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    Entrare “di corsa” nella liturgia


    Sale e pepe nella liturgia /8

    Elena Massimi

    (NPG 2021-06-52)

    Solitamente, quando si partecipa all’eucarestia, non viene data una grande importanza ai Riti di introduzione, interpretati come una semplice premessa facoltativa a ciò che “conta veramente”, e cioè la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica. Quando siamo in ritardo, ci diciamo: «L’importante è arrivare alla liturgia della Parola perché la messa sia valida!».
    Senza soffermarsi sui grossi limiti di una partecipazione alla Messa secondo la logica dell’ad validitatem, dobbiamo riconoscere che se da una parte la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica rappresentano il cuore della celebrazione, dall’altra necessitano di alcuni riti che dispongono «ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia» (OGMR 46).
    Come possiamo passare dalle nostre attività quotidiane alla celebrazione del Mistero pasquale senza dei riti di medino tutto ciò? Come possiamo riconoscerci assemblea radunata nel nome del Signore per ascoltare la sua Parola senza delle azioni che ci rendono tale?
    Illuminanti a tale proposito possono essere le parole di R. Guardini sul Portale (della chiesa):

    «Fuori c'è il mondo, bello, fervido di vita e di creazione possente. Frammezzo però vi è anche molto d'odioso, di basso. Esso ha in sé qualcosa del mercato; in esso ognuno corre attorno, tutto qui si fa largo. Non lo vogliamo chiamare non-santo; eppure qualcosa di questo il mondo tiene indubbiamente in sé. Attraverso il portale però entriamo in un interno, separato dal mercato, calmo e sacro: nel santuario. Certo, tutto è opera e dono di Dio. Dovunque Egli può muoverci incontro. Ogni cosa la dobbiamo ricevere dalle mani di Dio e santificarla con un sentimento di pietà. Pur tuttavia gli uomini fin dall'inizio hanno saputo che luoghi determinati sono in modo particolare consacrati, riserbati a Dio.
    Il portale sta tra l'esterno e l'interno; tra ciò che appartiene al mondo e ciò che è consacrato a Dio. E quando uno lo varca, il portale gli dice:
    “Lascia fuori quello che non appartiene all'interno, pensieri, desideri, preoccupazioni, curiosità, leggerezza. Tutto ciò che non è consacrato, lascialo fuori. Fatti puro, tu entri nel santuario”.
    Non dovremmo varcare così frettolosamente, quasi di corsa, il portale! In raccolta lentezza dovremmo superarlo e aprire il nostro cuore perché avverta quello che il portale gli dice. Dovremmo, anzi, prima sostare un poco in raccoglimento perché il nostro avanzare sia un avanzare della purezza e del raccoglimento.
    […] Qui invece lo spazio è riservato per Dio. Lo sentiamo nei pilastri che si drizzano verso l'alto, nelle pareti ampie e robuste, nella volta elevata: sì, questa è la casa di Dio, l'abitazione di Dio in una maniera speciale, interiore [1].

    Guardini, quindi, ben evidenza come ci sia bisogno di mediazioni perché si possa passare dalla vita quotidiana alla liturgia, come tale passaggio non possa essere vissuto in fretta, ma necessita di particolari attenzioni e cure. Per questo cercheremo di approfondire di seguito le dinamiche dei Riti di introduzione della celebrazione eucaristica.

    I riti di introduzione nella celebrazione eucaristica

    Lo scopo dei Riti di introduzione nella celebrazione eucaristica “è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia” [2].
    È evidente il carattere introduttorio di questi riti; creano le condizioni perché si possa celebrare con frutto, perché si possa entrare gradualmente nella liturgia, perché i fedeli riuniti diventino comunità orante radunata in Cristo.

    Il canto di ingresso

    Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si inizia il canto d’ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri [3].

    Il canto di ingresso è decisivo: è attraverso l’atto del cantare che la comunità inizia a prendere corpo, i suoi membri si sintonizzano, e vengono introdotti al mistero celebrato.
    Il canto accompagna la processione di ingresso; ci si chiede se non sia un limite che l’assemblea si trovi già tra i banchi, invece di partecipare alla processione. Questo potrebbe aiutarla a raggrupparsi maggiormente e a percepirsi comunità in cammino [4].
    Inoltre il presbitero, insieme ai ministri, dovrebbe entrare dal fondo della chiesa, e non direttamente dalla sagrestia, conducendo gradualmente l’assemblea verso l’altare. Non vanno quindi trascurati né la partecipazione dell’assemblea al canto di ingresso, né l’orientamento della stessa verso Cristo, l’altare.

    Giunti in presbiterio, il sacerdote, il diacono e i ministri salutano l’altare con un profondo inchino, quindi, il sacerdote e il diacono, se presente, lo baciano [5].

    Il bacio dell’altare

    Il gesto di baciare l’altare mette in comunione Dio e l’assemblea adunata, che appartiene a Cristo.

    Il bacio all’altare all’inizio e alla fine dell’incontro (osculum) riveste la liturgia di quella familiarità e amicizia orizzontale (gli uomini tra di loro) e verticale (tra l’assemblea e Dio) fondamentale per la celebrazione dell’Eucarestia; rivela altrettanto l’abbondanza di intimità tra chi bacia (la Chiesa) e chi si lascia baciare (il Cristo) e dice anche dell’apertura dello «spazio personale» di un Dio che non si vergogna di chiamarci fratelli (cf. Eb 2, 11). Si rivela in questo bacio quell’admirabile commercium tra Creatore e creatura tanto lodato dai Padri. Questo bacio è in grado di guarire e trasformare colei che bacia in Colui che è baciato, ossia Colui che si è abbassato dalla condizione di Dio alla condizione umana, eleva la condizione umana e la introduce nella condizione di Dio [6].

    È bene, quindi, compiere tale gesto non in modo affrettato e trascurato.

    Il segno di croce

    Terminato il canto di ingresso sia il presbitero che l’assemblea si segnano con il segno di croce; ricordiamo a tale proposito quanto scriveva R. Guardini:

    lo facciamo prima della preghiera, affinché esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera affinché rimanga qui in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell'atto della benedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa [7].

    Il saluto del sacerdote

    Segue il saluto del sacerdote: Il Signore sia con voi. Solamente dopo che i fedeli sono diventati comunità (canto d’ingresso), in comunione con Cristo (bacio), il sacerdote annuncia la presenza del Signore nell’assemblea, nella sua Chiesa. Un tale annuncio non deve essere fatto come se stessimo parlando in una qualsiasi circostanza della vita quotidiana, ma ben proclamato, in modo tale da far percepire all’assemblea l’importanza di quanto detto, e mantenendo la necessaria differenza simbolica.

    L’Atto penitenziale

    L’Atto penitenziale, insieme al Gloria, se da una parte presuppongono una già costituita, allo stesso tempo ne rafforzano la sintonia tra i membri.
    Nell’atto penitenziale l’assemblea si riconosce peccatrice, e acclama, con il Kyrie, il Signore risorto vincitore della morte.
    Infatti, nel contesto contemporaneo, la questione del peccato, della penitenza, del riconoscersi peccatori davanti a Dio bisognosi del suo perdono, è questione privata, individuale; si è persa la dimensione ecclesiale del peccato e della penitenza (cf. Premesse al Rito della Penitenza, nn. 3-5. 8).
    Curare l’atto penitenziale, anche attraverso il canto (almeno del Kyrie), evitando monizioni sul perdono della lunghezza dell’omelia, potrebbe aiutare anche a recuperare la dimensione ecclesiale della penitenza, a riscoprire le conseguenze sulla comunità del peccato di ciascuno.

    Il canto del Gloria

    Nel canto del Gloria l’assemblea dei fedeli si percepisce come comunità che loda.

    Chi siamo? Poiché il canto liturgico è essenzialmente comunitario e il coro non impedisce all’assemblea di cantare, la chiesa diventa un corpo che risuona di un’unica sonorità, la lode di Dio. Un tale corpo è il corpo di Cristo. I cristiani, a cui si rimprovera di non essere migliori degli altri, dicono con questo inno che solo Dio è migliore e che la loro originalità (identità) consiste nell’affermare che lui è destinatario della lode di ogni essere.
    Il fatto di cantare è altrettanto importante quanto il testo cantato. Infatti i fedeli che avevano forse perso il desiderio di cantare la gloria di Dio a causa delle loro vicissitudini e della loro stanchezza, trovano nell’atto del canto la memoria della loro identità fondamentale: lodatori di Dio [8].

    La colletta

    L’ultimo degli elementi dei riti di introduzione è la colletta. Il sacerdote invita i fedeli a pregare per qualche istante in silenzio (in questo modo prendono coscienza di essere alla presenza di Dio e formulano nel cuore le proprie intenzioni di preghiera), e nella preghiera a voce alta raccoglie le intenzioni personali.
    Perché i fedeli possano realmente formulare delle intenzioni di preghiera è necessario prestare cura al breve momento di silenzio dopo l’invito alla preghiera.

    Brevi considerazioni

    È evidente come nel corso dei riti di introduzione i fedeli, attraverso l’azione del cantare, del riconoscersi peccatori, del lodare e pregare, diventino gradualmente comunità radunata nel nome del Signore. Tutto ciò non può avvenire immediatamente, bruscamente, ma solo attraverso soglie, passaggi graduali.
    È necessaria, quindi, una particolare cura dei codici verbali e non verbali (locale e topografico, odologico, prossemico, temporale, musicale, cinesico, tattile, ottico…) [9] di cui i riti di introduzione si compongono, da parte tutti coloro che partecipano al rito (in modo particolare da parte del presidente).
    Naturalmente non bisogna mai dimenticare che non esiste una comunità in astratto, ma persone concrete, e le scelte celebrative devono essere adeguate a coloro che partecipano.
    Potrebbe anche essere utile, ad esempio, mettere in atto strategie che creino un clima accogliente, ancor prima che inizi la celebrazione, come provare qualche ritornello del canto, accogliere i fedeli alla porta della chiesa, fare qualche istante di silenzio prima del canto di ingresso.

    NOTE

    [1] R. Guardini, I santi segni, Queriniana, Brescia, 147-148.
    [2] OGMR, 46.
    [3] OGMR, 46.
    [4] “Questo ambito dell’ospitalità della fede è anzitutto uno spazio che va incessantemente visitato, percorso attraverso la processione che conduce, seguendo l’asse dell’edificio, fino all’altare della celebrazione (che alimenta la speranza di camminare, da questa tavola, verso un altro banchetto). Diversi canti d’ingresso parlano di cammino, di camminare verso il Signore; ma spesso non si riscontra né lo slancio, né il ritmo, né il colore vocale di un popolo che cammina nella gioia … perché non si cammina! La menzogna di questo rito amputato non permette di far memoria della nostra identità di viandanti. Per contro, se effettivamente la maggior parte dei fedeli cammina in processione, questi canti acquistano una verità reale: i membri del corteo e coloro che li vedono scoprono l’edificio come lo spazio vitale di una comunità, edificio di pietre vive in cui ciascuno ha il suo posto”: Centro di pastorale liturgica francese, Ars celebrandi, 46.
    [5] OGMR, 49.
    [6] J. Pereira Il bacio nel linguaggio del corpo come elemento di comunicazione nelle varie culture, in «Rivista Liturgica» 101 (2014) 672.
    [7] R. Guardini, I santi segni, Queriniana, Brescia, 125.
    [8] Centro di pastorale liturgica francese, Ars celebrandi, 48.
    [9] G. Bonaccorso, Il Rito e l’Altro, LEV, Città del Vaticano 2012, 138-140.


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