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    Linee Progettuali per la pastorale giovanile dei prossimi anni in Italia


    Conclusione del convegno

    Michele Falabretti


    (NPG 2019-06-67)


    Un cammino in tappe

    La domanda più ricorrente negli ultimi mesi, che moltissime persone mi hanno rivolto, è stata: “E adesso, che cosa facciamo?”. Noi dovevamo arrivare qui, a questi giorni, nei quali abbiamo provato a fare sintesi di un lungo percorso. Le riflessioni di questi giorni sono state pensate proprio per fare emergere le cose più significative del cammino degli ultimi anni e per non arrendersi ai luoghi comuni di un Sinodo che abbia fatto solo ragionamenti astratti senza offrire strade da percorrere.
    Appena alle nostre spalle, all’inizio di questo decennio, c’era un clima diverso. Basta leggere l’introduzione degli Orientamenti pastorali del decennio Educare alla vita buona del Vangelo. C’era slancio e fiducia nell’idea che riprendere in mano il Vangelo in modo più convinto, sarebbe stato quasi sufficiente per una rinnovata vita pastorale: «Il Vangelo fa emergere in ognuno le domande più urgenti e profonde, permette di comprenderne l’importanza, di dare un ordine ai problemi e di collocarli nell’orizzonte della vita sociale». (EVBV, 4)
    È ovvio che ancora crediamo in questa forza e capacità del Vangelo. Ma quello che è successo attorno a noi e dentro la Chiesa negli ultimi anni, ci aiuta a capire che la forza del vangelo non va ingenuamente scambiata per l’innesco di un automatismo.
    C’è una evidente distanza tra ciò che crediamo e il mondo che abitiamo. Questi giorni dovrebbero aiutarci ad andare a casa con qualche consapevolezza, soprattutto che non possiamo lasciarci andare alla disperazione: abitare questo tempo è possibile. Lo abiteremo con fatica, ma anche con maggiore libertà: non ci vengono chiesti in partenza dei risultati, ma passione per la vita. Nella quale, come diceva Petrosino nella relazione iniziale, “c’è altro” e questo altro “è bene”.
    Gli ultimi dieci anni sono stati intensi: nel 2010 gli Orientamenti pastorali; nel 2015 il Convegno a Firenze; nel 2016 c’è stato l’annuncio del Sinodo subito dopo Cracovia; tra il 2017 e il 2018 c’è stato il percorso sinodale e nel 2019 l’Esortazione apostolica.
    “Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”. Così, nel novembre 2015 a Firenze, Papa Francesco ha descritto la situazione storica attuale: un profondo cambiamento che stravolge molti aspetti delle società occidentali. E in questo tempo nuovo le parole del Sinodo ci raggiungono come parole coraggiose che sono capaci, hanno la forza di dirci dove, come andare.
    In questi nove anni, abbiamo camminato attraverso i Convegni nazionali di pastorale giovanile. Nel 2011 a Roma sulla Comunità cristiana, già nel clima degli Orientamenti. In seguito, sul cuore delle questioni educative: la cura educativa a Genova (2014); progettazione educativa a Brindisi (2015); il rapporto tra l’educatore e la comunità cristiana a Bologna (2017).
    Da ottobre 2016 a oggi, il percorso sinodale è costellato di moltissime iniziative, dove il livello internazionale dell’esperienza (stiamo parlando di un sinodo della chiesa universale) ha incrociato molte esperienze nelle diocesi e una molto significativa (estate 2018) come l’incontro dei giovani con Papa Francesco dopo i pellegrinaggi nei territori italiani.

    Le Linee Progettuali

    Arrivati a questo punto, rispondere alla domanda su cosa fare, non poteva risolversi nella produzione di un altro documento: la biblioteca del Sinodo ci ha consegnato documenti ricchi di riflessioni alle quali attingere abbondantemente oggi e in futuro.
    Le Linee Progettuali intendono sostenere il bisogno di arrivare al “terzo tempo” del Sinodo: abbiamo riconosciuto quello che stiamo vivendo nel lungo cammino sinodale, i vescovi e il Papa hanno interpretato quel materiale: si tratta ora di scegliere, qui, in Italia alla luce anche della sua tradizione pastorale, come andare avanti. Non vogliono essere in nessun modo la ripetizione del percorso sinodale presentandosi come un nuovo documento: in queste pagine non si aggiunge niente a quanto il Sinodo ha già detto. Sono un sussidio: un aiuto, una sintesi che nasce dal confronto con le diverse realtà che compongono il lavoro della pastorale giovanile sul territorio e con alcuni altri uffici della Segreteria generale. Un sussidio è un testo meno “pretenzioso” nelle intenzioni; senza il carattere direttivo di un documento del magistero, ma una riflessione più umile, raccolta attraverso le voci che in questi anni si sono sforzate di percorrere le istanze offerte dal tempo e dalle intenzioni della chiesa nel suo interrogarsi. Una specie di sintesi capace di raccogliere il discernimento e il lavoro comunitario (o se si preferisce, sinodale) di questo tempo.
    Un lavoro forse un po’ rapido: sarebbe stato bello darsi più tempo e allargare ancor di più il coinvolgimento di altri soggetti. Ma di fronte alla grande mole di riflessioni prodotta dal decennio degli orientamenti e dal Sinodo, è urgente provare a far emergere una sintesi che sostenga il lavoro quotidiano nei territori: è la domanda che si percepisce molto diffusa. Queste Linee non sono un progetto operativo e hanno bisogno di una declinazione concreta nelle tante realtà che compongono la Chiesa italiana: consiste in questo l’attuazione del Sinodo stesso. Perciò sono uno strumento parziale che non può sostituire la cura appassionata dei cristiani verso i propri fratelli più piccoli, ma vuole valorizzarla e renderla di tutti .
    Per questo motivo le LP non si rivolgono esclusivamente agli incaricati di PG, ma certamente a tutte le équipe educative (e a quelle persone che si prendono cura a diversi livelli dei giovani) e, se possibile, all’intera comunità cristiana, utilizzandole anche per una riflessione più ampia sul ruolo che gli adulti hanno nell’incontrare e accogliere i più giovani. Sono anche uno strumento che può favorire il dialogo e la collaborazione tra il livello diocesano e quello parrocchiale; insieme anche il confronto con le associazioni, i movimenti e le attività promosse attraverso la presenza nei territori della vita consacrata. Sappiamo bene che non si tratta semplicemente di eseguire delle istruzioni: la parte più importante, cioè il cammino che cerca un metodo per camminare insieme, richiederà lavoro, tempo e accompagnamento nei territori e nelle comunità cristiane.
    Il termine “linee” da una parte vuole riconoscere la libertà necessaria per un discernimento condiviso e continuo delle comunità cristiane; dall’altra il termine al plurale suggerisce che non esiste una ricetta unica e risolutiva e nemmeno degli obiettivi assoluti. È a piccoli passi che si può conseguire la meta stando accanto ai giovani, condividendo le loro esistenze, certi che il Signore è con noi quando facciamo casa, quando diamo compimento a un’alleanza buona con le nuove generazioni. Questa è la finalità ultima di tutto il nostro progettare. Perché questo accada, sarà importante accompagnare tutto il lavoro con la preghiera: non ci passi per la testa l’idea che si è ragionato e ora ci si mette solo al lavoro, senza passare da una cura dell’interiorità e dalla disponibilità all’ascolto del Signore (cose che richiedono silenzio e preghiera), perché effettivamente la nostra sia azione dello Spirito e non rincorsa all’ultima moda pastorale. Ecco: le Linee sono complementari ai documenti, ma il vostro lavoro sarà complementare alle Linee.

    La progettazione pastorale e le competenze educative

    Le Linee si dividono in due grandi parti: la prima parte riprende il tema della progettazione pastorale, la seconda parte dice nove parole che abbiamo individuato come “parole coraggiose”, prese dai documenti sinodali, suddivise in tre aree. Quindi tre capitoli con tre parole ciascuno.
    È bene superare una visione tecnicista che relega la progettazione a un ambito per pochi specialisti. Le indicazioni del Sinodo sollecitano un coinvolgimento corale e sapiente circa le questioni della pastorale giovanile. La progettazione può quindi diventare un momento prezioso di Chiesa. Progettare è un atto di fede nello Spirito che converte i cuori all’unità e alla comunione. Dobbiamo ricordarci gli uni gli altri che i cambiamenti non accadono lontano dal nostro impegno. Progettare non significa voler controllare e preordinare, anzi significa preparare la strada affinché il futuro, come dono, si sveli a tutti. La progettazione è un’azione che ha le sue fondamenta nella speranza che riconosce nella storia dell’umanità una benedizione sempre nuova e senza fine.
    Progettare diventa un’azione significativa per la comunità se interpreta fedelmente il sentimento di cura che ha nel cuore. Non esiste un progetto perfetto se non è condiviso, se non è considerato “di tutti”. Progettare insieme può essere un’esperienza generativa, se è un’azione consapevole che attiva processi virtuosi e che restituisce un’identità cristiana a chi si mette in gioco. Non si dà testimonianza solo ai giovani o a chi sta “fuori”, ma anche reciprocamente mentre ci si impegna per gli altri.
    La progettazione inizia con i primi pensieri, le prime domande e si compie nei processi di cambiamento e conversione che mette in atto. Nella progettazione la comunità si esercita nel racconto di sé, nel fare memoria per cogliere i riflessi della grazia nella propria storia e in quelle dei giovani. Anche se può sembrare un’azione scontata, la capacità di narrare ha bisogno di allenamento, nella ricerca di parole comuni e nell’esercizio dell’ascolto reciproco.
    La progettazione aiuta a mettere in ordine, a distinguere (discernimento), definendo ruoli e valorizzando competenze. I tanti talenti di cui gode una comunità possono essere messi in comune e fatti fruttificare. Questa condivisione chiarisce ancor più che non tutti possono fare tutto indistintamente (nemmeno il prete, anche se è chiamato a esercitare una leadership al servizio della progettazione). Ciascuno è però invitato a partecipare al pensiero e a sostenere il senso buono dell'agire: rivolti al futuro, sostenuti dal passato senza esserne prigionieri.
    La PG, dedicandosi alle nuove generazioni, è strettamente connessa al sapere educativo. Senza confondere l’una con l’altra e tenendo chiari gli specifici in cui si esprimono, le scienze dell’educazione possono essere un valido aiuto per il discernimento pastorale. Tra i saperi delle scienze dell’educazione più significativi per la PG ricordiamo: la relazione educativa, il ruolo dell’educatore, le caratteristiche cognitive e psicocorporee di ogni specifica fascia d’età, la pedagogia degli spazi e dei tempi, le tecniche animative e di conduzione di gruppo, l’importanza dei linguaggi.
    La storia recente della Chiesa italiana, ha visto mutare molto il quadro di riferimento dei soggetti ecclesiali. Dopo il Concilio Vaticano II, si è aperta l’esperienza dei movimenti che, intorno alle figure carismatiche dei loro fondatori, hanno portato una ricchezza di vita ecclesiale nuova. Da allora associazioni, movimenti e nuove comunità, vita consacrata sono una presenza vivace anche se non figurano nel territorio italiano in modo omogeneo: ciascuna di esse ha una presenza più o meno diffusa, diversa tra nord e sud del Paese. Un tema importante è quello di trovare maggiore dialogo e sinergia, nel rispetto reciproco delle proprie specificità. Le Linee Progettuali tengono come riferimento la realtà diocesana e le parrocchie: esse sono la forma più radicata e diffusa (nella storia e nella geografia) su tutto il territorio, in un certo senso la più visibile. Se però, secondo una visione di territorio meno statica rispetto al passato, intendiamo con questo termine l’insieme di persone e realtà che animano un dato perimetro geografico, ci rendiamo conto di quanto diventi urgente creare alleanza e sinergia, alzare il riconoscimento reciproco e la capacità di integrarsi nelle azioni pastorali.

    Nove parole coraggiose

    Le Linee Progettuali individuano nove parole che chiedono di liberare il coraggio di riconoscere le strade da percorrere. Sono state suddivise in tre aree, perché queste parole afferiscono ai tre soggetti pastorali fondamentali: gli educatori, i giovani e la comunità cristiana. Non sono parole che vengono in successione, non c’è un’area di lavoro che viene prima di un’altra: tutto andrebbe tenuto presente in contemporanea, perché tutte e tre queste aree rivelano soggetti che sono chiamati a entrare in una dinamica sinergica. Ovviamente, in sede di descrizione e in fase di studio, sarà necessario affrontare una parola per volta.

    LA PRIMA AREA: le attenzioni e competenze della pastorale giovanile

    Quando parliamo di Pastorale giovanile, diamo per scontato di avere a che fare con i giovani. Nell’immaginario diffuso la “diapositiva” che si proietta è subito quella di un prete con attorno un gruppo di ragazzi. Dobbiamo avere il coraggio di demitizzare un po’ questa immagine. Anzitutto il prete (che non può smettere di sentire l’istanza educativa come pienamente parte del suo ministero) deve avere la percezione di non essere più il solo soggetto promotore/protagonista.
    Questo significa che le azioni di PG sono di una comunità: di adulti (tra i quali c’è il prete), di competenze e disponibilità espresse dalla comunità, di incaricati (gli uffici diocesani che afferiscono ai giovani, gli incaricati di svariati compiti nella comunità). È chiaro che questo chiede un lavoro condiviso: per pastorale giovanile si intenderà quindi una pluralità di soggetti, di azioni, di uffici, di competenze. In buona sostanza dovremo capire che la pastorale giovanile non è una delega in bianco a un ufficio diocesano: a quello spetta il coordinamento di un dialogo continuo fra un centro già in sé articolato (la curia diocesana) e le parrocchie, le realtà ecclesiali (associazioni e movimenti) e la vita consacrata presenti nel territorio.
    Tre parole sono emerse come attenzioni/competenze necessarie per chi si offre al servizio educativo.

    La prima parola è esserci. Uno dei passaggi sintomatici del nostro tempo, è il bisogno di entrare in relazione con le persone in modo nuovo. Costruire legami in una società liquida non è facile, ma il primo passo è non darli per scontati: poter comunicare con facilità e persino incontrarsi, non significa ancora avere una relazione. Una relazione che possa dirsi educativa, quindi che abbia una sua intenzionalità e non sia un semplice incontro, si compone essenzialmente di tre ingredienti: prossimità, continuità e asimmetria.
    Ciò significa che nella progettazione pastorale è importante confrontarsi con questi termini per comprendere cosa sia necessario preventivare rispetto agli obiettivi che ci si pone.
    Prossimità significa un tempo e uno spazio condivisi insieme. Stare vuol dire offrire del tempo gratuito affinché ci si possa conoscere e comprendere anche nel silenzio o parlando e occupandosi di altro. Come accade durante un cammino di pellegrinaggio condiviso: i passi delle gambe, si fanno – in un tempo di semina e di attesa non preoccupato dell’immediata raccolta – passi dello spirito.
    Continuità è riproporre, nel tempo, diverse occasioni di incontro. In educazione difficilmente l’episodicità è efficace: certo l’episodio può essere un fattore di cambiamento, ma non è ciò che dà struttura e costanza per il futuro.
    Asimmetria è ammettere di non essere sullo stesso piano. Ciò non significa una posizione di predominio, ma il fatto che l’educatore ha un’intenzionalità e un mandato che custodisce nel progetto pastorale, a differenza del giovane.
    Avvicinarsi, accompagnare e stare coi giovani sono quindi azioni che permettono l’instaurarsi di un rapporto che può comunicare, nella frammentarietà delle piccole cose vissute insieme, la bellezza della vita nel vangelo.

    La seconda parola è comunicare nel mondo digitale. Nella progettazione pastorale è opportuna una riflessione circa le modalità e gli strumenti per sostenere la comunicazione. Comunicare non significa attivarsi per pubblicizzare una certa iniziativa. Comunicare è una competenza essenziale per l’incontro e il dialogo, è parte integrante della relazione educativa: soprattutto tenendo conto della rivoluzione antropologica che il mondo digitale sta generando.
    Comunicare, soprattutto quando si vedono le distanze e le incomprensioni che si vorrebbero colmare. E con i giovani? Con un’intera generazione di nativi digitali (ormai ci siamo!) è possibile comunicare? In che modo? Con quali strumenti? Per rispondere a tali domande gli adulti che si interrogano su queste questioni hanno bisogno di approfondire il tema per comprenderlo nella sua interezza. Non basta possedere uno smartphone o avere un profilo Facebook per essere competenti, soprattutto per capire quanto cambi la percezione del mondo, delle relazioni, dell’identità personale mentre si abita il mondo digitale tanto quanto quello non smaterializzato.
    Una riflessione condivisa non può schierarsi né a favore, né contro il mondo digitale e dei social senza problematizzare la questione. In rete ci sono (quasi) tutti, ma cosa significa starci? A quali condizioni? Cosa si rischia di perdere e di non comunicare? Il web può essere il luogo dei legami? Le risposte a queste domande non sono univoche, proprio perché il mondo digitale ha immense potenzialità, ma altrettante ombre, soprattutto per quel che riguarda il cuore della comunicazione in chiave educativa. Siamo ancora tutti (giovani compresi) all’inizio di questo lungo percorso di conoscenza e comprensione.

    La terza parola è fare casa. La cura pastorale richiede una presenza personale affinché si esprima come accoglienza gratuita e risanante. Molto spesso questa presenza ha scelto un luogo fisico dedicato per rendere visibile e possibile l’accoglienza dei corpi e dello stare insieme. Non a caso la richiesta formativa dei primi discepoli è stata quella di chiedere dove abitasse il Maestro.
    Accogliere i giovani significa tenere aperta la porta di casa della comunità, offrire loro spazi fatti di tempi e di esperienze condivise, dove trovare appartenenza e sperimentare nuovi legami. In questo si gioca molto dello stile missionario degli educatori, chiamati anche a uscire dai luoghi abituali per cercare i giovani là dove sono.
    Qui meriterebbe di essere aperto un lungo discorso sull’oratorio. Esso è esperienza peculiare della Chiesa italiana che nel tempo (ormai cinque secoli) e nei territori, è stato declinato in diverse forme e modalità. L’oratorio è casa principalmente per bambini, preadolescenti e adolescenti: essa non è fatta principalmente dai muri, ma dalle persone che intendono mantenere legami familiari. È sbagliato pensare che la prima cosa da fare sono i muri: prima vengono le esperienze e le persone.

    LA SECONDA AREA: la formazione dei giovani

    Definiamo come formazione quell’insieme di percorsi e proposte che a diverso titolo si rivolgono ai giovani. Questo termine è spesso utilizzato per parlare di un processo scolastico verso una professione, ma in pastorale giovanile la formazione deve essere intesa come una presa in carico di tutta la persona. La formazione ecclesiale è sempre per l’umano nella sua interezza e per il suo futuro. La finalità ultima è quella di formare donne e uomini capaci di vivere da fratelli, aperti nella speranza al mondo di domani che non sarà lo stesso di adesso e che non sarà nemmeno degli adulti di oggi. Insomma, l’umanità del vangelo di Gesù. Ecco le parole che il Sinodo ha sottolineato rispetto alla formazione dei giovani.

    La prima parola è chiamati. Abbiamo bisogno di recuperare, di mettere insieme meglio il tema della pastorale giovanile con il tema vocazionale. Perché la pastorale giovanile è per la vita ed è per le scelte di vita. La definizione del Sinodo è molto forte: una pastorale giovanile “in chiave vocazionale”. Questo non significa annullare o confondere il discorso delle vocazioni di speciale consacrazione; che però ha bisogno di tutta una serie di competenze e di attenzioni.

    La seconda parola: il tema della responsabilità. La questione della coscienza (e dunque del discernimento) è un affare desueto nella società civile che di riflesso ha impoverito anche la riflessione dei cristiani. Nella progettazione pastorale la formazione della coscienza si compone essenzialmente come un’attenzione educativa trasversale, che può essere sostenuta e valorizzata nei tanti progetti per i giovani. Anche perché sono i giovani stessi a chiedere di poter esercitare la propria libertà. La formazione della coscienza ha certamente bisogno di superare i luoghi comuni e la diffusa diffidenza che (invece di renderla un luogo di libertà) sia un luogo di costrizione e controllo. La cultura corrente promuove singole verità, liquide e temporanee, che offrono principalmente di stare bene. Discernimento e coscienza hanno bisogno di definizioni pratiche, capaci di essere persuasive e in grado di mostrare quanto possa essere liberante lo stare bene secondo la logica del vangelo.

    La terza parola ha a che fare con il tema della corporeità. Dobbiamo ammettere che sul tema del corpo e della sessualità si registra la maggiore distanza tra l’etica dei giovani e i modelli ecclesiali. Nonostante l’apertura degli ultimi decenni, le comunità fanno fatica a trovare la corretta prospettiva. Sembra che l’incontro su questi temi non possa che essere uno scontro. Tale percezione determina due tipi di approccio contrapposti: da una parte l’opposizione ideologica, con un’eccessiva accentuazione delle norme circa la sessualità; dall’altra la negazione del problema, dribblando il tema per timore di incomprensioni e rinunciando a dire qualunque cosa in merito.
    È possibile superare queste sterili posizioni? La comunità può farsi garante di percorsi che svelino in modo appassionato la positività del messaggio cristiano rispetto al corpo e alla sessualità. Siamo stati creati come cosa buona: questo è l’annuncio di salvezza che ci viene dalla Scrittura e permette di sollevare chi è caduto e soffre per le ferite e le cicatrici che porta in sé. Il corpo è il luogo in cui lo Spirito prende casa e la sessualità, nella sua potenzialità generativa, accomuna l’uomo all’opera creatrice di Dio. È tale positività che permette di rivolgere una parola buona, un percorso di liberazione a chi ha vissuto l’esperienza delle fratture, delle dipendenze e dell’inganno, fino anche alla rovina di se stesso. Lo specifico cristiano di un’educazione alla sessualità è quello di un’alfabetizzazione dell’amore.

    LA TERZA AREA: la vita della comunità

    La comunità cristiana dagli ultimi documenti del magistero si sente interpellata come non mai circa la responsabilità di essere luogo di accoglienza e di dialogo. È quindi chiamata a interrogarsi sulla propria identità in un profondo e condiviso movimento di conversione e rinnovamento.
    Tale conversione dei cuori e delle pratiche può avvenire soltanto nell’ascolto della Parola di Dio, andando oltre l’immaginario che ciascuno ha dell’essere Chiesa. Essa non è un’indicazione per una terapia con la quale guarire dai problemi pastorali, ma la forma originaria della Chiesa che troppo spesso e troppo a lungo è stata smarrita. I cristiani sono tali solo se sono uditori della Parola, se ascoltano una Parola che, buttando in aria pensieri e progetti, dà origine a una vita nuova.

    La prima parola indica lo stile di comunione o – se si preferisce – di sinodalità. I cristiani sono coloro che sono in comunione col Signore e nel Signore. Non in termini esclusivi ed élitari, ma come segno offerto di una nuova umanità riconciliata. La Chiesa è chiamata a essere casa della comunione, nella quale la fraternità diventa possibile e si scoprono le vie per attuarla. La comunione è dono dello Spirito e come tale non può essere posseduta dalla comunità, così come non può essere predeterminata. La capacità di essere comunione è in divenire come ogni forma vitale. Vale in modo particolare nella pastorale giovanile: essa è costretta a pensare “in fretta” (perché i ragazzi crescono e lo fanno in un mondo “rapido”); questo è tanto più bello ed efficace se vissuto come impresa comune e condivisa.

    La seconda parola è legata alla liturgia e all’annuncio. A sorpresa i giovani durante la riunione presinodale si sono soffermati molto sul bisogno di poter godere di luoghi di annuncio e celebrazioni liturgiche più significative. Nella progettazione pastorale la liturgia resta tendenzialmente esclusa, perché è ritenuta una realtà immutabile che riguarda soprattutto il clero. È come se, mentre celebra, la comunità stessa si fosse rassegnata a questa espropriazione. Ma è una paralisi inaccettabile: è nei segni sacramentali della Chiesa che la vita cristiana è generata e trova alimento.
    L’invito a rinnovare il volto della Chiesa nella sinodalità suggerisce anche un nuovo modo di vivere la liturgia esercitando il ministero ricevuto da ciascuno nel battesimo. Senza confondere i ruoli e le responsabilità, è possibile considerare insieme lo stile con cui la comunità celebra l’Eucarestia in vista di una conversione profonda, capace di essere generatrice. Questa parola ci conduce a riflettere molto e meglio su come pensiamo e organizziamo i momenti di preghiera.

    La terza parola: l’esperienza della carità nel servizio. La vita sinodale, a cui tutta la comunità è chiamata, si esprime nell’apertura all’altro e al mondo. Un’apertura che si fa servizio, diaconia capace di promuovere pace, giustizia e solidarietà nei diversi contesti della vita sociale. Per i cristiani questi non sono tempi di paura e di lamento, ma di maggior impegno, di ricerca di senso e di costruzione di nuove alleanze per il bene dell’umanità.
    La determinazione con cui la Chiesa sta dalla parte dei poveri è ciò che sorprende e attira maggiormente i giovani. Le nuove generazioni sono profondamente coinvolte dalla scoperta dell’altro. Sono molto più consapevoli di cosa raffiguri il termine umanità, sinonimo di alterità a cui è necessario convertirsi. La loro giovane età li rende capaci di gratuità e solidarietà. Non hanno timore di ascoltare il grido dei poveri e di quello del pianeta in agonia. Tutti questi aspetti possono essere elementi di partenza per una progettazione pastorale: nel servizio e nella cura possiamo incontrare molti giovani.
    Alla progettazione pastorale spetta il compito di comporre attorno alla diaconia un percorso di senso, che permetta di passare dall’esperienza di servizio, più o meno episodica, all’ingresso in un processo di consapevolezza.

    Indicazioni finali

    Abbiamo bisogno di riconoscere che la Chiesa ha sempre funzionato perché si diffonde, perché ha una rete, perché è casa tra le case. E quindi abbiamo bisogno di uscire dalla logica che la Chiesa sia la grande celebrazione centrale. Sarebbe bello non dimenticare la dimensione della parrocchia, che è la soglia ultima e a volte un po’ dimenticata. Ma la soglia ultima, quando dimenticata, diventa un campo di battaglia come per Uria l’Hittita: sarebbe triste se la casa tra le case diventasse luogo di solitudini.
    Ad ogni atto di convocazione – penso proprio alle GMG, agli eventi diocesani – arriverà soltanto qualcuno. Ma è quando si abita, si sta in mezzo alla gente, la si incrocia nel nascere e nel morire, nel suo soffrire e nel suo penare; quando si sta vicino ai pensieri e alle preoccupazioni delle mamme e dei papà; vicino alle sofferenze; quando si entra nelle case… che alla fine, il Vangelo può prendere forma. E quindi le Linee hanno sempre anche quest’idea: sostenere la pastorale di tutti. Anche se non tutti verranno e saranno coinvolti, deve essere per tutti. È un servizio, è una dedizione che la Chiesa ha nei confronti della storia dell’uomo, davvero aperta a tutti.
    Il vangelo attende, ancora, la nostra testimonianza. La pastorale giovanile in Italia non parte dal nulla: alle sue spalle ci sono secoli di dedizione e di prossimità, c’è la passione (per certi versi tutta italiana) di generare, custodire, offrire la cura che fa crescere; sorridere alle libertà che nascono e spiccano il volo. I tempi recenti sono apparsi ai più come apocalittici: hanno distrutto consuetudini e certezze. Nell’immaginario comune, l’apocalisse è la fine di tutto. Ma lo sguardo di fede vede la possibilità di vedere svelato “un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21, 1), quello che riconosce nell’umanità di Gesù il modo più bello di onorare la vita. È questo l’impegno più grande chiesto all’educazione e alla pastorale giovanile.
    Davanti a noi si aprono nuove strade che non hanno un itinerario già stabilito e queste pagine non possono essere un rassicurante navigatore satellitare. Davanti a noi ci sono strade da scoprire, per certi versi ancora da tracciare. Il cammino di questi anni e nello specifico quello del Sinodo, le ha indicate chiaramente, come direzioni da prendere e non come descrizioni di ciò che si troverà sulla strada. La sintesi delle Linee Progettuali sta nell’invito a continuare il cammino con rinnovata fiducia: i nostri sono tempi diversi, ma non meno affascinanti; pieni di opportunità.
    La consapevolezza di appartenere a una storia che ha salde radici nelle vicende degli uomini ma che nasce dalla grazia che viene dall’alto, ci dia la speranza per non demordere nel lavoro che ci attende e, allo stesso tempo, l’umiltà di saperci servi inutili senza i fratelli e le sorelle che il Signore ci ha posto accanto.

    * Responsabile del Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile


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