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    Elementi di responsabilità giuridica degli educatori


    (NPG 2020-02-44)


    La relazione che lega le persone di minore età con i loro educatori ha un’inevitabile implicazione giuridica dalla quale derivano precisi profili di responsabilità connessi al loro ruolo.
    Individuare il profilo di responsabilità degli educatori non è semplice, in quanto il dato normativo non fa alcun riferimento alla figura dell’educatore in quanto tale, ma ai genitori, ai sorveglianti, ai tutori, ai precettori e ai maestri d’arte.
    Occorre pertanto partire dagli articoli 2047-2048 del vigente codice civile italiano la cui disciplina ha ad oggetto proprio la responsabilità civile delle figure suddette.[1]
    Riflettere e trattare sulle conseguenze giuridiche civili che possono derivare da una o più azioni od omissioni di chi ha l’obbligo giuridico della “custodia” del minore, è fondamentale non tanto per indurlo a sottrarsi al suo dovere ma al fine di chiarire fin dove può spingersi la sua responsabilità giuridica e di quali condotte ed omissioni egli può essere ritenuto responsabile.
    Promuovere la conoscenza dei riferimenti giuridici che regolano le attività cui normalmente si dedica un educatore con l’obiettivo di prevenire correttamente i rischi che si corrono, equivale, quindi, a sviluppare in lui un atteggiamento adeguato di fronte alla norma e alla legge in generale, intesa come uno degli strumenti indispensabili per comprendere e adempiere ciò che professionalmente deve essere fatto.

    Responsabilità civile dei genitori, dei sorveglianti e dei precettori: inquadramento generale

    Come anzidetto, occorre muovere il discorso dalla responsabilità civile dei genitori, dei sorveglianti, dei tutori e dei precettori la cui disciplina nel vigente ordinamento si può ricostruire sulla base del coordinamento degli artt. 2047 e 2048 c.c.[2]
    Occorre distinguere, anzitutto, se il minore è capace di intendere e volere oppure no. Così nell’ipotesi di un illecito compiuto da un soggetto di minore età capace di intendere e volere troverà applicazione l’art. 2048 c.c. ai sensi del quale, come si vedrà successivamente, la responsabilità del minore concorre con quella dei genitori e dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte, ossia dei soggetti tenuti a vario titolo alla sua vigilanza.[3]
    Viceversa, troverà applicazione l’art. 2047 c.c., ancorché privo di specifico riferimento all’età del danneggiante, ove il danno verrà cagionato da un minore incapace di intendere e di volere[4]: per tale danno, risponderà esclusivamente il sorvegliante, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
    Risulta evidente, pertanto, che nell’ipotesi in cui il danno è causato da un minore in tenera età i genitori rispondono nella veste di sorveglianti e non secondo lo status o secondo le rispettive qualità.

    La responsabilità dei genitori ex art. 2048, primo comma, c.c.

    Alla luce della riforma del diritto di famiglia del 1975, l’esercizio della responsabilità genitoriale è conferito al fine di realizzare i compiti - consistenti nel mantenimento, nell’istruzione e nell’educazione della prole - “tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli” secondo il combinato disposto degli artt. 30 Cost., 147 e 315 bis c.c.
    Di conseguenza la funzione educativa non è più considerata come in passato come una sorta di “ortopedia costruttiva” nella quale l’obbedienza costituiva il primo dei doveri e la punizione il più ovvio dei metodi educativi, ma è adempiuta nell’interesse del minore, seguendo, cioè, la piena realizzazione della sua personalità.[5]
    Nonostante ciò la giurisprudenza è fortemente rigorosa nel giudizio di responsabilità dei genitori per il fatto illecito commesso dal minore, anche quando tale fatto, per le sue modalità e natura non evidenzia particolari deficienze educative. Si è arrivati, così, a configurare la responsabilità genitoriale come oggettiva, cosicché, i genitori finirebbero per rispondere per il solo fatto di essere tali e non per essere in colpa, ponendosi come mera garanzia risarcitoria verso i terzi per i danni causati dal minore.
     
    Responsabilità dei precettori ex art. 2048, secondo comma, c.c.

    In riferimento alla figura del precettore, il secondo comma dell’art. 2048 c.c. statuisce che “i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.
    I suddetti soggetti, come i genitori e il tutore, sono liberati da tale responsabilità soltanto se “provano di non aver potuto impedire il fatto”.
    Al tempo della stesura il legislatore, riferendosi ai precettori, non aveva di certo in mente le moderne figure di educatori, come quelle impegnate in centri di rieducazione, istituti per minori, case famiglie o altri servizi, previsti dall’attuale sistema di assistenza a bambini e giovani in difficoltà.
    Il precettore era il soggetto deputato all’educazione dei rampolli delle famiglie aristocratiche che ponendosi come ideale continuatore degli obblighi di educazione e vigilanza spettanti ai genitori, era loro equiparato sotto il profilo della responsabilità.
    Con il mutare dei tempi e con il passaggio delle funzioni di insegnamento alle istituzioni scolastiche, i profili di responsabilità del precettore si sono affrancati da quelli dei genitori e attualmente è pacifica la distinzione di ruolo e funzioni.
    Pertanto i precettori rispondono dell’illecito commesso dagli allievi limitatamente al periodo in cui sono sotto la loro vigilanza e di conseguenza la loro responsabilità si fonda sull’omessa vigilanza e, dunque, non investe l’intero sistema educativo, come al contrario accade per i genitori.
    Tale differenziazione, come vedremo successivamente, presenta notevoli conseguenze in relazione al contenuto della prova liberatoria.
    Il termine precettore ricomprende “tutti quei soggetti che istituzionalmente svolgono funzioni di socializzazione del minore”.
    In tal modo si è riconosciuta la qualità di precettore a qualsiasi tipo di insegnante, indipendentemente dalla natura pubblica o privata, del rapporto che lo lega al discente, nonché dall’oggetto e dalla forma di insegnamento impartito; allo stesso modo la funzione di precettore si ritiene estensibile ai soggetti che svolgono qualsiasi funzione di carattere educativo nei confronti dei minori e ad ogni adulto che eserciti funzioni di vigilanza accessorie all’attività d’insegnamento.
    Si è, così, riconosciuta la qualità di precettore agli istruttori sportivi, agli istruttori di guida, agli organizzatori di una settimana bianca, agli assistenti di colonie per il soggiorno estivo dei minori, agli addetti della vigilanza negli istituti di osservazione inquadrati nei centri di rieducazione per i minorenni, al personale non docente in relazione ai minori usciti dalla classe con l’autorizzazione dell’insegnante.
    Si esclude, invece, che la qualifica di precettore spetti al direttore didattico o al preside dell’istituto scolastico in quanto svolge attività meramente amministrativa di organizzazione e di controllo dei maestri.
    Se tra gli specifici doveri del dirigente scolastico non rientrano quelli di vigilanza sugli alunni, egli, però, è tenuto a garantire la sicurezza della scuola attraverso l'eliminazione di qualsiasi fonte di rischio, adottando al riguardo tutti quei provvedimenti organizzativi di sua competenza o, se necessario, sollecitando l'intervento di coloro sui quali i medesimi incombano.
    Pertanto vi sarà responsabilità del dirigente scolastico nei casi in cui il danno risulti dipendente da carenze organizzative a lui imputabili, e cioè quando non abbia eliminato le fonti di pericolo, non abbia provveduto alla necessaria regolamentazione dell'ordinato afflusso o deflusso degli studenti in ingresso ed in uscita dalla scuola, non abbia provveduto a disciplinare l'avvicendamento degli insegnanti nelle classi o il controllo degli studenti durante gli intervalli e nel periodo di mensa e così via; Risponderà ex art. 2051 c.c., ove non abbia sufficientemente custodito cose ed attrezzature a lui affidate che possano cagionare danno al personale che opera nella scuola, agli alunni e ai terzi che frequentano per varie ragioni i locali scolastici.
    Si precisa, infine, che il periodo di vigilanza non si limita a quello durante il quale si svolgono le lezioni ma si estende anche alla ricreazione, alle gite scolastiche, alle ore di svago trascorse nei locali scolastici o di pertinenza della scuola fino al momento della presa in consegna da parte dei genitori.

    La prova liberatoria

    Nel paragrafo precedente si è accennato che la differenziazione dei ruoli tra genitori e precettori presenta notevoli conseguenze in relazione al contenuto della loro responsabilità per gli illeciti commessi dal minore.
    Infatti, mentre il precettore risponde solo per culpa in vigilando nel tempo in cui i minori sono sotto la sua vigilanza[6] in capo ai genitori, oltre a questa, sussiste un ulteriore criterio di imputazione che si concretizza nel non avergli impartito un’educazione idonea ad evitare il verificarsi di tale atto, la c.d. culpa in educando.
    Viene da sé la marcata differenza tra la responsabilità dei genitori (o del tutore) di cui al primo comma dell’art. 2048 c.c., e quella dei soggetti, precettori e maestri d’arte, di cui al secondo comma dello stesso articolo, dato che per i secondi soltanto è data la più semplice prova dell’adempimento dell’obbligo di sorveglianza, mentre per i primi incombe anche quella diabolica di aver ben educato.

    La prova liberatoria dei genitori
    Per i genitori, quindi, non basta la dimostrazione di non aver potuto materialmente impedire (per lontananza od altro) il fatto illecito del figlio, ma occorre la prova di aver svolto nei riguardi dello stesso una vigilanza adeguata e di avergli impartito una buona educazione che non può limitarsi ad aver iscritto il figlio alla scuola dell’obbligo, poiché il dovere di educare e istruire i figli va inteso in senso ampio fino ad abbracciare l’intera personalità del minore in formazione.
    In tal modo si rende sostanzialmente sempre responsabile il genitore e ciò contraddistingue il sistema italiano rispetto al francese, belga, tedesco e inglese, i quali non conoscono una prova così rigorosa per i genitori ai quali viene così attribuita una funzione garantista nei confronti dei terzi al fine di essere tutelati dai danni provenienti da persone, quali i minori, che normalmente sono prive di beni propri.
     
    La prova liberatoria dei precettori
    Anche con riferimento alla prova liberatoria dei precettori emerge chiaramente che essa non si esaurisce nella dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto, come previsto testualmente dalla norma, ma si estende alla dimostrazione di aver adottato in via preventiva, tutte le misure organizzative e di vigilanza idonee ad evitarlo.
    Dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, si deduce, infatti, che la responsabilità viene meno solo allorché il docente o la scuola dimostrano che non hanno potuto impedire il fatto, pur avendo esercitato sugli alunni la vigilanza nella misura dovuta e, nonostante ciò, l’evento dannoso, per la sua repentinità ed imprevedibilità, abbia impedito un tempestivo ed efficace intervento.[7]
    La misura della vigilanza dovuta, è comune opinione, che vada commisurata a tutte le circostanze del caso concreto e deve trovarsi in rapporto inversamente proporzionale al grado di maturità degli alunni.
    La prevedibilità dell’evento dannoso, invece, è legata sia alla ripetitività, sia alla ricorrenza statistica di alcune circostanze di fatto sia, infine, al particolare ambiente in cui si opera, in ordine al quale gli eventi dannosi risultano anche prevenibili.
    Pertanto il grado di sorveglianza, oltre ad essere correlato all’età dei discenti è anche correlato alla prevedibilità di quanto può verificarsi, per cui se mancano anche le più elementari misure organizzative atte a mantenere l’ordine e la disciplina, non è dato invocare l’imprevedibilità del fatto dannoso, che invece esonera da responsabilità, laddove, nonostante la sussistenza di una condotta adeguata alle circostanze, non sia stato possibile evitare l’evento.
    Infine ove l’insegnante fosse stato assente al momento dell’evento lesivo, potrà dimostrare che, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, l’attività svolta dai discenti non comportava alcun pericolo e che, anche se presente, non avrebbe comunque potuto impedire il fatto (in ogni caso, tale dimostrazione non sarebbe sufficiente ai fini dell’esonero da responsabilità, ove l’assenza fosse ingiustificata[8] e l’insegnante non si fosse premurato di farsi sostituire).

    La responsabilità civile dell’educatore

    Il sottile confine delle responsabilità: tra educazione e custodia
    Come anzidetto per analizzare la responsabilità civile dell’educatore bisogna muovere dal binario formale della responsabilità dei genitori e dei precettori.
    È un dato certo, infatti, che gli educatori, il più delle volte, si affiancano alla figura dei genitori, senza prenderne interamente il posto.
    Sul punto si ritiene che occorre tener presenti diversi criteri.
    Il primo riguarda la capacità che è legata all’età, all’educazione precedente, al grado di autonomia e all’acquisizione di comportamenti positivi.
    Ne discende che un bambino deve essere guardato a vista, non deve essere lasciato solo e deve essere protetto da eventuali pericoli che possono essere fonte di danno, mentre un adolescente può godere di una libertà maggiore adeguata ovviamente al grado di maturità raggiunto (un educatore non può essere ritenuto responsabile per non aver trattenuto un adolescente che si sia allontanato, salvo il suo dovere di avvertire immediatamente la pubblica autorità ex art. 716, comma secondo, c.p., o per non averlo controllato fisicamente nelle ore in cui egli è fuori dalla comunità).
    Un secondo aspetto che viene in rilievo per quanto riguarda la responsabilità degli educatori è dato dal fatto che essa va considerata in relazione al progetto istituzionale della comunità o dell’opera, ai suoi obiettivi e al suo modo di strutturarsi e agire, che può variare da ente ad ente (è importante che ogni comunità si doti di strumenti normativi dai quali emerga in modo inequivoco l’insieme delle regole, degli obiettivi e delle scelte educative, utili per verificare se possa ravvisarsi una responsabilità della comunità o dei suoi operatori per le condotte dannose del ragazzo ospitato).
    Occorre verificare, in alcune situazioni se per ogni ragazzo esiste anche un progetto educativo individuale, elaborato sulla sua persona e che risponda ai suoi bisogni educativi.
    È indispensabile, comunque che ogni progetto sia redatto in forma scritta e sempre aggiornato poiché rappresenta un valido strumento di confronto per parametrare la responsabilità.
    Altri aspetti da prendere in considerazione sono il momento di ingresso e la durata della permanenza del ragazzo in comunità o presso l’opera: l’educatore, l’operatore o l’insegnante non possono rispondere a delle condotte che siano attribuibili ad un disagio familiare e sociale precedente, sul quale non si è potuto intervenire a sufficienza.
    In considerazione di quanto premesso occorre pertanto distinguere, quando si verifica una vicenda che richiama profili di responsabilità civile, se il fatto illecito è commesso da un minore capace oppure no di intendere e di volere (com’è il caso di minori piccoli o con problemi mentali particolarmente gravi).
    In questo secondo caso, infatti, non vi è dubbio che si applichi all’educatore la norma sulla responsabilità dei sorveglianti ex art. 2047 c.c. e pertanto, in caso di danno del minore incapace verso un terzo risponderà esclusivamente il sorvegliante, salvo che dimostri di non aver potuto impedire il fatto attraverso la prova di aver adeguatamente vigilato e di non essere potuto intervenire tempestivamente ed efficacemente poiché l’evento dannoso è a lui non imputabile, in quanto si è verificato per caso fortuito o forza maggiore.[9]
    Nel caso in cui invece il minore è capace di intendere e volere, ferma restando sempre la responsabilità personale del minore per i danni che produce a terzi occorre valutare caso per caso.
    Nella prima ipotesi risponderebbe ai sensi dell’art. 2048, primo comma, c.c., similmente ai genitori, nella seconda invece si discute se sia più ragionevole assimilarlo ai genitori oppure ai “precettori”, vale a dire agli insegnanti.[10]
    Dall’analisi compiuta emerge chiaramente la necessità di costruire una regola sulla prova liberatoria dell’educatore, come da più parti auspicato, che dia alla formula legislativa non aver potuto impedire il fatto un contenuto misurato sul suo peculiare ruolo, su i suoi poteri e doveri, sull’effettiva possibilità che egli ha di indirizzare la vita e i comportamenti del minore.
    Pertanto diventa essenziale il progetto educativo, quando è necessario, in modo da mettere in comune tutti gli aspetti dell’attività educativa svolta a tutela del minore in difficoltà dagli enti locali ai loro servizi sociali, dalle comunità e dai loro operatori.
    Nel caso in cui il progetto educativo non è necessario o non previsto occorre valutare caso per caso tenendo contro che ogni educatore, operatore, insegnante, pur consapevole degli obblighi giuridici che derivano dal suo ruolo adempie al suo compito se consente al giovane la possibilità di svolgere attività autonome e di svago, di socializzazione e di sport in linea con la peculiare personalità e non può essere ritenuto responsabile per i danni, che nell’esercizio di tale attività, il minore possa arrecare a terzi (salvo ovviamente, non abbia agito diligentemente nei termini che abbiamo indicato e che, nel presente dossier sono definiti al solo scopo informativo il cui approfondimento richiede l’ausilio di consulenti esperti).


    NOTE

    [1] Per un inquadramento sul tema Cfr. A. Ferrante, La responsabilità civile dell’insegnante, del genitore e del tutore, Giuffrè, Milano 2008.
    [2] Si riporta per utilità il testo delle norme: art. 2047, primo comma c.c.:
    "In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimentoè dovuto da chi e' tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto;
    art. 2048 c.c.:
    “Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”
    [3] Cfr. R. Campione, Il fatto dannoso del minore incapace, in M. Sesta (a cura di), La responsabilità nelle relazioni familiari, Utet, Torino 2008, p. 598.
    [4] Cfr. Ex multis, Cass., 3.03.1995, n. 2463, in Mass. giur. it., (1995).
    [5] Così M. Paradiso, La comunità familiare, Giuffrè, Milano 1984, p. 315: “Compete ai genitori, infatti, un preciso dovere di assistenza morale e sorveglianza di beni fondamentali che può richiedere anche l’esercizio di poteri autoritativi, cui corrisponde una posizione di soggezione, se si vuole di obbedienza del figlio. Pertanto (…) sembra più corretto ricostruire i termini della relazione tra il momento educativo e la potestà non deducendo il primo da questa quanto ritenendo che le potestà dei genitori siano uno degli aspetti e modi in cui si realizza il diritto - dovere di educare”. La correttezza dell’impostazione emerge del resto in termini generali già nell’art. 30 Cost., dove alla garanzia della privatezza del rapporto educativo - e così del diritto (dei soli) genitori ad allevare i figli - si affianca la preoccupazione di circoscrivere tale diritto nei termini di un vero e proprio dovere in funzione dell’interesse dei figli.
    [6] Lo ha stabilito con vigore la Cassazione il 6.02.1970, n. 263, in Foro it., I (1970), p. 2163, precisando che l’obbligo di vigilanza sugli allievi incomincia in cui questi entrano nei locali della scuola, o in quelli pertinenziali, e cessa al momento dell’uscita terminate le lezioni.
    [7] Cfr. Cass., 3.06.1993, n. 4945; Cfr., anche Cass., 23.07.2003, n. 11453, in Dir. e giust., (2003), p. 107, secondo la quale, in caso di caduta di un alunno di una scuola materna statale avvenuta accidentalmente nel corso di un gioco non presentante elementi di pericolo non é configurabile la responsabilità diretta dell’insegnante per il fatto illecito del minore che subisce il danno, qualora non risulti accertato né il concorso di colpa del minore né la responsabilità concorrente od esclusiva di altro minore.
    [8] Cfr. Cass., 20.09.1979, n. 1961, in Resp. civ. e prev., (1980), p. 534, che ha escluso la responsabilità dell’insegnante che si era allontanato dalla classe per adempiere ad un proprio dovere ed ha statuito invece la responsabilità della direzione didattica a causa delle carenze attinenti all’organizzazione del servizio scolastico.
    [9] Cfr. Cass., 10.03.1980, n. 1601, in Foro it., I (1980), p. 2526.
    [10] Cfr. Uneba, Caritas Ambrosiana, Cnca (a cura di), La responsabilità giuridica degli operatori educativi nelle comunità e nei servizi per i minori, p. 181.


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