranza diffusa sul lavoro della teologia attuale circa la presentazione «attendibile» dei contenuti (proiezioni) dell'al di là e il loro valore di significato per l'esistenza.
    Oltre quanto già è stato detto negli articoli precedenti, pare opportuno segnalare alcune piste, tra quelle che si sono rivelate maggiormente utili a far passare il messaggio.

    PISTE DI RIFLESSIONE

    1. È necessario presentare l'al di là come il «problema» della storia umana, per strapparlo alle forti tendenze intimistiche e individualiste. Si deve far riflettere sul «mistero» della storia come improbabile o impossibile riconciliazione. Prolungando gli interessi per il futuro del cosmo, la futurologia, gli scenari di sistemi politici e sociali del domani, mettere in luce l'essenziale, proprio quello che l'uomo non riesce a risolvere o «spera» di risolvere basandosi sulla sua «fede» umana, ossia la fraternità, il «cuore nuovo» degli uomini. Valutare le garanzie della fede umana, denunziare profeticamente e lucidamente i rischi del pensiero utopico (totalitarismo), far rilevare l'enorme perdita di umanità e di giustizia in una riuscita puramente terrestre dell'uomo, senza la risurrezione dei morti. Si tratta di portare i giovani a riflettere secondo la logica del cuore e non quella del cervello elettronico.
    2. È indispensabile presentare il mistero di Cristo all'interno di una teologia della «creazione aperta». Il Cristo, inserimento personale di Dio nella storia, deve apparire come colui nel quale sono state create tutte le cose, perché solo in lui possono essere riconciliate, ossia portate al loro compimento creativo. Sottolineare poi la concretezza della speranza storica di Gesù di Nazaret per il regno (beatitudini), il dramma della sua morte, la risurrezione come compimento della stessa incarnazione. Il giovane deve capire che, se l'esperienza di Gesù è il paradigma dell'esperienza umana, questa non è completa se non risorge (si trasforma). Il nucleo del Vangelo, sovente ridotto a proposta morale, potrà così apparire come allenamento alla vita nuova, alla «vera vita».
    3. Sembra opportuno inoltre insistere sulla definitività della vita. Mentre i giovani tendono a fermarsi con interesse ai «vissuti culturali» della morte e del morire, bisogna prolungare questa curiosità fino a una autentica teologia della morte. Si impone anche di controllare il fascino esercitato dalla teoria della reincarnazione, che seduce, più o meno consciamente, in quanto sembra stirare indefinitamente il vissuto umano, dandogli sempre ulteriori possibilità.
    È un'occasione per sfatare l'accusa che circola contro la Chiesa, la quale sosterrebbe l'unicità della vita per il solito dominio sulle coscienze. La convinzione della vita come «occasione unica» non deve nascere dalla paura, ma essere sostenuta dall'intuizione che l'amore non può «perdere tempo», cullandosi in altre vite illusorie. Far riflettere che l'anima, proprio perché non è da concepirsi come qualcosa di preesistente al corpo, ma è invece densità di storia personale di ciascuno in interazione totale con lo spazio-tempo, non permette una «somma di esistenze». Potenziare invece il senso della preziosità della vita, facendo crescere la percezione dell'al di là come desiderio di riuscire ad essere finalmente se stessi, ad amare fino in fondo. Cogliere la sensibilità dei giovani circa certi sprazzi di eternità che hanno potuto sperimentare (amore, preghiera, festa).
    4. Occorre sovente «impostare bene» la curiosità per i fenomeni non facilmente spiegabili (spiritismo) per ricondurre il fascino del «mondo dei morti» alla sobrietà della fede cristiana, mettendo in luce la possibilità del rapporto tra l'al di là e la storia, che però è da trattarsi con rispetto e soprattutto con «cautela» per quanto riguarda possibili concentrazioni di male che continuano nell'al di là. Tentare di ricuperare il rapporto con i morti attraverso il clima liturgico e la preghiera.
    5. Si impone un lavoro serio di purificazione delle immagini e di impostazione di concetti come «anima», «corporeità», «risurrezione», «fine del mondo», ma soprattutto si raccomanda una buona esposizione delle modulazioni della salvezza che vanno sotto il nome di «cielo». Oltre la valorizzazione della persona e dei suoi sentimenti, sottolineare soprattutto la riuscita della comunità umana, dei rapporti interpersonali, delle strutture sociali di esistenza.
    6. Il vissuto della speranza deve infine emergere come «nostalgia in avanti», che faccia crescere il «desiderio di essere», sia personale che comunitario, colorato di una «pietà» per l'esistenza, la sofferenza,
    i limiti dell'uomo e anche carico di una salutare indignazione profetica contro il male, che potenzi l'anelito alla liberazione. Il giovane potrà rendersi conto che crescono dentro di lui delle «prove» di attendibilità umana della promessa di Dio, offerte alla sua libertà perché diventino proposte di vita, da realizzare nella forza e nella fragilità della speranza, in cui ritroverà la stessa forza e fragilità delle sue esperienze di fiducia e di amore.

    PER UNA EDUCAZIONE AL SENSO ESCATOLOGICO

    Soltanto alcune indicazioni schematiche.
    1. Il primo servizio da rendere ai giovani sembra essere il ricupero della globalità (totalità) e la ricostruzione della categoria del futuro, a cominciare probabilmente da quello storico-terreno come segno e apertura ad uno ultra-terreno. Non necessariamente la sua concettualizzazione deve avvenire all'interno di una qualche ideologia.
    Sembra importante allora elaborare una organica «cultura della speranza» o «cultura della vita»: una antropologia costruita in dialogo critico con le culture emergenti, nella profezia della fede, al cui interno «dire» l'evangelo, perché sia veramente buona notizia. Alcuni esempi di tratti antropologici di tale «cultura» possono essere: finitudine e redimibilità, globalità «povera», solidarietà e convivialità, quotidianità, festosità di una speranza operosa.
    Accanto alla riformulazione di una nuova cultura si pone una significativa a spiritualità del quotidiano», basata sul principio dell'Incarnazione, tale da evitare il rischio di una concezione alienante di vita proiettata esclusivamente sull'al di là, ma che sia tale da ricuperare il senso della salvezza e dell'incontro con Dio nelle situazioni di vita quotidiana, come salvezza e incontro già realizzato ma non ancora in pienezza (1).
    2. Sembra importante inoltre un ricollegamento del senso quotidiano con il senso ultimo. Con alcune sottolineature. Occorre riaffermare l'autenticità del senso quotidiano, penultimo, pur se limitato all'interno delle domande e dei bisogni che il quotidiano presenta; e d'altra parte il problema del senso non deve essere identificato con un assoluto che dovrebbe sostenere tutta la vita: il risultato sarebbe un artificioso sostentamento dal di fuori, che rischia di produrre perenni adolescenti. Il problema del senso va affrontato nei termini di capacità di declinare l'assoluto con le contraddizioni del reale, imparando la capacità «politica» e la gestione di strumenti che fanno i conti con limiti ed ambiguità.
    Resta però il problema del collegamento del senso col problema del futuro: come è possibile in un orizzonte immanentistico?
    3. Una delle esperienze più immediate rispetto al senso escatologico, anche se non la più ricca, è l'esperienza dello scacco e del limite. Il trovarsi beatamente installati e soddisfatti nell'immediato non spinge infatti a pensare a qualcosa di ulteriore. Come un'autentica educazione umana e alla fede affronta e tematizza l'incontro con tali esperienze?
    4. Non sembra tuttavia più pienamente accettabile una riaffermazione di questi temi e della speranza al di fuori dell'esperienza stessa e della vita. Altri «luoghi» o non sarebbero significativi o sarebbero decisamente alienanti.

    NOTE

    (1) Sul tema della «spiritualità del quotidiano» è in programma il convegno annuale di NPG (cf pag. 2) e un intero dossier che sarà pubblicato per il mese di maggio.


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