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    Figure femminili dell’Antico Testamento: Eva, Dalila, Ester, Rut


    Pg e Arte / Storia “artistica” della salvezza

    Maria Rattà


    (NPG 2020-03-58)

     

    Il volto femminile che emerge dalla Bibbia è complesso, multisfaccettato, e affiora di pari passo col procedere della narrazione. Dove poi il testo tace, molto spesso è l’arte a sopperire, inserendo frammenti ipotizzabili del mondo interiore di questi personaggi.
    Non sono solamente profili di eroine in lotta per il bene. Certamente esse incarnano sempre il modello della donna coraggiosa e della femme fatale, che col proprio potere seduttivo rovescia le sorti di una storia saldamente tenuta in mano dagli uomini, e già scritta. Ma non in tutti i casi questo è il frutto di una riflessione ponderata sulle proprie azioni o sull’affidamento a Dio. Impavida ma irriflessiva è Eva, che da creatura quasi senza vitalità, come la presenta il Veronese (p. 8) prima che il Creatore le apra gli occhi, e così pura da sembrare quasi una Madonna Immacolata (Blake, p. 9), diventa la seduttrice che assale l’uomo, ammaliandolo per indurlo a mangiare la “mela” dell’albero proibito (Shaw, Loth e Tintoretto, pp. 14; 17), dispiegando tutta la potenza del proprio assalto sul dubbioso Adamo. Solo dopo la cacciata dall’Eden Eva comincia a portare coraggiosamente il fardello della “croce” (sotto la quale la immortala Calandrucci, p. 34), diventando così una figura degna di comprensione perché simile a tutti gli uomini nel loro cammino di cadute e risalite, di peccato e perdono, di gioie e dolori, di lavoro quotidiano e drammi familiari. E rimane pur sempre la madre dei viventi, prefigurazione di Maria che sarà la nuova Eva: interpretazione tipologica espressa chiaramente in una ricca miniatura del quattrocentesco Messale di Salisburgo (p. 30), ma a cui fa pensare anche Verbruggen nel suo pulpito in legno (1699) per la Cattedrale di san Michele e Gudula a Bruxell (p. 29).
    Personaggio completamente negativo è invece Dalila, che con coraggio gioca coi sentimenti di Sansone – uomo dalla forza sovrumana – fino a carpirne il segreto per lui letale. Gli artisti la presentano come donna bellissima e consapevole del proprio “potere” (Cabanel, p. 68), mostrandone a volte il lato più immorale e venale (Steen, p. 56). C’è pentimento, in lei? La narrazione biblica non spende una parola sul punto, ma alcuni artisti instillano un dubbio nello spettatore attraverso gesti e sguardi che lasciano spazio per un possibile rimorso, per un senso di dispiacere e dolore... forse anche per il rimpianto. È questa la scelta di Rembrandt e Rubens (pp. 55; 58), in cui l’ultima carezza e l’ultimo sguardo di Dalila a Sansone aprono un universo di interrogativi sull’interiorità di questa donna.
    Poi c’è Ester, una sorta di “Cenerentola” biblica. Anche lei bellissima, come molti artisti dell’Ottocento la ritraggono in un mix di orientalismo e sensualità (Chassériau e Hayez, pp. 70; 119); il suo sangue freddo non è tuttavia quello di un essere umano insensibile o senza paura, ma si connota per quella debolezza attraverso cui i piccoli riescono a vincere i potenti, e le donne, in un contesto sociale che le privava di poteri “effettivi”, riescono ad averne al pari degli uomini. È in particolare un artista che punta su questo aspetto: Gortzius Geldorp (p. 97) che presenta Ester e Assuero come una coppia di innamorati e, soprattutto, come due sovrani di pari grado: il re tiene saldamente lo scettro, ma lo porge alla moglie, che lo tocca delicatamente con entrambe le mani.
    Infine c’è Rut, la moabita, donna della fedeltà alla famiglia, e della pazienza. Una donna anche lei coraggiosa, che sceglie di non lasciare la suocera dopo la morte del proprio sposo; che accetta di affidarsi a un Dio straniero che sembra averla voluta punire; che si fa carico con dignità del dolore, della povertà e dell’esilio. Il suo attaccamento a Noemi lo esprime bene Blake (p. 104) nel gesto di questa giovane vedova che si curva sull’anziana e ne cinge la vita, quasi come a voler tornare nel grembo materno. Pazienza e fedeltà saranno ripagate attraverso l’incontro – insperato e provvidenziale – con Booz, un parente che può riscattarla e renderle nuovamente la gioia di essere moglie, ma anche (e soprattutto) darle quella di essere madre. È un evento carico di dolcezza e speranza, e con tratti romantici lo immortalano Wynfield, Wheatley e Rook (pp. 112; 114; 117). Le spighe, presenti in varie opere, non solo rimandano al contesto biblico dell’evento, ma anche a ciò che accadrà in seguito. Sono infatti un segno di fertilità, della felicità ritrovata di Rut. Sarà un bambino importante, Obed, il figlio di Rut e Booz, perché si tratta del nonno di Davide, da cui discenderà il Messia. «Rut diventa il simbolo di quell'umanità che, pur non appartenendo al popolo eletto, nella misura in cui attua i doveri del proprio stato con rettitudine di coscienza e di cuore, si trova accolta da Dio. La benedizione divina non è riservata al solo Israele, né il bene si rinviene soltanto tra i suoi membri» (Flavio Dalla Vecchia). È la storia della Salvezza che si dipana per tutti gli uomini, anche grazie a donne che, come Rut, hanno saputo fare della propria vita un’epopea di coraggio, bellezza e virtù.

    PS. Le pagine si riferiscono al file pdf presente nel sito.


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