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    Come gestire la rabbia?


    San Francesco di Sales, maestro di vita spirituale per i giovani /3

    Wim Collin

    (NPG 2021-08-71)

     

    Una delle emozioni che tutti affrontiamo e proviamo, tanto verso noi stessi quanto verso gli altri, è la rabbia. Non bisogna pensare subito ad una forma eccessiva di ira, paragonabile ad una eruzione vulcanica, bensì al sentimento in tutte le sue sfaccettature. Talvolta può accadere che qualcuno sia infastidito o arrabbiato per ciò in cui ha fallito, per una ricaduta, per un incidente, per qualcosa che non va come si desidera. A volte si tratta di piccoli sfoghi di rabbia che proviamo quando veniamo ripresi, oppure quando dobbiamo accettare qualche correzione, o ancora quando sperimentiamo qualche contraddizione o  non siamo accettati a casa o tra gli amici.[1]
    Anche Francesco di Sales nella sua vita, come del resto accade a tutti gli esseri umani, qualche volta si è arrabbiato ed ha sperimentato il sentimento della collera. Nella lettera introduttiva del Trattato dell’amor di Dio indirizzata ad un amico, scrive: “Mi dà fastidio che in quest’ultima edizione, la sesta ormai, tanti errori si sono infiltrati nel libro. Nessuno sbaglio dovrebbe esserci perché un errore di stampa può facilmente dare un significato sbagliato riguardo questioni importanti.”[2]  Spesso nelle sue lettere si legge che egli è infastidito da qualcosa, che si arrabbia per diversi motivi. Noto per la sua tranquillità, per la pace, la dolcezza, la natura benevola e, non ultima, la calma, il santo della mansuetudine, così definito da alcuni dei suoi biografi, avrebbe dovuto faticare molto per diventare in tal modo, lavorando seriamente per controllare la propria ira. Non è facile, come dice in una delle sue prediche: “Quanta cura è necessaria per esercitare la pazienza e per sfuggire all’ira!”[3] Controllare la rabbia e l’ira non è cosa facile, lo stesso Francesco di Sales ha impiegato molto tempo per imparare a trattenersi. Quando qualcuno insultava sua madre tutti si aspettavano che reagisse molto duramente e rabbiosamente, invece, secondo il suo biografo, era solito dire: “Non ho avuto il coraggio per attaccarlo. A dire il vero, avevo paura di perdere in un quarto d’ora quel po’ del liquido di dolcezza che per ventidue anni ho cercato di raccogliere goccia a goccia, come rugiada nel vaso del mio misero cuore.”[4] Come accaduto per la tristezza e la malinconia, sembra che Francesco sia esperto anche dell’ira. Forse proprio per questo motivo troviamo nei suoi scritti molti consigli su come affrontare la rabbia, la collera o il fastidio.

    Arrabbiarsi o irritarsi non è un problema

    La buona notizia è che in alcuni dei suoi scritti il Vescovo di Ginevra afferma che non dobbiamo preoccuparci troppo: la rabbia, l’irritazione, l’ira, la collera fanno parte dell’essere umano e come tali sono radicati nella natura umana. “Finché l’uomo vivrà, camminerà e passerà su questa terra, avrà passioni, proverà fremiti d’ira, sussulti di cuore, affetti, inclinazioni, ripugnanze, avversioni e quant’altro a cui tutti siamo soggetti.”[5] Ma Francesco scrive nelle sue opere: l’ira è un’emozione che dovrebbe essere usata solo raramente perché è piuttosto pericolosa.[6] In una lettera all’amata Jeanne de Chantal spiega il perché sia così dannosa: “Ti arrabbi con l’arrabbiatura, e poi ti arrabbi con l’arrabbiatura provocata dalla rabbia. Ho veduto molti che sono divenuti collerici, in quanto il sentimento dell’ira già risiedeva in loro. Tutto ciò somiglia ai cerchi che si fanno nell’acqua quando vi si getta dentro una pietra, dapprima si crea un piccolo cerchio, e questo a sua volta ne produce uno più grande, e poi un altro e un altro ancora…”[7] Alla fine si rischia di finire in una strada senza uscita. “[La collera] diventa subito padrona della piazza e fa come il serpente che, dove riesce a far passare la testa, fa passare tutto il corpo.”[8]  O come dice nel Trattato dell’amor di Dio: “[La collera è] come un cavallo restio alle briglie e ribelle, si sottrae al controllo, porta il suo cavaliere fuori campo e ubbidisce soltanto quando le viene meno il respiro.”[9]
    Secondo Francesco arrabbiarsi o irritarsi non è un problema, poiché fa parte della natura dell’uomo. Ma invece di invitare l’uomo a crogiolarsi in un atteggiamento passivo, o nel ruolo di vittima, Francesco esorta il suo pubblico ad agire. “È vero che tutti abbiamo delle inclinazioni verso il  male: alcuni sono inclini all’ira, altri alla tristezza, altri all’invidia, altri alla vanità e alla vana gloria, altri all’avarizia; e se viviamo secondo tali inclinazioni siamo perduti. […] Tuttavia, devi lavorare per sbarazzartene.”[10] Infatti, ciò che ciascuno di noi ha il compito di fare è agire. La rabbia, l’ira, la collera in genere non dovrebbero diventare linee guida della vita, non dovrebbero determinare ciò che si pensa, si sente o si vive. Piccole arrabbiature o grandi attacchi di ira sono cose che appartengono al vecchio e da cui bisogna liberarsi, o per lo meno è necessario cercare di controllarle.[11] Questo perché le emozioni incontrollate possono avere molteplici e spiacevoli conseguenze. È dunque consigliabile non fare mai eccezioni a tal proposito, in nessuna circostanza e per nessun motivo. Nell’Introduzione alla vita devota, Francesco afferma: “Questa vita terrena è soltanto un cammino verso la vita celeste, non adiriamoci dunque per la strada gli uni contro gli altri; camminiamo tranquillamente e in pace con i fratelli e i compagni di viaggio. […] Con chiarezza, e senza eccezioni, ti dico: Se ti è possibile, non inquietarti affatto, non deve esistere alcun pretesto perché tu apra la porta del cuore all’ira.”[12]

    Le conseguenze dell’ira

    “Vorrei arrabbiarmi con te, ma non posso, perché non me lo sento.” Così il Vescovo scrive ad una suora della Visitazione.[13] Non ha voglia di adirarsi o arrabbiarsi, sebbene non neghi che la rabbia possa avere del bene in sé. Per questo scrive a Teotimo: “Senza dubbio, Teotimo, la collera è un servo che, essendo potente, coraggioso e pieno di iniziativa, sulle prime fa molto; ma è così ardente, irrequieto, sconsiderato e impetuoso che, ordinariamente, non riesce a compiere nessun bene senza combinare contemporaneamente tanti guai.”[14] L’attenzione che Francesco pone nei riguardi del controllo della rabbia è dovuta principalmente alle conseguenze che ne derivano: parole turpi, accuse, insulti, azioni scorrette.[15] L’ira “produce dispiaceri, ripugnanza, emozioni di rabbia, disperazione e così via.”[16] Insomma, volendo utilizzare poche parole: la rabbia non serve a niente. Sembra che San Francesco di Sales avesse una conoscenza molto estesa del regno animale, perché dopo i serpenti e i cavalli si serve anche dei pavoni per dare una definizione della rabbia. Riferendosi al poco bene che può fare, scrive nel Trattato: “Dice la nostra gente di campagna: non è cosa saggia tenere a casa dei pavoni perché, anche se danno la caccia ai ragni e ne distruggono i nidi, sono tanti i danni che causano alle coperture ed ai tetti che la loro utilità non è paragonabile ai problemi che causano.”[17] Quindi è meglio controllare la rabbia e l’ira piuttosto che lasciar loro spazio. “Una volta messa in movimento, non potendo essere trattenuta nei limiti della ragione, conduce il cuore al disordine.”[18] Citando Sant’Agostino nell’Introduzione alla vita devota, scrive: “è meglio chiudere la porta all’ira giusta e imparziale, anche se di minime proporzioni, perché, una volta entrata, è molto difficile farla uscire, poiché entra come un piccolo germoglio, e in brevissimo tempo cresce e diventa un albero.”[19]

    Soluzioni

    Dopo aver definito con esattezza cosa sia la rabbia e che cosa essa sia in grado di causare, conviene porre l’attenzione su come sia possibile risolvere il problema dell’ira, ed essendo una emozione che appartiene, come ricorda Francesco, alla natura umana, il processo non sarà semplice.
    La prima cosa da fare, secondo Francesco di Sales, è di non preoccuparsi, bensì di cercare di mantenere il più possibile la calma. “Non ti arrabbiare, o almeno non essere turbato da ciò che ti dà fastidio, non essere sconvolto da ciò per cui sei stato turbato, non preoccuparti.”[20] È importante tornare per un secondo indietro, pensare, riflettere e ritornare alle buone intenzioni. Nell’Introduzione il Vescovo scrive: “Ma come faccio a respingerla? Dirai. Semplicissimo, ti rispondo. Al primo allarme raccogli tutte le tue forze, non con precipitazione e violenza, ma con dolcezza, tuttavia con serio impegno. Hai notato quello che accade nelle sedute di molti senati e parlamenti? Gli uscieri che gridano zitti là o zitti qua, fanno più confusione di quelli che vorrebbero far tacere. Allo stesso modo, può capitare che quando con forza vogliamo reprimere la collera, provochiamo più agitazione nel nostro cuore di quanta non ne avrebbe causato la collera stessa; il cuore così agitato non riesce più ad essere padrone di se stesso.”[21]
    La cosa successiva da fare è rifornirsi di una grande quantità di mansuetudine e gentilezza. È la gentilezza che tempera e modera l’ira e la collera, affinché le mantenga entro i limiti della ragione.[22]

    “Quando sei calma e senza alcun motivo di collera, fai rifornimento di dolcezza e di affabilità, parlando e agendo, nelle tue azioni piccole e grandi, nel modo più cortese che ti sarà possibile. […] Non basta avere una parola dolce nei confronti del prossimo, bisogna averla anche nel petto, ossia nell’intimo della nostra anima. Non basta nemmeno avere la dolcezza del miele, che è aromatico e profumato, e raffigura la dolcezza della conversazione educata con gli estranei, ma bisogna avere anche la dolcezza del latte verso i familiari e i vicini: in questo mancano seriamente quelli che sono angeli per la strada e diavoli in casa.”[23]

    Il messaggio di Francesco è in realtà molto semplice: imparare ad essere calmi e moderati in ogni contesto permette di rimanere pacati e tranquilli anche nelle situazioni più difficili. È risaputo che quando si è sereni, ragionevoli e placidi, le cose funzionano meglio di quando si è accecati dalla rabbia e dall’ira: del resto un regno basato sul terrore non è un buon regno.[24]
    Nel caso in cui la rabbia prenda il sopravvento, due sono le cose possibili da fare. Innanzitutto, già dai primi segni di rabbia, impazienza o agitazione, è opportuno raccogliere prontamente e dolcemente la propria forza nel Signore. Quando, infatti, si avverte qualche problema o risentimento, è necessario ricorrere a Dio, invocando il suo aiuto.[25] Riferendosi un'altra volta a Sant’Agostino, Francesco scrive che le giaculatorie, ovvero le preghiere brevi, hanno un effetto piuttosto producente: “Fai ciò che deve fare un uomo; e se ti capita ciò che l’uomo di Dio dice nel Salmo: Il mio occhio è turbato da grande collera, ricorri a Dio e grida: ‘Abbi misericordia di me, Signore’; e così egli stenderà la sua mano destra e reprimerà la tua collera.”[26]  In secondo luogo, se si è stati arrabbiati o impazienti, si deve ripagare la colpa con un atto di gentilezza prontamente esercitata sulla persona stessa; tenere il suo viso dolce, rispondendo e facendo graziosamente tutto ciò che ci viene ordinato di fare.[27]
    Infine Francesco sostiene che è importante non coricarsi arrabbiati: non si deve amare e neppure custodire la propria rabbia, non ci si deve addormentare adirati. Prima di infilarsi sotto le lenzuola,  bisogna assicurarsi che la rabbia sia sparita, altrimenti essa si trasformerà in odio. E l’odio è infinitamente peggiore della rabbia.[28]

    Quando qualcuno è arrabbiato con noi

    L’amicizia deve essere in grado di sopravvivere al litigio e alla rabbia, anche dopo uno scoppio d’ira o di odio.[29] Se qualcuno mostra rabbia o risentimento verso di noi, non bisogna assecondare la rabbia. Non è opportuno discutere e neppure rispondere alla rabbia con la rabbia. Un elefante furioso si calma alla vista di un agnello addomesticato, scrive nell’Introduzione alla vita devota. [30] Se qualcuno ci insulta, non bisogna offendersi.[31] Se qualcuno è stato arrabbiato con noi, con o senza una valida ragione o un motivo, si può sempre imparare qualcosa da questo. Ad esempio,  è possibile imparare ciò che piace agli altri, o ciò che non sopportano, ciò che non possono tollerare o ciò che amano. È possibile imparare anche i difetti e le mancanze degli altri e forse anche apprezzare meglio ciò che si ama, e perfino valutare in modo più equilibrato le proprie mancanze.  Così sarà possibile capire meglio l’altro e se stessi e persino pregare per gli altri.[32] Perché parlare della propria rabbia richiede tempo: “Correggere un uomo arrabbiato è come voler mettere un blocco su un torrente traboccante; dobbiamo aspettare che l’acqua sia bassa.”[33] dice Francesco in un sermone.
    Francesco di Sales insegna che essere arrabbiati e in preda alla collera o adirarsi non è una situazione ideale. In questo modo si fa del male agli altri e spesso anche a se stessi, e quindi si tratta di un comportamento (auto)distruttivo. È opportuno imparare ad amare l’altro, e così ad amare se stessi, “perché l’uomo è l’immagine di Dio, e così l’amore sacro dell’uomo per l’uomo è la vera immagine dell’amore celeste dell’uomo per Dio.” [34]

     

    NOTE 

    [1] Cfr. XXIII. Sermon pour une Vêture, Œuvres: Tome IX, Sermons: Vol III, 205.
    [2] Lettre MDCXCVIII, Œuvres: Tome XIX, Lettres: Vol IX, 320-321.
    [3] XX. Sermon de Vêture pour la fête de sainte Anne, Œuvres: Tome IX, Sermons: Vol III, 189.
    [4] A.T. Pocetto, The Sternness of the Gentle Francis de Sales (1567-1622), in J. Maniparampil – K.H. Jose, All By Love, New Vistas in Theological Spirituality, Bangalore, Tejas Vidya Peetha, 2011, 201; cfr. E.J. Lajeunie, Saint Francis de Sales. The Man, The Thinker, His Influence, Vol. 2, Bangalore, SFS Publications, 1986, 126.
    [5] LII. Sermon pour la fête de la Circoncision, Œuvres: Tome X, Sermons: Vol IV, 154; cfr. LVIII. Sermon pour le jeudi après le deuxième Dimanche de Carême, Œuvres: Tome X, Sermons: Vol IV, 260; LXVIII. Sermon pour la fête de saint Thomas, Œuvres: Tome X, Sermons: Vol IV, 408.
    [6] III. Fragments sur les vertus cardinales et morales, Œuvres: Tome XXVI, Opuscules: Vol V, 84.
    [7] Lettre CDXXXVI, Œuvres: Tome XIII, Lettres: Vol III, 374-375.
    [8] IVD, 148.
    [9] TAD, 572-573.
    [10] LVIII. Sermon pour le jeudi après le deuxième Dimanche de Carême, Œuvres: Tome X, Sermons: Vol IV, 260.
    [11] I. Sermon pour la veille de Noël, Œuvres: Tome IX, Sermons: Vol III, 10-11; XXIII. Sermon pour une Vêture, Œuvres: Tome IX, Sermons: Vol III, 204.
    [12] IVD, 146.
    [13] Lettre MDCCXLII, Œuvres: Tome XIX, Lettres: Vol IX, 412.
    [14] TAD, 573.
    [15] LXX. Sermon pour la fête de la Pentecôte, Œuvres: Tome X, Sermons: Vol IV, 427.
    [16] I. Sermon pour la veille de Noël, Œuvres: Tome IX, Sermons: Vol III, 10.
    [17] TAD, 573.
    [18] TAD, 572; cfr. IVD, 147-148.
    [19] IVD, 147 (Sant’Agostino: La città di Dio 14,19.)
    [20] Lettre CMX, Œuvres: Tome XVI, Lettres: Vol VI, 64.
    [21] IVD, 148.
    [22] III. Fragments sur les vertus cardinales et morales, Œuvres: Tome XXVI, Opuscules: Vol V, 84.
    [23] IVD, 149.
    [24] IVD, 147.
    [25] XXXI. Avis a une Religieuse de la Visitation sur les vertus qu’elle doit surtout pratiquer, Œuvres: Tome XXVI, Opuscules: Vol V, 320; cfr. LVIII. Sermon pour le jeudi après le deuxième Dimanche de Carême, Œuvres: Tome X, Sermons: Vol IV, 260.
    [26] IVD, 148 (Sant’Agostino, Lettere 250,3).
    [27] XXXI. Avis a une Religieuse de la Visitation sur les vertus qu’elle doit surtout pratiquer, Œuvres: Tome XXVI, Opuscules: Vol V, 320; Cfr. IVD, 148.
    [28] IVD, 147.
    [29] Lettre CMLXXXVII, Œuvres: Tome XVI, Lettres: Vol VI, 204.
    [30] IVD, 146.
    [31] IVD, 146.
    [32] Lettre MCLXXIII, Œuvres: Tome XVII, Lettres: Vol VII, 161.
    [33] CXXXV. Plan d’un sermon pour le mardi après le troisième Dimanche de Carême, Œuvres: Tome VIII, Sermons: Vol II, 317.
    [34] TAD, 562.


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