Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Non basterà “celebrare con arte”. Da alcune esperienze, elementi utili per liturgie con i giovani



    Marco Gallo

    (NPG 2019-02-39)


     

    Un tempo opportuno per riflettere su giovani e liturgia

    La fine d’ogni irenismo: sull’azione liturgica è comune discutere (da sempre)

    Fino a quando la riflessione sul rapporto tra giovani e liturgia si svolge su considerazioni generali (certamente più utili degli auspici generici che spesso si leggono sul tema: chi potrebbe dire di non volere forse una “liturgia fresca, autentica e gioiosa[1]”?), non è poi così difficile convenire su grandi questioni di fondo. In merito, persino il Sinodo dei Vescovi recentemente celebrato non è riuscito ad andare oltre una conferma di grandi istanze fondamentali che mettono d’accordo tutti.
    Di tutt’altro tenore sarà l’impresa a cui ora ci accingiamo, provando a rileggere alcune prassi che si sono impegnate a onorare le fondamentali intuizioni attorno alle quali si è ragionato negli articoli precedenti. Nessuna di queste esperienze è esemplare, presentando, nel migliore dei casi, tutta la sua specificità culturale che la rende difficilmente riproducibile, o, in altri casi, addirittura lascia intuire questioni più evidentemente problematiche. Quando si scende su questo terreno dei tentativi concreti, l’accordo altrimenti così facile da creare sulle considerazione generali si smarrisce con molta facilità, accendendo vivacemente gli animi sui limiti di tali pratiche.
    È però proprio su questo terreno di limite che queste suggestioni esemplari rivelano ciò che prima della pratica non era percepibile. In questo sta il contributo insostituibile della narrazione pensosa di tentativi pratici di lavorare sul rapporto tra liturgia e giovani. Le esperienze attuate possono infatti rilanciare la ricerca di una pratica liturgica ancora più adatta, anche grazie ai loro limiti, per il fatto di aver fatto accadere delle azioni liturgiche valutabili. Il lavoro della teologia si rivela così nel suo servizio insostituibile di umile ascolto e rilettura delle pratiche, luogo primo di rivelazione dell’evento cristiano in atto.

    Chi prepara le celebrazioni con i giovani?

    La liturgia è un problema per la pastorale giovanile? O i giovani sono un problema per la pastorale liturgica? Chi deve occuparsi dunque delle azioni pratiche celebrative che coinvolgono giovani cristiani? O, ancora, quali attenzioni devono essere messe in conto perché i riti cristiani riescano a far celebrare anche i giovani?
    Sui riti molto lavora la pastorale giovanile, nelle diocesi e come servizio nazionale, nei movimenti e associazioni, perché più comunemente impegnata nell’organizzazione di eventi anche celebrativi o nella stesura di percorsi formativi che prevedono anche questi momenti rituali. In questo lavoro encomiabile non ci è dato di sapere quale sia il coinvolgimento diretto ed effettivo dei liturgisti. Viceversa, la pastorale liturgica, dove è presente nel mondo occidentale, tenta normalmente di coinvolgere bambini e giovani, attraverso pratiche molto diffuse come l’animazione musicale, il canto, il servizio dei ministranti. Meno comune pare la coscienza che nessuna comunità cristiana possa fare a meno di una pastorale liturgica[2] riflessa e progettata, con delle ministerialità proprie, di cui si è responsabili. In altri contesti culturali, sono spesso le giovani generazioni le più generose e impegnate in questa cura. Non così in Europa. Qui, dove i giovani sono i più performanti nell’uso degli strumenti di comunicazione e relazione, sono ancora principalmente gli adulti, se non gli anziani, ad aver a cuore la formazione liturgica cattolica, l’ambito della fede in cui è più raffinata la comunicazione. Varrebbe la pena di rilevare qui un piccolo paradosso, che può reggersi proprio per il rapporto ancora da investigare in profondità tra liturgia e “quarta rivoluzione[3]”. Nel tempo dove esperienza ed età sono considerate più un handicap che una risorsa nel mondo della comunicazione, tra chi si occupa dei codici comunicativi liturgici il mondo giovanile non si sente chiamato in causa.
    Chi deve dunque prendere l’iniziativa? I cassetti in cui ordiniamo le cose da fare, nella vita poi non importano. Solo l’azione importa, e nell’azione tutto avviene o si smentisce. Per anticipare la nostra ipotesi finale: quando si è lavorato a una liturgia inclusiva, non sono solo i giovani ma sarà tutta la comunità a trovare il suo posto nell’azione liturgica. I momenti celebrativi che i giovani disertano sono comunque una fatica anche per il mondo infantile e degli adulti, se si riferisce ad una migliore ars celebrandi.
    Se c’è invece uno specifico reale nel rapporto tra giovani e liturgia, questo si manifesta piuttosto attorno al tema della relazione tra i giovani occidentali e l’obbedienza, tra loro e il datum in un certo senso non disponibile, in ciò che fa della liturgia più di una espressione del sé o del noi. In questo senso, si addossano alla liturgia delle colpe che essa non può risolvere del tutto e nemmeno le competono, come appunto la debolezza nell’iniziazione rispetto al linguaggio rituale, la fragilità del primo annuncio, una deficitaria educazione al mondo simbolico.

    Breve cronaca di un cantiere mai davvero aperto

    Quanto oggi ci preoccupa non è certo inedito. Ci sembra interessante riferire di un progetto non sviluppato, in una stagione della chiesa italiana in cui cantieri analoghi invece proseguirono. Con lettera datata 17 luglio 1969, la Segreteria di Stato si rivolgeva alla Conferenza Episcopale Italiana per chiedere quali direttive intendesse dare su una questione che stava interessando massicciamente la pratica e la riflessione. Siccome la Costituzione conciliare sulla liturgia demandava alle conferenze episcopali la determinazione di quali strumenti fossero ammissibili nei riti (SC 120), si invitava la CEI a esprimersi rispetto alle cosiddette “Messe dei giovani”, tenendo presente “il rischio di disgustare molti fedeli per accontentarne altri”. Il Papa Paolo VI stesso si era espresso in merito, sempre nel 1969 affermando:

    Ci riferiamo alle Messe dei Giovani, iniziative ottime e da incoraggiare cordialmente, ove siano prive di ispirazione polemica nei confronti di altre Messe, e lontane da novità che snaturino la celebrazione, indebolendola nel rito, nei testi, nelle musiche, e nei canti, nella durata, nell'omelia col pretesto di adattarla alla mentalità moderna[4].

    Pochi giorni prima, il Cardinal Pellegrino, nella ricorrenza della festa di s. Giovanni Bosco, aveva diffuso uno scritto per la diocesi di Torino, nel quale si impegnava come pastore a condividere alcune considerazioni rispetto alla medesima questione. Nello scritto di Pellegrino si può facilmente leggere un atteggiamento positivo nei confronti dell’effervescenza del tempo, un tratto pacato e prudente nel suggerire il riferimento all’Ufficio Liturgico diocesano, ai periti, alla Commissione Liturgica per l’approvazione del nuovo repertorio, per l’elaborazione di riti che siano quasi modello per la pratica di tutti. Il Cardinale raccomandava che queste esperienze non fossero “un espediente per attirare comunque i giovani alla celebrazione eucaristica, bensì come una forma di rispetto … nonché come un impegno comunitario che richiede chiarezza, solidità teologica, immaginazione e continuità”. Se si ammetteva che non c’erano prevenzioni rispetto a repertori e strumenti, si ribadiva che la prima preoccupazione era comunque che “tutta l'assemblea ne percepisca i valori di sincerità e di immediatezza espressiva e possa partecipare senza essere distratta da una mancata preparazione catechistica o da un comportamento divistico degli esecutori o da una rumorosità ingiustificata”.
    In questo spirito di riflessione, esce nel 1970 una importante nota a cura della Commissione episcopale per la liturgia, intitolata La “messa per i giovani”[5]. Si tratta di un testo che a suo modo risente del travaglio del primo post-concilio, ma che, riletto ora, fa percepire perché per i giovani non si sia proceduto a proposte operative chiare, almeno non in modo analogo a quanto è stato comunque sperimentato con l’esperienza de Il Messale dei fanciulli (1975) e il suo Direttorio.
    Il tono chiaramente preoccupato del documento, messo accanto alle parole di Pellegrino, risulta subito difensivo, persino polemico. In un certo senso la riflessione non esce dalla giustapposizione tra presunti linguaggi giovanili e un supposto linguaggio che sarebbe tipico di tutti gli altri. Non manca certo il riconoscimento dei generosi tentativi messi in campo per rispondere ai bisogni di “spontaneità, di vivezza, di autenticità”: “se i giovani desiderano che anche nella celebrazione liturgica sia loro dato di esprimere quello che sentono e quello che sono, vuol dire che considerano la liturgia, e specialmente la messa, come una componente fondamentale della loro vita religiosa” (n.5). Eppure la Commissione sente il dovere di difendere la comunità intera, per la quale la liturgia sempre è celebrata, senza che i giovani sequestrino il rito e i suoi linguaggi. Si intuisce chiaramente il riferimento a significativi abusi evidentemente relativi all’adozione di testi che non sono tratti dal Messale né dal Lezionario, ad omelie tenute non dai celebranti, all’enorme e caotico cantiere della musica e del canto. Per questo si ammette: “Le messe per i giovani sono un problema pastorale” (n.6) e che “una vera pastorale non svilisce la liturgia, col pretesto di adattarla, ma educa a comprenderla, per adattarsi ad essa” (n. 14). Il clima di allora, riletto oggi, appare teso e bloccato su questa giustapposizione e non avrebbe probabilmente permesso l’offerta di strumenti di orientamento più efficaci. Tutto il lavoro che invece portò alla pubblicazione del Direttorio per le messe dei fanciulli (1973) e al Messale dei fanciulli (1975) non trova così eguali in questo ambito delicato. Non mancano voci che proposero di lavorare in analogia al citato Direttorio per i fanciulli. Sarebbe stato in effetti possibile, buono e utile? In occasione del centenario della morte di san Giovanni Bosco, i tempi sembravano maturi per un pronunciamento anche su questo ambito, ma non ci fu seguito. Si scelse prudentemente di non procedere.
    La scelta della prudenza è comunque un’eredità che ci permette oggi una certa libertà rispetto al nostro tema. Proviamo dunque a utilizzarla senza considerare la presenza di giovani alle nostre liturgie come un problema pastorale, ma come voce profetica che chiede educazione a tutta l’assemblea: profetica perché più coraggiosa nel far presente le fatiche e le perplessità; profetica perché in alcune esperienze che selettivamente abbiamo assunto riflette esigenze urgenti per tutti; profetica, infine, perché parla a volte anche con il proprio silenzio della dolorosa diserzione. Procediamo dunque prendendo molto sinteticamente in esame tre esperienze pastorali che hanno cercato di lavorare con criticità nei confronti di nodi problematici relativi al rapporto giovani e liturgia: l’esperienza liturgica a Taizé, le liturgie delle GMG e il lavoro sullo spazio liturgico della nuova Chiesa Maria Madre dei giovani, terminata nel 2013 presso il Sermig di Torino.

    Tre esperienze

    Taizé: ritmo, silenzio, ripetizione, semplicità

    Frère Roger vi giunse in bicicletta, attratto dalle rovine maestose di Cluny, tragico sacramento dell’Europa del tempo. Il vicino piccolo villaggio di Taizé nel 1940, in piena guerra, parve il luogo adatto per iniziare a immaginare praticamente, con una comunità orante di fratelli, un’Europa e una chiesa capaci di vincere le divisioni e le violenze. La nota vicenda, avventurosa e impegnata su numerosissimi fronti culturali e politici, si può rileggere anche rispetto al suo rapporto con la liturgia. La vocazione sin da subito ecumenica della fraternità preparò il linguaggio e le strutture per la tempesta culturale del ’68, che trovò a Taizé uno dei luoghi più esposti per il dialogo con le contestazioni giovanili. Nel 1974 si celebrò un Sinodo dei giovani, con circa 2500 giovani da tutta Europa, preparato in dialogo e confronto molto partecipato per quattro anni, riuniti principalmente durante il cuore liturgico della Settimana santa. Sin dagli inizi di questi eventi che arrivarono a riunire fino a 40.000 giovani per volta, a scandire tutti gli eventi è stato il ritmo della Pasqua settimanale e quotidiano della Liturgia delle Ore.
    La liturgia proposta è pensata sin dall’inizio come un’azione essenziale, centrale e semplice, ma non povera. Lo stesso si può dire dello spazio liturgico spoglio ma mai sciatto, fatto di luci soffuse, lumi, colori, icone e persino di cespugli verdi a far da limite per il coro dei monaci, seduti come un lembo bianco in mezzo agli ospiti variegati. Chi partecipa alla preghiera viene da tradizioni cristiane differenti o, assai di frequente, non ha mai ricevuto una reale iniziazione alla liturgia e all’orazione. Per questo, la scelta di semplificare senza impoverire ha portato al centro la Parola di Dio in alcuni, pochi, elementi scelti. Diremmo una sorta di kerygma evangelico della riconciliazione tra gli uomini, tra le chiese cristiane, tra le nazioni, tra gli uomini e il creato, tra gli uomini e Dio stesso, vero Protagonista invocato in ogni atto. La Parola di Dio è letta e studiata a Taizé, commentata nella lectio divina quotidiana, ma non c’è normalmente omelia durante la liturgia. Nella liturgia, dopo la proclamazione, segue invece un robusto momento di silenzio (otto minuti). La presenza del silenzio è una scelta coraggiosa e caratterizzante la liturgia di Taizé. Che cosa vivono i molti giovani presenti, in questo lungo silenzio di tutta la grande assemblea? Anzitutto questo è preparato da canti, da una comunicazione molto sobria che porta il ritmo a rallentare, i toni a farsi più meditativi. In questo tempo non è il contenuto ad essere al centro, ma la possibilità fiduciosa di interiorità, di preghiera o forse anche di smarrirsi nel silenzio di tutti. Ad essere innegabile è l’esperienza rara di un popolo che tace insieme.
    Chiaro e caratteristico è anche lo schema dell’anno liturgico, semplificato praticamente in settimana che si ripete sempre. Ogni settimana si celebra il triduo pasquale, con la preghiera attorno alla croce il venerdì e il sabato la liturgia della luce pasquale. La Domenica è la giornata pasquale ed eucaristica in senso pieno, anche se la celebrazione della s. Messa non manca per i cattolici gli altri giorni. L’Eucaristia domenicale inizia senza presidenza evidente. I canti radunano l’assemblea orante, che segue lo schema del Messale Romano senza che il celebrante sia davanti. Solo con la proclamazione del Vangelo, chi presiede sale al presbiterio. La preghiera eucaristica è pregata con frequenti risposte in canto dell’assemblea che scandiscono le parti dell’anafora, guidando la preghiera.
    Questa sapiente attenzione al ritmo orante si vive anche nello schema solare quotidiano, offrendo un alternarsi tra attività, preghiera e riposo che trova nello schema antico della Liturgia delle Ore la convocazione che scandisce il giorno. Al mattino prima di ogni attività, a metà giornata e poi la sera, il ritmo raccoglie il valore sacramentale dell’Ufficio liturgico come farsi voce di tutta la Chiesa. Chi ha ricevuto l’iniziazione cristiana nelle nostre comunità parrocchiali mostra di mancare prima di tutto proprio di un rapporto salvato con il tempo. Il giovane occidentale sente l’ansia del tempo accelerato della postmodernità, un tempo senza più alcun profumo[6], perso nella falsa alternativa tra tempo di lavoro e tempo libero[7]. Taizé, come il monachesimo, contesta alla radice ogni coscienza cristiana che non rompa questa falsa polarità: che tempo sarebbe la preghiera altrimenti? All’uomo moderno che sa di aver diritto al tempo libero, come si rivolge l’appello alla liturgia domenicale? Di qui, la resistenza giusta di molti: la domenica è il mio solo giorno di riposo e svago! Ancor più grave sarebbe presentare la liturgia come tempo dell’obbligo (precetto: con quale autorità mi sarebbe comandata?). La liturgia, che scandisce un salutare rapporto tra tempo di lavoro che non travalica e un tempo libero che non si svuota, è quella che sa presentarsi come tempo gratuito, tempo originario, tempo dal quale il lavoro e il riposo traggono il loro significato. Il mattino la comunità credente ringrazia prima di preoccuparsi di produrre. A metà giornata sospende la fatica per poterci tornare dopo aver verificato il cuore e nutrito il corpo. La sera, la fatica incompleta è affidata perché sia salvata dal Signore e non diventi tentazione di sfinimento o disimpegno.
    Una parola soltanto dedichiamo anche allo stile del canto e della musica, dei testi e dei brani musicati dalla comunità negli anni. Il lavoro dei monaci e di compositori che hanno collaborato ha prodotto ritornelli con testi di poche parole, ripetuti ostinatamente diverse volte, in polifonia, con variazioni di strumenti solisti. La sfida della ripetizione rituale che pare tanto imbarazzare i giovani è affrontata senza paura, provando a mostrare che la necessità di varietà può essere coniugata con la profondità aperta dalla ripetizione, dall’interiorizzazione di testi profondi e brevi, kerigmatici dicevamo.
    La liturgia che da Taizé ha raggiunto diverse comunità lavora quindi su alcuni nodi sensibili particolarmente suggestivi per le generazioni giovani. Si sviluppa una proposta forte di ritmo, nella preghiera, nella giornata e nella settimana. Si osa dar spazio a un silenzio forte, preparato, rischioso, corale. La ripetizione è accolta come occasione di approfondimento, nel canto, nei testi, nell’anno liturgico. La semplicità non è confusa con l’improvvisazione o la povertà, ma è frutto di grande lavoro e discernimento su che cosa sia essenziale e che cosa possa invece non esserlo. L’insieme di questi elementi sa lavorare sul piano della partecipazione emotiva alla liturgia, che si fa riconoscibile nello stile, a bassa soglia di iniziazione e quindi inclusiva, persino potente nell’uso dei codici sonoro, cromatico e sentimentale.

    Le GMG: possono milioni di giovani diventare un’assemblea?

    La Giornata Mondiale dei Giovani è un’iniziativa pastorale recentissima e tutto sommato ancora assai difficile da valutare. Lo stesso pontefice che ne ha promosso la nascita, Giovanni Paolo II, non si riconosce come “inventore” dell’evento, se mai come un accompagnatore di ciò che è emerso con grande sorpresa di tutti. Nel 1984, infatti, Anno santo della Redenzione si celebrò il Giubileo delle gioventù a Roma per la Domenica delle Palme. La partecipazione internazionale di giovani alla giornata sorprese gli organizzatori stessi. Così fu la seconda edizione, sempre celebrata a Roma nella Domenica precedente la Pasqua. Da allora, all’iniziativa si diede strutturazione regolare, intercalando un appuntamento in un’unica città del mondo, con uno o due anni celebrati in ogni diocesi. La giornata di Panama del 2019 è la trentaquattresima edizione di un evento che ha radunato diversi milioni di giovani, nei vari continenti.
    In questo grande e impegnativo evento spirituale, culturale e religioso qual è il posto immaginato per la liturgia[8]? Se la pastorale giovanile – almeno in Italia – ha corso e corre il rischio di essere sistematicamente assorbita dall’organizzazione e dai temi di questi eventi, questa domanda diventa ancora più rilevante. Non è mai assente l’attenzione a fare di queste occasioni speciali, degli elementi di un percorso più articolato in preparazione-evento-prosecuzione: dall’episodio isolato, pur prezioso nella sua unicità, si è sempre invitati a scrivere una storia di fedeltà. Eppure la GMG si presta a diventare essa stessa una liturgia attorno alla quale gravitano tempi, azioni, riti e linguaggi. La forma antropologica più simile è quella antica del pellegrinaggio, ma in alcuni suoi momenti essa sconfina in quella post moderna del grande concerto-evento. Entrambe queste pratiche mettono in conto la grande macchina organizzativa (dal basso, a carico di chi raduna e accompagna, o anche dei singoli partecipanti; e dall’alto, con un impegno difficilmente immaginabile dall’esterno), la fatica fisica, il convergere eccezionale di culture e lingue, gli incontri. Nascono così delle ritualità tipiche: la sorprendente ospitalità delle famiglie e delle parrocchie, lo scoprirsi scambiando cibi, oggetti e informazioni personali, i canti quasi da stadio, persino un certo tipo di abbigliamento. Si potrebbe registrare un’efficacia sorprendente nel coinvolgimento di tanti, dei pellegrini ma anche degli abitanti della città “finita sotto assedio”. Non conosciamo eventi organizzati da altre chiese o servizi religiosi, capaci di far convergere giovani così numerosi e presi dalla medesima attività. In questo senso, dal punto di vista emotivo, sia i giovani iniziati nelle parrocchie che gli altri presenti si sentono parte di un rito che sta segnando la loro biografia.
    Questa incontestabile efficacia rituale, come si vive nei momenti più propriamente liturgici che propone? Nel programma, i giorni sono chiaramente scanditi da momenti di liturgia regolare nelle comunità di accoglienza e poi da grandi azioni rituali comuni, che culminano nella grande veglia del sabato sera con il Papa e la Messa la domenica mattina. Le catechesi affidate spesso ai vescovi, nelle parrocchie, sono precedute da momenti di preghiera. I partecipanti sono anche invitati a celebrare il sacramento della Riconciliazione con delle proposte di tracce celebrative ogni volta differenti. Non manca la celebrazione del pio esercizio della Via Crucis ed è stata offerto in alcune occasioni un tempo di adorazione eucaristica di massa (Madrid 2011, in particolare). Tutta la ricchezza di forme tradizionali cattoliche è stata valorizzata nel tempo. La performatività della GMG sembra però paradossalmente rivelare qui la sua più insospettabile fragilità: nei grandi riti, in cui più di un milione, fino a cinque milioni (Manila 1995) di persone partecipano alla stessa Eucaristia, la partecipazione liturgica offre un’esperienza difficilmente “sopportabile”. Stravolta per i giorni intensi vissuti, per la notte passata sul posto, l’impressionante massa dei presenti è convocata dal rito eucaristico attraverso l’uso dei mezzi tecnologici di più alta fedeltà nel suono amplificato, nell’immagine fruibile attraverso grandissimi schermi, nella traduzione simultanea diffusa da transistor forniti a tutti, nella scenografia rituale di un palco-altare. I canti sono curati con attenzione, come è forte la carica emotiva della presidenza affidata al Papa. Eppure questa Messa-concerto potrebbe addirittura far regredire i presenti al ruolo di spettatori, efficacemente coinvolti in un’immagine pratica di Chiesa come gerarchia, in cui gli affetti che si sedimentano nell’identità non sempre aiutano l’attiva appartenenza al Corpo di Cristo. I momenti liturgici delle GMG sono quelli che emotivamente offrono una soglia più alta, quasi impervia. Eppure le GMG hanno mostrato di saper lavorare con una certa forza sul punto fragile dei cammini ordinari delle parrocchie, la fragile capacità di coinvolgimento relazionale.
    Non mancano nella vicenda delle GMG esperienze che hanno tentato di innovare dal punto di vista dell’azione rituale. Tra queste, vorremmo segnalare l’esperienza originale, sviluppata e portata avanti da Giovani e Riconciliazione[9], che ebbe origine dalla GMG del 2000 a Roma, dove fu espressamente previsto un luogo e una ministerialità attenta per la celebrazione del sacramento della Penitenza. Il gruppo, che poi si è strutturato e si è dotato di strumenti sempre più raffinati, si presenta anche oggi come una proposta interessante che ha lavorato sul Rito della Penitenza con una ritualità conforme al Rituale, con sviluppi assai significativi. Il sacramento è celebrato coniugando la dimensione assolutamente personale del penitente a contatto con il confessore, con quella comunitaria, normalmente fragile o assente. Sin dall’esperienza del Circo Massimo nel 2000, i giovani che accettavano di vivere il sacramento erano invitati a gruppi in una sorta di percorso penitenziale rituale, scandito e articolato. Il primo momento era dedicato alla celebrazione della Liturgia della Parola, in piccoli gruppi o in assemblea. Dopo questo, alcuni giovani formati, i “preparatori”, accompagnavano quindi i penitenti in momenti di esame di coscienza, dialogando e offrendo schemi da approfondire in uno spazio di silenzio personale. Dopo l’accusa dei peccati, l’assoluzione e l’indicazione dell’opera di riconciliazione che si svolgevano nel dialogo auricolare con il confessore, il penitente era riaccolto dai “preparatori” per la preghiera di lode e ringraziamento, svolta con un semplice gesto di venerazione. Questa esperienza dimostra con una certa efficacia come le GMG possano diventare occasione di lavoro di pastorale liturgica assai significativo, in cui l’efficacia emotiva dell’evento globale non perde di calore e intensità nei momenti liturgici, ma li rende a loro volta poli significativi riproducibili anche fuori dal mega-evento. In questi riti di penitenza, l’efficacia sembra giocarsi proprio sul lavoro fatto per la creazione di un’identità del singolo penitente, della comunità che accompagna e del Signore presente come soggetto di tutta l’azione.
    Nelle GMG dunque il rapporto tra liturgia e giovani offre alla nostra ricerca del materiale assai stimolante, persino spinoso, relativo soprattutto alla questione determinante del vissuto emotivo durante i momenti liturgici. Quando un evento si presenta così emotivamente performativo nel suo insieme, restituisce una domanda centrale in liturgia: chi è il soggetto assembleare che celebra? La stessa domanda si pone ogni persona presente a un qualsiasi rito. Ogni giovane perciò presente ad una liturgia si porrà inconsciamente o meno la domanda: sono coinvolto, sono parte di questo gruppo che celebra? La risposta sarà chiaramente pratica e relativa al mondo del vissuto emotivo.

    La Chiesa Maria Madre dei Giovani: lo spazio è rito

    Un’ultima esperienza che vorremmo sottoporre all’attenzione dei lettori è il caso della recentissima chiesa, terminata nel 2013 all’interno dell’Arsenale della Pace, a Torino. Essa aiuta a riflettere su una ulteriore dimensione celebrativa sulla quale ogni epoca ha lavorato e che condiziona il celebrare, anche con i giovani: il rapporto con la percezione dello spazio celebrativo e i suoi media.
    A poca distanza da Valdocco, primo oratorio di don Bosco, e ancor più prossimo alla Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo, non lontano dalla Cattedrale che custodisce la Sindone, si trova l’antico Arsenale militare di Torino. Nel 1983, esso fu affidato al Sermig (Servizio Missionario giovanile), fondato da Ernesto e Maria Olivero nel 1964. L’enorme e fatiscente complesso, dove per decenni si confezionarono armi, è diventato luogo d’accoglienza, di formazione, di produzione musicale e culturale, di servizio, di preghiera e di vita fraterna. Dopo anni di impegno sulla trasformazione del luogo, grazie ad un afflusso ininterrotto di volontari, si è giunti alla decisione di dedicare un’ala alla costruzione di una vera e propria chiesa, essendo ormai la spoglia cappella insufficiente e ritenuta non più adatta.
    Sono molte le esperienze di partecipazione attiva delle comunità nella progettazione e costruzione del loro edificio di culto, pratiche che hanno felicemente preso il posto della frettolosa edilizia di culto del primo dopo Concilio, che male si è sposata con l’ecclesiologia che dallo stesso Concilio era stata offerta, e ancor peggio con la teologia liturgica ad essa corrispondente. Sono sempre più numerose le comunità che seguono tutto un itinerario di ascolto, informazione, confronto, ricorso attivo alla professionalità degli architetti, degli artisti e dei liturgisti, fino alla realizzazione di edifici che siano percepiti e vissuti come propri sin dall’inizio dall’assemblea che li abiterà. Questo processo trova nella nuova chiesa del Sermig una specificità ancor più unica: essa è stata voluta e realizzata sin dalla sua progettazione in modo che i nuovi media fossero integrati sapientemente e pienamente nello spazio, in modo non aggiuntivo[10].
    Fatta con materiale non costoso, con linee semplici, l’aula (dell’architetto Camerana) è di facile lettura, quasi essenziale. Nella pianta quadrata, l’assemblea si dispone a conchiglia, in semicerchio attorno ad un presbiterio chiaro e visibile nei suoi elementi, segnato da una importante croce luminosa. La volta è puntinata di luci, riprendendo l’idea neogotica della stellata, illuminata da numerosi led. Il bianco permette alla luce e alla discrezione del buio di rimandarsi e alternarsi, a seconda della scelta di chi conduce la celebrazione. Non visibili ed efficacemente usati nell’azione rituale sono presenti proiettori, telecamere, microfoni e altre fonti di luce in modo che l’attenzione celebrativa non sia fissa, ma dinamica, si sposti sugli elementi del rito il più fluidamente possibile. I testi dei canti appaiono sobriamente proiettati in bianco sulla parete, anch’essa bianca ma in penombra, accanto all’altare. Sempre su questa superficie, può esser proiettato un simbolo o un’immagine utile al gesto che si svolge. In questo modo, parole o segni evitano inutili prese di parola, foglietti o libretti che spesso appesantiscono le liturgie. Tutto è regolato con discrezione da una sala regia, che è posta a ridosso dell’aula ma in modo discreto e non percepibile. Durante alcune liturgie non eucaristiche, poi, la proiezione si fa più dinamica, con uso sempre sapiente di alcune animazioni video, sempre ben al di sotto della soglia che le renderebbe spettacolari, quasi come corroborante all’efficacia della Parola proclamata o meditata. Il coinvolgimento dei presenti è poi aiutato da un’acustica molto studiata, prodotta da un’orchestra che ha il suo posto all’interno dell’assemblea e da un coro, al quale la comunità dedica molte energie.
    L’ideazione, la costruzione, l’uso dello spazio rituale nella chiesa "Maria Madre dei giovani" sono stati e sono tuttora frutto di grandissimo lavoro e di notevoli energie. Non tutte le comunità potrebbero sostenere un tale dispendio di forze. Eppure la liturgia ne risulta grandemente facilitata, capace di parlare alcuni linguaggi senza i quali le persone giovani si sentono distanti da ciò che avviene in altri spazi. Con la pulizia di un edificio romanico, con la forza emotiva di un altare barocco costruito di sola luce artificiale, con la capacità di marcare il fuori e il dentro quanto un edificio gotico, questo tentativo di costruire uno spazio rituale che tiene dentro il suo essere tutti gli strumenti comunicativi a disposizione oggi ci rinnova una coscienza ancora determinante: ogni comunità prende la responsabilità di rendere disponibile un suo spazio celebrativo che è già rito in sé.

    Conclusione

    Necessaria ma non sufficiente ci pare la proposta così comune che per rendere possibile la partecipazione attiva dei giovani alla liturgia il cantiere riguardi la sola ars celebrandi. Questa evidenza risulta astratta: lo spazio in cui questa ars si esercita è a sua volta stato adeguato? Quale esperienza di tempo salvato permette il ritmo di questa liturgia? Chi vi prende parte ha energie emotive sufficienti per essere capace di entrare nella celebrazione? A meno di tutto questo, rimandare al compito di celebrare adeguatamente si risolverebbe in un esercizio deludente e impossibile.
    Al contrario, su questo punto come su altri, nessun autentico impegno di discernimento prudente e costante si è mostrato senza frutti nella storia della liturgia cristiana. Le difficoltà dei giovani sono le difficoltà di tutti, espresse con tinte più esplicite. Persino con l’assenza.

     

    NOTE

    [1] Documento finale del Sinodo dei Giovani (27 ottobre 2018), n. 51.
    [2] P. Tomatis, I ministeri liturgici oggi, Torino 2017.
    [3] L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano 2017.
    [4] Paolo VI, Ai membri delle comm. liturgiche diocesane, in “Osservatore Romano”, 8 febbraio 1969.
    [5] http://www.diocesi.torino.it/liturgico/wp-content/uploads/sites/4/2017/05/La-Messa-per-i-giovani-Nota-23-24-02-1970.pdf
    [6] B.-C. Han, Il profumo del tempo. L’arte di indugiare sulle cose, Milano 2017.
    [7] Cfr. G. Bonaccorso, Nuovi modelli interpretativi del tempo: provocazioni alla riflessione liturgica, in «Rivista liturgica» 77 (1990), 359-386 e soprattutto A. Grillo, Tempo graziato. La liturgia come festa, Padova 2018.
    [8] Cfr. I. Seghedoni, Una liturgia con i giovani: il caso GMG, in “Rivista di Pastorale Liturgica” 326, 1/2018, 26-30.
    [9] Vedi: http://giovaniericonciliazione.it e L. Ferrari, Giovani e riconciliazione. Una storia vera, Bologna 2002 e Id., Misericordia per tutti. Il sacramento della riconciliazione come cammino, Milano 2016.
    [10] Si veda P. Tomatis, Nuovi media e liturgia al Sermig di Torino, in “Rivista di Pastorale liturgica” 311, 4/2015, 53 e ss., e http://www.sermig.org/maria-madre-dei-giovani


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu