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    Chiesa nel mondo


    Per una incarnazione nella storia della missione di Gesù

    Rosangela Siboldi

    (NPG 2020-05-28)


    La realtà della presenza salvifica di Dio nella storia: annuncio kerigmatico

    Col termine Vangelo, la Chiesa non intende solo testimoniare una “buona notizia”. Il Vangelo «è discorso non solo informativo, ma operativo, non è solo comunicazione, ma azione, forza efficace, che entra nel mondo salvandolo e trasformandolo».[1] È il grande annuncio del Dio vivente che assicura la vicinanza del suo Regno (cf Mc 1,14-15): l’incarnazione di Cristo, «culminante nel mistero pasquale e nel dono dello Spirito, costituisce il cuore pulsante del tempo, l’ora misteriosa in cui il Regno di Dio si è fatto vicino».[2] Gesù di Nazaret è il Vangelo in persona, la Parola di Dio divenuta “Parola fatta carne” (cf Eb 1,2-3). Lui stesso, nel suo modo di parlare del “Regno di Dio”, «conduce gli uomini all’enormità del fatto che in Lui è presente Dio stesso in mezzo agli uomini, che Egli è la presenza di Dio».[3]
    L’evangelista Giovanni inneggia all’opera di Dio nell’universo (cf Gv 1,1-18), dalla creazione fino alla volontà di entrare lui stesso nel mondo: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Nel mistero dell’Incarnazione, il Verbo che era Dio, era presso Dio e nessuno ha mai visto, prende volto e parola (cf Gv 1,1.18) entrando nel tempo e rendendosi visibile, udibile, palpabile (cf 1Gv 1,1-2). L’avvenimento apre alla contemplazione della storia come storia della salvezza, nella quale il tempo cairologico è l’evento Cristo, vita e luce per tutta l’umanità (cf Gv 1,4).
    Nella sua vita Gesù rivela in parole e opere che egli è “la vita” (cf Gv 11,25) e “la luce del mondo” (Gv 8,12), il narratore di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio […] perché il mondo si salvi per mezzo di Lui» (Gv 3, 16-17). Si è reso partecipe della convivenza umana: «Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo»;[4] ed è stato profondamente solidale nella condivisione dell’esperienza umana. Si presenta come il Buon pastore, venuto perché tutti «abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10), mediante il suo amore radicale e universale (cf Gv 10,14-16). Come «Pastore grande» (Eb 13, 20), ha offerto il suo sangue per un’alleanza eterna, in una kenosi assunta per solidarietà con gli uomini (cf Fil 2, 6-11) e piena condivisione del progetto salvifico del Padre: «Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10,17).
    Gesù non solo manifesta in se stesso la presenza operante di Dio nella storia, egli narra che Dio non sta in ozio: «Il Padre mio opera sempre e anch'io opero» (Gv 5, 17); e che la comunione col Padre è foriera di sinergia salvifica: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita» (Gv 5, 19-21).
    Per Gesù ciò che conta è l’amore per gli altri. Insegna a farsi prossimo (cf Lc 10,29-37) fino ad amare anche i nemici (cf Mt 5,44; Lc 6,27.35). Indica il grande e inscindibile comandamento «amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente (cf Lc 10,27)» e «ama il prossimo tuo come te stesso (Lc 10,27)» come espressione della risposta d’amore a Dio e regola d’oro del rapporto con gli altri; esso è condizione per far parte del Regno di Dio (Mc 12,28-34) e regola di azione per avere la vita: «Fa’ questo e vivrai» (Lc 18,28).
    Nel Discorso della montagna mostra come si fa ad essere uomini e a rendere la vita giusta: vivere in relazione con Dio, il quale non è lontano perché, nella persona del suo Figlio, mostra il suo volto, il suo agire, i suoi pensieri e la sua volontà. In particolare, nel suo testamento consegna il “nuovo comandamento dell’amore” come segno davvero credibile, eloquente ed efficace nell’annunciare al mondo la venuta del Regno di Dio: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35).

    La Chiesa sacramento di salvezza: una continua storia d’amore

    Il comandamento dell’amore «diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere comandato perché prima è donato».[5] La gioia del Vangelo spinge la Chiesa - animata dallo Spirito del Risorto - a percorre le strade del mondo animata della certezza di essere discepola al servizio del Regno, «come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».[6] Si riconosce dilatazione della presenza di Cristo risorto e chiamata ad avere «gli stessi sentimenti di Gesù» (Fil 2,5) aprendosi a ciò che è genuinamente umano.
    È una storia d’amore che continua. Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani, afferma: «La vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno»; infatti «la salvezza che Dio ci dona è un invito a far parte di una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie; che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi siamo».[7] Gesù stesso ha affermato: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12).
    La Chiesa confessa l’«intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice».[8] Infatti, comprende la fede «come una pratica, ossia come una forma di abitare il mondo»;[9] come luce che trasforma la persona aprendola all’amore e donandole occhi nuovi per vedere la realtà e trasformarla. Da questa conversione cresce nel mondo il Regno di Dio, in modo spesso discreto ma efficace, come il lievito nascosto nella pasta (cf Lc 13,21). Il Regno si compie sotto il segno della misericordia, grazie a coloro che – vivendo le beatitudini evangeliche - sono sale della terra e luce del mondo (cf Mt 5, 13-16), e riconoscono nella proposta del Vangelo il progetto di Gesù di instaurare il Regno del Padre suo (cf Lc 4,43) affinché la vita sociale sia «uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti».[10] Infatti, Gesù rivela che «nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40)».[11] Si identifica con i più piccoli (cf Mt 25,40), ha un amore preferenziale per chi è bisognoso, fragile, “senza voce”, scartato ed egli stesso si è fatto povero (cf 2 Cor 8,9).
    La Chiesa che vive e agisce nel mondo crede «di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia».[12] Con ogni azione si qualifica nel generare storia realizzando la sua maternità con l’ascolto del grido del povero e con gesti concreti e profetici di accoglienza e di compassione effettiva che non sono «eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro».[13] Si sente anche interpellata a porsi in umile ascolto per «discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta».[14]

    Costruire la civiltà dell’amore: il coraggio della cultura dell’incontro

    La Chiesa si sente interpellata a coltivare il seme della civiltà dell’amore, posto da Dio in ogni popolo e in ogni cultura, e a riaffermare questo impegno prioritario con sempre nuova consapevolezza e energia.[15] Papa Francesco orienta alla «rivoluzione della tenerezza», cioè «a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo».[16]
    Alcuni eventi ecclesiali rilanciano l’invito a «vivere la fraternità, non come utopia ma come possibilità reale»,[17] interpellando soprattutto i giovani a sognare una nuova umanità e a desiderare di esserne il fermento sapendo che la scelta di divenire costruttori della civiltà dell’amore implica condividere la “mentalità” di Dio espressa nelle beatitudini, «il proclama di una nuova civiltà dell’amore»,[18] e richiede «tempre forti e perseveranti, disposte al sacrificio e desiderose di aprire nuove strade alla convivenza sociale, superando divisioni e opposti materialismi».[19]
    Assumere questo compito è fare un’opzione fondamentale. Ne consegue l’esercizio della «pratica abituale del bene, verificata nell’esame della coscienza» e la cura per «riconoscere l’opera di Dio nella propria esperienza quotidiana, nelle vicende della storia e delle culture in cui si è inseriti, nella testimonianza di tanti altri uomini e donne che ci hanno preceduto o ci accompagnano con la loro saggezza».[20]
    Inoltre, è necessario formarsi alla buona relazione e alla gratitudine. Papa Francesco indicando la preziosa prassi delle tre parole: "permesso”, “grazie”, “scusa”, ricorda: «Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. […] Un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio».[21]
    Un’altra condizione è quella di educare all’onestà e alla legalità offrendo l’opportunità per formare alla verità e alla trasparenza in un impegno coerente libero da ogni connivenza con una mentalità mondana; e seminare speranza attraverso seri programmi di educazione civica mediati dalle agenzie educative.
    Risulta importante, anche, abilitare ad «andare oltre i gruppi di amici e costruire l’“amicizia sociale”»,[22] fino a curare la dimensione politica della cittadinanza ed esercitare la carità sociale o politica per estendere il Regno di Dio nel mondo. Si tratta di alimentare con coraggio la cultura dell’incontro e di esercitare un ruolo profetico nei confronti della società quando alcuni valori vengono calpestati. Ad esempio, significa denunciare la cultura dello scarto e l’ansia di accumulare denaro, la distruzione del creato, lo sperpero delle risorse; implica educare i giovani a «non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi e come se non avessero la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano»;[23] comporta il prendersi cura della casa comune assumendo una mentalità di conversione ecologica globale che spinge a riflettere su possibili percorsi formativi di ecologia ambientale, umana e sociale.
    Una fede impegnata a costruire la civiltà dell’amore può riscoprire nel Sistema preventivo di don Bosco una spiritualità che orienta a divenire “buoni cristiani e onesti cittadini”, persone capaci di promuovere la cultura dell’altro, uno stile di vita sobrio, un atteggiamento di gratuità, la lotta per la giustizia e la dignità di ogni vita umana; una spiritualità che interpella ad essere «appassionati del bene, carismaticamente presenti dove si prendono le decisioni sul futuro».[24]

    NOTE 

    [1] Ratzinger Joseph - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli 2007, 70.
    [2] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica: Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, Città del Vaticano, LEV 2001, 5.
    [3] Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù 72.
    [4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo: Gaudium et spes (GS), 7 dicembre 1965, n. 22, in Enchiridion Vaticanum (EV)/1, Bologna, Dehoniane 197911, 1386.
    [5] Benedetto XVI, Lettera enciclica: Deus caritas est, 25 dicembre 2005, Città del Vaticano, LEV 2006, 4.
    [6] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa: Lumen Gentium (LG), 21 novembre 1964, n. 1, in EV/1, 284.
    [7] Papa Francesco, Esortazione apostolica post sinodale: Christus vivit (ChV), 25 aprile 2019, Città del Vaticano, LEV 2019, 252.
    [8] Id., Esortazione apostolica: Evangelii Gaudium (EG), 24 novembre 2013, Città del Vaticano, LEV 2013, 178.
    [9] Sinodo dei Vescovi - XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento finale (DF), 27 ottobre 2018, Città del Vaticano, LEV 2018, 133.
    [10] EG 180.
    [11] Ivi 179.
    [12] GS 40.
    [13] EG 199.
    [14] GS 44.
    [15] Cf Benedetto XVI, Lettera enciclica: Caritas in veritate, 29 giugno 2009, Città del Vaticano, LEV 2009, 33.
    [16] EG 88.
    [17] Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della XII Giornata Mondiale della Gioventù, 15 agosto 1996, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX/2, Città del Vaticano, LEV 1998, 186.
    [18] Paolo VI, Omelia, 29 gennaio 1978, in Insegnamenti di Paolo VI, XVI, Città del Vaticano, LEV 1979, 82.
    [19] Giovanni Paolo II, Messaggio per la II Giornata Mondiale della Gioventù, 30 novembre 1986, in Insegnamenti, IX/2, Città del Vaticano, LEV 1986, 1821-1822.
    [20] DF 108.
    [21] Papa Francesco, Udienza generale: La famiglia – 14. Le tre parole, 13 maggio 2015, in http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150513_udienza-generale.html (4-5-2020).
    [22] ChV 169.
    [23] EG 94.
    [24] Fernández Artime Ángel, “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra” (Mt 6,10). “Buoni cristiani e onesti cittadini!”. Strenna 2020, Roma, Tipografia Istituto Salesiano Pio XI 2020, 33.


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