GRAMMATICA CIVICA
Educare alla cittadinanza /0
Raffaele Mantegazza
(NPG 2021-01-58)
Il tema della cultura civica e dell’educazione alla cittadinanza è tra i più discussi negli ultimi anni, segno questo di un bisogno che per fortuna il mondo adulto sta affrontando: quello di educare i ragazzi ad essere realmente cittadini di una compiuta democrazia. Perché la democrazia non è un meccanismo che si ripete automaticamente, e non è neppure un istinto naturale che si trasmette con il DNA: è un modo di essere, un costume, un modo di vivere la vita che va rigiustificato e ripresentato ad ogni generazione.
È certo opportuno prevedere nelle scuole momenti specifici di educazione civica, con una loro programmazione e verifiche ad hoc. Ma se tutta la società adulta deve farsi carico della crescita civile delle nuove generazioni, è l’intero mondo dell’educazione ad essere chiamato in causa. Forse l’educazione alla cittadinanza potrebbe costituire il pretesto per abbattere le barriere tra la scuola e il cosiddetto “extrascuola” (iniziando dall’eliminare questa orrenda denominazione) e anche a far penetrare le cosiddette “discipline” scolastiche nel mondo della vita quotidiana?
E se provassimo con la spesso ostica grammatica?
La grammatica italiana non prevede i pronomi civici. Proviamo a inventarli in questa rubrica. Il pronome (o l'aggettivo usato come pronome) ci è famigliare (chi non ha mai detto “io”?) ma è anche una parte del discorso misteriosa; si colloca alla giuntura tra l’identità del singolo “Io sono Marco, unico e irripetibile” e la possibile generalizzazione “anche Lucia è ‘io’ in una frase che la prevede come soggetto”.
Pensare l’altro come un soggetto. Pensare me stesso come un complemento di termine. Chiedermi qualcosa a proposito dell’altro, degli altri. Ragionare sul singolo e sul gruppo. Passare dall’anonimato del “lo farà qualcun altro” alla responsabilità del “lo faccio io” alla estensione dell’etica di gruppo “lo facciamo noi”, all’universalizzazione di un etica umana “lo fanno tutti”. E in questo ultimo esempio, passare dal “lo fanno tutti” come routine o imitazione al “lo fanno tutti perché ciascuno singolarmente è convinto che questo sia il bene.
Una Grammatica della cultura civica. Il nome, con tutto il suo carico di individualità, di emozione e di storia e con tutte le storture delle rinominazioni (i nomignoli, gli insulti, i numeri tatuati ad Auschwitz); l’aggettivo, e la potenza della qualificazione, che può trasformarsi in stigma (cattivo, puzzolente, diverso) ma può anche liberare la forza nascosta all’interno del soggetto (“nessuno mi aveva mai detto che sono bravo”); il verbo che esprime in sé tutte le possibilità dell’azione umana (la memoria dei verbi passati, la progettualità del futuro semplice, il senso di concatenazione degli eventi del futuro anteriore, la speranza del condizionale, la responsabilità del congiuntivo, il senso di comando un po’ perturbante dell’imperativo.
Intanto proviamo a declinare alcuni pronomi o aggettivi nel senso di una educazione al saper stare con gli altri, al rispetto e alla co-produzione delle regole, alla cittadinanza attiva.
La rubrica dunque si snoderà attraverso i seguenti temi:
1. Io-noi
La nostra identità si costruisce in un continuo dialogo con i gruppi ai quali apparteniamo, dalla famiglia, passando per la scuola, fino ai gruppi sportivi, religiosi, politici. Cosa resta dell’autenticità di ciascuno di noi quando facciamo parte di un gruppo? Come rimanere unici e insostituibili anche condividendo regole e valori di altre persone? Come può un gruppo mantenersi unito senza però chiudersi nei confronti degli altri? Come possiamo non essere troppo condizionati dall’appartenenza a un gruppo, non nasconderci al suo interno e soprattutto riconoscere i gruppi che propongono modelli di vita e di azione lontani dalla democrazia e dal rispetto?
2. Tu-voi
Il “tu” è la persona che conosciamo, che incontriamo tutti i giorni, ma che si differenzia dall’”io”; il”voi” sono gli altri gruppi, quelli che non frequentiamo ma che vediamo sulla nostra strada: gli altri partiti politici, gli altri gruppi religiosi, i ragazzi che fanno pallacanestro mentre noi giochiamo a calcio. Quale rapporto è possibile tra persone diverse e tra gruppi diversi? Come rispettare l’altro mantenendo però la propria identità? Dobbiamo andare oltre la frase abusata “la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro” verso l’idea che “la libertà dell’altro completa e approfondisce la mia”. Ma come educare a questo difficile passaggio?
3. Egli-ella-essi
Dare del “tu” a una persona significa entrare in un rapporto di prossimità. L’“egli/ella” è senza nome, distante, astratto. Eppure ci sono tante persone delle quali conosciamo l’esistenza, tanti gruppi che non ignoriamo ma che non rientrano nei nostri interessi e soprattutto non risvegliano un senso di appartenenza comune all’umanità. Come educare a superare l’“egli” mantenendo però l’intimità del “tu”? A non confondere amici e conoscenti e a non relegare questi ultimi nella sfera dell’anonimato? Perché è così facile accettare o ignorare una violenza quando riguarda un “egli” o un’“ella”, e questa procedura di spersonalizzazione è così utilizzata da chi vuole spargere odio e violenza?
4. Mio-tuo-suo
Di chi è il mondo? L’acqua, il sole, il cielo hanno dei possessori? E questo maglione è mio? L’ho acquistato, l’ho pagato, te lo posso prestare; ma ne sono responsabile; questo è il senso etico e pedagogico di quel “mio”. La proprietà è una forma di responsabilità? E allora il mio cane è “mio” non nel senso commerciale ma nel senso etico del termine? Educhiamo a capire cosa significhi essere responsabile di qualcosa senza necessariamente possederlo o appropriarsene.
5. Nostro-vostro-loro-proprio-altrui
Da anni ormai si parla di beni comuni. Ma che cosa significa questa espressione? Di chi sono i beni comuni? Chi è il “noi” che ne è responsabile? L’umanità? Tutti gli esseri viventi? Il Cosmo? E possiamo rinunciare a qualcosa che riteniamo “nostro” riconoscendolo “vostro” rispetto per esempio agli animali? Lasciare un terzo della terra alla vita selvaggia come propone uno scienziato? Una cosa “altrui” può anche essere considerata una cosa di tutti? E la Terra non è forse di tutti e di nessuno, essendo un oggetto Altrui nel Cosmo?
6. Chi? Che? Quale? Quanto?
Forse le culture umane si differenziano per le risposte diverse che forniscono alle stesse domande. E forse la cultura civica e il dialogo debbono partire dalle domande che ogni essere umano condivide. Ma quali sono queste domande? Che cosa ogni essere umano presumibilmente si chiede almeno una volta nella vita proprio per il fatto di essere umano? E in che senso le domande ci rendono davvero uomini e donne? Educare alla domanda significa abituare all’’apertura esistenziale, che è irrinunciabile per gli esseri umani anche se spesso ce ne dimentichiamo. Ma siamo capaci di sostare (so-stare) nella domanda?
7. Qualcuno-chiunque
Mr. Everyman è un personaggio letterario ma è anche la tentazione che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada quando si parla di cultura civica. “Non spetta a me ma a qualcun altro”, “lo sa chiunque”: uno scarico di responsabilità che incarica un essere inesistente di compiere gesti civici che potrebbero invece spettare a noi. Perché questo anonimo Signor Chiunque è così forte e seduttivo? Cosa ci spinge ad essere ignavi, a non vedere che siamo sempre parte sia del problema che della soluzione, a sottovalutare in questo modo la forza del nostro impatto sulla vita di tutti?
8. Nessuno-ognuno-ciascuno-tutti
In una poesia di Cesar Vallejo occorrono tutti gli uomini e le donne del mondo per far tornare alla vita un soldato ucciso. I comportamenti etici, diceva Kant, devono essere universalizzabili, valere per tutti gli esseri umani. “Se tutti pagassero le tasse”, “se nessuno facesse violenza”. Ma qual è il ponte educativo che parte dal mio gesto civico e lo trasforma in possibile modello per una umanità totalmente rinnovata?
9. Marcello, Xi Ling, Fatima: Dal pronome al nome
Alla fine del nostro percorso troviamo il nome con tutta la sua forza di individualizzazione, che non si trasforma in egoismo e narcisismo proprio perché viene al termine di un viaggio nel quale l’io e gli altri si sono più volte incontrati, scontrati, confrontati. Dare un nome a un bambino è un atto sociale, non significa proporre un’identità chiusa su se stessa ma un incrocio tra l’irripetibilità del singolo e l’appartenenza all’umanità e al mondo del vivente
Nel nostro percorso cercheremo di tenere insieme lo sguardo sulla scuola a quello sulla comunità educativa. Pensare che l’educazione civica sia solo un compito scolastico significa anzitutto caricare sulle spalle dell’istituzione scolastica un peso che essa non può portare da sola, e poi creare un comodo alibi per il mondo adulto al di fuori delle mura delle scuole. Proprio la responsabilità comune nei confronti della crescita di soggetti democratici permette un vero dialogo tra educatori scolatici ed extrascolastici, tra scuole e famiglie, in modo che i ruoli siano definiti senza confusione ma anche senza inutili steccati. Il viaggio verso la cittadinanza civica non è compito di “qualcuno” ma è un progetto di “tutti” e di “ciascuno” per “ciascuno” e per “tutti”.