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    Europa


    Non stare alla finestra /4

    Renato Cursi

    (NPG 2019-02-58)


     

    I giovani della cosiddetta “generazione Z”[1] sono cresciuti, in Italia così come anche in altri paesi europei, vivendo un rapporto più o meno consapevole e più o meno ambiguo con un dato chiamato “Europa”. A differenza delle generazioni che li hanno preceduti, infatti, per questi giovani “l’Europa” non è stata una conquista, bensì un dato acquisito, già dato, ereditato dal passato. Un “fatto” assodato e apparentemente alla portata, ma allo stesso tempo complesso e oscuro. L’Europa è una sovrastruttura da cui difenderci o un progetto da salvaguardare? E se si tratta di un’opera meritoria, come educare i giovani ad un rapporto consapevole e propositivo con il progetto dell’integrazione europea? Come può un giovane cattolico essere sale per la terra europea? Con lo spirito di chi non vuole rimanere a guardare l’Europa dal balcone o dalla finestra, proveremo a rispondere su queste pagine e attraverso gli approfondimenti disponibili sul sito web della Rivista.

    Europa – Europe: qualche chiarimento

    Di quale Europa stiamo parlando? “Europa” non è solo un’espressione geografica. E anche se lo fosse, non si registra un consenso unanime nel definirne i confini fisici, per quanto i Dardanelli e gli Urali vengano spesso evocati in tal senso. Europa è anche e soprattutto comunità, storia di popoli, cultura e identità, lingue e religioni, progetto e destino. Eppure, sarebbe un errore identificarla automaticamente con l’Unione Europea (UE), le sue istituzioni o la sua moneta unica. In primo luogo perché quest’organizzazione non include tutti i Paesi e i popoli che storicamente si sono identificati con l’Europa. In questo senso, esistono altre organizzazioni intergovernative regionali capaci di includere più Stati europei rispetto all’Eurozona (19 Stati membri) e all’UE (27 Stati membri), come ad esempio il Consiglio d’Europa (47 Stati membri) e l’OSCE (57 Stati membri, a dire il vero non solo europei).[2] In secondo luogo, perché un’organizzazione politica storicamente circoscritta non esaurisce il ben più ampio e profondo concetto di Europa. Detto ciò, è innegabile che per i giovani “Z” dei Paesi membri come l’Italia, l’UE sia l’esperienza di Europa più facilmente identificabile e quella più capace di incidere nelle loro vite. Dalla pervasività di direttive e regolamenti alla cronaca dei frequenti scontri tra governi nazionali e istituzioni comunitarie, dalla diffusione della moneta unica alla fine del roaming per i telefoni cellulari, dalle opportunità promesse da programmi come “Garanzia Giovani” a quelle offerte dall’Erasmus+, l’UE entra ormai più o meno consapevolmente nell’immaginario e nei progetti di vita di tutti i nostri giovani. Eppure, a quasi 70 anni dalla dichiarazione Schumann e più di 60 anni dopo la firma dei Trattati di Roma, oggi ci troviamo a vivere un tempo cruciale per la storia dell’integrazione europea. Occorre, infine, offrire un’ultima precisazione per chiarire quali siano le possibili prospettive con cui guardare all’integrazione europea. Volendo offrire un panorama esauriente dello spettro di proposte diffuse, partendo dalle prospettive a minor tasso di integrazione politica, oggi c’è chi parla di “Europa delle patrie”, chi di “Europa dei popoli”, chi di “unione di Stati”, chi di “confederazione di Stati” e, infine, chi vorrebbe costruire un’Europa federale, gli “Stati Uniti d’Europa”. Dalla mera giustapposizione di Stati nazionali alla costruzione di un unico Stato federale. Ci sono, in questo senso, più “Europe” possibili. Oggi, nell’UE, viviamo in un’unione di Stati in crisi d’identità. Crisi non è necessariamente un termine negativo. Crisi è anche opportunità, nella misura in cui chi è chiamato a coglierla si faccia trovare pronto.

    Da 6 a 27, uniti nella diversità

    È opportuno, a questo punto, volgere un momento lo sguardo indietro alle origini e in particolare ai padri fondatori dell’attuale costruzione europea. Tra gli 11 padri fondatori riconosciuti ufficialmente dall’Unione Europea[3], spiccano tre figure eminenti di cattolici impegnati in politica, rispettivamente a capo del governo in Germania, Italia e Francia: Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Robert Schuman. Oltre alla fede e all’impegno politico, questi tre uomini condividevano l’essere cresciuti in terre di frontiera contese (rispettivamente Ruhr, Trentino e Lorena) tra Stati europei e l’aver sperimentato tanto le persecuzioni del nazifascismo quanto gli orrori della guerra. Per tutti e tre la Chiesa Cattolica ha consentito l’avvio della causa di beatificazione. I giovani che frequentano parrocchie, movimenti e associazioni cattoliche conoscono queste figure? Quanto parliamo loro della dimensione e ispirazione profetica dell’avvio del processo d’integrazione europea? È evidente, infatti, che questo processo sia stato concepito, nelle menti di questi padri fondatori, come processo innovativo e sperimentale di pace tra i popoli, per superare i fragili e fallimentari modelli di cooperazione sperimentati in precedenza sul continente. Solo in seconda battuta, sul piano del metodo, è emersa e si è affermata l’idea (la cui paternità è attribuita a Jean Monnet[4]) di partire dalla cooperazione economica, nella fattispecie dalla co-gestione delle risorse minerarie della regione oggetto di ben tre guerre tra Francia e Germania nel corso degli 80 anni precedenti[5]. La cosiddetta “dichiarazione Schuman” del 9 maggio 1950, che avrebbe di lì a poco facilitato la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), è quindi considerata il punto di partenza del processo di integrazione europea. Per questo motivo, ancora oggi, ogni 9 maggio si celebra nei Paesi UE la “Festa dell’Europa”. Sei Paesi europei (Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) firmarono dunque il Trattato CECA nel 1951 e i Trattati di Roma nel 1957 per estendere ad altre aree la cooperazione economica, fondando la Comunità Economica Europea (CEE). Solo nel 1992, dopo la fine della cosiddetta “guerra fredda” che si era instaurata in Europa e nel mondo dopo la seconda guerra mondiale e con la firma del Trattato di Maastricht, si arriverà a parlare di Unione Europea. Nel frattempo, la Comunità e poi l’Unione hanno assistito all’ingresso di nuovi membri. Oggi l’Unione Europea comprende 27 Stati membri, con circa 440 milioni di abitanti che parlano 24 lingue ufficiali.[6] Quest’ultimo dato rende bene l’idea della sfida sottostante l’evocativo motto ufficiale dell’UE: “Unità nella diversità”.

    Le riforme e le crisi di un premio Nobel per la pace

    Ma come funziona l’UE? È sempre stata così complessa? L’architettura istituzionale e del sistema di presa delle decisioni all’interno della Comunità e poi dell’Unione ha subito negli anni diversi cambiamenti, spesso in corrispondenza dell’ingresso di nuovi Paesi membri. Con il passaggio da Comunità ad Unione, gli Stati membri hanno impresso un’accelerazione sia all’allargamento sia alle riforme istituzionali. Tra il 1995 e il 2007, infatti, 15 nuovi Stati sono entrati a far parte dell’UE, 12 Paesi UE hanno adottato una moneta comune (l’Euro) e, inoltre, tutta l’UE ha attraversato un travagliato processo per l’adozione di una comune “Costituzione” europea. Il frutto di questo processo, ovvero il “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, è stato però respinto dal voto popolare in Francia e nei Paesi Bassi nel 2007. Ciononostante, la maggior parte delle riforme previste dal suddetto Trattato, pur spogliate di qualsiasi forma esteriore di carattere costituzionale, sono state però incluse subito dopo nel cosiddetto “Trattato di Lisbona”, entrato in vigore, non senza qualche difficoltà[7], nel 2009. Da allora, le competenze e le regole sul funzionamento dell’Unione Europea sono rimaste quasi del tutto le stesse fino ad oggi. In estrema sintesi, l’iniziativa legislativa è rimasta in capo alla Commissione Europea (organo tecnico a vocazione sovranazionale, anche se orientato in parte dai singoli governi nazionali), mentre la decisione finale sull’approvazione di regolamenti e direttive (forme degli atti legislativi UE) spettano insieme al Parlamento Europeo (eletto direttamente dai cittadini UE ogni 5 anni) e al Consiglio dell’UE (rappresentante i governi degli Stati membri). Si tratta di un sistema complesso e molto discusso, che è stato elaborato per raggiungere un compromesso tra l’approccio intergovernativo (potere dei governi dei singoli Stati membri) e federalismo (potere dei cittadini UE considerati come cittadini di un unico Stato federale). Nel frattempo, mentre consolidava le riforme istituzionali necessarie per ricevere adeguatamente i nuovi membri, l’UE si preparava ad affrontare due gravi crisi: la più grande crisi finanziaria che il mondo avesse visto dai tempi del crollo della borsa di Wall Street nel 1929, e la crisi provocata dall’arrivo dei più grandi flussi migratori da Africa e Asia verso l’Europa dai tempi del crollo dell’Impero Romano. La crisi finanziaria nota ormai come “grande recessione” ha preso avvio nel 2007 negli Stati Uniti d’America in seguito a una crisi del mercato immobiliare, contagiando poi tutto il resto del mondo. Nell’UE, a partire dal 2011 la crisi ha messo fortemente in difficoltà i Paesi finanziariamente più fragili all’interno della cosiddetta “Eurozona”, ovvero l’unione di quei Paesi UE che a partire dal 1999 si sono dotati dell’Euro come moneta unica. Nel frattempo, tra il 2013 e il 2017, oltre 4 milioni di migranti, molti dei quali richiedenti asilo[8], si sono riversati verso le frontiere UE da Africa e Asia. Queste due crisi hanno messo in seria difficoltà la tenuta dell’UE, sia sul piano della democrazia (controllo democratico sulla finanza) sia sul piano della solidarietà (fra Paesi membri dell’Eurozona per le crisi finanziarie, e fra tutti i Paesi UE per la gestione dell’accoglienza e integrazione dei migranti). Nel 2012, mentre queste due grandi crisi infuriavano sull’UE, quest’ultima è stata insignita del Premio Nobel per la Pace, per aver contribuito per oltre sei decenni “al progresso della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa”. Si è trattato, da una parte, di un gesto di incoraggiamento per un’organizzazione complessa alle prese con difficoltà inaudite e, d’altra parte, di un modo per ricordare ai suoi leader quali dovrebbero essere le priorità e i principi in grado di orientare le azioni di questa stessa organizzazione.

    C’è vita oltre Brexit

    Proprio mentre i Paesi membri dell’UE si accordavano per trovare delle pur precarie e discutibili soluzioni a queste due grandi crisi, per la prima volta nella storia, dopo anni di progressivi allargamenti e a fronte di un cospicuo numero di Paesi ancora candidati all’ingresso, uno Stato membro (peraltro uno dei più rilevanti sul piano politico ed economico) ha scelto di abbandonare l’Unione. In occasione del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, il 23 giugno 2016, il 51,89% dei votanti ha espresso la sua preferenza a favore dell’uscita di questo Paese dall’UE. Questo voto ha quindi aperto un processo che dovrebbe concludersi il 29 marzo 2019 con l’uscita formale del Regno Unito dall’UE, la quale, dopo essere arrivata ad annoverare 28 Stati membri con l’adesione della Croazia nel 2013, tornerà a unirne 27. Analizzando i dati sull’affluenza e sulle dichiarazioni di voto, in molti hanno descritto il Brexit come “tradimento generazionale”. Da una parte, infatti, il 64% dei votanti dai 18 ai 24 anni di età avrebbe votato a favore della permanenza del proprio Paese nell’UE; dall’altra, tuttavia, solo il 36% dei giovani tra i 18 e 24 anni sarebbe andato a votare. A tradire le speranze dei giovani pro-UE, dunque, non sono stati solo i compatrioti adulti e anziani (in gran maggioranza a favore del Brexit), ma anche la grande maggioranza dei loro coetanei che ha scelto di non scegliere, astenendosi. Questi dati riflettono la tendenza, purtroppo sempre più diffusa in Europa e in Italia, che vede crescere l’astensione, soprattutto giovanile, nelle tornate elettorali. Agli operatori di pastorale giovanile interessa il fatto che i giovani non si stanno esprimendo sugli orientamenti futuri delle società in cui sono nati e cresciuti? È solo un problema di complessità dei problemi su cui si è chiamati ad esprimersi o questa astensione è forse la risposta di chi non si sente parte di un progetto comunitario? E se questa esclusione è reale per i giovani nati in Europa, quanto lo sarà ancor di più per quei tanti giovani che arrivano in Europa da altri continenti? Qualunque rilancio del progetto di integrazione europea non deve e non può prescindere da un serio ascolto e dalla partecipazione attiva delle nuove generazioni. Con l’uscita del Regno Unito, infatti, è la direzione di tutta l’UE ad essere rimessa in discussione. Se da una parte, i rapporti tra UE e Regno Unito non cesseranno ora del tutto per questo motivo, dall’altra i Paesi che rimangono nell’UE saranno chiamati a ridefinire le ragioni, le finalità e gli orizzonti di questo processo. Come è stato già detto, una crisi può essere anche l’opportunità per un cambiamento positivo. Da Calais si vedono ancora le bianche scogliere di Dover. Le possibili opzioni per il futuro dell’UE sono ancora molte. C’è vita oltre Brexit.

    Quale Europa per i giovani? Quali giovani per l’Europa?

    Nei suoi discorsi in tema di integrazione europea[9], Papa Francesco ha sempre sottolineato il fatto che troppi giovani nell’UE vedono disattesi i loro bisogni di formazione e soprattutto di opportunità concrete per l’accesso al mondo del lavoro. Solo da qui può passare un vero tentativo per coinvolgere attivamente le nuove generazioni nel ripensamento del nostro vivere insieme in Europa. Il lavoro offre dignità e genera vera inclusione nella società. Una generazione di precari e disoccupati che interesse avrà nel futuro della società che li ha resi tali fino alla soglia dei 30 anni? L’Europa ha bisogno di rispondere in maniera più convincente a questa richiesta (sempre più silenziosa, ma non per questo meno angosciante) di inclusione da parte dei giovani. Ma chi è “l’Europa”? Non siamo forse noi? In ogni Stato membro deve accendersi una riflessione più profonda e meno distratta su questi temi. Chi, come gli operatori di pastorale giovanile, si trova ad ascoltare e condividere i sogni e le angosce dei giovani in Europa, deve poi sapersi fare latore o anche solo mediatore di queste istanze nei fori del dialogo pubblico. Nel discernimento politico cui siamo chiamati in questo tempo storico, vale a dire tra la possibilità di ridurre o rafforzare in vario modo il livello di integrazione tra Paesi europei, la possibilità di includere maggiormente i giovani nella società e di offrire loro maggiori opportunità di crescita deve essere un criterio importante di valutazione. In altre parole, la decisione da prendere, sia che si tratti di tornare a dare maggior potere agli Stati nazionali, sia che, viceversa, tutti gli Stati UE o un piccolo nucleo di questi optino verso una soluzione di tipo federale o confederale[10], dovrebbe essere quella che si riveli più capace di ricostruire un’alleanza tra le generazioni che popolano questi Paesi. Il modello dell’Unione di Stati si è rivelato, su questo fronte, insufficiente. Parafrasando il motto ufficiale dell’UE, è tempo di essere “uniti nella differenza”, e non più nella “diversità”. Stando all’etimologia dei due lemmi, nella diversità a un certo punto prendiamo strade e direzioni opposte, nella differenza portiamo pesi distinti, ciascuno secondo le sue capacità. In questa fase di apparente post-globalizzazione, è davvero lo Stato nazionale l’attore più idoneo a ricostruire un patto sociale tra le generazioni e offrire speranza per un futuro migliore? È lecito dubitarne. Ben venga il ritorno della politica dopo anni di governance grigia e impersonale, ma che le si consegnino strumenti adeguati alle sfide dei tempi[11]. Ciò detto, qualsiasi altra formula di rilancio del processo di integrazione europea richiederà un supplemento di coraggio e onestà. C’è un divario di democrazia, trasparenza, conoscenza e informazione ancora tutto da colmare. Papa Francesco ci esorta a non far mancare il nostro contributo di cattolici alla costruzione del bene comune dell’Europa che verrà, per non farle mancare il lievito del Vangelo e renderla quindi più umana. Nel mese di maggio saremo chiamati ad esprimere un voto che influirà direttamente sulla formazione del Parlamento Europeo e, indirettamente, della Commissione Europea, in vista di un quinquennio che si annuncia cruciale per il futuro di questo cammino comune. Come risponderemo? Come risponderanno i giovani che incontriamo? Voteranno o si asterranno? E se voteranno, promuoveranno un’Europa dei mercati e libertaria, un’Europa dei muri e xenofoba, o un’Europa capace di mettere al centro la persona, la famiglia, la democrazia, la solidarietà e il bene comune? Al di là del pur importante atto elettorale, è tempo di offrire ai giovani un maggior numero di quelli che il Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” chiama “spazi” per l’accompagnamento nel “discernimento dei segni dei tempi”[12], maggiori proposte e processi di formazione e confronto per abilitare i giovani ad un approccio consapevole ed evangelico alla costruzione di un’altra Europa.

    Approfondimenti (sul sito web della Rivista):

    - This Time I’m voting: le elezioni europee del 2019
    - COMECE – La Chiesa Cattolica e l’Unione Europea
    - Don Bosco International – I Salesiani di Don Bosco nel cuore dell’Europa
    - Approfondimenti su Schuman, De Gasperi, Adenauer
    - Preghiera per l’Europa
    http://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13162:non-balconear-la-vida&catid=501:balconear

     
    NOTE

    [1] Secondo i dizionari Oxford e Collins, “Generation Z” è la generazione composta dalle persone nate a partire dalla metà degli anni ’90 del XX secolo.
    [2] Il Consiglio d’Europa è un'organizzazione internazionale fondata nel 1949, il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani, l'identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa. Per rendere un’idea della sua attività, si tenga conto del fatto che la nota Corte Europea dei Diritti Umani, con sede a Strasburgo, è un organo del Consiglio d’Europa e non, come spesso si crede, dell’Unione Europea. L’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) è un'organizzazione regionale per la promozione della pace, del dialogo politico, della giustizia e della cooperazione in Europa. Nata come CSCE (Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) con la Conferenza di Helsinki nel 1975, dal 1995 ha assunto il nome OSCE. È la più grande organizzazione regionale per la sicurezza nel mondo.
    [3] L’Unione Europea annovera ufficialmente come suoi “padri fondatori” le seguenti persone: Konrad Adenauer, Joseph Bech, Johan Willem Beyen, Winston Churchill, Alcide De Gasperi, Walter Hallstein, Sicco Mansholt, Jean Monnet, Robert Schuman, Paul-Henri Spaak, Altiero Spinelli.
    [4] Jean Monnet, nato in Francia da una famiglia di produttori di cognac, passò gli anni della Seconda Guerra Mondiale negli Stati Uniti d’America, dove si trovava per lavoro e dove aderì al Comitato Francese di Liberazione Nazionale. Coinvolto quindi in politica nel secondo dopoguerra, contribuirà alla redazione della “dichiarazione Schuman”, apportandovi la sua esperienza professionale e la sua visione per cui era opportuno costruire la pace a partire dalla condivisione delle risorse e dal potenziamento del commercio tra le nazioni.
    [5] Francia e Prussia/Germania si affrontarono militarmente nel 1870, nel 1914-18 e ancora nel 1940-45.
    [6] Questi dati escludono già dal calcolo il Regno Unito.
    [7] L’Irlanda è stato l’unico Stato membro a sottoporre il Trattato di Lisbona ad una consultazione popolare. Il 12 giugno 2008 il 53,4% dei votanti si è espresso contro l’adesione dell’Irlanda al Trattato. La mancata adesione anche solo di un solo Paese rischiava di compromettere la nuova architettura istituzionale. L’Irlanda decise quindi di indire un nuovo referendum. Polonia e Repubblica Ceca vincolarono la loro ratifica del Trattato al risultato del secondo referendum in Irlanda. Questa volta, il 2 ottobre 2009, il 67,1% dei cittadini irlandesi votanti si espresse a favore della ratifica del Trattato di Lisbona, e i Paesi UE che non vi avevano ancora provveduto lo ratificarono.
    [8] Fonte Eurostat.
    [9] Cf. Francesco, Discorso al Parlamento Europeo, Strasburgo, Francia, 25 novembre 2014; Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016, Discorso ai partecipanti alla Conferenza “Rethiking Europe”, 28 ottobre 2017.
    [10] Cf. Fabbrini S., Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa, Editori Laterza, 2017.
    [11] Cf. Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, 29 giugno 2009, n. 67.
    [12] Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Ordinaria su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Instrumentum laboris, 8 maggio 2018, n. 128; Cf. Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea Ordinaria su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, Documento Finale, 27 ottobre 2018, n. 52, 151.


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