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    Imparare a camminare con i giovani


    Europa, giovani e pastorale giovanile /4

    Intervista a padre Raúl Tinajero Ramírez *

    Renato Cursi **

    (NPG 2022-07-60)

     

    1. Quali frutti hanno portato il Sinodo dei Vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale, e l’esortazione apostolica Christus Vivit alla pastorale giovanile in Spagna?

    Ci sono dei frutti che stanno sbocciando e fiorendo, ma il processo - per accogliere e applicare quello che ha significato il cammino sinodale, e l’esortazione apostolica Christus Vivit, per la pastorale giovanile - è ancora lungo.
    Ma ricordiamo anzitutto un po’ di “storia. In Spagna nel 2012, a partire dal primo Congresso Nazionale di PG, abbiamo iniziato un processo, un cammino che erra fondamentalmente basato sul “primo annuncio”. Poi abbiamo lavorato sul tema dell’accompagnamento, sull’importanza di creare una cultura dell’accompagnamento intorno alla pastorale con i giovani. Poi avevamo iniziato una terza tappa, di riflessione intorno a come offrire processi formativi adeguati alla realtà dell’adolescente e del giovane, ci è giunta la notizia del Sinodo dei Vescovi sui giovani: una proposta sorprendente per tutti, e che è stata segnata dal Documento Preparatorio. Ebbene, nel leggere e rileggere questo documento, con le équipe a livello nazionale e con il Consiglio Nazionale dei Giovani, ci siamo resi conto che era come un impulso a lavorare su ciò che stavamo già affrontando, nel senso di rafforzarlo, rinnovarlo, condividerlo. È stata come una ventata di aria fresca, rinnovatrice. Quando abbiamo potuto raccogliere la riflessione di tutte le diocesi di Spagna, di tutti i movimenti e associazioni, di tutte le congregazioni religiose, per un totale di più di 5000 pagine di risposte e contributi, abbiamo potuto constatare che quella su cui stavamo lavorando era una sintesi che in effetti mostrava la realtà di una PG che veniva da un’epoca, in cui avevamo già posto alcuni pilastri decisivi. Il Sinodo ci ha confermato il bisogno di approfondire e consolidare questi pilastri: il tema di come “arrivare” ai giovani, quei giovani che si stavano allontanando dalla vita di fede, quelli che nemmeno la conoscono, e il tema collegato di come rafforzare i giovani che già sono “in casa”, come aiutarli. In queste realtà emergevano dunque sempre il tema del primo annuncio, il kerygma, la necessità di rivedere la metodologia, accogliere nuove proposte, l’accompagnamento, la formazione di chi accompagna, di socializzare questi tema a tutte le realtà, in particolare quelle laicali.
    Poi è arrivato il tempo di preparazione prossima al Sinodo. Ho potuto partecipare in maniera attiva al Pre-Sinodo (perché sono stato invitato a coordinare un gruppo di lingua spagnola), insieme a 300 giovani in Vaticano. Poi si è celebrato il Sinodo propriamente detto, a partire dall’Instrumentum Laboris, fino al Documento Finale, che ci hanno aperto una prospettiva e un orizzonte verso cui camminare. Infine è arrivata l’esortazione Christus Vivit, che ha dato forza e senso al Documento Finale, che insieme hanno tracciato dei cammini come scommessa di futuro.
    Un altro frutto - su cui stavamo già lavorando negli anni precedenti, fin dal 2012, ma che il Sinodo ha ulteriormente consolidato - è la presa di coscienza della imprescindibile necessità di lavorare in comunione: vale a dire, la consapevolezza che le diocesi (in Spagna ce ne sono 70), i movimenti e le associazioni (ce ne sono 24 a livello nazionale) e tutte le congregazioni religiose e i movimenti di vita secolare (oltre 90) che lavorano con i giovani… devono lavorare insieme. Ora possiamo affermare che c’è davvero una rete di lavoro dove tutte quelle realtà, con una subcommissione nazionale di PG, dove abbiamo una comunicazione continua, di progetti, di proposte, di iniziative, soprattutto di linee di azione. Questa capacità di lavorare insieme proposta ci offre speranza.
    Un altro grande frutto, che credo sia un pilastro nella pastorale giovanile, è stata la consapevolezza della necessità porre dei punti consolidati raggiunti fino al Sinodo, e di capire meglio cosa vogliamo costruire a partire dal Sinodo: l’esigenza di un rinnovamento intorno al “progetto di riferimento della pastorale giovanile” in Spagna. Nel corso del Sinodo del 2018 in Spagna abbiamo in effetti pianificato di adottare un nuovo progetto di riferimento. Non una semplice modifica del progetto precedente del 2007, ma proprio un nuovo progetto. Abbiamo pertanto messo in movimento tutte le realtà con l’avvio di un cammino verso questo nuovo progetto di riferimento. Vogliamo che veda la luce nel 2024, perché è un progetto che intendiamo realizzare proprio con la stessa metodologia utilizzata nel Sinodo dei giovani. Un primo momento è stata la convocazione di tutti i responsabili e delle équipe di PG. Abbiamo quindi prodotto un documento preparatorio alla luce delle prime conclusioni di questi incontri, che ora è stato consegnato a tutti i gruppi di giovani delle diocesi e dei movimenti, che ci hanno inviato i loro contributi a fine marzo 2022. Ne emergerà un Instrumentum Laboris, che sarà trasmesso a sua volta al Consiglio Nazionale dei Giovani, insieme a 40-50 giovani rappresentanti di tutte le realtà ecclesiali di Spagna, che si incontreranno in un’Assemblea nel mese di novembre 2022, dopo aver studiato personalmente il documento. Le conclusioni di quest’Assemblea costituiranno una prima bozza del nuovo progetto di riferimento, che sarà poi esaminato in seduta plenaria dall’Assemblea dei Vescovi di Spagna, in un processo che speriamo possa concludersi entro marzo-aprile 2024.
    Ci sono poi frutti concreti, al di là di questo lavoro di riflessione e di lavoro generale. Occorre riconoscere che molti operatori stanno lavorando su iniziative concrete a partire dalla prospettiva presentata in particolare nel capitolo IV della Christus Vivit: Dio è amore, Dio ci ama, è al nostro fianco, Cristo vive… Sono certamente questi i frutti più concreti nelle varie realtà locali. Quello che facciamo a livello nazionale come Subcommissione per la Gioventù è sostenere queste iniziative proprio nella linea appena descritta.

    2. Quali sono le sfide che la pastorale giovanile deve affrontare oggi in Spagna?

    La prima sfida è avere chiari gli obiettivi della pastorale giovanile. A volte ci impegniamo su molti fronti e ci dimentichiamo quali sono gli obiettivi.
    In primo luogo, la pastorale giovanile intende soprattutto provocare a un incontro personale con Cristo. Poi aiutarli a inserirsi in una comunità. Per cui è davvero importante promuovere comunità aperte in cui i giovani possano sentirsi protagonisti. In terzo luogo, proporre all’adolescente e al giovane una formazione adeguata alla sua età. È quanto abbiamo cercato di fare sempre, ma non abbiamo forse sempre offerto mezzi adeguati. In quarto luogo, invitare i giovani a sentirsi corresponsabili nel compito dell’evangelizzazione. Vale a dire, non educare o formare giovani che si chiudono in un salottino, in una “comfort zone”, ma piuttosto a sentirsi corresponsabili e protagonisti nella propria parrocchia, scuola, gruppo, nella propria realtà. Il quinto obiettivo è l’accompagnamento nel discernimento vocazionale.
    Sono cinque sfide fondamentali, senza i quali una PG semplicemente non è. Ovviamente sempre tenendo a mente l’importanza di centrare la PG da una parte su Cristo, sia nella conversione personale dei giovani, che nella stessa conversione “cristologica” della pastorale, e, d’altra parte, l’importanza di centrare la pastorale sui giovani stessi. Non possiamo arrivare ai giovani se non poniamo Cristo al centro.
    E quali sono i dinamismi per portare avanti questa missione? Come dicevano gli ultimi Papi, da San Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI e Francesco, occorre mettersi in uscita. Andare verso i giovani e le loro realtà, cercare un dialogo concreto con loro, rompere i muri che si sono creati e che fanno sì che il giovane si senta lontano dalla Chiesa e, in molti casi, la Chiesa stessa lontana dal giovane. Bisogna frantumare questi muri. Un altro dinamismo importante per raggiungere i giovani è andare ai fondamentali. Nel Sinodo questo è emerso molto chiaramente, anche nella esplicitazione del tema: i giovani, la fede, il discernimento vocazionale. La pastorale deve offrire un’esperienza di fede, che è fondamentale per il discernimento vocazionale. C’è da lavorare sul tema della testimonianza, della vicinanza, bisogna tornare lì dove sorge il nostro cammino di fede.
    Riprendo e approfondisco le sfide citate: qui si gioca tutta la nostra pastorale e il futuro del rapporto giovani-chiesa, forse l’ultima opportunità per “salire sul carro dei giovani”.
    Una sfida essenziale è certamente quella della comunione, che esplicita meglio la necessità di una comunità cristiana come grembo materno. Non possiamo fare questo cammino da soli. Dobbiamo mostrare questo cammino, facendolo insieme, con un riferimento comune. Abbiamo una diversità, ma se remiamo insieme, diamo una varietà e forza di colori a quello che offriamo.
    Un’altra sfida è quella della speranza. Non dobbiamo dimenticare che la PG è un’offerta di speranza per tutti, anche per la Chiesa. Papa Francesco diceva nella GMG di Rio di Janeiro nel 2013 ai giovani di essere una finestra, affinché entri aria fresca per la società e per la Chiesa. Dobbiamo aprire piano piano questa finestra, lasciare che i giovani siano questa aria per tutti noi. E proprio l’atteggiamento della speranza ci permette di valutare diversamente la situazione religiosa dei giovani, con la consapevolezza che, anche se vive un’esperienza di lontananza o ignoranza di Dio, il giovane continua ad essere aperto al trascendente, e rimangono sempre nel suo cuore domande di senso della vita, su Dio, sulla ricerca della felicità e dell’amore. A questo poi – e come ulteriore speranza – si aggiunge il fatto che la persona di Gesù continua ad attrarre e interrogare i giovani, con il dono totale e gratuito della sua vita. La grande sfida e impegno resta sempre quella di avvicinare Gesù ai giovani, affinché essi possano incontrare un uomo-Dio che li ama profondamente. Nella formazione offerta, nelle catechesi e incontri giovanili - ahimé - abbiamo sempre dato per scontata la vita di fede e la conoscenza di Gesù, come qualcosa di trasmesso normalmente nella famiglia o nella scuola. Ma questa base oggi non può più essere data per scontata. Dobbiamo allora centrarci in Cristo, mostrare Cristo che cammina al fianco dei giovani, e da lì poi mostrare la Chiesa. È un cambio di paradigma.
    A questo proposito, un’altra grande sfida, dopo la comunione e la speranza, è quella di mostrare una Chiesa che è madre. Certamente maestra, ma prima di tutto madre. E come madre abbraccia, bacia, manifesta, accoglie, perdona, è sempre aperta per i giovani. Certo, come maestra la Chiesa deve poterci indicare un cammino secondo il Vangelo, perché anche questo fa parte dell’essere madre. Ma dobbiamo arrivare al punto in cui i giovani possano riconoscere che la Chiesa è madre, e non un blocco di norme morali imposte a chi vuol essere cristiano. Decisivo poi è offrire a chi sta già vivendo un cammino di fede degli orizzonti, nuovi sguardi, la capacità e la voglia di guardare anche al di fuori. Quindi non giovani che vivono la fede solo per se stessi e rimangono tra di loro, ma giovani che si impegnano al di fuori, nella vita sociale, nella vita politica, nella vita civile, in attività umanitarie, nell’impegno sociale… Insomma, aiutarli verso un protagonismo attivo e accompagnarli in tutti i processi di discernimento personale.
    Tralascio perché già evocate altre sfide importanti (il cammino nella sinodalità, il primato del Vangelo, il lavoro in rete e la comunione…). Sottolineo comunque un aspetto che ha un certo grado di novità e di sfida. Certo, evangelizzare nelle reti, incluse quelle digitali; ma farei un passo ulteriore: invece di limitarsi ad evangelizzare “nelle” reti, direi che è assolutamente urgente evangelizzare “le reti”. Occorre una pastorale giovanile che risponda ai segni dei tempi, in dialogo continuo con la cultura. Mi ha colpito, nel leggere la sintesi dei contributi dei giovani spagnoli, il fatto che chiedevano una Chiesa “più moderna”. Al domandare cosa si intendesse con quest’espressione, si rispondeva spesso che si chiedeva una Chiesa capace di comunicare meglio. Che offra messaggi comprensibili. Che offra un dialogo aperto. Che sia accogliente, credibile, coerente. In cosa stiamo sbagliando? Non ci stiamo sforzando di comunicare e dialogare veramente. Credo pertanto che questa sia una grande sfida, quella della comunicazione, del dialogo in un linguaggio concreto che i giovani possano capire.
    Per non proseguire ulteriormente nelle sfide, pongo una considerazione che ritengo di assoluto rilievo, e che riassume alcune delle sfide proposte: la necessità – nelle proposte di PG – di una elaborazione sistematica dell’antropologia del dono. Credo sia importante e urgente oggi, in questo nostro tempo, con questi nostri giovani, promuovere una PG che sfidi un egoismo regnante, dove aiutiamo i giovani a servire, prima di cercare di essere serviti, ad amare e amarsi, prima di cedere all’utilitarismo e al conformismo.
    Concludo questa parte ricuperando l’icona di Emmaus. Abbiamo parlato sempre di Emmaus, dei due giovani che se ne vanno sconsolati, di Cristo che si avvicina e racconta loro la sua esperienza, e poi quando Egli se ne va i due capiscono… Ma spesso non ci rendiamo conto del fatto che in tutto questo processo Gesù non intima mai ai discepoli di tornare indietro a Gerusalemme. Non gli ha mai detto di fermarsi perché si sono sbagliati nel cammino. Oggi in Spagna la realtà ci parla di una minoranza di giovani che stanno vivendo la propria fede e di un’immensa maggioranza di giovani che vengono da un’esperienza di fede in famiglia e nel proprio ambiente, che poi si sono allontanati, e infine alcuni giovani che non conoscono nessuna realtà della fede in Cristo. Abbiamo bisogno di una PG che - dando forza, criteri e responsabilità a quelli che hanno incontrato Cristo - possa mettersi in cammino con quelli che sono in un processo di allontanamento, per camminare con loro lungo questa distanza. Non per fermarli, non per intimargli di invertire la rotta, ma per camminare al loro fianco come fa Gesù Cristo. Emmaus era la distanza massima percorsa da due discepoli mentre tornavano al proprio villaggio. A un certo punto però si rendono conto di nuovo del fatto che erano con Gesù e tornano indietro di propria iniziativa, perché il Signore gli ha fatto ardere il cuore. Abbiamo bisogno di una PG capace di imparare a camminare lungo queste distanze percorse dai giovani che si allontanano, affinché quando sia il momento possano tornare di propria iniziativa, e cercare nuove proposte per l’annuncio del kerygma, per arrivare a quelli che non conoscono ancora Gesù Cristo. Ecco le sfide più grandi per la pastorale con i giovani in Spagna.

    3. Quali sono le buone pratiche nella pastorale giovanile in Spagna?

    Tra le buone pratiche includo lo sforzo e l’impegno di tutte le realtà locali concrete, parrocchie, scuole, movimenti. Cito il programma Apuntadolo alto, che attraverso un programma televisivo molto noto ogni settimana, oltre ad una riflessione su un tema concreto di vita quotidiana e un dialogo in cui i giovani parlano con libertà, vengono presentate alcune sezioni su arte, sulle reti sociali, sulle pubblicazioni. In questo contesto, si offre uno spazio che chiamiamo “di attualità”, in cui si presenta l’agenda settimanale della PG in Spagna, diciamo almeno alcune tra le tante cose che offriamo. Non mancano proposte che potremmo definire buone pratiche. Iniziative che vanno dalla vita spirituale del giovane, preghiere, iniziative di formazione, di esercizi spirituali, di ritiro, dove il giovane approfondisce la sua vita di fede. Iniziative di primo annuncio, anche con nuove metodologie, incontri con giovani, proposte di convivenze, campi giovanili… Ci sono anche proposte di impegno sociale, iniziative di accoglienza di persone che stanno vivendo difficoltà, avvicinamento alle realtà delle periferie, di povertà, giovani che escono per aiutare altre persone con qualcosa da mangiare, una compagnia, un ascolto, per rendersi conto dei bisogni dei poveri, iniziative con gli adolescenti… In tutti gli ambiti ci sono “buone pratiche”.
    Per evidenziare qualche buona pratica a livello nazionale, citerei la “settimana di cinema spirituale”. Sono 18 anni che offriamo questa iniziativa, che è l’iniziativa che ha avuto la più grande risposta in termini di numeri. Prima della pandemia avevamo più di centomila tra adolescenti e giovani che partecipavano a questa iniziativa congiunta in più di 40 diocesi spagnole. L’idea è quella di mostrare attraverso il cinema quei valori spirituali che aiutano i giovani a rispondere alla propria vita di fede e al proprio impegno nella vita. Un altro ambito di espressione di buone pratiche è quello che ruota intorno alla musica come mezzo di evangelizzazione. Organizziamo da 8 anni incontri di musica “impegnata”, per stare anche in questo campo prettamente giovanile, perché essi si sentano più sostenuti. Li stiamo aiutando a crescere. Allo stesso tempo cerchiamo di aiutare a scoprire i grandi talenti che ci sono. In questa linea, abbiamo contribuito alla produzione di un disco, che si chiama Speranza nel presente. Siete l’oggi di Dio, realizzato da 19 nuovi artisti giovani. Stiamo lavorando ad un Festival “talent” per cercare nuovi talenti giovanili che possano evangelizzare attraverso la musica, con un confronto diretto con il mondo della musica di oggi. Una proposta di qualità, sostenuta con professionalità.
    A livello generale, certamente si può citare il lavoro formativo. In Spagna stiamo sostenendo molto le “scuole di accompagnamento”. Abbiamo studiato esperienze come quelle dei Salesiani e dei Gesuiti, e abbiamo elaborato una proposta per creare scuole di accompagnamento locali, diocesane, dove possano accedere tutti. Abbiamo preparato del materiale per motivare chi, laico o consacrato, desideri formarsi come accompagnatore di giovani. Si tratta per ora di una proposta di scuola per un anno, con una preparazione su vari temi. Stiamo finendo di preparare anche la proposta per quella che definiamo la formazione permanente dell’accompagnatore.
    Stiamo promuovendo molto anche le iniziative di primo annuncio, tra cui una proposta che si chiama Despierta, “Sveglia”, per risvegliare evangelizzatori, con 100 giovani da tutto il Paese che si incontrano per un fine settimana, e risvegliare in loro l’inquietudine di essere evangelizzatori. Non possiamo proporre metodi di primo annuncio senza evangelizzatori. La stiamo riattivando dopo uno stop dovuto alla pandemia. Queste iniziative cercano di far sentire i giovani protagonisti dell’evangelizzazione.
    Altre proposte più concrete in alcune diocesi si focalizzano sull’accompagnamento e discernimento vocazionale, come un progetto della diocesi di Badajoz che sta funzionando abbastanza bene con un accompagnamento vocazionale dalla prima infanzia fino all’adolescenza e alla giovinezza, e altre iniziative di movimenti e congregazioni religiose in questo campo. Stiamo cercando di promuovere anche un Master in Pastorale Giovanile, per formare i responsabili della pastorale giovanile, organizzandolo mettendo insieme le forze di vari attori.

    4. Come saranno coinvolti i giovani spagnoli nel processo di preparazione della prossima assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi?

    La pastorale giovanile ha già lavorato in un cammino sinodale di tre anni. Questo ha già dato alcune linee di azione e indicazioni concrete. La pastorale giovanile è stata pioniera in questo senso. Papa Francesco ha puntato sulla famiglia e sui giovani come i due pilastri su cui costruire la sua proposta di evangelizzazione, quella dell’esortazione Evangelii Gaudium, per una Chiesa sinodale. I giovani spagnoli stanno lavorando nelle loro realtà locali, nelle diocesi, nei movimenti, nelle congregazioni religiose, in gruppi di lavoro che si sono creati, a partire dal materiale di lavoro proposto dalla Segreteria del Sinodo dei Vescovi, con il sostegno della Conferenza Episcopale Spagnola. Nella Subcommissione di Gioventù abbiamo un rappresentante, un giovane, nel tavolo di lavoro nazionale sulla sinodalità, dove partecipano in totale 8-10 persone. Contiamo quindi su una presenza attiva molto importante in questo gruppo. Nel Consiglio Nazionale di Gioventù stiamo riattivando una sintesi che era un frutto di un ascolto di tre anni, una sintesi che era in qualche modo l’espressione e la parola dei giovani. Stiamo dicendo ai giovani: “Sono già anni che vi stiamo ascoltando, non solo stiamo accogliendo la vostra proposta, ma ora potete sentirvi parte attiva e potete portare avanti voi questa proposta, la sinodalità, nella Chiesa.” Vale a dire, sentirsi in comunione, vivere la partecipazione, sentirsi coinvolti, parte attiva in una comunità concreta, e una missione, per non limitarci a ricevere ma essere noi stessi i primi evangelizzatori. Stiamo lavorando in questa linea, animando soprattutto il lavoro a livello locale, affinché i giovani possano partecipare nei vari gruppi di lavoro sulla sinodalità nelle loro scuole, parrocchie, centri locali.

    5. Negli ultimi mesi i cittadini dell’Unione Europea hanno partecipato in vari modi ad una conferenza sul futuro dell’Europa. Quali prospettive può offrire la pastorale giovanile della Spagna per ripensare il futuro dell’Europa?

    Alcuni giovani spagnoli hanno partecipato al primo incontro organizzato online dalla COMECE (Commissione delle Conferenze Episcopali degli Stati Membri dell’Unione Europea) sul futuro dell’Europa nel giugno 2021. La percezione di questi giovani, un gruppo piccolo ma rappresentativo, è che la dimensione dell’ascolto, peraltro già vissuta all’interno della Chiesa durante l’esperienza sinodale, è reale ed è benvenuta. I giovani si sono sentiti ascoltati. Si sono sentiti invitati per dare un contributo a ripensare un’Europa che vive una situazione convulsa, non solo per la guerra in Ucraina o per la pandemia, ma per una situazione in cui non siamo più il centro del mondo, delle decisioni, o della fede. Tutto questo, dopo tanto tempo, richiede una riflessione e una proposta. Non per tornare ad essere centro del mondo, ma per essere un’Europa che sappia stare nel mondo di oggi con capacità di dare risposte alla gente. Abbiamo dimenticato cosa ha contribuito a costruire la ricchezza che abbiamo oggi in Europa. Non si tratta solo di guardare alle circostanze differenti dei vari Paesi europei, differenze soprattutto culturali. Ci sono inquietudini, necessità, preoccupazioni comuni. Dobbiamo vedere insieme cos’è che abbiamo in comune, e cercare di offrire risposte. Dal punto di vista della fede, la PG deve offrire speranza e continuare a fidarsi dei giovani. La PG deve essere un esempio di scommessa nel protagonismo reale dei giovani. Questo non significa che i giovani devono decidere tutto, ma che i giovani siano ascoltati, che dialoghino, che si sentano corresponsabili in tutti i processi decisionali che li riguardano. Offrire una freschezza, una speranza. Come ha detto Papa Francesco ai giovani a Rio de Janeiro nel 2013: che i giovani possano essere aria fresca per l’Europa. Siamo caduti in un individualismo profondo e consumistico. La società cessa il passo all’individuo. L’antropologia del dono di cui ho detto sopra è un contributo fondamentale che dobbiamo offrire come nuova cultura dei giovani in Europa. La capacità di un servizio dove il giovane dà il meglio di sé e cambia il mondo intorno. La PG in Spagna e in Europa contribuisce a costruire giovani capaci di vivere con questo spirito di dono nella società europea di oggi, è la scommessa su cui ci sentiamo di puntare e di organizzare tutte le risorse e il pensiero. Come disse San Giovanni Paolo II nel suo discorso a Santiago di Compostela, dobbiamo recuperare le radici europee e dare loro forza. Costruendo legami per unirci agli altri, per renderci conto delle necessità che sono intorno a noi. Non c’è bisogno che arrivi una guerra perché sorga in noi la spinta ad aiutare, ad essere solidali. Vediamo se questa situazione, come è stato con la pandemia, ci aiuta a ricordarci di questo. Quando il mondo dimentica Dio, dimentica l’uomo. In Europa, e forse anche in altri luoghi del mondo, l’uomo non è più al centro, ma piuttosto al centro c’è l’ego, il “sé”. Senza imposizioni, con molta delicatezza, coerenza, credibilità e dono di sé, con la nostra fede torniamo a portare Dio al centro. Il nostro compito, in ogni ambito pastorale in Spagna e altrove, non è quello di lavorare per oggi, né per domani. Il nostro lavoro è per l’eternità. Non dobbiamo avere paura del fatto che i frutti non si vedono ancora oggi, né si vedranno già domani. I frutti si vedranno in futuro, trasformeranno l’Europa e il mondo, se avremo pazienza, costanza, perseveranza e soprattutto moltissima fiducia nel fatto che Dio ci aiuterà e che non ci lascia mai soli in questo cammino.


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