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    Sollevare dalla paura



    Omelia del card. Gualtiero Bassetti

    (NPG 2019-06-35)


    Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Pietro allora gli rispose: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: “Davvero tu sei Figlio di Dio!”.

    Matteo 14,22-33

    Questa sera abbiamo il dono di pregare in un luogo straordinario: la bellezza e la storia sembrano guardarci attraverso gli occhi di decine e decine di figure che raccontano il legame fra Dio e l’uomo. In particolare gli occhi di quel Gesù Pantocratore ci rivelano la mitezza del cuore del Padre. Sono contento di essere qui con voi che rappresentate la cura della Chiesa italiana per i bambini e i ragazzi, gli adolescenti e i giovani.
    Il brano di Matteo potrebbe essere riletto in chiave di pastorale giovanile, una sorta di piccolo “romanzo di formazione”, perché questo forse sono i vangeli: l’ostinato tentativo di Gesù di “tirar grandi” o educare i suoi discepoli. Introdurre nella vita, offrendo la fiducia come lo stile con cui noi possiamo “stare al mondo”. Le cose che Gesù compie sono, innanzitutto, in chiave pedagogica: Gesù sente il compito di preparare i suoi al drammatico “dopo di lui”. C’è un “dopo di lui” per ogni uomo. La fede/fiducia che serve per non sprofondare nelle acque (nella morte, nella depressione, nel senso del fallimento…) è sempre un voler vivere con lui sapendo del “dopo di lui”. Questo episodio racconta già il dopo-Gesù. Qui, il protagonista è Pietro, ma Pietro in nome di tutti i discepoli spaventati, terrorizzati dalla morte del maestro, e l’unica domanda è: come vivere quando lui non c’è o non ci sarà più? Come si fa a vivere se si spezza il legame con la fonte? Come continuare a vivere credendo che davvero il maestro non ci ha abbandonato? Quindi, siamo davanti a un racconto di resurrezione, come spesso accade nei vangeli.
    Se guardiamo ai mosaici intuiamo che il gesto di Gesù con Pietro è lo stesso di Gesù nella discesa agli inferi, è lo stesso di Dio creatore con Adamo. Lo stesso gesto ripetuto perché la resurrezione è sempre una nuova creazione, perché il Ri-sorto è sempre il Ri-nato. Un particolare suggestivo è che Dio-Gesù non prende mai per mano Adamo o Pietro ma “per polso”. È una presa di polso quella del Creatore. I polsi sono allusione ai chiodi della passione e morte?
    Se consideriamo Pietro un giovane, allora potremmo sbilanciarci a dire che questo giovane non cerca alcuna prova di forza o braccio di ferro, nemmeno intende sfidare il maestro o farsi bello di fronte agli amici. Il giovane Pietro non si pone come antagonista: chiede, come farebbe un qualsiasi giovane che si rispetti, il permesso di esercitare la giusta autonomia e libertà. Chiede la possibilità di provare, prendendosi tutto il rischio della libertà. Più che diritto alla libertà, esiste il diritto di rischiare la libertà che (come sappiamo) è il vero dramma della storia. La libertà dell’uomo è qualcosa di sacro anche per Dio. Che fa sempre un passo indietro. La libertà vale più della vita. Costi quel che costi. A costo di sprofondare: Pietro sta affogando…
    Di per sé, Pietro vorrebbe soltanto provare ad essere autonomo e libero “come” il maestro; non cerca l’effetto della spettacolarità, il miracolo. Vorrebbe soltanto provare ad essere grande, a camminare da solo, a sfidare il mondo. Appunto, magari sbagliandosi di grosso. Niente di più autenticamente giovanile: la fede, come la vita, deve rischiare di affacciarsi sull’in-certo… La fede come la vita prevede il dubbio, la domanda. Il dubbio o la domanda (la sana inquietudine della ricerca) non si oppongono alla fede.
    È istruttivo, per come funziona la libertà dell’uomo, che Pietro debba sperimentare la morte e lo sprofondo. Forse nella crescita giovanile c’è una necessità persino di esperienze di morte. A volte bisogna davvero toccare il fondo, anzi lo sprofondo nella vita. L’esperienza del fallimento, che nessuno augura ma che quando accade non è necessariamente maledizione. Le fratture, le ferite forse non sono così negative se vengono trasformate o trasfigurate in trampolino di nuove resurrezioni. Come dice la liturgia dei defunti: la vita non è tolta ma trasformata… La vita è sempre trasformata, mai cancellata. Anzi trasfigurata. Perché anche Pietro salvato dalle acque, come fosse un novello Mosè, alla fine mantiene tracce di questo sprofondo nel suo corpo, sulla carne viva della sua libertà.
    Gesù che cammina sulle acque non rivela semplicemente la signoria del Figlio dell’uomo sugli elementi del caos: quella camminata alle luci del mattino, sul finire della notte dice la sua scelta di stare nella storia con l’obiettivo (all’alba, tempo di resurrezione, come nei racconti delle apparizioni) di scalfire la paura, l’unica potenza in grado di togliere qualsiasi ragione di vita, di inchiodare la libertà, di seppellire ogni spinta a vivere. Non è la dimostrazione di un superuomo o l’esibizione di qualche super potere (non abbiamo forse a che fare con Dio che salva nella debolezza?) ma è quello di educare i suoi amici a vincere la paura che blocca tutto, anche tutti i tentativi di rinascita. E per vincere la paura che immobilizza e intristisce ci vuole il coraggio, una delle forme della fede. Gesù vuole introdurre nella vita i suoi. E per stare nella vita ci vuole sempre fede e coraggio.
    Pietro non cerca il miracolo, desidera capire come camminare nella tempesta.
    L’educazione della fede ha questo di decisivo: vince la paura, la notte, la morte… La fede che salva dalle acque è qualcosa che l’uomo deve trovare dentro di sé. Pietro affonda perché non crede nella fede che ha dentro di sé, nelle ragioni della fiducia che lavorano sempre dentro il cuore dell’uomo a dispetto dell’uomo stesso. Non crede nelle ragioni del vivere che sono più robuste di ogni tempesta. È un tratto importante dello stile di Gesù: questo vuol dire Gesù ogni volta che ripete agli sconfitti “va, la tua fede ti ha salvato!” “Alzati e cammina!”. Gesù c’è per dare coraggio al nostro coraggio, non per sostituirsi a noi. Gesù ha fede nella nostra fede (è la prova nel nostro strano Dio che con ostinazione continua a tenere aperta l’alleanza con gli uomini, è il senso della sua misericordia).
    Non crede al nostro posto, non agisce al nostro posto. Nessuno può vivere la nostra vita, nessuno può vivere la vita al posto di un altro. Nemmeno Dio, nemmeno Gesù vive – né vuole, né può – la vita al nostro posto. Il maestro invita il discepolo a tirar fuori tutto il coraggio che serve per vivere la vita nonostante la vita a volte faccia piangere. D’accordo, non basta, non è tutto. Ma è il principio che ci invita a uscire dal mito dell’uomo che si è fatto da solo. L’esclamazione “Salvami” vuol dire proprio: salvami dalle mie paure, dalle mie immaginazioni, dai miei fantasmi (non è Gesù a essere un fantasma, siamo noi che creiamo fantasmi così come creiamo idoli da servire). Più che dalle acque, Gesù salva Pietro dalle sue paure e dai suoi fantasmi.
    L’obiettivo non è sapere camminare sulle acque, sfidare il mondo, semmai è coltivare quella forza interiore che può garantire la nostra navigazione nel mare in tempesta. Credere che è sempre possibile camminare, perfino sulle acque mosse. A questo serve il legame di Gesù, a questo serve il gesto di tenerezza di Gesù che prende per mano Pietro strappandolo dalle morse della morte e ricreandolo.
    Stiamo rischiando di costruire società in preda alle paure, facciamo degli altri soltanto degli stranieri, li trattiamo come fantasmi che impauriscono. Siamo una società di Ghostbusters, di acchiappafantasmi. Abbiamo sempre bisogno di fantasmi per alimentare i fanatismi, di estranei da eliminare per assicurare le nostre identità. Le paure e i fantasmi fanno chiudere porti, innalzare muri e steccati. La paura toglie fiato a possibili sogni di fraternità, avvelena i pozzi della fiducia nella convivialità. E rende tutti più decisamente individualistici, perché obbliga al ripiego su di sé, alla concentrazione sui propri esclusivi bisogni. Acceca, non fa vedere più il mondo, gli altri… figurarsi gli ultimi, gli scarti…
    Questa sera siamo qui a pregare come Gesù: nessuna avventura nella vita ha la forza di un sapiente decollo se non dentro il grande lavoro della ricerca interiore e dell’intimità con di Dio. Io prego per voi e per il vostro lavoro di educatori, perché in Gesù possiate trovare la forza di sollevare prima voi stessi e poi i giovani che vi sono affidati dalle loro paure e fragilità. E voi pregate per me e per i vescovi della Chiesa italiana.


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