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    Fra Riccardo Pampuri. Medico, religioso e santo


    Santi giovani e giovinezza dei santi /3

    Elia Tripaldi O.H.

    (NPG 2019-07-50)


    L’ideale di vita

    Riccardo Pampuri fu prima medico e poi religioso ospedaliero. Egli continuò la sua professione di curare i malati, anche se sotto diverso abito, quello dei Fatebenefratelli. Col suo ingresso in religione quindi non fu costretto a rinnegare la sua precedente professione, ma piuttosto intraprese una più alta tappa della sua ascesi verso la quale si era preparato negli anni che precedettero la sua vocazione alla vita religiosa ospedaliera.
    L’ideale che traspare dalla sua vita è stato quello di unificare l’arte medica con l’esercizio di carità, imparando e cercando di insegnare agli altri e in particolare ai suoi giovani confratelli, a vedere nella sofferenza un’occasione di redenzione e di vicinanza del Signore che non abbandona chi è nella debolezza e nelle fragilità.
    Erminio Pampuri, questo era il suo nome di battesimo, nacque a Trivolzio (Pavia) il 2 agosto 1897 da Innocente e Angela Campari. Egli fu il decimo di 11 figli. La madre morì quando il piccolo aveva appena tre anni e il padre morirà sei anni più tardi. In seguito a tali tragici eventi, il piccolo venne accolto a Torrino, a circa tre chilometri da Trivolzio, in casa degli zii materni Carlo, medico condotto di Trivolzio e Maria Campari i quali lo allevarono con tanto affetto che egli li chiamò sempre padre e madre.
    In casa dei coniugi Campari troviamo anche la fedele domestica Carolina Bersan, come una della famiglia, donna semplice ma piena di buon senso, che Erminio ricorderà sempre con grande affetto. A volte facendo pregare il piccolo Erminio, la domestica lo correggeva quando sbagliava. Egli le faceva osservare: “Quando mi fai dire tu le preghiere, mi fai sempre sbagliare. Quando le dico da solo non sbaglio mai". E Carolina rispondeva: “Ma sicuro, quando le dici da solo non c’è nessuno che ti corregge”. Allora il ragazzo cominciava da capo.
    Erminio ricevette la Cresima il 10 luglio 1904 e la Prima Comunione il 5 aprile 1906 dal Prevosto della Parrocchia il quale avrebbe voluto ammetterlo anche in precedenza all’incontro con Gesù eucaristico, tale era la sua condotta e la sua intelligenza con cui si preparò a riceverla.
    Di indole buona, mite e socievole Erminio si adattava facilmente agli usi e alle esigenza altrui e aiutava il parroco nell’insegnare il catechismo ai più piccoli, nel portare i suoi coetanei in chiesa, specialmente alla sera per la visita al SS. Sacramento, devozione che non abbandonerà, neppure da giovane medico.
    Nel 1902 iniziò a frequentare le classi elementari e, secondo la testimonianza del suo maestro, fu sempre assiduo, anche con il tempo cattivo e le strade impraticabili; per le ultime due classi, la scuola si trovava a quattro chilometri di distanza da casa. Le virtù che meglio rifulsero nel piccolo Erminio furono la bontà, l’obbedienza pronta e ilare, una tenacia volenterosa nello studio.
    A undici anni per poter frequentare il ginnasio Manzoni, si trasferì a Milano, in casa del fratello maggiore Ferdinando. Ma la città fu per lui motivo di distrazione e di crisi negli studi, Tuttavia una delle sorelle testimonia che non lasciò mai la preghiera privata e, prima di recarsi a scuola, andava in chiesa per una breve visita al SS. Sacramento.
    Gli zii di Torrino pensarono bene di sistemarlo nel collegio di Sant’Agostino di Pavia dove rimarrà sei anni come interno. Qui Ermino mostrò una grande intelligenza, soprattutto in matematica, nel risolvere problemi di algebra con estrema facilità. Il Pampuri ebbe due attestati di lode: uno per l’anno scolastico 1909-1910 e uno per l’anno 1910-1911 e un attestato di lode con premio per il biennio successivo.
    L’allora Vice-Rettore, sac. Francesco Fasani dichiara che egli si distingueva “sempre per bontà, semplicità, candore e per l’applicazione agli studi… I compagni nutrivano simpatia e stima particolare nonostante che vivesse estraneo ai loro giochi e alle loro conversazioni”.
    Don Roberto Cerri in quegli anni suo direttore spirituale, testimonia che “era veramente un angelo per costumi e per pietà… Quasi tutte le sere, terminato lo studio…, prima di recarsi al riposo, lo vedevo comparire nella mia camera per riconciliarsi… Spesso era solo e talvolta accompagnato da un condiscepolo, che seguiva il suo esempio e condivideva la passione nello studio e l’amore alla pietà”.
    Dopo la maturità classica il Pampuri avrebbe voluto farsi religioso, come aveva più volte confidato a sua sorella suor Longina Maria, missionaria in Egitto, appartenente alle Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria e morta al Cairo il 2 agosto 1977. Da Torrino egli scrive a sua sorella: “Quanto avrei desiderato di potere teco ammirare quelle famose e grandiose piramidi che attraverso ai secoli ci fanno conoscere la grandezza e la potenza di quei superbi Faraoni che si facevano chiamare “figli del sole” e che pur dovettero piegare la loro fronte ai voleri del Dio d’Israele”.[1]
    Erminio scelse la facoltà di medicina dell’università di Pavia, probabilmente condizionato dalla presenza dello zio Carlo medico, conseguendo la laurea in medicina e chirurgia con il massimo dei voti. Si iscrisse al circolo universitario “Severino Boezio”, associazione fondata nel 1898 dal Vescovo locale Agostino Riboldi per la formazione morale e spirituale degli studenti universitari alla quale – come attesterà il suo futuro Superiore Provinciale dei Fatebenefratelli, P. Zaccaria Castelletti al processo di beatificazione - “portò più soci lui col suo esempio e con l’intemerata sua vita, che non tutte le conferenze e gli altri mezzi di propaganda, non arrossisco al dirlo, compreso il mio interessamento personale”.
    Il giovane Pampuri era molto portato alla vicinanza e all’educazione dei giovani con il suo spirito cristiano di apostolato, di candore di costumi, di pietà, di umiltà che riusciva a conciliare contrasti e discussioni tra studenti universitari. Essendo stati uccisi due studenti durante una sollevazione studentesca, egli con coraggio, e unico a farlo, si avvicinò ai due cadaveri e pregò su di loro. I dimostranti lo rispettarono, mentre spararono ad un altro nel tentativo di avvicinarsi. Fu Terziario Francescano e assiduo frequentatore della Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli.

    Con la divisa militare

    I suoi studi furono interrotti dalla tragica parentesi della prima Guerra Mondiale (1915-1918). Nella prima visita fu dichiarato rivedibile, ma alla seconda fu riconosciuto abile arruolato nel Corpo di Sanità. Fu ligio ai suoi doveri in ogni ospedale da campo cui fu assegnato.
    Il Pampuri meritò una decorazione in occasione della ritirata di Caporetto quando gli ufficiali medici della sua compagnia abbandonarono tutto il materiale sanitario e fuggirono con i soldati. Erminio, per non lasciare un carico così prezioso di materiale sanitario al nemico, lo caricò su un carretto trainato da una mucca e, completamente solo, sfidando il nemico e sebbene piovesse a dirotto, camminò per ventiquattro ore verso la sua compagnia che ormai lo considerava per disperso. Oltre alla decorazione riporterà anche una brutta pleurite sui cui esiti, circa dieci anni più tardi, una broncopolmonite porrà fine alla sua vita terrena.
    Nell’ambiente militare, col grado di caporale, era molto stimato e benvoluto. Usava grande vicinanza e carità con i soldati infermi, in particolare verso i più gravi, e per gli altri fu consigliere e sostegno morale. “Da due settimane – scrive ai suoi parenti in quel periodo – “faccio servizio in un ospedale da campo in sala di medicazione. Quale scempio della povera carne umana, che ferite, che squarci, quante membra fracassate!”.
    Secondo le testimonianze di un suo commilitone e compagno di università, Ermino aveva con sé il Vangelo, le Lettere di San Paolo e l’Imitazione di Cristo che meditava nei momenti di riposo e di silenzio.

    “Il dottorino di Morimondo”

    Dopo la laurea Erminio fece un breve tirocinio presso lo zio e una supplenza nel comune di Vernate (MI). Fece anche un concorso per una sede di suo gradimento; lo vinse ma per favoritismi quella sede non gli venne assegnata. Gli fu data quella di Morimondo, a 15 Km da Torrino. La sua permanenza come medico condotto si protrasse fino al 1927, ossia fino a quando non abbracciò la via religiosa (giugno 1927).
    È quasi impossibile narrare i molteplici gesti di carità, di vicinanza al malato, di sollecitudine e aiuti concreti operati dal Pampuri. A Morimondo egli svolse un meraviglioso apostolato professionale e spirituale a sollievo dei corpi e delle anime. Egli, come san Giovanni di Dio, si distinse per la grande carità verso i malati che visitava più volte a domicilio; per i più poveri non accettava nessuna parcella ed egli stesso poneva, senza farsi vedere, il denaro sul comodino o sotto il cuscino del malato per comperare le medicine.
    La richiesta continua di preghiere a sua sorella non riguardava solo lui, gli altri famigliari e gli ammalati ma anche i giovani per i quali chiedeva: “Una preghiera poi ti chiedo per i carissimi giovani del circolo giovanile della nostra parrocchia, affinché anche nei loro cuori abbia da porre il suo stabile regno il Divino Infante che già con l’esempio della sua nascita ci mostra la sua predilezione per i poveri, per gli umili, per i diseredati della terra” (1 ottobre 1923).
    Aveva una particolare preoccupazione per la gioventù cresciuta nell’indifferentismo religioso della scuola e spesso anche della famiglia, in ambienti sociali atei e corrotti; gioventù che si avviava al matrimonio con una leggerezza impressionante. Da medico e da buon psicologo e acuto osservatore da far invidia ad alcuni direttori spirituali, scriveva: “Molti affermano oggi di trovare nella donna un ostacolo alla loro virtù, al loro perfezionamento morale, ma non si accorgono che non è la donna l’ostacolo, la pietra d’inciampo, ma la loro indifferenza religiosa, la tralasciata e insufficiente pratica dei Sacramenti, l’ignoranza della dottrina cristiana, per cui, incapaci di frenare e dominare gli istinti inferiori e le volubili passioni, cercano nella donna non le delicate e ammirabili virtù proprie del suo sesso, ma ciò che essa può eccitare e alimentare le deleterie passioni del senso” [2].
    In tutto il tempo che rimase nella condotta di Morimondo, sua sorella maggiore teneva l’ordine di casa. Ella doveva provvedere a tutto perché il dottore non pensava che ai malati, al prossimo e alle pratiche di pietà. In alcune solennità dell’anno, d’accordo con la sorella, invitava alla sua mensa una dozzina di poveri che serviva con le proprie mani ancor prima che lui si mettesse a mangiare.
    Non sempre le sue risorse economiche erano sufficienti per soddisfare la sua generosità e spesso era costretto, tramite la sorella, a ricorrere alla generosità dello zio medico il quale si compiaceva della virtù e della buona fama del nipote.
    A Morimondo lo chiamavano il “dottorino santo”, e anche presso i suoi colleghi godeva della medesima fama. Egli mantenne sempre buone relazioni e pieno accordo con le autorità locali dando sempre buon esempio di virtù cristiane e civiche. Le opere dell’Azione Cattolica locale avevano in lui il promotore e il sostenitore.
    Quando don Riccardo Beretta andò a Morimondo con l’intenzione di fondare una Sezione dell’Unione Missionaria Parrocchiale, il giovane medico fu solerte nel procurare aiuti e mezzi materiali e spirituali per soccorrere i missionari che per lui erano i santi banditori del Vangelo.
    Nella ricorrenza del Giubileo del 1925, scriveva alla sorella Sr. Longina Maria: “Durante questo anno, questo Anno Santo, prega molto per me, soprattutto perché abbia da diventare un po’ più fedele alle sante e solenni promesse battesimali".

    Fra Riccardo, religioso dei Fatebenefratelli

    La figura del Santo è nota anche per la sua appartenenza all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli, dove lo consigliò di entrare don Riccardo Beretta del quale assumerà il nome quando inizierà il Noviziato. A causa della sua malferma salute, don Riccardo lo raccomandò al P. Provinciale Zaccaria Castelletti sacerdote, che ben volentieri, pur essendo gracile di salute, l’accettò egualmente, pronunciando quella frase che oggi suona quasi come una profezia: “Sia il benvenuto fra noi, se non potremo averlo d’aiuto per molto tempo in terra, acquisteremo un protettore in Cielo”.
    L’elogio di Giovanni Paolo II nell’omelia per la beatificazione (1981), riassume tutta la sua figura di giovane cristiano impegnato, di medico e di religioso fatebenefratello: “Ermino Pampuri è una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi e alla nostra sensibilità. Noi ammiriamo in Ermino Pampuri il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell’ambiente studentesco, come membro attivo del circolo universitario “Severino Boezio” e socio della Conferenza San Vincenzo de’ Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente.
    “Egli ha realizzato letteralmente le parole scritte alla sorella suora, quando era medico condotto: “Prega affinché la superbia, l’egoismo e qualsiasi altra mala passione non abbiano a impedirmi di vedere sempre Gesù sofferente nei miei malati. Lui curare, Lui confortare. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione!”.
    La breve, ma intensa, vita di fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici e per i religiosi.
    Le ultime ore della sua vita, secondo la testimonianza di un suo confratello sacerdote che l’assisteva, le passò tranquillo, ripetendo giaculatorie e rispondendo alle preghiere per gli agonizzanti. Nelle prime ore del 1 maggio 1930, piegò il capo verso destra come stesse dormendo e diede l’ultimo respiro.

    Bibliografia

    Radice G., Fra Riccardo Pampuri, Medico-Chirurgo Fatebenefratello, Beato, Milano 1982.
    Soroldoni M., Un medico per sperare…, ed. Fatebenefratelli, Milano 1983.
    Russotto G., Testimonianze vive su San Riccardo Pampuri, Postulazione Generale Fatebenefratelli 1989, Roma.
    Montonati A., Il dottor carità, Riccardo Pampuri dei Fatebenefratelli, ed. Fatebenefratelli, Milano 1989.

    NOTE

    [1] Lettera a Suor Longina Maria Pampuri, 11 gennaio 1914. Gli altri riferimenti alla lettere sono tratte dal libro del suo postulatore generale, P. Gabriele Russotto o.h., Riflessi di un’anima, “Lettere del Servo di Dio Fr. RICCARDO PAMPURI dei Fatebenefratelli, medico-chirurgo”, Marietti 1955.
    [2] Lettera al suo amico Dott. Benedetto Secondi Torrino, 30 marzo 1924.


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