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    Tre parole per un’economia civile: biodiversità, esperienza, creatività


    Elena Granata

    (NPG 2020-08-28)


    L’aula come metafora del mondo

    Da anni osservo la disposizione dei miei studenti nell’aula e la creazione spontanea di piccoli gruppi. Avendo il primo corso del primo semestre del primo anno, gli studenti arrivano dal liceo che non hanno ancora relazioni significative tra loro.
    Nelle prime file si posizionano i ragazzi o le ragazze con più alta motivazione, nella fascia centrale un gruppo più eterogeneo di studenti, in ultima fila gli studenti potenzialmente più a rischio di abbandono, salvo naturalmente l’eccezione sempre possibile dello studente timido che si mette in ultima fila. E poi si rivela il più bravo.
    I ragazzi tendono a mantenere sempre lo stesso posto - da lì la mia facilità a ricordarne i nomi - e a mantenere i gruppi che si formano per tutto il corso degli studi. Questo giova enormemente alla loro vita universitaria.
    Il problema si pone quando escono dall’ateneo: rischiano di avere molti amici simili a loro, tutti che cercano lavoro nelle stesse reti, riducendo così le loro possibilità di fare incontri diversi. Perché molte delle opportunità della loro vita dipenderanno dalla possibilità di incontrare persone diverse, molto diverse da loro, di frequentare luoghi che non conoscono, di fare esperienze lontane da quelle che hanno programmato. È lì che si nascondono le grandi occasioni di crescita.
    L’aula è una grande metafora del mondo che abitiamo dove contano molto le relazioni e le reti in cui impariamo a muoverci: il destino sembra in qualche modo già scritto nelle condizioni di partenza di ciascuno di noi.

    Evitare abitudini e strade già percorse

    Secondo Tanya Menon - docente americana, studiosa di dinamiche di gruppo - farei bene a cambiare subito di posto i miei studenti, forzando la nascita di gruppi eterogenei. Le abitudini e le ripetizioni, fare sempre le stesse strade o mangiare negli stessi luoghi, limitano le nostre vite riducendo gli incontri imprevisti che sono esattamente quelli che possono aiutarci nel momento del bisogno. Ciascuno di noi applica automaticamente dei filtri sociali e ambientali, che ci fa giudicare le persone e rifuggire tra quelle che ci sembrano più simili a noi. E così viviamo come fossimo su un treno, tenendoci stretti i compagni vicini, senza pensare che siamo più simili a degli atomi che più si muovono e più generano energia nell’incontro con gli altri.
    È la biodiversità che consente di moltiplicare la forza delle relazioni e le possibilità. Un’economia - civile, aperta al nuovo, innovativa, sostenibile - può nascere solo in comunità ad alto tasso di diversità.
    Biodiversità è la risorsa che fa vivere e resistere alle crisi gli ambienti naturali ma anche le comunità umane. Una comunità insediata resiste al tempo solo se è capace di rigenerarsi, di convivere con le proprie differenze interne, di valorizzare le eccezioni. Resiste perché cambia, perché genera il nuovo.
    Solo dove queste opposte modalità si combinano, si mescolano, interagiscono in modi nuovi, si generano inattese possibilità di conoscenza. E naturalmente più c’è eccedenza di diversità, di varietà, di contraddizione - in altre parole di biodiversità - e più le società diventano creative e generative del nuovo (tutte parole care all’economia civile nella sua narrazione più contemporanea). Non esiste vita che nasca dalla monotonia, dall’uniformità dei tratti, dalla somiglianza, dalla ripetizione di sé. Più sapremo riconoscerlo nella natura e nel nostro ambiente di vita e più sapremo coltivarlo anche nelle comunità umane, in un reciproco e mutuo rinforzo.
    Si può dire anche parlando di comunità, di città, di economie che contesti biodiversi siano più resistenti e sicuri per la vita delle persone?
    Gli studi sociali e urbani oggi vanno in questa direzione e sottolineano come la presenza di minoranze etniche e religiose, linguistiche e culturali, rinforzino la tenuta di tutto il sistema sociale, che la ricchezza culturale non nasca dalla purezza, dall’omogeneità, dalla somiglianza ma dalla mescolanza e dalla differenza.
    È il plurale, il molteplice alla base del significato stesso di ecosistema che produce la vita e la sua continua rigenerazione. È l’apertura e il grado di differenziazione di un sistema che lo fa crescere. È la biodiversità che gli consente di reagire alle crisi e trasformarsi in altro.

    Differenze, profili eccentrici, senso critico

    Se il mondo progredisce quando si creano condizioni di scambio e differenze creative allora dobbiamo essere capaci di educare “teste ben fatte” (secondo la formula di Edgar Morin), adatte a mettersi in gioco, pronte al cambiamento. Capaci di dare senso a una visione più umana e civile delle relazioni umane ed economiche.
    Marta ha studiato al liceo classico dove alcuni insegnanti illuminati le hanno proposto campi di volontariato tra gli orfani palestinesi e attività estive nei quartieri popolari di Palermo. Ad uno studio rigoroso ha potuto affiancare esperienze vive a contatto con le povertà del mondo. Poi stanca di greco e di latino, si è laureata in economia ed è stata chiamata da un’azienda specializzata in intelligenza artificiale. Perché un’azienda così all’avanguardia ha scelto proprio lei? Quando dopo la laurea ha raccolto le idee per scrivere il suo primo curriculum le sembrava di non avere fatto nulla. Il liceo, una buona università, poco altro. Poi si è ricordata delle esperienze che le avevano cambiato la vita e le ha messe nel CV. Ha avuto intuito.
    Oggi le grandi aziende cercano profili come il suo. Cercano esperienze che si affianchino ai titoli di studio. In alcuni casi cercano solo le esperienze e i titoli di studio diventano accessori secondari.
    Vincono le differenze, sono privilegiati i profili eccentrici, i percorsi curiosi e autonomi. Peccato che scuola e università fatichino a cogliere questo cambiamento culturale.
    A scuola sono premiati ancora i profili omologati, l’adeguamento alla regola, l’assenza di creatività. Si propone ai ragazzi di stare anni sui banchi di scuola, rinunciando allo sport, all’arte, alla musica, alle esperienze di volontariato. Li si chiude dentro le aule e quello che è peggio dentro le aule si premiamo solo alcune forme di intelligenza. E la creatività, il senso critico, la manualità, la capacità di collaborare, la generosità, lo spirito imprenditoriale dove li possono coltivare? Tutte virtù che nutrono i progetti di economia civile.
    Conta avere sperimentato, assaggiato la vita, fatto i conti con il cimento di provare a fare una cosa che non sapevi fare. Conta saper organizzare il gioco di un gruppo di bambini in un campo profughi, non avere timidezza di fronte ad un ragazzo disabile, saper imbastire una cena con poco o organizzare un viaggio con gli amici. Vince Marta, che sa il greco e un curriculum pieno di esperienze vere.


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