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    Chiara Badano: un raggio di luce nel buio della malattia


    Santi giovani e giovinezza di santi /5

    Marcello Scarpa

    (NPG 2020-01-65)


    Una vita breve ma intensa, nascosta tra le pieghe ordinarie di un piccolo paese dell’Appenino ligure, eppure così straordinaria da raggiungere gli onori della cronaca e degli altari. Parliamo della giovane Chiara Badano, chiamata Chiara Luce per il volto luminoso, lo sguardo limpido, il sorriso radioso.[1] Parliamo però anche di santità, un mistero che non si può comprendere con la sola ragione, ma nel quale bisogna entrare fidandosi, come ci ricorda papa Francesco, dell’amicizia di Gesù: «La santità trova la sua fonte inesauribile nel Padre, che attraverso il suo Spirito ci invia Gesù, “il santo di Dio” (Mc 1,24) venuto in mezzo a noi per renderci santi attraverso l’amicizia con Lui, che porta gioia e pace nella nostra vita».[2] La santità non è un ideale astratto di perfezione da conquistare, ma un dono che matura a contatto con la vita di Gesù che ci perfeziona nella carità.

    Cristiani non si nasce ma si diventa, diceva Tertulliano,[3] e ciò vale anche per la santità. Chiara non è nata santa, ma lo è diventata giorno dopo giorno, attraverso un percorso quotidiano fatto di scelte, conquiste, progressiva consapevolezza della necessità di vivere pienamente e fino in fondo la sua vocazione cristiana[4]. La sua fama di santità si è diffusa rapidamente dopo la morte, ma aveva già colpito i cuori di quanti le erano stati vicini nella dolorosa malattia e, ancora oggi, continua ad interrogare quanti vengono a contatto con la sua storia.

    Una vita normale

    Chiara nasce a Sassello, in provincia di Savona, il 29 ottobre 1971, dopo undici anni di attesa dei suoi genitori Fausto e Maria Teresa. È figlia unica, amata, ma non viziata; riceve in famiglia una solida educazione cristiana, basata più sul buon esempio e l’amore che sui divieti o i rimproveri. Chiara è una ragazza come tante altre della sua età: ha un carattere allegro e generoso, dolce ma al tempo stesso deciso e determinato.[5] Una vera sportiva: faceva pattinaggio e giocava a tennis; amava la montagna, ma era al mare che la sua giovinezza “esplodeva” tra tuffi e lunghe nuotate. A Sassello ha tanti amici con cui spesso si incontra al bar, luogo di ritrovo giovanile. Socievole, riesce a conquistarsi la fiducia di molti che le confidano dubbi e difficoltà, trovando in lei sensibilità, capacità d’ascolto e una profondità davvero insolita per un’adolescente.
    Chiara è una ragazza normale, eppure diversa, perché non ha paura di ascoltare il cuore: è attenta e disponibile con chi ha bisogno d’aiuto, dalla compagna di classe ammalata, ai nonni da assistere, da chi nel paese vive emarginato, ai clochard che incontra per strada tornando da scuola. Gli atti del processo di beatificazione raccolgono moltissime di queste testimonianze vissute con spontaneità e semplicità,[6] senza alcuna ombra di protagonismo o sdolcinatezza. La vita di Chiara è costellata di tutte quelle situazioni comuni ad ogni giovane della sua età: gioie e difficoltà, sogni e travagli, compresa la delusione per un amore sfiorito ancora prima di sbocciare sul serio. Tra le varie sofferenze, il trasferimento dalla sua amata Sassello a Savona, per frequentare il liceo classico e la bocciatura, in quarta ginnasio, giudicata da molti immeritata perché scaturita dalle incomprensioni con una professoressa.

    L’amicizia con Gesù

    Non è possibile comprendere come Chiara abbia potuto farsi santa in un letto d’ospedale senza fare riferimento alla sua esperienza d’amicizia con Gesù. Da bambina scoprì il Vangelo attraverso i racconti dei genitori; quando il parroco gliene regalò una copia per la Prima Comunione imparò a gustarne le Parole. Scoprì come viverle e metterle in pratica grazie all’incontro con alcune giovani ragazze del Movimento dei Focolari.[7]
    Chiara intuì che la Parola di Dio non va solo “capita” razionalmente, con la testa, né solo “sentita” emotivamente, con il cuore, ma va anche messa in pratica con le braccia, con le opere di carità. Con la tipica generosità giovanile si buttò ad amare ogni prossimo che incontrava sul cammino. Aveva capito che il Vangelo bisogna viverlo concretamente: «Ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova luce. Ho capito che non ero una cristiana autentica perché non lo vivevo sino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo della vita. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve esserlo anche vivere il Vangelo».[8]
    Chiara apriva il cuore donandosi nella carità e lo Spirito Santo trovava spazio per entrarvi e abitarlo con i Suoi doni: pace, serenità, gioia. L’eucarestia quotidiana, poi, sostanziava le sue scelte nutrendola e irrobustendola nella fede in Gesù, suo amico dell’anima a cui raccontava confidenzialmente tutti gli episodi della sua vita.

    Anche nella sofferenza si può amare

    La vita non è fatta solo d’incontri con il prossimo perché Chiara, come capita a tutti nella vita, incontrò anche la sofferenza, che si mostrò all’improvviso nell’estate del 1988. Durante una partita a tennis con degli amici avvertì un dolore alla spalla così forte che lasciò cadere a terra la racchetta. I medici pensarono ad una costola rotta e le prescrissero una cura, ma il dolore non passava. Iniziò così un calvario fatto di attese ambulatoriali, visite mediche, esami ospedalieri, fino alla diagnosi finale che non lasciava scampo: tumore osseo, per la precisone sarcoma osteogenico con metastasi. Rientrando a casa Chiara si butta sul letto, chiedendo alla mamma di non parlare. Dopo venticinque minuti di combattimento interiore, ripreso il sorriso di sempre, le disse solo tre parole: «Ora, puoi parlare».[9] Chiara ha impiegato venticinque minuti a dire il suo sì, rinnovandolo poi ogni giorno, senza più voltarsi indietro.
    Chiara, che sin da bambina si sforzava di amare ogni prossimo, capì che anche la sofferenza può essere amata. Attenzione: le sofferenze non vanno ricercate, perché il cristiano ama la vita e non è un masochista, ma possono senz’altro essere valorizzate, unendole alle sofferenze di Gesù. In tal modo diventano, misteriosamente ma realmente, uno strumento di salvezza «da offrire per tutte le speranze e i dolori del mondo».[10] Grazie alla spiritualità del movimento dei Focolari, Chiara aveva scoperto che Gesù sulla croce, nel momento in cui nella sua umanità aveva sperimentato il buio della lontananza dal Padre gridando: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” (Mt 26,46) realizzava la salvezza per tutto il genere umano.[11] Ciò che fa male, vale se messo nel cuore di Gesù perché in Gesù, morto e risorto per noi, anche la morte diventa vita, anzi vita eterna: «Ho riscoperto questa frase che dice: “Date e vi sarà dato”: devo imparare ad avere più fiducia in Gesù, a credere al suo immenso amore. […] infatti da circa una settimana ho la febbre molto alta e ciò, essendo già debole, mi debilita molto, ma sono totalmente occasioni d’amore che ho per essere ancora più radicata in Dio».[12]
    Poco alla volta Chiara aveva imparato a “stare al gioco di Dio”, comprendendo che ogni suo buio di dolore poteva diventare luce per altri. Sull’altare del suo letto s’immolava per i giovani: «Vi offro il mio nulla affinché lo Spirito Santo elargisca su questi giovani tutti i suoi doni di amore, di luce e di pace, affinché tutti comprendano quale dono gratuito e immenso sia la vita e quanto sia importante viverla ogni attimo nella pienezza di Dio. Nel mio stare il vostro andare».[13] Chiara cercava di trasformare ogni dolore in amore, arrivando a rifiutare, nella fase terminale della sua malattia, anche la morfina perché le avrebbe annebbiata la volontà, togliendole l’occasione di convertire ogni sofferenza del corpo in canto dell’anima per sé e per tutte le persone cui generosamente offriva la sua giovane vita.

    La santità è per tutti?

    Chiara muore all’alba del 7 ottobre 1990. Dichiarata “Venerabile” il 3 luglio 2008, è stata beatificata il 25 settembre 2010. Dopo la sua morte, migliaia di giovani continuano ad andare a Sassello per visitare i luoghi dove visse e ora riposa. Che cosa cercano? La vita, che in questa ragazza ha avuto l’ultima parola. Il suo vescovo, mons. Maritano, avviando la causa di beatificazione dichiarò: «Quella di Chiara Luce è una testimonianza significativa soprattutto per i giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare a trovare un orientamento, uno scopo alla vita, aiutare i giovani a superare le loro insicurezze, la loro solitudine, i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte. I discorsi teorici non li conquistano, ci vuole la testimonianza».[14]
    In un mondo che ha smarrito il senso della vita, la ragazza di Sassello indica che la vita ha senso solo donando se stessi. Laddove oggi basta un click per cancellare un’amicizia, Chiara offre una testimonianza di fedeltà all’amicizia con Gesù. In una società narcisistica dove imperano il culto dell’immagine e del benessere, che ha rimosso la sofferenza e ospedalizzato la malattia, che ha spettacolarizzato il dolore nei vari reality show, la nostra giovane suggerisce che «davvero la sofferenza è la benzina del mondo, il carburante essenziale per far girare il motore dell’umanità».[15]
    Chiara non si è chiusa nel suo dolore, ma si è aperta all’amore. Non ha perso tempo a chiedersi il perché della sua malattia, ma ha convertito la domanda in: per chi posso offrire le sofferenze che vivo? Possiamo allora comprendere il motivo per cui migliaia di giovani continuano a visitare i luoghi nativi di Chiara a Sassello: perché sono attratti dall’amore, dal profumo della santità. I giovani hanno bisogno di respirare a pieni polmoni la vita dei santi, di venire a contatto con la vita di altri ragazzi e giovani che hanno percorso la via della santità per poter pensare: «se c’è riuscita lei, vuol dire che possiamo riuscirci anche noi, e ci vogliamo provare»[16]. Davvero, «non si è mai troppo giovani per divenire santi».[17]

    NOTE

    [1] Chiara Badano nel luglio del 1990 scrisse una lettera alla fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich, chiedendole un “nome nuovo”. Dopo una settimana ricevette la risposta: «Grazie della letterina in cui mi dai notizie della tua salute. […] Grazie anche della tua foto. Il tuo viso così luminoso dice il tuo amore per Gesù. […] “Chiara Luce” è il nome che ho pensato per te; ti piace?»: M. Zanzucchi, “Io ho tutto”. I 18 anni di Chiara Luce, Città Nuova, Roma 2001, 43.
    [2] Cfr. Sinodo dei Vescovi – XV Assemblea Generale Ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento Finale, Città del Vaticano (27 ottobre 2018), n. 165.
    [3] Apologeticum, 18, 4.
    [4] Cfr. G. Mattei, Presentazione, in: M. Magrini, Un raggio di luce. Riflessioni sulla spiritualità di Chiara Badano, San Paolo, Milano 2007, 10.
    [5] Per la parte biografica, il riferimento principale è il sito ufficiale della famiglia Badano nelle sue sezioni: l’infanzia, l’adolescenza, la malattia, gli ultimi tempi, cfr. https://www.chiarabadano.org/vita/life/
    [6] Cfr. F. Coriasco, Dai tetti in giù. Chiara Badano raccontata dal basso, Città Nuova, Roma 2010, 21.
    [7] Cfr. F. Coriasco, In viaggio con i Badano. Chiara Luce e la sua famiglia: i segreti di un segreto, Città Nuova, Roma 2012, 33-35.
    [8] M. Magrini, Un raggio di luce, 25.
    [9] M. Zanzucchi, “Io ho tutto”, 33.
    [10] F. Coriasco, In viaggio con i Badano, 44.
    [11] Cfr. C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori, Milano 2001, 131-140.
    [12] M. Magrini, Dalle lettere della Beata Chiara Badano, in: https://www. santiebeati.it/dettaglio/91545 (20 giugno 2019).
    [13] F. Coriasco, Dai tetti in giù, 90.
    [14] Ibidem, 109.
    [15] Idem, In viaggio con i Badano, 53-54.
    [16] Ibidem, 92.
    [17] M. Zanzucchi, “Io ho tutto”, 10.


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