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    Aiutiamo i giovani a riconciliarsi con se stessi



    Intervista a Frère Alois Löser, Priore della Comunità Ecumenica di Taizé

    A cura di Gioele Anni


    (NPG 2017-04-2)

    Il giacchetto beige con la zip semiaperta sulla camicia, la valigetta blu in mano, i capelli corti biondo cenere. Sembra un impiegato che va al lavoro in ufficio, un uomo normale nel chiasso di Roma. Poi entra nell’aula del Sinodo, in un angolo si mette la veste bianca ed eccolo: frère Alois Löser, il priore della comunità di Taizé. Dimostra meno dei suoi 64 anni. Magro, occhi chiari e lineamenti decisi, ingentiliti dal sorriso. Cresce in Germania con i genitori fuggiti dalla Cecoslovacchia al termine della guerra, poi nel 1974 arriva nella comunità ecumenica di Taizé. Non se ne andrà più fino ad assumerne la guida, nel 2005, in un passaggio di testimone segnato dalla tragedia per la morte violenta del fondatore frère Roger Schutz. Frère Alois porta avanti il carisma della comunità che si fonda sulla sobrietà, la cura della liturgia e della musica, il sogno dell’unità tra cristiani, l’impegno per la giustizia sociale. Migliaia di giovani transitano da Taizé ogni anno e a centinaia – credenti e non credenti – si radunano a fine dicembre in una città europea per l’incontro internazionale di Capodanno. «Una primavera per la Chiesa», aveva detto papa Giovanni XXIII quando frère Roger gli aveva presentato l’esperienza di Taizé. Dopo più di mezzo secolo, la primavera è ancora nel pieno della fioritura.

    Frère Alois, questo per lei è il terzo Sinodo dopo quelli sulla parola di Dio e sulla nuova evangelizzazione. Ora i giovani: che impressioni ha avuto?
    Senz’altro c’è stato un cambiamento. I giovani presenti in questa assemblea hanno aiutato a creare un bel clima, un’atmosfera più fraterna, semplice e diretta. I ragazzi hanno parlato coraggiosamente e i vescovi hanno ascoltato. Ho notato un bello scambio tra le generazioni.

    Quali sono i temi più forti che secondo lei emergono dal Sinodo?
    Ne direi tre: i giovani chiedono ascolto, cercano accompagnamento e desiderano prendersi delle responsabilità nella Chiesa. Per dare risposte su questi temi serve un cambiamento di mentalità, ma anche delle strutture della Chiesa. C’è bisogno di favorire una maggiore partecipazione dei giovani nei nostri processi decisionali.

    Qual è un cambiamento che lei farebbe subito?
    Non ho ricette, ma sarebbe bello che nelle conferenze episcopali ci fossero incontri con i giovani come al Sinodo. Sarebbe una sorta di continuazione dell’assemblea e un adattamento del Sinodo ai vari contesti nazionali.

    Come è nata la sua vocazione al sacerdozio?
    Ci sono state delle persone che mi hanno parlato di Gesù, mi hanno mostrato con la loro vita il Vangelo e mi hanno chiesto: «Chi è Gesù per te? Forse Lui ti sta chiamando?». Credo che oggi dobbiamo avere il coraggio di parlare in questo modo ai giovani. Tra loro c’è una grande generosità e una ricerca di radicalità nel vivere il Vangelo. Se osiamo parlare ai giovani con chiarezza possiamo incoraggiarli a prendere decisioni che durano per tutta la vita.

    Chi sono state queste persone così importanti per lei?
    Prima di tutto la mia famiglia. Poi un sacerdote e alcune donne, in particolare una signora anziana della Finlandia: l’ho conosciuta a Taizé e mi ha incoraggiato molto. Un ruolo fondamentale lo hanno giocato anche frère Roger e i fratelli di Taizé nella loro vita comunitaria: non erano soltanto dei testimoni individuali, tutta la comunità è stata per me una testimonianza di Vangelo. E questo è stato molto bello e decisivo.

    Che cosa può insegnare la comunità di Taizé a tutte le comunità parrocchiali, di associazioni e di gruppi, che formano la Chiesa?
    A Taizé siamo una piccola comunità. Non siamo un modello, ma siamo una comunità ecumenica e viviamo insieme tra fratelli di diverse chiese cristiane. Proprio l’ecumenismo è la nostra caratteristica. Vogliamo anticipare l’unità di tutti i cristiani, cioè di tutti coloro che amano il Cristo. I giovani ci aiutano molto perché sentono in maniera naturale che il Cristo ci unisce, che il Cristo crea la comunione e che la riconciliazione non è un aspetto tra altri del Vangelo ma è l’aspetto centrale. È la riconciliazione con Dio che ci rende fratelli e sorelle. Noi vogliamo esprimere con forza una domanda nella Chiesa: perché siamo ancora divisi tra quanti credono nello stesso Gesù Cristo?

    All’ingresso della comunità di Taizé, negli anni Sessanta, frère Roger aveva affisso un cartello: «Voi che giungete qui: riconciliatevi! Cattolici, protestanti, ortodossi, giovani e anziani, bianchi e neri». In che cosa oggi i giovani chiedono di essere riconciliati?
    Prima di tutto, riconciliati con se stessi. Un giovane oggi ha bisogno di trovare l’unità della sua vita. I ragazzi vanno sempre di fretta e subiscono tante pressioni, in particolare per gli studi e la ricerca di lavoro. Non possono fare un programma di vita, non possono costruire il proprio futuro con calma perché ci sono sempre tante sorprese. E non è facile resistere a tutto questo se non si ha una vita unificata. Per fare questo, a Taizé diciamo che bisogna approfondire la fede. Perché l’unità della vita si realizza come fiducia in Cristo. Fiducia di non essere soli, fiducia che lui è presente e ci accompagna in tutte le situazioni della vita.

    Uno degli aspetti di Taizé che più la rende attrattiva per i giovani è la cura della musica nelle liturgie. È vero che lei sa suonare?
    Sì, suono la chitarra classica. Mi piace molto! È bello perché quando prendo in mano la chitarra, dimentico tutte le altre cose.

    E quale musica ascolta il priore di Taizé?
    Il mio artista preferito è Schubert. Mi piace tanto anche perché era un giovane che aveva un percorso esistenziale difficile. Ma nella mia vita c’è ancora l’eco dei Beatles! Quando ero giovane la loro musica era entusiasmante. Un entusiasmo come quello portato dai giovani al Sinodo.

    Qual è il ruolo della musica nella preghiera a Taizé?
    La musica è molto importante per noi. La nostra preghiera comune è divenuta una preghiera in cui cantiamo in tutte le lingue. Utilizziamo soprattutto i canoni con una frase della Bibbia che si ripete molte volte. È una forma di preghiera molto semplice che ci aiuta a esprimere il cuore del messaggio evangelico: ripetendo queste frasi noi possiamo assimilare la Parola. Anche in questo i giovani ci aiutano molto. Oggi a Taizé sono loro che sostengono la preghiera, non siamo soltanto noi fratelli ad animare le liturgie. C’è molta partecipazione grazie alla musica e al canto, che è qualcosa di molto personale ma allo stesso tempo è un linguaggio comune che ci unisce tutti.


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