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    La costruzione dell'identità nei giovani d'oggi: vitalità, bisogno di orientamento e di riconciliazione


     

    Philippe Bordeyne, rettore dell'Istituto Cattolico di Parigi *

    (NPG 2019-01-48)

     


    Negli anni Settanta, che furono quelli della mia giovinezza (appartengo ancora al «baby boom» del dopoguerra), la ricerca di identità si esprimeva spesso sotto forma di rivendicazioni. I giovani rimproveravano alla generazione precedente di non aver messo in pratica le grandi utopie politiche che circolavano allora: la non violenza, la democrazia partecipativa, l'autogestione. Oggi, sebbene esistano episodi di contestazione politica come quello degli indignati, la ricerca d'identità sembra in generale più individuale e più silenziosa, maggiormente legata a degli «spazi concreti di appartenenza, vicinanze affettive e reti di intimità». [1] Rientra più nei fatti che non nelle parole. Si dice che la gioventù attuale è più pragmatica: dobbiamo vederla agire per decifrare i valori e le aspirazioni che sente propri.
    Vorrei mostrare in primo luogo che si tratta di un segno di vitalità in seno a una generazione che, nata a cavallo tra i due secoli, accede all'età adulta in un periodo che è caratterizzato non solo da mutazioni socio-economiche, ma anche da un cambiamento di mondo (Papa Francesco). [2] Questa formidabile vitalità, vorrei considerarla innanzitutto alla luce della fede cristiana come un dono di Dio e come un segno della divina provvidenza, senza dimenticare però che riveste anche un aspetto più tragico. I giovani rischiano infatti di essere talmente catturati dalla fluidità, dai cambiamenti di traiettoria e persino dalla loro capacità di reagire senza sosta, che la loro identità viene a dissolversi nella trasformazione permanente. Non bisogna dimenticare che certi giovani non riescono a trovare il proprio posto in questo mondo frantumato dove non gli viene mai data la possibilità di passare da un mondo all'altro. Converrà pertanto, in secondo luogo, riscoprire i fondamenti antropologici dell'identità, nel modo in cui essa conferisce alla persona umana la sua coerenza e la sua continuità. Proporrò a questo scopo la nozione di vitalità orientata verso l'alterità, atta a liberare le persone dalla prigionia in un universo troppo soggettivo. In terzo luogo, esporrò alcune risorse della fede cristiana particolarmente atte a designare la trascendenza nella configurazione contemporanea dell'esperienza umana. Interverrò a favore di un annuncio rinnovato del Vangelo della riconciliazione, tramite cui la Chiesa può contribuire a realizzare una vitalità riconciliata.
    Facendo riferimento ad alcune analisi sociologiche e filosofiche della società contemporanea, procederò dall'inizio alla fine in qualità di teologo. Dopo aver dedicato dieci anni del mio ministero di sacerdote al servizio degli adolescenti, mi trovo attualmente a capo dell'università cattolica di una grande capitale europea. Sono dell'idea che la fede cristiana possa essere proposta ai giovani così come sono. Il cambiamento di mondo al quale assistiamo ci chiama a essere, come mai prima d'ora, delle vedette abitate dalla speranza che la grazia di Dio non manchi a questa generazione e che si manifesti in forme adatte alle caratteristiche del tempo presente. In altre parole, è bene riconoscere i segni dei tempi alla luce del Vangelo, senza idealizzare la nuova generazione, ma identificando le sue vere aspirazioni e far leva su di esse per una conversione e un approfondimento morale e spirituale.

    1. Vitalità e costruzione dell'identità in un mondo completamente allo sbando

    Interrogandosi sul modo di vivere più umanamente possibile in situazioni particolarmente critiche, San Tommaso d'Aquino faceva leva sull'aspirazione a conservare la propria vita come segno della Provvidenza divina concessa a tutti i viventi. Affermava, per esempio, che è legittimo uccidere un assalitore nel tentativo di difendersi, a condizione che la preservazione della propria vita resti l'intenzione esclusiva, spogliata di qualunque volontà di trasgredire al divieto di omicidio scritto nella legge della natura e confermato dalla rivelazione biblica.[3] Allo stesso modo, se calcoliamo la portata dello sbandamento della civiltà in corso, è possibile superare l'impressione di vagabondaggio che può dare la nuova generazione a un primo sguardo.
    Scopriamo dunque in essa una bella aspirazione a conservare la propria vita, una potente vitalità che l'aiuta a sfruttare la configurazione del tempo presente.

    1.1 Qualche tratto della generazione nata intorno all'anno 2000
    Numerosi analisti criticano nei giovani d'oggi un distacco rispetto alle istituzioni che tradizionalmente contribuivano alla costruzione delle identità soggettive. Nei questionari di preparazione al Sinodo 2018 sui giovani e le vocazioni, i responsabili della pastorale giovanile notano che i ragazzi si disinteressano dei sistemi stabiliti. [4]I loro genitori si lamentano del fatto che hanno difficoltà a fare scelte e a proiettarsi nel futuro, che si tratti del percorso di studi, dell'orientamento professionale, della vita affettiva e, talvolta, dell'orientamento sessuale. Anche quando si decidono a fare una scelta importante, fanno fatica a rispettarla e non vedono l'interesse a ottenere una certa stabilità. Nelle aziende, i responsabili delle risorse umane e i capi squadra faticano a comprendere questa generazione, a fidelizzare le giovani reclute sul lungo periodo, tanto sono mobili, pronte a cogliere le opportunità professionali che si presentano loro. Sebbene si dicano generalmente desiderosi di formare una famiglia, di realizzarsi in un'attività professionale e di mostrarsi generosi nei confronti di cause umanitarie, la fluidità e l'estrema mobilità che dimostrano sembrano poco propizie a forgiare un'identità che possa permettere loro di realizzare tali obiettivi.
    Per interpretare questo paradosso, citerò due opere recenti che tentano di cogliere le caratteristiche della «generazione Z» nata intorno all'anno 2000, che confluirà all'interno della popolazione attiva intorno al 2025. La prima è stata scritta dall'americano David Stillman, autore di successo specializzato nelle differenze tra le generazioni. L'autore ha realizzato un'indagine di grande portata negli Stati Uniti avvalendosi dell'aiuto di suo figlio Jonah che, avendo 17 anni, appartiene appunto alla generazione Z.[5] La seconda è un libro di prospettiva scritto dall'universitario francese Bernard Lecherbonnier, che si basa sull'analisi delle grandi tendenze della società. Specializzato in letteratura comparata, ha sempre lavorato anche nel settore aziendale come direttore della strategia di grandi case editrici.[6] Lecherbonnier constata che gli studi sulla generazione Z la descrivono come «indomabile, superficiale, dispersa, senza fiducia in sé stessa» e amano sottolineare «i suoi comportamenti velleitari, le sue aspirazioni vili, le sue relazioni sociali stringate». Ponendosi in opposizione a questa diagnosi, descrive invece una generazione «realista», «matura» e «autonoma». Da parte sua, Stillman sottolinea sette tratti caratteristici dei giovani della generazione Z:
    - Sono immersi nel «figitale», ovvero qualunque realtà fisica è per loro accessibile anche in modalità digitale, così che i confini tra il fisico e il digitale per loro sono diventati labili.
    - Sono bravissimi a personalizzare le loro attività e le loro relazioni e si aspettano che ci si rapporti a loro in modo personalizzato.
    - Avendo convissuto con la recessione economica e con il terrorismo, sono molto realisti, a differenza della generazione Y (nata tra il 1980 e il 1994) che era più idealista.
    - Soffrendo dell'angoscia della mancanza, desiderano avere tutto e subito.
    - Sono degli adepti dell'economia della condivisione che sanno mostrarsi filantropi.
    - Essendo cresciuti con i video di YouTube (comparsi nel 2005), desiderano imparare da soli e fare da soli, e sono molto indipendenti.
    - Avendo coscienza del fatto che è necessario lottare per vivere, non hanno paura della competizione e sono più determinanti nella vita professionale rispetto alla generazione precedente.

    1.2 Una generazione in linea con un cambiamento di mondo
    Come suggerisce la tipologia di Stillman, numerosi tratti della generazione Z si spiegano alla luce della rivoluzione della conoscenza scatenata dalle tecnologie digitali. La generazione Z beneficia della crescita esponenziale delle possibilità di accesso a «buona informazione nel giusto contesto»,[7] in particolare tramite la diffusione dei telefoni cellulari e degli smartphone che hanno permesso agli abitanti dei paesi poveri di sopperire in parte alla mancanza di infrastrutture. I giovani sanno che la qualità dell'informazione proviene in particolare dai processi di collaborazione e di condivisione all'interno delle comunità di utenti. Di conseguenza, il loro rapporto con le informazioni non è più solamente passivo, ma attivo, reattivo e interattivo. Apprezzano la dinamica del coinvolgimento testimoniata dalla produzione di massa di applicazioni open source o dal metodo del crowd funding, al quale ricorrono volentieri. Hanno familiarità con la commistione tra anonimato e intimità prodotta dalla nuova cultura digitale. Infatti, se i social network permettono di moltiplicare i contatti quasi all'infinito, è necessario esporsi in maniera sufficientemente personale per attirare l'attenzione e convincere, per esempio ai fini del finanziamento di un progetto collaborativo. I giovani della generazione Z ricorrono massicciamente all'informazione senza ignorare i giochi di potere legati al volume crescente di dati disponibili e alla capacità sempre maggiore di analizzarli tramite gli algoritmi contemporanei. Di conseguenza, se i nati nel baby boom sognavano di andare sulla luna, la generazione Z aspira a prendere posto in questi nuovi meccanismi di potere. Sa che una start-up performante sarà in grado di sfidare le aziende più stabili guadagnando nuovi mercati e sfruttando l'economia collaborativa. Queste nuove opportunità sono fonte di energia collettiva, ma talvolta anche di una forma di eccitazione che può sfociare in amare delusioni.
    In questo contesto, il rapporto con l'educazione è anch'esso in pieno rifacimento, senza che sia ancora possibile coglierne tutti i tratti. Un primo fenomeno da prendere in considerazione è la gratuità dell'accesso a insegnamenti dispensati da esperti di fama mondiale, tramite i cosiddetti MOOC (Massive Online Open Courses) o le conferenze TED. Questi marchi di qualità li distinguono dalla moltitudine di video di YouTube disponibili su internet. Gli insegnamenti online permettono a qualunque utente di apprendere secondo il proprio ritmo e di gestire personalmente il tempo dedicato alla propria formazione. Favoriscono contemporaneamente la ricerca attiva delle informazioni, la condivisione e l'interattività all'interno di una comunità di allievi. Un secondo fenomeno, derivato dal primo, è il fatto che la disponibilità dei saperi online tende a svalutare i diplomi tradizionali: non solo questi saperi sono aperti e gratuiti, ma integrano anche più facilmente l'accelerazione delle scoperte che, peraltro, alimentano, mettendo in rete competenze interdisciplinari e complementari. Nella formazione come nell'attività professionale, il Do It Yourself (DIY, fai da te) si coniuga così con il Do It With Others (DIWO, fai con gli altri).[8] Se da una parte la cultura digitale plasma i giovani a un uso molto individuale, essa incita anche agli scambi orizzontali tra pari. La velocità sempre maggiore delle interazioni provoca un'accelerazione del nostro rapporto con il tempo, che è un tratto fondamentale della nostra epoca e può diventare un potente fattore di alienazione. [9]

    1.2 L'agilità della gioventù di fronte ai legami sociali più incerti
    Lungi dal cedere al catastrofismo di fronte alla generazione Z la cui fluidità e l'estrema mobilità sconvolgono talvolta gli adulti, Bernard Lecherbonnier mette in evidenza la sua reattività, sia in termini di creatività sia di senso critico, di fronte alle sfide che affronta. Ha coscienza, in particolare, del fatto che le regole sociali in vigore hanno prodotto ««una società al limite del caos, un'economia barcollante, una natura depravata».».[10] Così, l'agilità della generazione Z si manifesta innanzitutto in modo pragmatico, tramite la promozione di una «morale relazionale» [11] che risponde alla fragilità del legame sociale in un contesto di individualizzazione crescente. Le norme accettate non si fondano più «su principi astratti, ma sul loro effetto sociale diretto sulle relazioni interpersonali, sulle loro conseguenze concrete nei confronti degli altri e in particolare di chi ci è più vicino». In questo senso, la valorizzazione della fedeltà e del matrimonio corrisponde meno al ritorno dei valori tradizionali quanto a un attaccamento ai legami di vicinanza che offrono «protezione materiale e affettiva». Lo stesso vale per il lavoro, che appare ai giovani come un ambito ancora più importante essendo un fattore di riconoscimento sociale e di sicurezza relazionale. Questa attenzione all'utilità individuale del legame sociale spiega come i giovani possano valorizzare la tolleranza all'interno di una società più diversificata, rispettando al contempo l'autorità di più ai loro predecessori, con una richiesta piuttosto netta di «norme di regolazione pubblica» che possano garantire il benessere individuale.[12]
    La componente di critica sociale non è assente dal comportamento collettivo della generazione Z, ma resta spesso allo stato embrionale. Per esempio, l'ecocentrismo dei giovani, che li porta a considerare la natura come protagonista centrale della storia, si accompagna raramente a pratiche ambientali.[13]
    Siamo dunque lontani dalle analisi dell'enciclica Laudato si' che, dopo aver denunciato il mancato rispetto delle risorse naturali, l'esclusione dei più poveri e la «cultura dello scarto», promuove il coinvolgimento comunitario di prossimità a favore di un'ecologia integrale. Allo stesso modo, le informazioni precise sullo stato del mondo offerte da internet non generano necessariamente un aumento di coinvolgimento nella frequentazione concreta di persone con differenze linguistiche, culturali, religiose o economiche: i social network possono al contrario incentivare a frequentare la stessa cerchia di persone. Qui, di nuovo, lo spirito critico si traduce maggiormente in scelte individuali piuttosto che in azioni collettive a favore di una causa. Si osserva così un fenomeno di ritorno ai «mestieri del concreto» tra i giovani quadri che si riconvertono verso l'artigianato. Stanchi della comunicazione digitale, aspirano a ritrovare il contatto con la materia e con i loro clienti, per percepire meglio i frutti del proprio lavoro. Altri giovani lasciano i lavori di ufficio e si orientano verso professioni di cura, di coaching, di insegnamento.[14] A questo proposito, l'esperienza contrastante [15] di essere stati condotti loro malgrado verso una professione che non gli piace aguzza la loro riflessione, non solo su loro stessi ma anche su una società che ha perso il senso della nobiltà dei mestieri manuali.[16]

    2. La crescita della persona come vitalità orientata verso l'alterità

    In questa seconda parte cercherò di ricapitolare i fondamentali della costruzione dell'identità umana, al fine di adattarli all'epoca attuale e di proporre qualche percorso educativo per il giorno d'oggi. Non si possono ignorare i rischi di fragilizzazione indotti dall'individualizzazione, dalla velocità delle interazioni e dalla mobilità del posizionamento sociale. Per affrontarli nella prospettiva della speranza cristiana, farò leva su un'antropologia teologica della «crescita permanente sotto l'impulso della grazia divina», così come viene auspicata da Papa Francesco in Amoris laetitia al paragrafo 134.
    Farò inoltre appello a due autori che sono fonte di ispirazione per Francesco: Romano Guardini, al quale ha consacrato i suoi studi di dottorato, e Paul Ricœur, che non esita a citare.[17] Considerare la costruzione dell'identità nella prospettiva della crescita permetterà di evidenziarne l'unità al di là dei cambiamenti. Paul Ricœur parla a questo proposito di identità come ipseità. A differenza dell'identità dello stesso, l'ipseità garantisce la continuità dell'identità a dispetto dei cambiamenti che influenzano il soggetto umano nel corso della sua storia. È evidente in modo paradigmatico nella promessa fatta e mantenuta.[18]

    2.1 La portata sociale delle crisi che i giovani attraversano
    Apparso nel 1954, il piccolo opuscolo intitolato Le età della vita (Die Lebensalter) costituisce uno dei capitoli del corso che Romano Guardini ha voluto dedicare ai problemi fondamentali dell'etica alla fine della sua carriera di insegnante all'Università di Monaco.[19] Questo indica l'importanza che rivestiva ai suoi occhi la presa in considerazione della storicità dell'essere umano, con i suoi cambiamenti e nella sua unità, per approcciarsi alle questioni morali. Guardini afferma che la giovinezza non è né l'infanzia, né l'età matura, ma che esistono dei punti in comune tra queste tappe della vita, la cui assimilazione permette all'essere umano di costruire la propria identità ricercando il bene, che è il fine ultimo della sua vita.
    Per Guardini, esistono due tratti fondamentali dell'esistenza umana nelle sue diverse tappe: le crisi e la crescita. Pertanto, la crisi dell'adolescenza non costituisce un fenomeno a parte. Anzi, al contrario, la sua assimilazione permetterà di attraversare meglio le ulteriori crisi. Idealmente, se l'infanzia è stata sufficientemente protetta, compito che spetta alla famiglia e alla società, è nella giovinezza che avviene il primo incontro con la crisi. Per contro, è nell'infanzia che avviene la prima esperienza della vocazione a crescere e a «crescere bene», che resterà una costante di tutta l'esistenza umana e che permetterà di attraversare i momenti di crisi in modo sufficientemente positivo e sereno. In sintesi, se la giovinezza è caratterizzata da crisi, non si deve dimenticare che, per Guardini, la vita intera consiste nell'attraversare una serie di «crisi» nelle quali «l'esperienza dell'unità» fatta nell'infanzia, sotto la dominante della «crescita» e del richiamo a «crescere bene», resta la bussola. «La forma di vita di una crescita protetta da ogni parte non ritornerà più. Tuttavia, entro la totalità della vita, essa è necessaria. [...] Il mondo che in seguito gli si presenterà realistico, con tutte le differenziazioni in cui si articola, acquista chiarezza solo sulla base di questa unità, così come solo a partire da tale unità si può apportare al mondo quella continua correzione, quell'approfondimento e quella spiritualizzazione che lo rendono vivibile».[20] L'unione tra la stabilità e la crescita, tipica dell'infanzia, segnerà per sempre l'itinerario della persona umana.
    Dato il tema scelto per il prossimo sinodo, I giovani e le vocazioni, si ricorderà principalmente che l'invito a crescere bene, ricevuto nell'infanzia, resta la bussola della vita umana. Ne consegue, per le nostre società, il dovere fondamentale non solo di proteggere l'infanzia, ma di far sì che conservi l'invito a crescere bene. La crescita è una delle modalità concrete tramite cui l'essere umano assimila il concetto di bene.[21] Ricordiamo in secondo luogo che la via principale per l'accompagnamento educativo delle crisi dell'adolescenza è insegnare ai giovani a prepararsi ad attraversare le crisi ulteriori che, sebbene siano sempre inedite, trarranno beneficio dal capitale di speranza acquisito nel fatto di aver superato le crisi precedenti. La lucidità che caratterizza la generazione Z di fronte alle crisi del mondo attuale può effettivamente aiutarla a percepire che la crisi dell'ingresso nell'età adulta rappresenta una caratteristica centrale del destino comune dell'umanità. In questo senso, il coraggio, la generosità e l'amore di cui la giovinezza si mostra capace sono molto preziosi per l'umanità, poiché queste virtù mancano troppo spesso agli adulti nella traversata delle ulteriori crisi della vita.

    2.2 La sfida di un accesso al reale che non sia riduttore
    Affinché queste potenzialità si possano manifestare, è inoltre necessario che le prime crisi incontrate nell'adolescenza siano occasione di un'apertura all'alterità del mondo e non di un ripiegamento su sé stessi. Su questo punto, dobbiamo tornare alle caratteristiche della generazione Z descritte in precedenza, a cominciare dalla sua propensione a organizzare le sue relazioni reali in modalità «figitale». Ciò significa non solo che i giovani percepiscono ogni esperienza fisica come potenzialmente digitalizzabile, ma anche che l'esperienza fisica acquisisce ancor più valore ai loro occhi quando si accompagna a un'esperienza un'esperienza digitale. I giovani aspirano quindi a filmare qualunque cosa, tanto una festa tra amici quanto un'attività sportiva, tramite una videocamera applicata sulla fronte. Avranno così a portata di mano una realtà aumentata, generatrice di esperienze sensoriali che il solo contatto fisico non permette e che sono soprattutto reiterabili all'infinito, nella totalità o in spezzoni a scelta. Notiamo che l'esperienza digitale non è nuova in sé, poiché l'essere umano ha sempre avuto la capacità di produrre, tramite sogni e fantasie, una quantità di immagini virtuali che riproducono la realtà o l'aumentano. Il meccanismo fantasmatico, che funziona fin dalla prima infanzia, permette di sopperire alla mancanza, di rassicurarsi rendendo l'altro presente quando invece è fisicamente assente o non disponibile.[22] Questo meccanismo psichico è essenziale per la costruzione dell'identità. Ciò che pone il problema è la sua considerevole amplificazione tramite le tecnologie digitali, così come la sua strumentalizzazione da parte della società di consumo. Questa sfrutta senza vergogna la propensione che ha l'essere umano, fin dalla più tenera età, a colmare la mancanza costruendosi un'immagine riduttrice dell'altro. Il consumo eccessivo di immagini reiterabili e controllabili a volontà allontana dalla realtà e, così facendo, priva l'essere umano della sua vocazione a entrare in relazione rispettosa e non violenta con gli altri. Il parossismo di questa fuga dalla realtà appare nelle immagini pornografiche e nelle scene di violenza, di guerra o di omicidio: queste deviano l'aggressività umana, inerente alla sessualità e alla vita psichica, verso l'odio nei confronti degli altri, anziché orientarla verso l'azione e verso l'amore.
    In una prospettiva educativa, è possibile valorizzare tre dimensioni dell'essere umano per favorire un accesso non ridotto alla realtà: la natura, il corpo, la parola. Come afferma Papa Francesco nell'enciclica Laudato si’, il rapporto con la natura è un buon indicatore del tipo di rapporto che abbiamo con gli altri: se consumiamo «la nostra casa comune» dimenticando che questa è al contempo nostra «sorella» e nostra «madre» (LS 1), c'è ben da scommettere che consumeremo anche i nostri fratelli e i nostri genitori, poiché «tutto è legato». In altri termini, l'apprendimento di una «felice sobrietà» nei confronti delle risorse naturali, delle specie viventi e animali, che sono tutte affidate alla nostra responsabilità, crea un atteggiamento di rispetto verso l'altro essere umano e in particolare verso chi è più fragile. «Se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio» (LS 11).
    Per quanto riguarda il rapporto con il corpo, abbiamo visto che certi giovani oggi aspirano a ritrovare, in particolare nella vita professionale, un'implicazione più grande della corporeità, che struttura il nostro rapporto nei confronti del mondo e delle altre persone. È bene favorire nel periodo della giovinezza esperienze sufficientemente complete di relazione con il corpo, la mano, il linguaggio del corpo, poiché esse preparano a distinguere e assimilare i diversi registri della relazione. A questo proposito, permettere a degli adolescenti di incontrare persone che soffrono di una disabilità mentale o della malattia di Alzheimer può aiutarli a liberarsi della paura o del rispetto umano di fronte ai contatti corporei. Proprio le persone più fragili sono spesso quelle che danno il via all'incontro, poiché non si proteggono dietro a false barriere relazionali. [23] La presa di coscienza del registro corporale aiuta inoltre i giovani a gestire meglio le loro emozioni, che nascono nel corpo, e a evitare che queste non li spingano a chiudersi in sé stessi o non si trasformino in violenza verso gli altri. Poiché il corpo è il luogo in cui si scontrano le emozioni e le abitudini e in cui queste possono anche regolarsi reciprocamente. Infatti, l'abitudine è scossa dalle emozioni, ma queste sono ponderate da una buona abitudine che, come modo di essere al mondo e di agire «acquisito e relativamente stabile», «allarga l'uso involontario del corpo» affinché obbedisca alla volontà che ricerca il bene.[24] Come afferma Paul Ricoeur, «qualunque potere sul mio corpo è contemporaneamente immediato e conquistato»[25], così l'esercizio della libertà suppone che si apprenda simultaneamente a contare sul corpo e a resistergli.
    La parola è questa modalità specifica dell'esercizio umano della corporeità che mette particolarmente in relazione. La parola coinvolge la voce, ma anche il silenzio, ed è accompagnata dallo sguardo.[26] Come sottolinea il filosofo Jean-Louis Chrétien, la parola è preceduta dall'ascolto, nel quale siamo preceduti: «Siamo stati ascoltati ancor prima di parlare. Tra le nostre orecchie e la nostra voce ci sono sempre altre voci e altri ascolti. [...] È in uno spazio comune, o meglio, è in ciò che fonda qualunque comunità possibile che accogliamo l'altro».[27] La presa di coscienza di questo comune, che ereditiamo e con cui siamo in debito in termini di trasmissione agli altri, necessita dell'apprendimento dell'ascolto vero. Come spiega lo psichiatra Alain Bracconier, questo deve staccarsi dalla seduzione e dall'idealizzazione in cui opera il nostro primo approccio verso l'altro, ma che tendono a ridurlo e a imprigionarlo in un'immagine che non gli corrisponde. La relazione vera presuppone una capacità sufficiente di entrare nel mondo altrui: la chiamiamo empatia e si educa.[28] Affinché costruiscano la loro identità in un mondo in cui il virtuale occupa un posto sempre maggiore, è importante creare spazi in cui i giovani possano diversificare i registri relazionali appropriandosi dell'ammirazione nei confronti della natura, della pazienza nei confronti del corpo, del silenzio e dell'ascolto nel rapporto con la parola.

    2.3 L'amore è il modo più umano di affrontare le differenze
    La generazione Z aspira a costruire la sua identità nell'interazione con le differenze offertele dalla digitalizzazione del mondo. È allo stesso modo caratterizzata dalla diffidenza contemporanea nei confronti dei discorsi che rivendicano l'esclusività dell'accesso alla verità. Di conseguenza, «la capacità di venire a patti in modo costruttivo con l'alterità o la differenza» sembra un passaggio obbligato per la costruzione dell'identità.[29] Non è più sufficiente, per diventare una persona realizzata, tessere una continuità tra le età della vita; è necessario realizzare questa continuità anche tramite la molteplicità dei mondi che popolano il pianeta e che, pertanto, potenzialmente dimorano in noi. L'insegnamento del magistero sull'«educazione integrale» deve essere compreso come un appello a posizionarsi «al punto di emersione dell'umano» in questo nuovo contesto e a «considerare l'essere umano nella sua globalità e nella sua complessità», il che fa dell'educazione «una pratica costitutrice dell'uomo».[30] Da un punto di vista cristiano, ciò suppone che si abbia uno sguardo d'amore sui giovani, l'unico capace di svegliare in loro l'amore che è la vocazione più essenziale della persona.[31] Si tratta nello specifico di accogliere il desiderio della gioventù di interagire con l'altro diverso da sé per portarlo progressivamente verso una relazione di carità autentica, adatta alla rinuncia e al dono di sé.
    L'antropologia cristiana, fondata sulla rivelazione biblica, sostiene che l'elaborazione della differenza sessuale sia decisiva per la costruzione di un'identità capace di incontrare l'altro nella sua differenza irriducibile.[32] Tuttavia, la capacità educativa della famiglia non dipende solamente dal fatto che i coniugi siano di sesso diverso. È il loro amore nella differenza sessuale su cui si fonda il matrimonio sul piano morale, che contiene virtù educative.[33] Pertanto, l'insieme delle caratteristiche morali del matrimonio concorre alla costruzione dell'identità dei bambini nella differenza sessuale: l'impegno incondizionato nei confronti del coniuge e dei figli, a prescindere dal sesso e dallo stato di salute, l'amore reciproco che aiuta a superare le crisi, il rispetto del divieto d'incesto che mantiene la differenza sessuale nella moralità.
    Non possiamo aspettarci dagli adolescenti che integrino immediatamente la dimensione oblativa dell'amore nella differenza sessuale. Il fatto che questa integrazione sia solamente progressiva non squalifica tuttavia le esperienze dell'amore che si fanno durante la giovinezza. Anche se parziali, restano strutturanti e meritano di essere valorizzate, proprio perché è sforzandosi di amare, anche maldestramente, che l'essere umano cresce nell'amore. Da qui il rispetto che gli adulti devono a queste esperienze giovanili, sapendo che è anche loro dovere fare sentire ai giovani che l'amore è più grande di quello che oggi sono capaci di vivere. Gli educatori devono pensare che possono aiutare, con pudore, i giovani a gestire le loro delusioni amorose e a perdonare.[34]
    In campo religioso, i giovani d'oggi hanno una coscienza più ampia del pluralismo religioso e tendono a rispettarlo. Tuttavia, non si può ignorare che l'ascesa dell'ateismo è considerevole tra i giovani, fatto che però non impedisce che si interroghino sul senso della vita e spesso sull'esistenza di un ordine sovrumano.[35] In questa prospettiva, è importante per la Chiesa favorire l'accesso alla trascendenza assimilando le componenti della costruzione dell'identità nella società attuale.[36]

    3. La trasmissione della fede al servizio di una vitalità riconciliata

    La problematica della trasmissione della fede deve oggi accettare la sfida di offrire alla generazione Z un accesso sufficientemente ampio al reale e all'identità umana. Per fare ciò, è importante riscoprire il legame tra trasmissione e riconciliazione. Poiché, come fa notare il rabbino Delphine Horvilleur riprendendo lo psicanalista Jean-Pierre Winter, «la responsabilità della trasmissione non riguarda solo i genitori, spetta anche ai figli».[37] Nel suo stesso principio, la trasmissione richiede dunque la riconciliazione tra le generazioni. Ora, questa non può realizzarsi sulla base del sogno di autosufficienza che nutre l'individualismo contemporaneo. Affinché la trasmissione sia possibile, dobbiamo prendere coscienza dei nostri limiti comuni, sia naturali sia culturali[38], così come delle frontiere che separano le generazioni ma che possono essere superate per incontrare l'altro in verità. La trasmissione richiede pertanto la speranza di una possibile riconciliazione con e nella nostra condizione di creature contraddistinte dai limiti e dalla divisione. Questa constatazione, fatta già in Gaudium et spes più di cinquant'anni fa[39], indubbiamente non ha condotto a mobilitare sufficientemente l'annuncio del Vangelo della riconciliazione, sebbene al cuore della concezione cristiana della trasmissione. Paolo ha una coscienza viva del legame tra la sua «ambasciata per Cristo», «morto e risorto per tutti», e «il ministero della riconciliazione» che gli è affidato: «Lasciatevi riconciliare con Dio», supplica i cristiani di Corinto (2 Co 5, 14-21). La riconciliazione degli uomini con Dio è al cuore del kerigma, ricevuto e trasmesso: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Co 15,3). In questa ultima parte vorrei suggerire che la proposta cristiana, quand'anche faccia leva su pratiche decifrabili e significative, è in grado di offrire ai giovani di oggi una riconciliazione con loro stessi nel superamento, una riconciliazione con gli altri nella riconoscenza comune dei limiti umani e una riconciliazione con Dio nel consenso a essere preceduti da Lui nell'amore.

    3.1 La coscienza permette all'uomo di superarsi (il sé riconciliato)
    Abbiamo visto che la dominante contemporanea dell'individualizzazione tende a ricondurre la valutazione delle norme alla certezza soggettiva e all'utilità pragmatica. In questo contesto, è importante iniziare i giovani alla pratica del discernimento come dinamica di superamento di sé aperta sull'orizzonte del bene. Senza una tale iniziazione, i giovani rischiano di restare impigliati nelle crisi che attraversano, privi del distacco necessario per affrontare i problemi concreti. Come ricordava il Cardinale Joseph Ratzinger, è importante distinguere bene i due livelli che disciplinano il funzionamento della coscienza: la sinderesi (synderesis), che è la capacità umana fondamentale di riconoscere il bene e rifiutare il male, la conscientia che discerne nel particolare facendo leva sulla sinderesi.[40] Questa va concepita come una «anamnesi», come «la scintilla dell'amore divino nascosto in noi» (San Basilio), come «un senso interno che consente all'uomo, così interpellato, di riconoscerne l'eco in sé». Il Cardinale Ratzinger aggiunge: «Nulla mi appartiene meno di me stesso, la mia propria persona è il luogo stesso del superamento di sé più radicale». Questo riferimento al superamento di sé sembra pertinente per raggiungere una generazione particolarmente ricettiva al movimento, alla crescita, all'amplificazione delle possibilità umane per mezzo delle tecnologie della comunicazione.
    È tuttavia importante permettere ai giovani di accedere a un approccio sufficientemente interiorizzato del superamento di sé, il che presuppone l'apprendimento del ritiro in sé stessi, del silenzio, dell'ascolto, della riflessione, del senso critico e quindi dell'esistenza di luoghi dove si possa sperimentare la fecondità di questi atteggiamenti essenziali. Ogni essere umano ha il diritto e il dovere, come proclamato in Gaudium et spes, di dispiegare la molteplicità delle faccette che lo costituiscono «nella sua unità e nella sua totalità»: «corpo e anima, cuore e coscienza, pensiero e volontà» (GS 3,1). È così che può accedere al discernimento etico sulle questioni concrete. Per esempio, un ambito cruciale del discernimento per i giovani è la scelta di operare di fronte alle opportunità di mobilità offerte dal mondo attuale, nella rete o fisicamente. La distinzione tra buona e cattiva mobilità, nonché la capacità di restare fedele alle scelte fondamentali nelle quali si gioca e si compie la mia identità, suppongono che si sia imparato a conoscere sé stessi per evitare di disperdersi, e persino di dissolversi in un attivismo simile al «divertissement» (divertimento) pascaliano. Gli studenti e i professori delle cinque università cattoliche francesi hanno deciso che le loro giornate di incontro biennali che avranno luogo a Parigi nella primavera del 2018 saranno dedicate alla mobilità, tema che suscita un reale coinvolgimento intergenerazionale nella sua preparazione.

    3.2 Qualunque relazione vera presuppone il riconoscimento dei limiti (la finitezza riconciliata)
    Molte crisi, nell'adolescenza come nel resto dell'esistenza, provengono dalla difficoltà di riconoscere i nostri limiti. In modo estremamente chiaro, Papa Francesco ricorda agli sposi che la scoperta dei limiti del coniuge non deve portarli a dubitare dell'amore. «Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale».[41] Come faceva notare Paul Ricœur, l'attenzione alla colpa ha talvolta condotto il cristianesimo a eclissare la sofferenza legata all'esperienza della finitezza.[42] Ora, la vita morale non consiste solamente nel combattere l'errore e il peccato ma anche nel lottare nello spessore della nostra finitezza contro lo scoraggiamento, il cedimento degli slanci[43] o ancora la vigliaccheria del quotidiano. La morale delle virtù aiuta a prendere coscienza dell'importanza del lavoro sulle virtù nei limiti umani, i nostri e quelli degli altri.[44] Questa tradizione meriterebbe di impregnare maggiormente la formazione etica dei giovani, poiché è adatta a mobilitare la gioia dell'apprendimento, quella che emerge quando ci si scopre capaci, a forza di resistere, di realizzare con successo tanto le operazioni più delicate quanto quelle più ordinarie. Il ritorno attuale di attrattiva della pedagogia scout dipende sicuramente dalla vita di squadra, declinata in maniera differenziata in base all'età. Insegna a gestire la vita in gruppo e ad apprezzarla a dispetto delle difficoltà. Il formalismo dei consigli insegna ai giovani ad ascoltare l'altro, a farsi suo portavoce se necessario, ma anche a esprimere in modo benevolo i desideri o i rimpianti, compresi quelli nei confronti dei capi, il che forma all'accettazione dei limiti di ciascuno.
    L'impossibilità di digitalizzare la distanza che mi separa dall'altro rientra tra i limiti antropologici ai quali è difficile acconsentire nella cultura del digitale. Poiché se digitalizziamo a volontà l'immagine di un oggetto, di una scena o di una persona, non digitalizziamo né la presenza di una persona né la sua assenza, né il misto di presenza e di assenza che si offre nel suo apparire. Precisamente, qualunque incontro autentico con l'altro fa simultaneamente l'esperienza di una distanza insormontabile, che appartiene al mistero dell'incontro e che è parzialmente colmata dal movimento reciproco dell'uno verso l'altro, a partire da due libertà.[45] La velocità e la potenza insite nell'universo del digitale sono estranee al campo della libertà, che richiede lentezza e abbandono per realizzarsi. Ecco perché la pedagogia dell'iniziazione cristiana racchiude un'autentica potenzialità di risveglio a questa struttura della vita relazionale. Infatti, la tradizione ci ricorda, da una parte, che le realtà divine non sono accessibili se non perché Dio ha l'iniziativa di donarcene l'accesso rivelandosi a noi e, dall'altra, che questo accesso non si offre a noi se non nella modalità della fede, che è contemporaneamente un dono di Dio e un'espressione della nostra libertà.
    La fede comporta per di più una dimensione escatologica, che la collega alla virtù teologale della speranza. «Ciò che si spera, se visto, non è più speranza», afferma San Paolo in Rm 8,24. Questa tensione è particolarmente presente nei sacramenti. La fede cristiana ci insegna che ciò che vediamo nel momento di una celebrazione sacramentale non è la totalità del reale. Il bambino che riceve il battesimo, l'adulto che riceve la comunione, sono ben più di quello che vediamo di loro: sono delle persone chiamate da Dio a diventare più di quello che vediamo e più di ciò che già realizzano della vita cristiana nella loro esistenza.[46] Ecco cosa contrasta con la cultura contemporanea, avida di immagini digitalizzabili e che rappresenta dunque una sfida per l'iniziazione cristiana. In modo reciproco, l'annuncio dell'escatologia cristiana ci può riconciliare con lo sconvolgente mistero della persona umana, che eccede sempre ciò che crediamo di cogliere di essa.

    3.3 Dio ci precede nell'amore (la creatura riconciliata)
    Con il suo nuovo incarico di responsabile dell'insegnamento cattolico nelle Fiandre, Lieven Boeve, ex decano della facoltà di teologia di Lovanio, prosegue la sua riflessione di teologia fondamentale sulle sfide da affrontare per l'annuncio del Vangelo in un mondo «post-cristiano». In particolare, si lascia interrogare dalla critica di Jean-François Lyotard sul carattere inclusivo dei racconti fondatori, che impediscono l'espressione dei disaccordi e quindi della differenza. Questa critica riguarda particolarmente il racconto cristiano della creazione, perché il fatto di interpretare la comparsa della differenza come «un dono di grazia e di amore» conduce secondo Lyotard a «spogliarla della sua alterità interruttiva».[47] Anche se ovviamente non entrano a fondo in questa critica, i giovani si mostrano tuttavia molto sensibili alle contraddizioni tra la parola e l'azione e critici nei confronti di qualunque modo di amare che non sia sufficientemente rispettoso della differenza dell'altro. Ora, bisogna riconoscere che i cristiani possono cadere in questo difetto. Per Lieven Boeve, la risposta è di ordine teologico: consiste nel lasciare che Dio stesso «interrompa i nostri tentativi di chiudere il racconto dell'amore». I teologi dei sacramenti sono invitati a «pensare alla grazia come a un amore interruttivo».[48]
    L'insegnamento di Amoris laetitia ci introduce precisamente al carattere interruttivo della grazia di Dio. Come afferma Papa Francesco, la grazia agisce nella vita di «coloro che partecipano alla vita della Chiesa in modo imperfetto» (AL 291). Suscita «strade di crescita attraverso i limiti» (AL 305) in coloro la cui vita sembra bloccata tra il bianco e il nero.[49] In altre parole, l'azione della grazia nella vita delle persone segnate dalla fragilità e dal peccato obbliga a uscire dalle categorie preconfezionate e ad accogliere meglio le differenze. Tramite il suo intervento nella storia dell'umanità in un modo che fa saltare i nostri schemi di pensiero, Dio manifesta che noi siamo sempre già preceduti da Lui nell'amore. Questo richiamo divino ci invita a rispondere con ciò che siamo. Ci riconcilia con la nostra condizione di creature limitate e peccatrici, liberandoci dai sogni di perfezione che troppo spesso dimorano in noi. Ancor di più, la fede nell'azione della grazia divina ci permette di accogliere le forme inedite di amore che essa suscita nella cultura contemporanea. A questo proposito, ciò che scrive il teologo congolese Léonard Sabtedi Kinkupu riguardo al cristianesimo in Africa vale anche nel resto del mondo: la missione, dice, consiste in un «lavoro di innovazione, di invenzione, di creatività, d'immaginazione poetica al seguito del Risorto e nella forza dello Spirito».[50]
    Possiamo esserne certi nella fede: la grazia premurosa di Dio, che interrompe le nostre concezioni stringate dell'amore, non può mancare alla generazione Z, le cui pratiche mostrano che aspira tanto all'immaginazione creatrice. Pertanto, non potrebbe esistere un accompagnamento delle vocazioni laiche e religiose senza una disponibilità profonda ad accogliere nuovi modi di amare, in un mondo che si trasforma in profondità. Questi si manifestano per esempio quando dei giovani si impegnano, tramite pratiche concrete e personali di solidarietà, a far scoppiare le comunità del genere che i social network tendono a generare o a suscitare delle relazioni intergenerazionali. Nelle nostre società più mobili, caratterizzate dall'espatrio per motivi economici e dalle migrazioni forzate generate dalla povertà e dai conflitti, il digitale permette fortunatamente di mantenere dei legami familiari e culturali a dispetto della distanza geografica. Reciprocamente, l'importanza del digitale suscita nuove aspirazioni alla disconnessione temporanea, agli incontri dal vivo, alla mobilitazione collettiva, alle feste che interrompono la monotonia del quotidiano. Possano le comunità cristiane osare lasciarsi trascinare in questi nuovi modi di vivere che testimoniano l'irruzione della fraternità di Dio nei nostri percorsi umani.

     

    NOTE

    [1] Olivier Galland e Bernard Roudet, dir., Une jeunesse différente? Les valeurs des jeunes Français depuis 30 ans, Parigi, La documentation française, 2014, p. 16.
    [2] «Oggi siamo in un momento nuovo. [...] Non è un'epoca di cambiamento, ma è un cambiamento di epoca. Allora, oggi è sempre urgente domandarci: che cosa chiede Dio a noi?» (Discorso di Papa Francesco all'episcopato brasiliano, GMG, Rio de Janeiro, 27 luglio 2013). Citato da Nathalie Becquart, «Évangéliser les jeunes adultes dans le souffle des JMJ. Panorama et défis actuels», Documents épiscopat, n° 12, 2013, p. 36.
    [3] San Tommaso d'Aquino, Somma teologica, IIa IIae, q. 64, art. 7.
    [4] «Abbiamo la sensazione che i giovani siano di fianco ai sistemi [politici, economici, sociali] e piuttosto indifferenti al loro funzionamento» (Diocesi di Nanterre, Rêponse au questionnaire des acteurs pastoraux en vue du Synode des évêques d’octobre 2018, luglio 2017.)
    [5] David Stillman e Jonah Stillman, Gen Z @ Work. How the Next Generation ls Transforming the Workplace, New York, HarperCollins, 2017.
    [6] Bernard Lecherbonnier, Le monde en 2025, Parigi, l’Archipel, 2017.
    [7] Gilles Babinet, L’ère numérique, un nouvel âge de l’humanité. Cinq mutations qui vont bouleverser notre vie, Parigi, Le Passeur, 2014, p. 72. La discussione seguente trae largamente spunto da questa opera.
    [8] Così, l'interattività dei Fablab genera una produzione a costi ridotti grazie alla condivisione di file su grande scala che rende possibile l'unicità della rete IP (protocollo internet).
    [9] Hartmut Rosa, Die Veränderung der Zeitstrukturen in der Moderne, Francoforte, Suhrkamp, 2005. (Traduzione italiana: Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella tarda modernità, Einaudi, 2015)
    [10] Bernard Lecherbonnier, Le monde en 2025, Paris, l’Archipel, 2017, p. 93-99.
    [11] Olivier Galland et Bernard Roudet, dir., Une jeunesse diffêrente?, 81.
    [12] Olivier Galland et Bernard Roudet, dir., Une jeunesse différente?, p. 15.
    [13] Olivier Galland et Bernard Roudet, dir., Une jeunesse différente?, p. 28.
    [14] Jean-Laurent Cassely, La révolte des premiers de la classe. Métiers à la conquête de sens et reconversions urbaines, Parig, Arkhé, 2017.
    [15] Prendo in prestito l'espressione «Negative contrast experience» dal teologo Edward Schillebeeckx: « These contrast-experiences show that the moral imperative is first discovered in its immediate, concrète, inner meaning, before it can be made the object of a science and then reduced to a generally valid principle.» (Edward Schillebeeckx, « Church, Magisterium, and Politics » in God the Future of Man, New York, Sheed & Ward, 1968, p. 155-56). Citato da Kathleen McManus, «Suffering in the theology of Edward Schillebeeckx», Theological Studies, 60, 1999, p. 476-491: 477.
    [16] Così Axel Nørgaard Rokvam, ex studente di commercio internazionale presto riconvertitosi a un mestiere d'arte, la legatoria, è coautore di un libro in cui si denuncia l'incapacità della nostra società di trasmettere come si assimilano i propri limiti e quelli degli altri per vivere bene insieme (Gaultier Bès, Marianne Durano, Axel Nørgaard Rokvain, Nos limites. Pour une écologie intégrale, Parigi, Le Centurion, 2014).
    [17] Philippe Bordeyne, «Une philosophie de l’homme capable: les sources ricœuriennes de la pensée du pape François», comunicazione al colloquio internazionale su La philosophie du pape François, 18 ottobre 2016, Istituto Cattolico di Parigi, di futura pubblicazione per le edizioni Salvator sotto la direzione di Emmanuel Falque. (Traduzione parziale in italiano: «La filosofia delI’uomo capace: papa Francesco e Paul Ricoeur», in Vita et Pensiero, Milano, Marzo-Aprile 2017, p. 65-75.)
    [18] «La fidélité à soi dans le maintien de la parole donnée marque l’écart extrême entre la permanence du soi et celle du même, et done atteste l’irréductibilité des deux problématiques l’une à l’autre.» (La fedeltà a se stessi nel mantenere la parola data segna lo scarto estremo tra la permanenza del sé e quella dello stesso e attesta dunque l'irriducibilità delle due problematiche l'una all'altra). (Paul Ricœur, Soi-même comme un autre, Parig, Seuil, coll. “L'ordre philosophique“, 1990, p. 143.)
    [19] Romano Guardini, Les Âges de la vie, Paris, Cerf, 1956. La traduzione francese include anche il testo della lezione accademica tenuta da Guardini per il suo settantesimo anniversario all'Università di Monaco.
    [20] Romano Guardini, Le età della vita, p. 51.
    [21] «Le concept de bien a une origine expérimentale comme tous nos autres concepts. Un bon fruit, un bon climat, une bonne promenade. [...] En fait, les hommes ont l’idée, la notion universelle ou intelligible de bien, mais qui d'abord, au plan expérimental, connote une expérience sensorielle.» (Il concetto di bene ha un'origine sperimentale come tutti i nostri altri concetti. Un buon frutto, un buon clima, una bella passeggiata. [...] Infatti, gli uomini hanno l'idea, la nozione universale o intelligibile di bene, ma che innanzitutto, sul piano sperimentale, connota un'esperienza sensoriale. (Jacques Maritain, Neuf leçons sur les notions premières de la philosoyhie morale, Parigi, Téqui, 195 1, p. 26.)
    [22] Ecco l'elaborazione psichica dell'oggetto tradizionale. Cf. Donald W. Winnicott, Jeu et réalité, Parigi, Gallimard, 1975.
    [23] Christian Salenson, Bouleversante fragilité. L’Arche à l’épreuve du handicap, Préface de Jean Vanier, Bruyères-le-Chatel, Nouvelle Cité, 2016, p. 61.
    [24] Paul Ricœur, Philosophie de la volonté. I- Le volontaire et l’involontaire, Aubier, Paris, 1988 (1950), p. 264 et 269.
    [25] Paul Ricœur, Le volontaire et l’involontaire, p. 294.
    [26] «L’hospitalité, c’est d’abord celle que les uns aux autres nous nous donnons, échangeant paroles et silences, regards et voix.» (L'ospitaltà è innanzitutto quella che doniamo gli uni agli altri, scambiandoci aprole e silenzi, sguardi e voce); (Jean-Louis Chrétien, L’arche de la parole, Parigi, Parigi, Presses Universitaires de France, 1998, p. 1).
    [27] Jean-Louis Chrétien, L’arche de la parole, p. 1 3-14.
    [28] Alain Braconnier, On ne m’êcoute pas!, Parigi, Odile Jacob, 2017, p. 157.
    [29] Lieven Boeve, “Symbols of Who We Are Called to Become: Sacraments in a Post-Secular and Post-Christian Society”, XXVI Congresso della Societas Liturgica, Lovanio, 7-12 agosto 2017, prossimamente pubblicato in Studia Litugica.
    [30] François Moog, «La notion d'éducation intégrale, pivot anthropologique de l’éducation catholique», Transversalités, n° 141, 2017/2, p. 35-51:44.
    [31] A differenza delle altre virtù e pratiche che cesseranno, «l'amore non passerà mai» (1 Co 13, S).
    [32] La differenza sessuale non è solo « originale» ma «originaria», nel senso che instaura una «differenziazione dalla quale non smettiamo di dipendere». (Emmanuel Falque, Les noces de l’Agneau. Essai philosophique sur le corys et l’eucharlstie, Parigi, Cerf, coll. La nuit surveillée, 2011, p. 235-237.)
    [33] Philippe Bordeyne, La famille comme lieu où se construit la différence sexuelle, conferenza presso il congresso annuale della pastorale familiare, Conferenza dei vescovi italiani, Nocera Umbra, 1 maggio 2015.
    [34] Lo psicologo e psicanalista Jacques Arènes critica «la fragilità delle procedure iniziatiche accompagnate dal mondo adulto», così che «i giovani hanno dei riti auto-iniziatici, vissuti talvolta in una grande solitudine». (Jacques Arènes et Dalibor Frioux, «Troubles dans l’identité masculine», Études, n° 4240, luglio-agosto 2017, p. 31-40.)
    [35] L'aumento della proporzione di atei convinti tra i giovani europei è notevole. In Francia, è raddoppiata in 30 anni, passando dal 14% nel 1981, al 17% nel 1999 e al 28% nel 2008. (Olivier Galland e Bernard Roudet, dir., Une jeunesse différente?, p. 16-17.)
    [36] Di fronte all'abbandono contemporaneo della religione, Arénes stima che l'occasione del cristianesimo consista nel mettere in evidenza ciò che permette, al di là delle differenze tra credenti e non credenti «di superare le sfortune della nostra vita e di aprirci al cambiamento» (Jacques Arènes, Croire au temps du Dieu fragile. Psychanalyse du deuil de Dieu, Parigi, Cerf, 2012, p. 23.)
    [37] Delphine Horvilleur, Comment les rabbins font les enfants. Sexe, transmission, identité dans le judaisme, Parigi, Grasset, 2015, p. 90. Cita: Jean-Pierre Winter, Transmettre (ou pas), Parigi, Albin Michel, 2012.
    [38] Gaultier Bès, Marianne Durano, Axel Nargaard Rokvam, Nos limites, op. cit.
    [39] In GS 10, 1, l'uomo è questa creatura divisa in ragione dei limiti e del peccato: «Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società». Questo richiamo sfocia, in GS 10, 2 nell'annuncio della riconciliazione, che il Concilio preferisce tuttavia designare come salvezza: «Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati.
    [40] Cardinale Joseph Ratzinger, «Coscienza e verità» [Dallas, Texas, 1991], in La communion de Foi. II - Discerner et agir, Parigi, Communio/Parole et Silence, 2009, p. 187-206.
    [41] Papa Francesco, Esortazione apostolica “Amoris laetitia”, 19 marzo 2016, n° 113.
    [42] «J’ai été longtemps, je dirais maintenant enfermé dans une seule problématique du mal, celle de la culpabilité, du péché, donc de l’auto-accusation ete. Mais l'expérience historique à laquelle j’ai été mêlé m’a peut-être fait déplacer le centre de gravité du problème du mal de la faute à la souffrance». (Sono stato a lungo, direi ora, imprigionato in una sola problematica del male, quella della colpevolezza, del peccato, dunque dell'auto-accusa ecc. Ma l'esperienza storia nella quale sono stato coinvolto mi ha forse fatto spostare il centro di gravità del problema dal male dalla colpa alla sofferenza); (Paul Ricœur: le tragique et la promesse. Entretien avec Gilivier Abel, Paris, Antenne 2, 15 e 22 dicembre 1991.)
    [43] Dom Jean-Charles Nault, La Saveur de Dieu. L’acédie dans le dynamisme de l'âme, Paris, Cerf, 2006.
    [44] James F. Keenan, Virtues for Ordinary Christians, Franklin, Sheed & Ward, 1996.
    [45] «Tant que l’on rend visite à l’autre, on ne peut pas encore dire qu’il y ait là une vraie rencontre. Il faudra encore accepter de se laisser visiter par l’autre. [...] Toute vraie rencontre fait toucher à chacun ses limites». (Finché rendiamo visita all'altro, non possiamo ancora dire che ci sia un vero incontro. Dovremo ancora acettara di lasciarci visitare dall'altro. [...] Qualunque vero incontro fa toccare a ciascuno i propri limiti) (Christian Salenson, Bouleversante fragilité, p. 46 e 62.)
    [46] «I sacramenti non sono solo marcatori di identità culturale, ma anche marcatori di identità cristiana. Hanno la particolarità di non essere solo il simbolo di ciò che sono i cristiani, ma soprattutto il simbolo di ciò che i cristiani sono chiamati a diventare» (Lieven Boeve, ”Symbols o Who We Are Called to Become”).
    [47] Lieven Boeve, “The Other and the Interruption of Love”, in Ulrich Schmiedel & James Mattarazo (eds.), Dynamics of Difference. Christianity and Alterity: A Festschrift for Werner G. Jeanrond, Londra, Bloomsbury T&T Clark, 2016, p. 275-283.
    [48] Lieven Boeve, “Symbols of Who We Are Called to Become“.
    [49] «Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio». (AL 305)
    [50] Léonard Santedi llinkupu, «Le paradigme d’une mission poétique. Fondement et déploiement», Transversalités, n° 111, 2009/3, p. 135-149. Senghor, poeta cattolico, non affermava forse la forza di ricreazione «analogica» della poesia? «En Afrique noire, tout être, voire toute chose, mieux, toute forme et toute couleur, tout mouvement et tout rythme, tout timbre et toute mélodie, toute odeur et toute saveur, tout son, [ont] chacun sa valeur symbolique: sa signification. Pour quoi tout mot, toute parole est enceinte d’une image analogique quand ce n’est pas de plusieurs.» (Nell'Africa nera, qualunque essere, anzi qualunque cosa, o meglio qualunque forma e colore, qualunque movimento e lritmo, qualunque timbro e melodia, qualunque odore e sapore, qualunque suono ha ciascuno il su valore simbolico: il suo significato. Perché qualunque parola è impregnata di un'immagine analogica se non di più d'una). (Léopold Sédar Senghor, Œuvre poétique, Parigi, Seuil, 1990, p. 393.)

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