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    L’odore dei giovani. Spirito di famiglia e maturazione vocazionale


    EDITORIALE

    Rossano Sala

    (NPG 2020-03-4)

    Vivere in mezzo alla gente

    Sono andato a rivedermi con calma gli appunti che ho preso durante l’Assemblea sinodale sui giovani che si è tenuta dal 3 al 28 ottobre 2018. Sono un resoconto vivo e vivace di ciò che abbiamo condiviso nell’aula sinodale per quasi un mese: oltre ai contenuti degli interventi dei padri sinodali, mi sono appuntato alcune emozioni e sensazioni che in quel preciso momento affollavano la mia mente e il mio cuore. In tutto è un file di Word consistente, composto di 87 pagine, 30.782 parole e 200.746 caratteri! Quando sarò (più) vecchio e avrò un poco di tempo a disposizione magari lo riprenderò con più distensione per farci qualcosa!
    Ho cercato di passare in rassegna, in quel file, i tanti appelli dei padri sinodali e degli uditori, soprattutto i più giovani, a frequentare con continuità e serietà il mondo giovanile, a condividere la vita e superare un’imperdonabile e antievangelica lontananza dalla loro realtà, di cui tante volte nemmeno abbiamo coscienza. Tanti hanno denunciato la distanza e altrettanti hanno chiesto di ridurla o eliminarla attraverso azioni, iniziative ed esperienze concrete. E rileggendo alcuni interventi tra i più qualificati, vi notavo alcuni miei commenti che fissavano le emozioni una volta per tutte: “grande commozione”; “finalmente una parola chiara”, “questo giovane non ha peli sulla lingua”, “parole sante!”, “tantissimi applausi”, “intervento profetico”, “è quello che tutti dovrebbero fare”, “visione di futuro”, “proposta entusiasmante” e altre reazioni simili.
    Vi riporto, evidentemente senza citare l’autore, un passaggio di un intervento di un padre sinodale molto rappresentativo di tanti altri, molto simili a questo sia per stile che per contenuto:

    La vita privata di molti sacerdoti, suore, religiosi, vescovi è senza dubbio semplice e impegnata per la gente. Ma è quasi invisibile e sicuramente sconosciuta: apriamo perciò le porte delle nostre case, ospitiamo nelle nostre case, lasciamo che la nostra vita ordinaria sia visibile. I giovani anzitutto vogliono vedere come viviamo, come sono le nostre abitazioni, come si svolge la nostra vita. Gesù aveva una vita visibile da tutti e anche a Nazareth la Sua non era una vita nascosta, ma sotto gli occhi di tutti, che infatti si meravigliano quando emerge nella Sua età adulta (un uomo della Galilea del primo secolo ad oltre 30 anni non è un giovane, ma un uomo maturo!). Se a livello umano di base non recuperiamo credibilità, saranno vani molti dei nostri propositi di incontrare e accompagnare i giovani nella ricerca della loro vocazione. Vendiamo i palazzi o affittiamoli o regaliamoli o usiamoli meglio, a cominciare da quelli romani! Ricominciamo a vivere in mezzo alla gente e avremo “l’odore dei giovani”.

    Una testimonianza forte con una serie di proposte radicali! Dettato da una semplicità evangelica che fa la differenza, proprio perché all’apparenza sembra ingenua, ma in realtà è geniale! Cioè risponde alla linearità profonda del mistero dell’incarnazione, cioè di un Dio-con-noi, di un Dio in mezzo a noi, di un Dio divenuto uno di noi e che ha scelto di condividere tutto con noi, pur potendo farne a meno. L’invito a ricominciare a vivere in mezzo alla gente è in fondo una spinta a riappropriarsi dello spazio geografico della rivelazione: essa avviene nel cuore del mondo e mai in parallelo rispetto ad esso. Dio desidera eliminare ogni barriera nella relazione con lui, desidera essere nostro familiare, brama la nostra amicizia e confidenza.
    Se ci pensiamo bene, a volte effettivamente tanti uomini di chiesa vivono una santità autentica ma invisibile, perché lontana e distaccata dalla gente. Magari per convenzione e per tradizione, forse per comodità o per paura o per umiltà, forse per altri motivi una condivisione di vita con i giovani diventa praticamente impossibile.
    Di questo dobbiamo essere coscienti. Quindi prima di tutto siamo chiamati ad acquisire consapevolezza della distanza tra il mondo della Chiesa e quello dei giovani. In lingua inglese è nota l’espressione che spesso si trova impressa lungo la banchina di ogni metropolitana e stazione ferroviaria che dice: “Mind the gap”, cioè “fai attenzione alla distanza”. Da tanti discorsi di uomini di Chiesa che a volte si spacciano per “esperti della condizione giovanile” emerge che manca perfino la consapevolezza della distanza, perché dal loro parlare si evince che c’è solo l’illusione di frequentare il mondo giovanile e di conoscerne i dinamismi, mentre in realtà si sta facendo riferimento a stereotipi o rappresentazioni di qualcosa che forse un tempo esisteva ma che oggi non ha più consistenza reale.

    La proposta coraggiosa dei padri sinodali

    Raccogliendo le tante parole spese sul tema della condivisione di vita con i giovani, è stato partorito il n. 151 del Documento finale, che conviene risentire con attenzione per poterci riflettere con precisione:

    Un tempo per accompagnare al discernimento
    Molte volte è risuonato nell’aula sinodale un accorato appello a investire con generosità per i giovani passione educativa, tempo prolungato e anche risorse economiche. Raccogliendo vari contributi e desideri emersi durante il confronto sinodale, insieme all’ascolto di esperienze qualificate già in atto, il Sinodo propone con convinzione a tutte le Chiese particolari, alle congregazioni religiose, ai movimenti, alle associazioni e ad altri soggetti ecclesiali di offrire ai giovani un’esperienza di accompagnamento in vista del discernimento. Tale esperienza – la cui durata va fissata secondo i contesti e le opportunità – si può qualificare come un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta. Dovrebbe prevedere un distacco prolungato dagli ambienti e dalle relazioni abituali, ed essere costruita intorno ad almeno tre cardini indispensabili: un’esperienza di vita fraterna condivisa con educatori adulti che sia essenziale, sobria e rispettosa della casa comune; una proposta apostolica forte e significativa da vivere insieme; un’offerta di spiritualità radicata nella preghiera e nella vita sacramentale. In questo modo vi sono tutti gli ingredienti necessari perché la Chiesa possa offrire ai giovani che lo vorranno una profonda esperienza di discernimento vocazionale.

    Vorrei almeno porre all’attenzione di ogni lettore alcuni spunti precisi rispetto al numero in oggetto, permettendomi di fare una piccola “esegesi” del testo.
    Primo, questo numero è la risposta ad un triplice appello risuonato nell’aula sinodale: quello di investire con generosità passione educativa, tempo prolungato, risorse economiche. Offrire passione, tempo e risorse per i giovani non è scontato: a volte siamo appassionati più del calcio che dei giovani; nell’era del narcisismo tendiamo a utilizzare tempo per noi stessi piuttosto che dedicarlo ai giovani; infine nella Chiesa non mancano i soldi, ma poche volte vengono investiti per i giovani in forma generativa. Risulta evidente che questi tre ingredienti sono indispensabili per la pastorale giovanile: bisogna essere in un certo senso rapiti in nome e per conto di Dio dai giovani che ci sono affidati, così che il loro bene sia il nostro pensiero dominante; bisogna organizzare il tempo in modo da stare con loro, fino a condividerne l’esistenza di tutti i giorni; infine, lo sappiamo bene un po’ tutti, la pastorale giovanile di solito gioca in perdita dal punto di vista economico e quindi per stare con i giovani bisogna avere una sana e robusta fiducia nella provvidenza.
    Secondo, durante l’Assemblea sinodale sono state presentate esperienze significative di condivisione di vita con i giovani. Alcuni movimenti e associazioni pianificano regolarmente periodi di condivisione di vita con i giovani; dal punto di vista vocazionale molte congregazioni religiose maschili e femminili offrono ai giovani e alle giovani momenti di vita comune in vista di una conoscenza di un carisma specifico; parecchie Diocesi offrono delle settimane o anche periodi più lunghi di vita comune con i giovani, organizzate con ritmi di preghiera, lavoro e condivisione spirituale; il volontariato di ogni tipo, in particolare quello missionario, offre tempi distesi per vivere insieme con una comunità impegnata nella promozione umana e nell’annuncio del vangelo; altre esperienze di servizio offrono la possibilità di vivere e spendersi insieme per gli altri.
    Terzo, il Sinodo propone di prendere sul serio da parte di tutte le componenti della Chiesa questo invito di offrire ai giovani tempi di vita comune. I padri sinodali non l’hanno considerato un semplice optional, ma una necessaria qualificazione della pastorale giovanile. A me piace pensare che ogni realtà ecclesiale in questo ambito dovrebbe dare dei “segnali di vitalità”, predisponendo luoghi ed esperienze di vita comune: ogni Diocesi, ogni congregazione religiosa, ogni movimento, ogni altra componente della vita della Chiesa.
    Quarto, è importante aver chiaro la finalità dell’esperienza: il testo invita a pensare ad “un tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta”. Quello che colpisce è la sottolineatura sull’adulto e sulla vita cristiana adulta. Sappiamo come la “questione dell’adulto” sia una delle più rilevanti del nostro tempo tardo moderno, dove la giovinezza è molto amata e tutti aspirano a rimanere giovani, tendendo a non superare questo stato di vita particolarmente desiderabile. Mentre la Chiesa ha sempre pensato che nel gioco della crescita si tratta di generare adulti nella vita e nella fede, cioè gente capace di mettere al centro gli altri, fino a dare la vita per gli altri, sull’esempio di Gesù, che è la figura dell’autentico adulto attraverso il dono di sé.
    Quinto, il testo pone con chiarezza tre cardini indispensabili per rendere costruttiva e feconda la vita comune: oltre allo stacco rispetto alla vita ordinaria nella propria famiglia, è prima di tutto indispensabile una reale condivisione di vita negli stessi ambienti tra giovani e adulti che sia temporalmente significativa; in secondo luogo è necessaria un’esperienza di apostolato, cioè un proiettarsi insieme in uscita attraverso un servizio generoso verso persone più fragili e bisognose; infine non si può fare a meno di una proposta spirituale, che attraverso la preghiera e la vita sacramentale nutra e faccia crescere un’autentica amicizia con il Signore Gesù.

    Il discernimento vocazionale

    Il n. 151 del Documento finale termina con queste parole:

    «In questo modo vi sono tutti gli ingredienti necessari perché la Chiesa possa offrire ai giovani che lo vorranno una profonda esperienza di discernimento vocazionale». Come dire, se accompagno un gruppo di giovani verso la vita adulta attraverso un’esperienza di vita comune li sto aiutando a fare discernimento vocazionale anche senza che si metta troppo a tema questa intenzionalità, perché in fondo il passaggio tra la giovinezza e l’età adulta non può che essere un’apertura vocazionale: divento un adulto quando prendo coscienza, attraverso una maturazione spirituale, della risposta che sono chiamato a dare alla domanda “per chi sono io?”.

    Il discernimento vocazionale porta alla maturità cristiana, nel senso che attraverso il lavorio interiore che passa dal confronto con la realtà, con la coscienza e con gli altri si giunge ad appropriarsi della propria missione nella storia, portando così a compimento la ricerca della propria identità spirituale e vocazionale.
    Ora per fare questo non ci vuole solo una persona preparata che accompagni un giovane, ma anche un ambiente adeguato. Sappiamo quanto il Documento finale del Sinodo sui giovani ha insistito nel voler superare una visione troppo individualistica sia dell’accompagnamento che del discernimento (cfr. nn. 91-113):

    Gesù ha accompagnato il gruppo dei suoi discepoli condividendo con loro la vita di ogni giorno. L’esperienza comunitaria mette in evidenza qualità e limiti di ogni persona e fa crescere la coscienza umile che senza la condivisione dei doni ricevuti per il bene di tutti non è possibile seguire il Signore.
    Questa esperienza continua nella pratica della Chiesa, che vede i giovani inseriti in gruppi, movimenti e associazioni di vario genere, in cui sperimentano l’ambiente caldo e accogliente e l’intensità di rapporti che desiderano. L’inserimento in realtà di questo tipo è di particolare importanza una volta completato il percorso dell’iniziazione cristiana, perché offre ai giovani il terreno per proseguire la maturazione della propria vocazione cristiana. In questi ambienti va incoraggiata la presenza di pastori, così da garantire un accompagnamento adeguato.
    Nei gruppi educatori e animatori rappresentano un punto di riferimento in termini di accompagnamento, mentre i rapporti di amicizia che si sviluppano al loro interno costituiscono il terreno per un accompagnamento tra pari (Documento finale, n. 96).

    Nella tradizione salesiana si parla molto dello “spirito di famiglia”, intendendo con esso uno stile di vita semplice e familiare, dove la confidenza e la condivisione sono davvero di casa quotidianamente. Nella nostra regola di vita, riprendendo il desiderio di don Bosco, lo si definisce in questo modo:

    Don Bosco voleva che nei suoi ambienti ciascuno si sentisse “a casa sua”. La casa salesiana diventa una famiglia quando l’affetto e ricambiato e tutti, confratelli e giovani, si sentono accolti e responsabili del bene comune. In clima di mutua confidenza e di quotidiano perdono si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto e i rapporti vengono regolati non tanto dal ricorso alle leggi, quanto dal movimento del cuore e dalla fede. Tale testimonianza suscita nei giovani il desiderio di conoscere e seguire la vocazione salesiana (Costituzioni salesiane, articolo 16).

    Mi ha sempre colpito che le nostre Costituzioni legano inseparabilmente lo spirito di famiglia con la maturazione vocazionale. Sembra quasi che il segreto dell’animazione vocazionale consista nel creare un autentico ambiente di famiglia, cioè un luogo dove un giovane possa davvero sentirsi a casa sua, fino al punto da decidere nel Signore e non senza la mediazione di Maria che quella diventi la sua casa per sempre!
    Sono davvero convinto che il tema della “vita comune”, che in fondo è un modo per vivere nella Chiesa esperienze di famiglia secondo la forma del vangelo, sia strettamente legato con la questione vocazionale in ogni direzione. E per questo oggi è sempre di più un tema strategico e decisivo, tanto da meritare un intero Dossier da parte della nostra Rivista.
    Sento infine – last but not least – il dovere impellente di ringraziare di vero cuore tutti i membri di ODL (Oratori Diocesi Lombarde), che hanno curato il presente Dossier mettendo a disposizione di tutti i lettori la loro esperienza ecclesiale sul campo con i giovani e le loro preziose riflessioni educative e pastorali.


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