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    Pastorale giovanile del quotidiano. Comunità, giovani e scuola


    Editoriale

    Rossano Sala

    (NPG 2024-05-2)


    Una lamentela spesso ricorrente

    Una delle critiche regolari che vengono rivolte alla pastorale giovanile è la sua concentrazione sugli “eventi”. Il loro primato di visibilità e di organizzazione d’altra parte emerge: pensiamo alla Giornata Mondiale della Gioventù, che è il “grande evento” che ad intermittenza si ripropone. Ma pensiamo anche al prossimo anno giubilare, dove molti momenti riguardanti il mondo giovanile sono già calendarizzati, primo fra tutti il “Giubileo dei giovani” a cavallo tra luglio e agosto 2025.
    Tale focus alimenta legittimamente l’idea che la pastorale giovanile sia lontana dalla vita quotidiana dei giovani. E che, in fondo, la Chiesa stessa lo sia. Vite parallele che talvolta si incrociano senza lasciare segni né dall’una né dall’altra parte, mantenendo la divaricazione un dato scontato e incontestabile: la Chiesa nel suo insieme non sembra essere toccata se non tangenzialmente dall’esperienza di fede dei giovani, e i giovani nel loro insieme non entrano nei circuiti ecclesiali se non occasionalmente, ma senza esserne intimamente toccati.
    Effettivamente, sulla questione degli “eventi” la riflessione pastorale ha già fatto il punto: se non riescono a fecondare la vita quotidiana sono sostanzialmente avvicinabili all’esperienza di alcune sostanze stupefacenti, come ad esempio all’eroina: quest’ultima fa entrare in un mondo altro e ci fa andare altrove, e non ci aiuta ad affrontare le sfide dell’esistenza. Ci porta ad essere distopici rispetto alla vita quotidiana.

    Immersi nel quotidiano dei giovani

    Una pastorale giovanile seria e incisiva non ha paura del quotidiano. Non ha timore di vivere e operare dove la vita dei giovani si svolge concretamente. Non teme di giocare sul campo dell’esistenza concreta. Anzi, al contrario e con entusiasmo si posiziona strategicamente lì dove i giovani vivono e crescono, gioiscono e soffrono.
    Questo è il caso specifico – e con un grande peso specifico – del mondo della scuola e della formazione professionale. La scuola, lo si deve riconoscere, è uno degli spazi privilegiati in cui la vita di un giovane avviene. Molto del loro tempo tutte le giovani generazioni lo vivono a scuola: luogo di socializzazione primaria, spazio privilegiato di istruzione, casa per la formazione, esperienza di affetti e legami condivisi. Questa è la scuola, anche quella italiana, che con tutti i suoi difetti continua ad essere una struttura accogliente e generativa per i giovani. E non dimentichiamo, per tutti i giovani, nessuno escluso.
    Dove la scuola non arriva o non è incisiva lì c’è degrado, criminalità, inciviltà. Lì si cresce allo stato brado, lì tutto diventa possibile. Abbiamo esperienza continua di tutto ciò, perché dove la scuola non riesce a far scattare la scintilla della passione tutto si deprime, si appiattisce e diventa spazio aperto per ogni barbarie.
    Questo la pastorale giovanile lo deve vedere, apprezzare e coltivare. E, senza nessuna indecisione, è chiamata a fare alleanza con chi in questo mondo spende la vita da sempre: dirigenti scolastici, insegnanti, educatori e formatori. È strategico più che mai, soprattutto oggi, perché siamo nel tempo della sinodalità!

    In alleanza con il mondo della scuola

    E così arriviamo al Dossier che viene presentato, curato magistralmente da E. Diaco e E. Cesari. Una pietra miliare che vuole confermare l’interesse della pastorale giovanile per il mondo della scuola. Qui, e non altrove, sta la vera sinodalità, quella capacità di camminare insieme che ci fa crescere tutti. La scuola è uno spazio privilegiato di alleanza, e la nostra Rivista da anni oramai batte questa strada.
    Lo ha fatto qualche anno fa – cfr. il Dossier del dicembre 2018, intitolato La Chiesa e la scuola. Un rapporto che viene da lontano e che vuole rinnovarsi alla luce delle nuove sfide pastorali, culturali, educative, reperibile on line sul nostro sito – a cui è seguita una rubrica che ci ha accompagnato dal 2019 al 2022, significativamente intitolata La Chiesa per la scuola, anch’essa completamente on line sul nostro sito.
    Tutto materiale di alta qualità facilmente fruibile da non lasciar cadere, ma da legare al Dossier di questo numero di NPG, perché si tratta di una vera continuità e un autentico approfondimento tematico.
    Noi a tutto questo ci crediamo! Siamo convinti che il mondo della scuola e quello della pastorale (giovanile, ma non solo) si debbano incontrare, debbano collaborare, siamo chiamati per vocazione a vivere in unità d’intenti un’inclusione reciproca. Se ciò non avviene uno degli ambienti privilegiati della vita dei giovani viene escluso dal nostro raggio d’azione, generando pericolosi cortocircuiti civili ed ecclesiali.

    Agenti “in incognito” di pastorale giovanile

    Veniamo ora al tema specifico di questo Dossier, ovvero alla focalizzazione sul docente di IRC. Mi piace definirlo un “agente in incognito di pastorale giovanile”. Nell’ordinamento italiano è un professore riconosciuto come tutti gli altri, ma ha la particolarità di avere un legame diretto con la Chiesa, perché secondo il Concordato vigente egli deve avere un’approvazione ecclesiastica, oltre che i titoli adeguati derivanti da una formazione specifica.
    È una doppia appartenenza la sua, civile ed ecclesiale. E se il suo compito è primariamente legato ad una presentazione “culturale” del fenomeno religioso in generale e del cristianesimo in particolare – chi potrebbe vivere non solo in Italia, ma anche nel mondo attuale, senza conoscere la storia (e il presente) delle istituzioni religiose e dei dinamismi di ricerca spirituale dell’umanità tutta? – non possiamo pensare che la sua presenza sia pastoralmente insignificante.
    È esattamente vero il contrario. Egli è mandato dalla Chiesa per dire la verità della fede. Senza alcun intento proselitistico, ma con una missione di verità e di chiarezza. Per combattere l’ignoranza religiosa, per istruire sul fenomeno permanente e pervasivo della fede, per mostrare come essa ha plasmato il mondo in cui viviamo e come dobbiamo sempre fare i conti con i suoi dinamismi.
    Un autentico docente di IRC vive di una missione ecclesiale e cerca di farla emergere entro i confini del suo ruolo istituzionale. Non confonde il suo ruolo con quello del catechista parrocchiale e nemmeno con il predicatore carismatico, ma fa valere lo spessore culturale del cristianesimo con professionalità impeccabile, passione profonda e sapienza pedagogica.

    Parte di una comunità di fede

    Il Dossier che segue ha anche – ultimo ma non ultimo! – un’intenzionalità decisiva: quella di riportare il mondo della scuola, l’insegnamento dell’IRC e la pastorale giovanile in dialogo e all’interno di una comunità cristiana che sa riconoscere e vivere la sua apertura verso il mondo.
    La pastorale della scuola è una “pastorale in uscita”, ovvero capace di vivere in un contesto non direttamente legato alla comunità cristiana, ma con i tratti assunti dalla frequentazione della vita della Chiesa. È la Chiesa missionaria questa, che sa abbattere le barriere per essere presente altrove, ma senza abbandonare gli stili amorevoli e i passi educativi imparati dalla frequentazione della pedagogia della fede che affonda le sue radici nel vangelo.
    Pedagogia che sa coltivare la certezza che non di solo pane vive l’uomo, e che questo fa parte dell’umano che è comune a tutti gli uomini. Proprio così: si sta nel mondo della scuola da cristiani quando si insegna che non solo di istruzione vivono i ragazzi, adolescenti e i giovani, che per loro natura sono creati per l’infinito e nessun sapere potrà mai saziare la loro inquietudine spirituale. Aprire spiragli di trascendenza nel mondo della scuola e della formazione professionale è l’impegno prioritario di un docente di IRC.
    E questo lo si fa a nome e per conto di una Chiesa locale che ha a cuore i giovani: tutti i giovani, nessuno escluso. È importante, anzi decisivo, per un docente di IRC essere e sentirsi parte di una comunità. Purtroppo spesso ciò non capita, soprattutto quando un docente non partecipa alla vita di fede e al cammino di una comunità locale e di una Chiesa particolare.
    Altrettanto importante per una comunità cristiana è riconoscere, sostenere e accompagnare queste persone che si impegnano con la Chiesa e per la Chiesa. Non solo con corsi di aggiornamento specifici, ma soprattutto con cammini ecclesiali di appartenenza e di condivisione. A loro modo, tutti i docenti di IRC sono missionari dei giovani. Possono fare molto se non vengono lasciati soli.


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